Prospettive assistenziali, n. 98, aprile-giugno 1992

 

 

SENTENZA INQUIETANTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Non può non destare preoccupazioni la sen­tenza n. 148/1992 della Corte costituzionale, che riproduciamo integralmente, in quanto non è di­retta, come può apparire a prima vista, a risolvere un caso umano, ma a smantellare uno dei car­dini fondamentali della legge 4 maggio 1983 n. 184 "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori".

Nella legge 184/1983 la differenza massima di età fra adottanti e adottandi è stabilita in anni 40 (1) al fine di assicurare all'adottato genitori non troppo vecchi non solo quando viene realizzata l'adozione, ma anche e soprattutto al momento del suo autonomo inserimento sociale.

 

I fatti

Una coppia, ottenuta dal Tribunale per i mino­renni di Bari la prescritta dichiarazione di idonei­tà per l'adozione di bambini stranieri, si reca in Romania e porta in Italia due fratelli, di cui uno, in violazione alla autorizzazione concessa, ha una differenza di età rispetto agli adottanti superiore ai 40 anni.

A questo riguardo va anche osservato che le autorità consolari italiane in Romania e la polizia di frontiera non si sono accorte di nulla, il che po­ne inquietanti interrogativi circa le possibilità di entrate illegali di minori in Italia.

Creato il fatto compiuto, i coniugi si rivolgono al Tribunale per i minorenni di Bari per ottenere la pronuncia di adozione. Non potendo violare le norme della legge 184/1983, lo stesso Tribunale si rivolge alla Corte costituzionale per ottenere l'annullamento.

 

Un primo passo?

La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della legge 184/1983 «nella parte in cui non consente l'adozione di uno o più fratelli in stato di adottabilità, quando per uno di essi l'età degli adottanti supera di più di qua­rant'anni l'età dell'adottando e dalla separazione deriva ai minori un danno grave per il venir me­no della comunanza di vita e di educazione». In sostanza, la sentenza afferma che se viene precostituita la convivenza adottiva, anche in vio­lazione della norma che stabilisce la differenza massima di età di 40 anni, il giudice può pronun­ciare ugualmente l'adozione.

La pronuncia della Corte costituzionale riguar­da l'adozione di un solo fratello al di fuori del li­mite dei 40 anni; è facile prevedere che la norma verrà estesa anche nelle situazioni in cui i fratelli siano più di uno.

Non vorremmo che la sentenza della Corte co­stituzionale in oggetto fosse il primo passo per lo smantellamento della differenza massima di età, limite che - lo ripetiamo - era stato introdotto per evitare che i minori fossero adottati da perso­ne vecchie.

Da notare che la legge 184/1983 consente l'adozione in casi particolari; pertanto il mino­re in oggetto poteva essere adottato dai co­niugi. In questo caso essi - come ci sembra giu­sto e opportuno per evitare abusi - avrebbero dovuto essere preventivamente autorizzati dal Tribunale.

L'affermazione della Corte costituzionale sul diritto del minore a crescere sviluppando armoni­camente la propria personalità (sviluppo che ri­schierebbe di restare seriamente pregiudicato da una separazione tra fratelli), non può non essere condiviso, e del resto è lo stesso articolo 22 della legge 184 a recitare che non può essere dispo­sto se non in presenza di gravi ragioni l'affida­mento di uno solo di più fratelli minori, tutti in sta­to di adottabilità. Bisogna però riflettere che il principio, affermato in termini così categorici, rischia a sua volta di minare alle radici il funzio­namento ordinato dell'adozione in Italia, poiché può concorrere a favorire l'instaurarsi di adozioni che, per oggettive ed elementari ragioni anagra­fiche, finiscono per presentarsi come assai problematiche in ordine alla futura "riuscita" del rapporto educativo (soprattutto per quanto ri­guarda gli anni delicatissimi dell'adolescenza). La storia delle adozioni fallite è sovente costituita da rapporti instaurati, appunto, da coppie troppo anziane.

Quanto sarebbe stato meglio invece di statuire in termini così perentori, che la Corte costituzio­nale avesse raccomandato piuttosto che gli abbi­namenti compiuti all'estero tra minori stranieri e adottanti italiani siano sempre preceduti da rigo­rosi riscontri, in modo da proporre in adozione contestuale più fratelli minori in situazione di ab­bandono soltanto a coppie (e ce ne sono!) già in possesso anche degli indispensabili requisiti di età!

 

TESTO DELLA SENTENZA

 

La Corte costituzionale composta dai signori: Dott. Aldo Corasanti, Presidente - Prof. Giusep­pe Borzellino - Dott. Francesco Greco - Prof. Gabriele Pescatore - Avv. Ugo Spagnoli - Prof. Francesco Paolo Casavola - Prof. Antonio Bal­dassarre - Prof. Vincenzo Caianiello - Avv. Mau­ro Ferri - Prof. Luigi Mengoni - Prof. Enzo Cheli - Dott. Renato Granata - Prof. Giuliano Vassalli - Prof. Francesco Guizzi - Prof. Cesare Mirabelli, Giudici, ha pronunciato la seguente sentenza nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma secondo, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamen­to dei minori) in relazione all'art. 6, comma se­condo, della stessa legge, promosso con ordi­nanza emessa il 15 maggio 1991 dal Tribunale per i minorenni di Bari nell'istanza proposta da D.N. ed altra, iscritta al n. 560 del registro ordi­nanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 gennaio 1992 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

                                                                                                                                                 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale per i minorenni di Bari, con ordinanza emessa il 15 maggio 1991 nel proce­dimento introdotto dai coniugi D.N. e S.E. per ot­tenere la dichiarazione di efficacia di una sen­tenza del Tribunale di Braila (Romania) di ado­zione di due minori fratelli, accogliendo l'istanza formulata dal Procuratore della Repubblica ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 2, 3 e 31 della Costi­tuzione, della norma che, stabilendo tra i requi­siti degli adottanti che la loro età non deve su­perare di più di quarant'anni l'età dell'adottando (art. 30, secondo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 in relazione all'art. 6, secondo com­ma, della stessa legge), non prevede che a detto limite si possa derogare allorché dall'applicazio­ne di esso derivi al minore un danno irreversibi­le come quello causato dalla separazione dal fratello o dalla sorella.

Il giudice a quo, adito per ottenere la declara­toria di efficacia nello Stato italiano del provve­dimento straniero di adozione dei piccoli I. e C. V.A. ha accolto l'istanza relativamente al fratello, mentre con riguardo alla sorella più piccola ha ritenuto di non poter provvedere indipendente­mente dalla risoluzione della questione di legitti­mità costituzionale prospettata, atteso che la dif­ferenza di età tra la minore e uno dei coniugi su­pera il limite di quarant'anni.

Il giudice rimettente ha osservato che la norma impugnata urterebbe contro il dettato degli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione. Di­fatti l'art. 2 della Costituzione garantisce i di­ritti inviolabili dell'uomo, quale quello del minore ad una crescita che gli assicuri il pieno ed ar­monico sviluppo della sua personalità; l'art. 3 della Costituzione impone allo Stato di rimuo­vere gli ostacoli che impediscono il pieno svi­luppo della persona umana; l'art. 31 della Costi­tuzione prevede quale compito della Repubblica quello di agevolare e proteggere la famiglia, l'infanzia e la gioventù. La separazione dei due minori germani arrecherebbe grave danno psi­cologico e di crescita a ciascuno di essi, in quanto in applicazione degli artt. 33, ultimo comma, e 37 della stessa legge la sorellina an­drebbe in adozione ad altri, e si profilerebbe un contrasto con i principi costituzionali già richia­mati.

Pur non disconoscendo le giuste finalità dell'art. 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, di dare ai minori in abbandono genitori adottivi che possano offrire il massimo del proprio affetto e del proprio patrimonio culturale ed educativo senza che sia di ostacolo una differenza di età diversa da quella indicata dall'art. 6 della legge del 1983, n. 194, il giudice a quo rileva che tale disposizione, cui rinvia l'art. 30 della stessa leg­ge, appare in contrasto con i citati parametri co­stituzionali dal momento che non prevede la possibilità di deroghe quando l'applicazione della norma comporta per il minore un danno ir­reversibile, come accade con la separazione di due fratelli germani, ben superiore a quello di avere genitori adottivi la cui carenza sia solo nel non avere l'età prescritta.

Il giudice rimettente ricorda che la Corte co­stituzionale, sia pure in riferimento all'ultimo comma dell'art. 44 della stessa legge, ha ritenu­to che la fissazione della distanza d'età, storica­mente dettata non da considerazioni naturalisti­che ma da ragioni di opportunità sociale, non è ostativa alla adozione in particolari casi di neces­sità, quale quello della realizzazione dell'unità familiare.

2. - Intervenuta in rappresentanza del Presi­dente del consiglio dei ministri, l'Avvocatura del­lo Stato ha concluso per l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza. L'Avvocatura afferma che per l'adozione di minori stranieri, così come disciplinata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, il giudizio di idoneità degli aspiranti adottanti è formulato dal Tribunale per i mino­renni in via preventiva ed astratta, senza riguar­do ad alcun minore specificamente individuato, sul quale poter misurare la capacità degli adot­tanti. Non sarebbe dunque configurabile una successiva verifica del rispetto dei limiti di età previsti dall'art. 6.

L'Avvocatura rileva Inoltre che l'ordinanza di rimessione non precisa se nella dichiarazione di idoneità pronunciata dallo stesso Tribunale fos­se stata, a suo tempo, introdotta una condizione di un minimo e di un massimo nell'età dell'adot­tando in relazione all'età dei coniugi adottanti, ai fini della successiva dichiarazione di efficacia in Italia del provvedimento straniero. In sede di procedimento ex art. 32 della legge del 1983, n. 184, di attribuzione di efficacia al provvedimento straniero, non assumerebbe rilevanza - a giudi­zio dell'Avvocatura - una questione di legittimità costituzionale inerente ai presupposti per l'ema­nazione della precedente e già intervenuta di­chiarazione di idoneità degli adottanti. Nel giudi­zio a quo, rileverebbe solo l'avvenuta emanazio­ne della dichiarazione d'idoneità degli adottanti ed il rispetto delle condizioni eventualmente precisate in tale provvedimento.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale per i minorenni di Bari dubita della legittimità costituzionale della norma che, nel contesto della disciplina della adozione le­gittimante, stabilisce tra i requisiti richiesti ai co­niugi adottanti che la loro età superi «di non più dl quaranta anni l'età dell'adottando» (art. 6, se­condo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184). Tale norma opera tanto nella ipotesi di adozione interna, quanto in quella di adozione internazionale, giacché in conformità all'indiriz­zo volto ad unificare i requisiti richiesti per la adozione indipendentemente dalla cittadinanza dei minori, la norma sostanziale posta dall'art. 6 della legge del 1983, n. 184, ha effetto anche nella procedura diretta ad accertare la idoneità dei coniugi i quali intendano adottare un minore straniero (art. 30 della legge del 1983, n. 184), procedura che si conclude con la successiva ed eventuale dichiarazione di efficacia del prov­vedimento straniero di adozione o di affidamen­to preadottivo (art. 32 della legge del 1983, n. 184, cit.).

Le disposizioni indicate dal giudice rimettente come parametro di valutazione della legittimità costituzionale della norma, sono gli artt. 2, 3 e 31 della Costituzione.

2. - L'Avvocatura dello Stato ha eccepito la ir­rilevanza della questione, in quanto sollevata nel corso della fase procedurale disciplinata dall'art. 32 della legge del 1983, n. 184, dopo che era già concluso l'accertamento della ido­neità del coniugi alla adozione, con la fissazione delle relative condizioni, anche quanto al divario dl età richiesto rispetto al minore da adottare.

Ma proprio la peculiare sequenza di atti e provvedimenti previsti dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, tutti volti alla conclusiva dichiara­zione di efficacia nello Stato dei provvedimento straniero di adozione, persuade della infonda­tezza della eccezione.

Il procedimento per l'adozione di minori stra­nieri, volto ad assicurare requisiti e controlli analoghi a quelli previsti per la adozione interna, si articola difatti in più fasi, che vanno dalla di­chiarazione di idoneità degli adottanti (questa prescinde dalla individuazione e dal rapporto con un minore e precede il provvedimento stra­niero di adozione) alla dichiarazione di efficacia di tale provvedimento straniero nello Stato.

Anche in questa ultima fase, nella quale si tro­vava il procedimento dinanzi al giudice rimetten­te, è previsto un controllo, sia pure estrinseco, sulla dichiarazione di idoneità dei coniugi adot­tanti: se ne trae l'accertamento del rispetto delle condizioni poste dal relativo provvedimento e la possibilità di un contenzioso in ordine ad esse. Anzi, per quanto attiene al requisito del divario di età tra adottanti ed adottato, solo in questa fa­se, perché in relazione ad uno specifico minore al quale il divario di età è rapportabile, si pone come rilevante la questione di legittimità costitu­zionale della norma che fissa in non più di qua­ranta anni, anche in presenza di particolari si­tuazioni che in ipotesi possano trovare protezio­ne radicata in norme costituzionali, la differenza di età tra adottante ed adottato. Se così non fos­se, per la adozione internazionale tale questione non potrebbe mai essere considerata effettiva­mente rilevante, giacché nella fase procedurale relativa alla preventiva dichiarazione di idoneità dei coniugi il superamento del divario di età, in assenza di un minore al quale il divario stesso va rapportato, sarebbe solo ipotetico ed even­tuale.

La eccezione di inammissibilità della questio­ne, sollevata dalla Avvocatura dello Stato, deve essere pertanto disattesa.

3. - Nel merito la questione, nei rigorosi limiti nei quali è prospettata, è fondata.

Il legislatore ha stabilito all'art. 6 della legge 4 maggio 1883, n. 184, sia per l'adozione interna che per l'adozione internazionale, alla quale la norma si applica per il rinvio operato dall'art. 30 della stessa legge, tra i requisiti richiesti per l'adozione il minimo ed il massimo divario di età tra coniugi adottanti e minore adottato. Si tratta di una previsione rigida, non del tutto adeguata ai principi fissati in materia dalla Convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967, ratificata con legge 22 maggio 1974, n. 357, che fissa il diva­rio di età minimo, in ordine al quale possono es­sere previste deroghe per il verificarsi di circo­stanze eccezionali (art. 7). Peraltro comune è il principio ispiratore di fondo della disciplina le­gislativa nazionale e della Convenzione europea sull'adozione dei minori: esso consiste nella va­lutazione in termini di assoluta preminenza dell'interesse del minore ad «un ambiente fami­liare stabile ed armonioso» (per usare la incisiva espressione dell'art. 8 della Convenzione).

Questa Corte ha più volte sottolineato che dai principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 30, pri­mo e secondo comma, della Costituzione, di­scende che l'adozione deve trovare nella tutela dei fondamentali interessi del minore il proprio centro di gravità (sentenza n. 197 del 1986, sen­tenza n. 11 del 1981) essendo sempre poziore l'interesse del minore stesso alla soluzione più adeguata allo sviluppo della sua personalità.

Con riferimento al divario di età tra coniugi adottanti e minore il legislatore ha, con una valu­tazione discrezionale, fissato i termini di tale di­vario in almeno diciotto anni ed in non più di quaranta anni, attribuendo così riferimenti certi anche alle situazioni ed agli atti preordinati alle adozioni. Ma la assoluta rigidità delle previsioni normative è stata già, in due specifiche e circo­scritte situazioni, ritenuta non conforme a costi­tuzione, tanto nel limite minimo quanto nel limite massimo.

Per quanto concerne il non raggiunto divario minimo di età, dei diciotto anni, tra adottante e adottando, nel caso di chi intende adottare il mi­nore figlio anche adottivo del coniuge, questa Corte ha ritenuto che, quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell'unità familiare, la ragionevole riduzione del termine diciottennale possa essere rimessa all'apprezzamento del giudice, previo attento e severo esame delle cir­costanze del caso (sentenza n. 44 del 1990).

Quanto al divario massimo di età tra adottante ed adottato questa Corte ha ritenuto, con riferi­mento alla estensione degli effetti della adozio­ne legittimante, prevista dall'art. 79 della legge del 1983 n. 184, nei confronti degli adottati ai sensi dell'art. 291 del codice civile precedente­mente in vigore, che la differenza di età tra adot­tanti ed adottato superiore ai 40 anni non poteva essere di ostacolo, in presenza, tra l'altro dei va­lori costituzionali di cui agli artt. 2 e 30, primo e secondo comma, della Costituzione (sentenza n. 183 del 1988).

Il divario di età legislativamente previsto non si pone dunque come così assoluto da non poter essere ragionevolmente intaccato, in casi rigo­rosamente circoscritti ed eccezionali, per con­sentire la affermazione di interessi, particolar­mente attinenti al minore ed alla famiglia, che trovano radicamento e protezione costituzionale e la cui esistenza in concreto sia rimessa al ri­goroso accertamento giudiziale. Tale situazione si verifica nel caso di fratelli e sorelle minori, uniti da comunità di vita e di educazione, quale parte di un nucleo famigliare, e che versino in eguale stato di adottabilità.

In proposito si può rilevare che la legge del 1983, n. 184, consente, in principio, l'adozione plurima; anzi afferma che non può essere di­sposto l'affidamento di uno solo dei due fratelli, tutti in stato di adottabilità, salvo che non sussi­stano gravi ragioni (art. 22), ma non ne discipli­na in modo specifico i profili attinenti al divario di età tra adottanti ed adottando, quando per uno dei minori tale divario non rientri in quello previsto in via generale dall'art. 6, secondo com­ma.

I valori costituzionali di protezione della per­sonalità dei minori, risultanti dagli artt. 2 e 31 della Costituzione, la esigenza di un pari tratta­mento di essi quando versano nella medesima condizione, come pure quella di salvaguardare la unità familiare che residua o si va a comporre, impongono che sia mantenuta la loro comunan­za di vita e di educazione, quando dalla separa­zione deriverebbe per essi un danno grave, su­scettibile di rigorosa valutazione da parte del giudice. In tal caso, essendo uno dei minori adottabile o adottato, la preclusione della ado­zione di un fratello o di una sorella da parte de­gli stessi adottanti solo in ragione del supera­mento del divario massimo di età, non è costitu­zionalmente legittima.

 

Per questi motivi la Corte costituzionale di­chiara la illegittimità costituzionale dell'art. 6, se­condo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori) nella parte in cui non consente l'ado­zione di uno o più fratelli in stato di adottabilità, quando per uno di essi l'età degli adottanti su­pera di più di quarant'anni l'età dell'adottando e dalla separazione deriva ai minori un danno gra­ve per il venir meno della comunanza di vita e di educazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1992.

Depositata in cancelleria il 1 ° aprile 1992.

 

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