Prospettive assistenziali, n. 101, gennaio-marzo 1993

 

 

CAUSA VINTA SUL DIRITTO DEGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI ALLE CURE OSPEDALIERE

 

 

Riportiamo integralmente i due provvedimenti assunti dal Pretore di Bologna, Dr. Bruno Cicco­ne, nella causa civile intentata dall'USL 28 Bologna Nord contro la signora PF (nata nel 1913) ricoverata presso l'Ospedale Malpighi del capoluogo emiliano e contro BI e BG (nato nel 1908), rispettivamente figlio e marito della Signora PF.

Rileviamo con estremo malessere (speriamo transitorio) che le dimissioni dall'Ospedale S. Orsola-Malpighi di Bologna sono state richieste dal primario della divisione geriatrica. Al riguardo, ri­teniamo che i geriatri e le loro organizzazioni (SIGG - Società italiana di geriatria e gerontolo­gia, SIGO - Società italiana Geriatri Ospedalieri, ecc.) (1) dovrebbero riesaminare le posizioni incompatibili con le esigenze ed i diritti degli anziani cronici non autosufficienti.

L'attuazione del progetto obiettivo "Tutela della salute degli anziani" esige, a nostro avviso, la massima coesione possibile fra coloro (operatori sanitari, familiari, volontari), che operano affinché la geriatria sia una innovativa metodica di inter­vento rivolta agli anziani colpiti da malattie acute e croniche, compresi quelli non autosufficienti.

La difesa dei diritti dei signori PF, BI e BG è stata assunta dagli avvocati Elena Passanti, Maria Virgilio e Bianca Guidetti Serra che si sono avval­si della collaborazione del CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti di Torino e del Tribunale della salute di Bologna.

 

Ordinanza del 27 giugno 1992

 

Il Pretore osserva:

- che la Pubblica Amministrazione ricorrente dispone di un potere di autotutela nel caso di specie che le consente di porre direttamente in esecuzione il provvedimento di dimissioni della paziente già emanato, con effetti pressoché identici rispetto a quelli ottenibili in questa sede;

- che comunque è in facoltà della P.A. ricor­rere al giudice ordinario per «l'accertamento di un suo diritto che pretende violato», sia in quanto il potere di autotutela della pubblica amministra­zione si pone come un quid pluris rispetto alle posizioni giuridiche dei "soggetti comuni", sia in quanto non sembra possibile negare alla stessa P.A., in mancanza di una norma espressa che le imponga di agire in via amministrativa, «il diritto potestativo di agire giudizialmente» davanti al giudice ordinario - cfr. Cass., Sez. Un. del 1957, n. 842 -;

- che la natura del diritto che la P.A. reputa violato può ben assurgere a diritto pubblico soggettivo, quantunque di carattere generale: in questa sede, non si può negare che la USL ricorrente agisca in proprio per la tutela di un di­ritto «alla disponibilità del posto letto da adibire in modo appropriato alle esigenze dei malati che ne hanno effettivamente bisogno», con ciò fa­cendosi inoltre portatrice di un generale diritto della collettività, meglio individuata dall'area di operatività della USL 28 di Bologna, a vedersi assicurata, all'interno del diritto costituzional­mente garantito della tutela della salute, la frui­bilità dell'assistenza sanitaria ospedaliera com­patibilmente con la capacità oggettiva di acco­glienza in tali istituti: capacità oggettiva che non può essere limitata da eventuali soggettive ed il­legittime occupazioni di posti disponibili da par­te di pazienti giudicati non bisognosi di quel particolare tipo di cura a cui la struttura è desti­nata, pena la lesione del diritto in oggetto;

- che una volta riconosciuto tale diritto sog­gettivo in capo alla USL, appaiono evidenti i pre­supposti processuali di cui all'art. 700 c.p.c., in quanto l'occupazione del posto letto operata dalla intimata (ove dovesse ritenersi ingiustifica­to) incide sulla potenziale assistenza di persone bisognose di «cure funzionali» alla struttura de quo - ovvero il reparto del nosocomio Malpighi - S. Orsola di Bologna ove attualmente si trova ri­coverata la Sig.ra PF -;

- che inoltre il protrarsi della degenza nell'istituto ospedaliero oltre la data indicata dal primario per le dimissioni (sempre se ingiustifi­cata) comporta per la USL ospitante gravose spese di mantenimento che, qualora non siano più giustificate dal dovere di assistenza sanitaria imputabile all'ente, costituiscono un vero e pro­prio danno di natura patrimoniale derivante dal fatto illecito (nonché eventuale responsabilità contabile degli amministratori dell'ente stesso), di difficile determinazione, se non statistica, vi­sta la complessità della struttura in oggetto;

- che, tuttavia, avendo come detto la Pubblica Amministrazione preferito ricorrere al giudice ordinario anziché avvalersi del suo potere di au­totutela, essa viene a porsi sullo stesso piano del soggetto privato e deve soggiacere alle re­gole del processo civile;

- che, pertanto, pur dovendosi ritenere autorevole il foglio di dimissioni del primario, non può disattendersi la sostanziale richiesta della paziente, come persona avente diritto ad una assistenza sanitaria adeguata, di una verifica, a mezzo consulente tecnico, della sussistenza o meno dei presupposti di dette dimissioni, e, più precisamente, della esistenza o meno di un qua­dro clinico cronico stabilizzato tale da non ri­chiedere l'ulteriore permanenza in ambiente ospedaliero.

 

P.Q.M.

 

Il Pretore, visto l'art. 2 L. 1865/2248; ritenuta la propria giurisdizione e competenza a decidere sulla domanda del ricorrente, trattie­ne la causa presso il proprio Ufficio, e fissa per il prosieguo l'udienza del 7.7.1992 h. 11,45.

 

 

Provvedimento del 21 dicembre 1992

 

Il Pretore osserva:

In fatto.

L'USL 28 Nord proponeva in data 6.11.1991 ricorso ex art. 700 contro PF. BI e BG, assumen­do tra l'altro che la Signora PF dal 1986 era ri­coverata senza giustificato motivo presso strut­ture ospedaliere della città;

che in data 6.3.1991 il primario della divisione geriatrica dell'ospedale S. Orsola-Malpighi, in cui la convenuta era ricoverata dal 18.12.1990, aveva disposto le sue dimissioni rilevando che il quadro clinico della stessa si era stabilizzato;

che, rifiutandosi la PF di abbandonare il posto letto abusivamente occupato, la USL aveva in­viato in data 6.4.1991 una prima diffida, quindi una seconda in data 17.5.1991, e infine atto del­la amministrazione sanitaria nel quale si conte­stava l'illecito penale, civile e amministrativo del­la convenuta, notificato in data 31.5.1991.

Tutto ciò premesso, ritenendo che la sede as­sistenziale fruibile dalla paziente fosse la c.d. "casa protetta" cioè la struttura extraospedalie­ra destinata ad accogliere persone anziane e non la struttura ospedaliera disponibile, invece, per i casi acuti, la USL 28 chiedeva al Pretore adito di ordinare in via d'urgenza il rilascio del posto letto abusivamente occupato dalla PF e nel merito, previa rimessione degli atti al Tribu­nale competente per valore, la conferma dell'or­dine di rilascio e la condanna dei convenuti al ri­sarcimento dei danni quantificabili nell'importo della retta giornaliera dal 6.3.1991 alla data del rilascio del posto letto.

Si costituiva poi PF chiedendo il rigetto del ri­corso perché inammissibile e infondato in quan­to essendo la stessa malata cronica con pre­gressa patologia tale da richiedere assistenza medica e infermieristica e non la sola assistenza generica abitualmente prestata presso le case di riposo e anche presso le c.d. case protette,

aveva assoluta necessità di occupare un posto letto ospedaliero.

Si costituiva anche BI che, pur sostenendo la tesi sopra esposta, eccepiva nei suoi confronti il difetto di legittimazione passiva e chiedeva di essere estromesso, sollevando inoltre eccezio­ne di carenza di giurisdizione. In relazione a tale ultima questione, il Pretore in data 27 giugno pronunciava motivata ordinanza con cui dichia­rava la propria giurisdizione e competenza e tratteneva la causa presso il proprio ufficio.

 

IN DIRITTO

 

Preliminarmente, appare opportuno che il provvedimento venga pronunciato anche nei confronti del figlio della PF non potendosi esclu­dere che la stessa per ragioni di età e in relazio­ne alle dedotte infermità possa trovarsi talora in condizione di incapacità naturale.

Nel merito, si osserva che il problema della lungodegenza è stato affrontato dal legislatore già nella L. 12.2.1968 n. 132 riguardante enti ospedalieri e assistenza ospedaliera che all'art. 29 prevede interventi regionali relativi a trasfor­mazioni e modifiche da apportare in conformità al fabbisogno di posti letto distinti per acuti, cro­nici, convalescenti e lungodegenti.

In seguito anche la L. 23.10.1985 n. 595 si pone come obiettivo, fra gli altri (lett. b punto 2 art. 8) quello della tutela della salute degli anzia­ni e si occupa della lungodegenza prevedendo all'art. 10, c. 6, lett. a la « strutturazione » di specifiche sezioni di degenza per riabilitazione di malati lungodegenti e ad alto rischio invali­dante.

La L. 11.3.1988 n. 67, all'art. 20, autorizza poi l'esecuzione di un programma pluriennale di in­terventi in materia di ristrutturazione edilizia e la realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti per l'importo complessivo di 30.000 miliardi e, in particolare, prevede la rea­lizzazione di 140.000 posti in strutture residen­ziali per anziani che non possono essere assi­stiti a domicilio e nelle strutture di cui alla lett. e) e che richiedono trattamenti continui. In seguito è stato emanato il D.M. 13.9.1988 che all'art. 3 (unità operative di degenza) punto F tratta diffu­samente del problema della lungodegenza.

In particolare al punto F1 precisa che è de­stinazione specifica degli ospedali quella del trattamento dei pazienti in fase acuta o bisogno­si di terapia riabilitativa intensiva ed estensiva e che pertanto può giustificarsi la presenza in essi dei lungodegenti soltanto limitatamente alla fa­se di convalescenza, di primo trattamento, di rieducazione funzionale o di fase terminale.

Al punto F2 sottolinea come esista tuttavia un numero considerevole di pazienti con forme croniche stabilizzate o di anziani ultrasessantacinquenni abbisognevoli di trattamenti protratti di conservazione, i quali sono impropriamente ricoverati in strutture per acuti a causa della ca­renza di residenze sanitarie assistenziali extrao­spedaliere o dell'insufficiente approntamento di forme alternative di spedalizzazione domiciliare o assistenza domiciliare integrata.      .

Ciò premesso al punto F3 si prevede che la riorganizzazione degli ospedali "deve" farsi cari­co di assegnare alla funzione di lungodegenza i posti letto abitualmente utilizzati per ammalati non acuti destinandovi i pazienti impropriamente ricoverati nelle strutture per acuti.

Al punto F5 si prevede infine che l'assegna­zione di degenti di cui al punto F2 (cioè pazienti con forme croniche stabilizzate ed anziani ultra­sessantacinquenni ecc.) alla funzione di lungo­degenza prevista al punto F3 rivesta carattere di transitorietà in attesa che siano realizzate le re­sidenze sanitarie assistenziali extraospedaliere o vengano attivate forme adeguate di spedaliz­zazione domiciliare o di assistenza domiciliare integrata nell'ambito di progetti obiettivo del pia­no sanitario nazionale previsto della L. 23.10.1985 n. 595, già citata. In attuazione della normativa di cui sopra il Consiglio regionale dell'Emilia Romagna con delibera 2727 del 27.09.1989 - dopo aver specificato che i posti letto assegnati alla lungodegenza sono stati in­dividuati, con riferimento al disposto del punto F1 dell'art. 3 D.M. 13.09.1988, in base al para­metro di «3 posti letto per lungodegenti ogni 100 posti letto per acuti» già stabilito nella direttiva regionale 2214 del 29.09.1988 - stabilisce che per quanto riguarda le esigenze di ricovero di pazienti con forme croniche stabilizzate o di an­ziani ultrasessantacinquenni abbisognevoli di trattamenti protratti di conservazione, alle quali si debba far fronte transitoriamente in ambito ospedaliero (come previsto dall'art. 3 D.M. 13 settembre 1988 al punto F5) i posti letto di lun­godegenza saranno calcolati in eccedenza ri­spetto alla dotazione complessiva di posti letto.

La ricorrente considera tali disposizioni (in particolare il D.M. 13.9.1988 e la delibera del Consiglio regionale 2727 del 27.9.1989 atti di in­dirizzo e assume che la loro efficacia vincolante sarebbe limitata all'attuazione del programma in esse predisposto senza tuttavia imporre né limiti temporali né un comportamento specifico alla Pubblica Amministrazione che potrebbe invece attuare il previsto indirizzo secondo la propria discrezionalità.

Si osserva, in proposito, però che, se pur in via di principio atti di indirizzo e direttive hanno come contenuto tipico l'indicazione di finalità e criteri guida cui devono ispirarsi le attività del destinatario e dunque la loro efficacia ha di soli­to un grado di intensità minore rispetto alla nor­ma giuridica, tuttavia vi sono casi in cui tali atti risolvono il loro contenuto in vere e proprie re­golamentazioni amministrative, in prescrizioni puntuali, in divieti inderogabili (es. direttive del CIPI; D.M. 8.3.1985 contenente direttive ai co­mandi provinciali dei vigili del fuoco per la pre­venzione incendi).

Deve dunque ammettersi in via generale l'esi­stenza di atti di indirizzo, come del resto soste­nuto da autorevole dottrina, che non solo preve­dono fini e programmi, ma dispongono anche i mezzi di attuazione degli stessi e ne regolano l'uso. Oltretutto sembra preferibile, allorquando appare incerto il contenuto promozionale o pre­cettivo di un atto, interpretare il medesimo nel senso di attribuire ad esso efficacia immediata anziché valore programmatico e ciò per assicu­rare una più spedita regolamentazione dei rap­porti sottostanti.

La valutazione dell'efficacia vincolante o me­no di tali atti andrà comunque effettuata valutan­do l'intera disciplina giuridica del rapporto in esame e verificando la possibile "valenza attua­tiva" dell'atto di indirizzo stesso.

Nel caso di specie, dalla formulazione lettera­le della normativa in oggetto ed in particolare, del punto F5 art. 3 D.M. 13.9.1988, appare evi­dente il carattere precettivo e immediatamente vincolante della stessa, anche in considerazione del fatto che il legislatore si è posto espressa­mente il problema e ha previsto, con riferimento alle infermità croniche stabilizzate ed ai soggetti anziani ultrasessantacinquenni, una specifica disciplina della fase transitoria (v. punto F3) e da valere sino a quando non verranno realizzate re­sidenze assistenziali sanitarie o attivate forme di spedalizzazione o assistenza domiciliare inte­grate.

Sulla base delle argomentazioni che precedo­no legittima. appare pertanto la pretesa della PF di poter continuare a beneficiare di adeguata assistenza sanitaria usufruendo delle prestazio­ni gratuite del servizio sanitario nazionale pres­so una struttura ospedaliera e non di generica assistenza presso istituti di riposo o strutture equivalenti.

La novità della questione in esame e le diffi­coltà interpretative della medesima rendono op­portuna l'integrale compensazione delle spese di lite.

 

P.Q.M.

 

a) respinge il ricorso;

b) dichiara integralmente compensate le spe­se di lite tra le parti.

 

N.B. - Il provvedimento è stato redatto con la col­laborazione della dott.ssa Donatella Donati.

 

 

 

 

(1) Segnaliamo che le posizioni di altre organizzazioni di geriatri (Gruppo di Terapia Geriatrica e SIMOG, Società Italiana Medici e Operatori Geriatrici) coincidono con quel­le sostenute dal CSA - Comitato per la difesa dei diritti de­gli assistiti di Torino.

 

 

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