Prospettive assistenziali, n. 98, aprile-giugno 1992

 

 

Editoriale

 

MESSAGGIO DEL CARDINALE MARTINI PER IL CONVEGNO SULLA LEGGE-QUADRO SULL'HANDICAP

 

 

In occasione del convegno di Milano del 6 giu­gno 1992 "La legge-quadro sull'handicap: una occasione mancata? Proposte per l'affermazione di diritti esigibili"; il Cardinale Carlo Maria Martini ha inviato il messaggio che riproduciamo integralmente.

 

Desidero esprimere la mia partecipazione al Convegno promosso dalla vostra Associazione, a me nota per aver preso la parola ed avere ascoltato i vostri interventi in precedenti incontri sui problemi della condizione anziana e dell'assistenza domiciliare oltre che dell'ospedalizzazione a domicilio.

Sono, perciò, lieto di partecipare a questo vostro "convenire" e "riflettere", a partire dalla legge 104/92, sui problemi della disabilità.

È un tema che mi sta molto a cuore e che incontro quotidianamente nella mia esperienza pastorale.

Il tempo corre e scorre veloce se penso all'ormai lontano 1980, quando nel mio primo discorso di sant'Ambrogio affermavo: «L'imminente inizio dell'Anno internazionale dell'Handicappato, indetto dall'ONU per il prossimo 1981, mi spinge a dire qualcosa su un problema così importante per la nostra società qual è quello di assicurare una comunicazione profonda e autentica con i fratelli handicappati... Vorrei dare a ciascuno una voce, diventare voce di chi non ha voce. Vorrei ripetere a questa immensa folla muta la parola liberatrice di Gesù: Effatà, apriti, parla! (Mc 7, 3)...

«Ma non si tratta solo di intervenire sull'handicappato perché diventi capace di entrare nella società, ma anche di intervenire sulla società, perché diventi degna e capace di accogliere i valori che ogni handicappato porta con sé».

È trascorso l'Anno internazionale; siamo nel secondo decennio da quella circostanza. Viene da chiedersi: che cosa si è fatto in questi dieci anni? È la domanda che abbiamo proposto, a noi anzitutto e agli altri in un recente Convegno della Caritas Ambrosiana (11 aprile 1992) sulla legge 104/92.

Certamente molto è stato fatto, sia in termini legislativi che amministrativi, a livello nazionale e a livello regionale. Molti e pregevoli sono gli in­terventi delle comunità locali e del privato socia­le. Anche la Chiesa ambrosiana ha fatto la sua parte.

Ma la domanda che mi torna più spesso alla mente e che talvolta mi lascia inquieto, è la se­guente: come è cresciuta la sensibilità, la co­scienza e il costume di fronte a numerosi pro­blemi del disabile fisico, psichico e sensoriale? Quali risposte, non assistenzialistiche, ai proble­mi dell'handicap grave o gravissimo? Quali ri­sposte per i genitori che col trascorrere degli anni pensano con angoscia al futuro dei propri figli, tanto più quanto essi quotidianamente se ne sono fatti carico?

Molte potrebbero essere le domande e mi auguro che i vostri lavori aiutino tutti ad individuare percorsi ed itinerari solutivi dei molti interrogati­vi, lasciati aperti, anche dalla legge 104/92.

A me pare che i livelli siano diversi; ne prospetto tre:

 

1) la dimensione legislativa.

Attendo da questo Convegno una seria e serena valutazione sulla legge 104 del 1992, esaltata e criticata ad un tempo.

La domanda è relativa soprattutto alla garanzia, alla tutela dei diritti sociali, dei diritti di cittadinanza della persona handicappata. È davvero garantito il diritto soggettivo, e quindi esigibile, del disabile alla dignità esistenziale, alla riabilitazione, all'istruzione, al lavoro, alla tutela della salute, ad un'assistenza che garantisca e promuova qualità nella vita e della vita?

Quanto lo stesso disegno costituzionale, sotto questo profilo, resta ancora incompiuto?

 

2) La dimensione amministrativa e gestionale.

Le leggi non bastano. Occorre verificare la traduzione concreta e la realizzazione, nei singoli territori - Comuni e USSL - dei principi, anche pregevoli, affermati nelle leggi.

Debbo dire che anche nella società civile, accanto a forme di grande generosità e solidarietà, avverto una caduta di tensione e di attenzione per le fasce più deboli della popolazione.

I sistemi e i sottosistemi sociali, sempre più autorefenziali, i corporativismi spesso latenti non consentono voce ed espressività ai più deboli ed indifesi.

È urgente, quanto necessario, restituire cultu­ra della legalità anche e soprattutto ai diritti so­ciali e di cittadinanza per gli handicappati.

E tutto ciò non sarà possibile senza la cresci­ta di un rinnovato consenso civile, eticamente radicato nel riconoscimento della dignità, della inviolabilità e della sacralità della persona.

 

3) La dimensione della solidarietà.

Vi è altresì un cammino ulteriore, quello che ridisegna i rapporti tra giustizia e carità, socialità e prossimità, diritti di cittadinanza e solidarietà.

È questo un tema sul quale più volte sono tor­nato in questi anni: lo ritengo fondamentale per avviare, consolidare e ulteriormente radicare una cultura della solidarietà.

Nel documento "Evangelizzazione e testimo­nianza della carità", i Vescovi italiani scrivono: «Può essere facile aiutare qualcuno senza ac­coglierlo pienamente. Accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato, è infatti fargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nella propria città e nelle proprie leggi.

«La carità è molto più impegnativa di una be­neficenza occasionale: la prima coinvolge e crea un legame, la seconda si accontenta di un gesto» (n. 39).

Per questo occorre una rinnovata coscienza che "il prendersi cura" appartiene a tutti - ciascuno nel proprio ruolo -.

È verso una rinnovata forma di community care, propiziata anche dal nuovo quadro legislati­vo, che occorre orientarsi: mi riferisco alle leggi sulle autonomie locali, sul volontariato e sulle cooperative sociali.

È nel "prendersi cura della comunità da parte della comunità" che occorre ripensare anche e soprattutto i servizi alla persona handicappata: perché sia mantenuta non solo la conoscenza dei problemi, bensì la ri-conoscenza della per­sona e alla persona.

Occorrerà operare, anche nei sentieri e nei percorsi del quotidiano, le urgenti transizioni da una figura condominiale della convivenza ad una figura fraterna e accogliente del vivere, dal semplice "curare" al "prendersi cura", dall'"es­sere socio" al "farsi prossimo", dalla privatizza­zione della coscienza alla radicazione etica del­la dignità della persona, che chiede di essere, in particolare se disabile, non tanto e non solo "conosciuta" nei suoi bisogni, quanto e soprat­tutto "ri-conosciuta" nel suo valore, di soggetto unico e irripetibile.

Ed è questa la "notizia buona" che la Chiesa non cessa di annunciare: ripartire dagli ultimi è condizione di vita buona, degna e vivibile per tutti.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it