Prospettive assistenziali, n. 100, ottobre-dicembre 1992

 

 

RUOLO DEL VOLONTARIATO PER LA PROMOZIONE DEI DIRITTI DEGLI HANDICAPPATI

LUCIANO TAVAZZA (*)

 

 

Il 30 marzo di quest'anno a Torino Sir Ralf Dahrendorf ricevendo il 3° premio internazionale destinato ai più prestigiosi uomini di cultura - da parte della Fondazione Agnelli - concludeva il suo discorso pronunciando una frase che vo­glio mettere al centro della illustrazione del co­me sia possibile "promuovere" i diritti degli han­dicappati.

Affermava Dahrendorf: «Ma coloro per i quali la scelta rimane una cinica promessa senza al­cun riscontro reale non sono uomini liberi. La li­bertà negativa può diventare infatti la libertà di pochi di arricchirsi senza limiti. La libertà come opportunità di fare o di non fare una cosa è non solo un diritto generale, ma deve diventare so­prattutto un diritto reale».

Il nostro problema di oggi, con il titolo che ci è stato affidato "Ruolo del volontariato per la pro­mozione dei diritti", dinanzi ad una legge che i Francesi definirebbero di "orientation générale" induce non tanto ad affrontare alcuni articoli, ma a proporre dinanzi a questa "orientation" giuridi­ca l'orientamento dialettico del volontariato, in­dicandolo con estrema chiarezza. Ciò appare tanto più necessario in questo momento in cui il volontariato è sottoposto ad una strategia di omologazione strisciante, quindi avviato verso la sua possibile scomparsa. Occorre individuare le linearità degli orientamenti per i quali, secondo noi, può esistere o non può esistere autentica promozione. Partiamo da una prima considera­zione. Può esistere vera promozione da parte del volontariato se lo Stato anzitutto garantisce i diritti. Ricordo quanto abbiamo detto al conve­gno di Assisi: il volontariato può lavorare seria­mente solo dove lo Stato funziona al meglio, al­trimenti il volontariato è portato ad assumersi dei compiti che non sono suoi e che pertanto non può portare innanzi con una risposta di qualità. Allora non esiste oggi in Italia la piena possibilità di promozione dei diritti da parte del volontariato perché il volontariato non è in grado di garantirli; la garanzia dei diritti spetta infatti allo Stato e solo quando esiste questa garanzia da parte del pubblico, il volontariato può la­vorare al meglio, rivendicandone l'attuazione, la promozione nelle politiche e nei servizi. In caso contrario non promuove, ma surroga l'ine­sistente.

Seconda considerazione: cosa vuol dire allo­ra "promuovere", quali sono le possibilità limita­te e fragili del volontariato, che possono diven­tare invece importantissime se si sceglie non tanto il funzionamento dei servizi quanto la ado­zione di una precisa strategia. Promuovere da parte del volontariato vuol dire infatti chiedere l'applicazione di quanto lo Stato promette di ga­rantire attraverso la Costituzione e le leggi so­ciali che ne traducono la realizzazione nel quoti­diano.

E siccome in questa legge che stiamo esami­nando ci sono molti "possono", una serie di "possono": i comuni possono, le province pos­sono, le regioni possono; occorre che la promo­zione possibile consista nel chiedere - nell'im­mediato - l'attuazione massima di ciò che la legge afferma che potrebbe già essere fatto. Promuovere vuol dire anche sensibilizzare l'opi­nione pubblica perché la sua pressione porti al perfezionamento di questa legge. Vuol dire spe­rimentare subito il nuovo negli spazi che ci sono concessi, anticipando l'intervento dello Stato.

La funzione del volontariato infatti non si adempie assumendo quello che invece lo Stato deve assicurare come Stato di diritto, ma antici­pando quello che noi possiamo progettare per poi passare alle istituzioni la nostra esperienza, perché l'esperienza positiva di una parte diventi il patrimonio di tutti.

Infine vuol dire integrare capillarmente e qua­litativamente i servizi dello Stato e denunciare con forza le eventuali inadempienze. Ricordo che Monsignor Nervo in un incontro della Cari­tas a Collevalenza (1991), ha sostenuto che tale istituzione ecclesiale in Italia aveva molti meriti, però non tutti quelli possibili per la mancanza di un tempestivo costume profetico di denuncia dei diritti dei deboli quando venivano illegittima­mente coartati. Se questo dunque vuol dire pro­muovere, l'orientamento del volontariato moder­no tende ad anticipare lo Stato cogliendo le emergenze; a chiedere l'attuazione dei diritti ac­quisiti di cittadinanza; a sensibilizzare l'opinione pubblica; a sperimentare il nuovo; ad integrare i servizi dello Stato; a denunciare le inadempien­ze e gli eventuali soprusi delle istituzioni; a respingere la "delega selvaggia" come alibi dei politici per la propria incapacità amministrativa, per rovesciare sul volontariato i servizi a minor costo in modo da impegnare i fondi residui in al­tre spese secondarie visto che tanto c'è un gruppo di "stupidelli" dediti alle azioni gratuite che fanno opere buone.

Promuovere vuol dire non cedere alla delega, per meri fini economici o caritativi ma stimolare il mutamento e la realizzazione di quanto la leg­ge ha disposto.

Occorre dire con chiarezza ai gruppi di volon­tari che possono morire di convenzioni! C'è chi muore di tangenti. Il mondo del volontariato può morire di convenzioni, perché nella misura in cui si lascia attrarre dal sistema dei servizi e non si sofferma sul problema di cosa significa l'attua­zione di un determinato servizio, quando non è richiesto in un quadro di limpide politiche socia­li, in quel momento indebolisce lo "stato socia­le". Si comporta rispetto ai poveri, forse non vo­lendolo - per incoscienza o per incultura - con­sumando una beffa di apparente solidarietà.

Di fronte ad una "legge di orientamento" com'è quella che stiamo esaminando, non si possono che adottare dei precisi orientamenti di scelte politiche del volontariato chiamato ad agi­re a livello nazionale e sul territorio dando vita ad una strategia efficace ed efficiente. Oggi "promuovere" vuol dire per il volontariato libe­rarsi dall'idea del protagonismo, sapendo che la sua azione è valida nella misura in cui opera all'interno del "terzo sistema" e capisce che si possono sconfiggere le emarginazioni, rimuove­re le cause anche del mondo dell'handicap, sol­tanto se associazionismo, volontariato, coopera­tive di solidarietà sociale, sindacati, operano in una visione d'insieme perché nessuna di queste forze ha capacità di influire separatamente sul Parlamento, sul Governo, sul mercato.

Vi faccio un esempio: poco prima di partire per Milano ho incontrato Giuseppe Lumia, che come sapete è il presidente del Movimento di Volontariato italiano. Mi ha comunicato, che in previsione di questo incontro, si era rivolto al Ministro segnalandogli che riteneva errato e provocatorio l'atteggiamento scelto dall'Ammini­strazione per quanto riguarda il funzionamento delle commissioni di esame per l'invalidità dei portatori di handicap; richiedeva al Ministro un intervento urgente, convinto come era che al convegno nazionale organizzato a Milano oggi 6 giugno il problema sarebbe esploso alla pre­senza di 300 operatori, esperti, famiglie. La ri­sposta è giunta con tempestività ieri sera. Scrive il dottor Bertolaso, responsabile del dipartimen­to competente del Ministero degli Affari Sociali: «A proposito desidero confermare che il Ministro condivide pienamente le preoccupazioni da lei espresse e ne ha fatto oggetto di accurato ap­profondimento nel corso della prima riunione del comitato nazionale dell'handicap con i suoi colle­ghi della pubblica istruzione, del lavoro e della sanità. Il Ministro ha pertanto impartito le oppor­tune disposizioni affinché si provveda alla ema­nazione di una norma esplicativa che chiarisca le procedure necessarie all'accertamento dell'han­dicap, che assicuri tempestivi esami da parte del­le commissioni laddove il loro intervento non sa­rà evitabile e comunque che risolva in via definiti­va senza il coinvolgimento delle suddette com­missioni il diritto allo studio degli handicappati salvaguardando quanto disposto dall'art. 12 del­la medesima legge». Sono convinto che se non ci fosse stata la pressione di questo convegno e non avessimo agito insieme con tutte le forze del collegamento, questa immediata presa di posizione non ci sarebbe stata.

Promuovere vuol dire ancora rendersi conto che siamo oggi dinanzi ad una legge di settore: non può uscire un quadro organico innovativo da leggi di settore. Infatti i promotori di questo incontro hanno affrontato invece l'argomento con la prospettiva di una legge generale, di rior­dino dei servizi sociali, in cui si delinei anche la logica dell'intervento sul mondo dell'handicap. Ecco, l'aspirazione era quella che non nascesse un'altra legge speciale ma che i diritti dell'handi­cappato fossero raccolti nelle leggi generali, così come hanno chiesto nei loro interventi Don Benzi e il prof. Dogliotti.

La strada percorsa è stata un'altra. II volonta­riato si trova dinanzi alla scelta di questa strada. Non può dire ai portatori di handicap: ci rivedre­mo quando il sistema funzionerà alla perfezione. Deve invece fare delle scelte immediate con il senso della storia.

Quali sono le due possibili scelte: una di ca­rattere strumentale, cioè di carattere tradiziona­le, di accettazione della logica della delega. Po­trebbe allora servirsi esclusivamente degli arti­coli 9. comma 2, 18, comma 1, 38, per conside­rarsi quasi il "terminale esecutivo" del pubblico. Il terminale del pubblico, quindi per quanto ri­guarda l'inserimento e l'integrazione lavorativa per i "centri di lavoro guidato", per quanto ri­guarda l'art. 38 dove tutti appaiono convenzio­nabili.

Ecco, il volontariato potrebbe prestarsi ad un disegno che secondo me avrebbe la logica del passato. Oppure optare per una scelta innovati­va, sia pur limitata come ha sottolineato il prof. Dogliotti. Senza farci grandi illusioni, ma ricono­scendo che esiste una serie di articoli (il 5, il 6 lettere a, c, i, il 7 comma 1 lettera a, l'art. 13 let­tere h, i, l, m) da cui potremmo ripartire per fare un salto in avanti. Ve li indico, senza entrare nei particolari perché il moderatore mi ricorda che il mio tempo è scaduto.

Allora quanto all'art. 5, i principi generali pro­clamati, li facciamo attuare tempestivamente o non li facciamo attuare dalla amministrazione? Chiediamo che per l'art. 6 almeno, siano appli­cati, non so, i punti a, c, i. Per l'art. 7, cosa sug­geriamo per quanto riguarda la riabilitazione? E per l'art. 13 sugli accordi di programma voglia­mo seguirne l'applicazione con precisi stimoli e rispetto delle scadenze? Vogliamo fare una campagna perché questi punti, almeno queste tappe, diventino realtà o lasceremo trascorrere i termini come se non esistessero del tutto?

Ecco, la concretezza ci dice che il nostro in­tervento deve essere graduale, ma nello stesso tempo che occorre sperimentare tutto il nuovo possibile. Qui qualche cosa di nuovo si può in­travedere. Si può intravedere, per esempio, nel coordinamento fra scuola ed extra scuola.

Il volontariato in questo può essere promozio­nale, ma non da solo, ma insieme al corpo sco­lastico, certamente. Così come si può pensare ad un coordinamento indicato dalla legge, sia pure tenuamente, sui servizi territoriali (art. 39) ad una programmazione prevista dall'art. 41 per quanto riguarda il comitato nazionale per le poli­tiche sull'handicap.

E qui per esempio, per quanto riguarda que­sto comitato, la legge prevede che debba riunir­si prima della finanziaria. Ecco mi pare che oc­correrebbe intanto affrontare questa battaglia perché veramente la finanziaria è la legge chia­ve che condiziona tutte le altre. Occorre una no­stra presenza incalzante su questo punto. Le al­tre due sedute previste ci interessano fino ad un certo punto, ma la prima, che può decidere in positivo o in negativo il nostro lavoro per un an­no, questa sì che è fondamentale.

Ecco, mi pare che in questo quadro di riferi­mento, noi spostiamo la nostra attenzione dai singoli articoli, alle condizioni necessarie per ri­spondere ad una "legge di orientamento" con nostre scelte di significato in modo che tutto ciò che di nuovo si può fare per una autentica promozione, sia tentato e tutto ciò che dobbia­mo respingere con forza, perché riteniamo che appartenga al passato, sia denunciato non solo ai livelli governativi, ma ai livelli di opinione pubblica. Giacché senza una azione popolare coordinata dì terzo sistema io non credo che si possa uscire dalla presente situazione di impasse.

Come sostiene Sir Ralf Dahrendorf «la nostra libertà di fare o di non fare deve tradursi in diritto reale» in una scelta di batterci per il mutamento con senso realistico e ferma determinazione.

 

 

(*) Relazione tenuta da Luciano Tavazza, Segretario Ge­nerale della Fondazione per il volontariato, al convegno di Milano del 6 giugno 1992, organizzato da Prospettive assi­stenziali e da Handicap & Scuola sul tema: "La legge-qua­dro sull'handicap: una occasione mancata? Proposte per l'affermazione di diritti esigibili".

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it