Prospettive assistenziali, n. 94, aprile-giugno 1991

 

 

LE RESIDENZE SANITARIE ASSISTENZIALI: REQUISITI DELLE STRUTTURE EDILIZIE

EUGENIA MONZEGLIO (*)

 

 

Aspetti positivi del decreto relativo alle residenze sanitarie assistenziali (RSA)

L'emanazione del Decreto dei Presidente del Consiglio dei Ministri dei 22.12.1939 (G.U. 3.1.90) può essere senza dubbio accolto con cauta soddisfazione almeno per tre ordini di motivi:

 

1. nella stessa definizione della tipologia della struttura della Residenza sanitaria assistenziale (RSA) si afferma la competenza prioritaria dell’aspetto sanitario. Il decreto riconosce l'esisten­za di un'area di interventi, parzialmente di carat­tere sanitario, che non sono scindibili, sotto il profilo organizzativo e/o operativo, da quelli as­sistenziali, ma che rientrano tutti comunque nella competenza diretta del servizio sanitario nazio­nale (1).

Il decreto stabilisce che la RSA fornisca:

a) accoglimento,

b) prestazioni sanitarie,

c) prestazioni assistenziali,

d) recupero.

È evidente che la prima attività ha caratteristi­che eminentemente residenziali, la seconda e la quarta hanno valenze chiaramente sanitarie, dove cura sanitaria non è sinonimo né di cura ospeda­liera né di attività attuata solo dalla figura medica. Può infatti verificarsi la necessità per la per­sona anziana ammalata, di aver bisogno di un'ele­vata prestazione infermieristica, di interventi ria­bilitativi, di supporto sociale, con un impegno medico contenuto.

Inoltre, nel momento in cui il DPCM introduce questo nuovo tipo di struttura, ribadisce l'impor­tanza fondamentale dell'intervento sanitario do­miciliare, l'ospedalizzazione a domicilio, conside­rata come la prima, più importante, migliore for­ma di cura sanitaria per l'anziano ammalato cro­nico.

L'articolo 1 del DPCM precisa infatti che la RSA è prevista per «anziani non assistibili a do­micilio e che richiedono trattamenti continui»;

 

2. il DPCM contribuisce, per così dire, a razio­nalizzare il settore delle cure sanitarie rivolte all'anziano malato cronico, attuando una certa chia­rezza tra la moltitudine di strutture ipotizzate per l'utenza anziana (casa di riposo, casa protetta, cronicario, struttura per lungodegenti) con tutte le variazioni che si sono riscontrate sul tema: ad es. dalla casa albergo alle varie imitazioni dei Jardins d'Arcadie.

Il decreto dispone inoltre che le istituzioni esi­stenti, già convenzionate col servizio sanitario regionale e che forniscono i servizi previsti nelle RSA debbano adeguarsi (entro 3 anni) ai requisiti introdotti dal decreto;

 

3. il decreto individua i requisiti tipologici e dimensionali per le RSA con una certa attenzione alle qualità ambientali dello spazio confinato. È prevista una suddivisione della struttura per nu­clei, contenenti ciascuno al massimo 20 persone. Tale articolazione sembra essere utile per evita­re grosse concentrazioni di persone; in realtà, ad una lettura più attenta dei decreto, pare esse­re voluta piuttosto per motivi pratici di organiz­zazione e di gestione tra persone non autosuffi­cienti ed autosufficienti.

 

Aspetti discutibili e contraddittori del decreto

Nei confronti delle RSA, così come emerge dal decreto, si possono avanzare una serie di per­plessità:

1) per quanto riguarda i possibili utenti: infat­ti si parla di RSA per anziani non assistibili a domicilio (art. 1) e di strutture per soggetti non autosufficienti (art. 3) (forse anche minori, disa­bili psichici, disabili motori gravi?);

2) manca la definizione del concetto di non au­tosufficienza, che non è mai espressamente col­legata alla presenza di malattie, con conseguente rischio di abusi e di accessi indiscriminati alla RSA;

3) si ipotizza di estendere il modello della RSA anche a persone autosufficienti (cfr. allegato A, criterio 4). Inoltre, in questo caso, potrebbe veri­ficarsi che le «agevolazioni» previste nei confron­ti della realizzazione di servizi sociali (servizi sociali intesi in senso ampio e non come sinoni­mo di servizio assistenziale) possano andare a strutture con prevalente carattere residenziale, per le quali si dovrebbero invece correttamente utilizzare le risorse del settore casa;

4) è possibile arrivare ad accogliere nella RSA fino a 120 persone, attuando una forte concentra­zione di utenti con gli stessi problemi, con con­seguente allontanamento dal proprio contesto di vita e con rischi di isolamento e di emargina­zione;

5) nell'individuare gli ambienti e lo standard dimensionale prevale ancora una mentalità «con­tabilistica» con tendenza a una forte specializza­zione degli spazi, senza sufficientemente ribadire l'importanza di ambienti che possano essere mo­dificati al variare delle esigenze, che possano entrare in relazione tra di loro, che possano per­mettere scambi di attività in un rapporto dinami­co e non rigidamente e gerarchicamente deter­minato.

Inoltre ci sembra essere inadeguatamente cali­brato il rapporto tra spazio privato e personale dell'anziano e quello destinato ad un uso collet­tivo. Anche da una veloce valutazione metrica, condotta in base alle prescrizioni tecniche del recente DM 236/1989 (2), che sono piuttosto con­tenute, risulta che lo spazio privato (individuato dal decreto in camere ed alloggi) è sacrificato in rapporto a quello ad uso collettivo. Quest'ultimo riguarda, oltre agli indispensabili spazi di natura sanitaria, tutta una serie di ambienti per servizi che si ritiene siano eccessivi per una struttura per malati cronici non autosufficienti e che co­munque debbano essere già forniti nel normale tessuto residenziale, Infatti:

- se l'anziano è incapace di muoversi, può es­sere necessario che «i servizi» vadano da lui, nella sua stanza o in ambienti della RSA che pos­sano essere usati a rotazione per più attività;

- se invece l'anziano può muoversi, può es­sere accompagnato all'esterno della RSA per utilizzare di taluni servizi (ad esempio quelli re­ligiosi, commerciali).

Ci sembra infatti più utile, per l'anziano mala­to cronico non autosufficiente, caratterizzare maggiormente (anche sotto il profilo ambientale)

- gli aspetti «sanitari»,

- gli aspetti «residenziali privati», con possi­bilità di personalizzazione e di adeguamento alle proprie abitudini di vita e esigenze,

- il rapporto con lo spazio esterno, piuttosto che riprodurre, all'interno della RSA, un microcosmo.

 

L'architettura ospitale

I ripetuti accenni alla necessità di dotare la RSA di caratteristiche «sanitarie» non vogliono supportare la tesi che le strutture che accolgono anziani malati non autosufficienti debbano essere più simili all'ospedale che non alla casa.

Occorre invece studiare quelle specifiche ca­ratteristiche tipologiche ed ambientali che, all'interno di strutture gestite dalla sanità, offrano una residenzialità ospitale, confortevole, solidale, che è requisito indispensabile ed inderogabile specie nei casi in cui la degenza sia prolungata o continua.

Nella organizzazione e nella progettazione del­le strutture socio-sanitarie per anziani è impor­tante sottolineare sia gli aspetti collegati al pro­blema dell'accessibilità sia quelli relativi alla vivibilità dell'ambiente costruito, alla possibilità di adattarlo alle esigenze di chi lo usa e quindi di personalizzarlo.

Spesso bastano semplici accorgimenti proget­tuali (basti pensare all'allargamento di un corri­doio, allo smussamento di un angolo, all'impor­tanza della scelta dei serramenti esterni per con­sentire una piena e buona visione da diverse po­sizioni - seduti, in piedi, coricati -), altre volte è richiesta una maggiore complessità di interven­to e di esecuzione, con il supporto dell'apparato tecnologico.

Alcuni accorgimenti nella scelta di particolari soluzioni progettuali e tecnologiche possono es­sere cercati in alcune realizzazioni italiane o estere. rivolte a persone anziane o a invalidi. Pur non condividendo l'impostazione di fondo di tali realizzazioni, che ripropongono la figura dell'isti­tuto e spesso con alte concentrazioni di utenti, bisogna precisare che esse hanno però facilitato la diffusione di una serie di accorgimenti, alcuni semplici, altri basati su tecnologie sofisticate, ma tutti finalizzati a permettere (o potenziare) l'autonomia della persona disabile ed un più faci­le uso di oggetti e spazi. Con ciò non si vuole né difendere né riproporre il ricorso alle istituzioni «speciali», poiché l'istituzionalizzazione isola, separa, esclude e, anche quando le sue prestazio­ni sono complessivamente buone e la sua confi­gurazione spaziale accogliente ed ospitale, essa non perde la sua connotazione «segnica», cioè di ciò che lascia il segno o che denota la diversi­tà dalla normalità. In alcune di queste realizza­zioni, forse proprio per mitigare le caratteristiche di separazione e di segregazione sociale dell'isti­tuto, è molto sottolineata ed enfatizzata la quali­tà riformista dell'architettura ospitale, calibrata sulle esigenze di vita singola ed associativa del­la persona anziana, molto spesso disabile.

 

Ruolo dell'ambiente

Numerosi studi hanno messo in rilievo l'impor­tanza dell'ambiente per l'anziano, specie se am­malato e non autosufficiente, ambiente inteso sia come tessuto relazionale e contesto familiare, sia (seppure in maniera meno influente) come ambiente fisico (spazi, arredi, oggetti).

Numerose ricerche hanno sottolineato l'asso­ciazione esistente tra qualità residenziale e sod­disfazione di vita per l'anziano (3).

Tuttavia le valenze positive del contesto spa­ziale sono sempre e comunque mediate dalla ma­no dell'uomo: non conta tanto la posata d'argen­to con cui si imbocca l'ammalato quanto la mano, lo sguardo, la voce di chi imbocca.

Con ciò non si vuole svilire l'importanza del contesto fisico: l'esperienza ambientale può es­sere generatrice (o meglio cogeneratrice), a li­vello fisico e simbolico, di percezioni, ricordi, cor­relazioni, gerarchie e di sentimenti di adesione o conflittualità, di attrazione o repulsione, di acco­glienza o rifiuto, di solidarietà o rigetto.

Lo spazio può facilitare o inibire le capacità della persona ad usarlo secondo le proprie neces­sità e i propri desideri, l’ambiente fisico intera­gisce con le caratteristiche della persona influen­zando lo stesso comportamento (4).

Nel caso poi di anziani malati cronici non au­tosufficienti, che passano molto del loro tempo, se non la totalità, in un ambiente confinato, essi possono essere più facilmente «influenzati» dal­le caratteristiche dell'ambiente.

 

Ambiente come sensazione

Si è già sufficientemente insistito sull'impor­tanza del contesto ambientale (relazionale e fisi­co) per l'anziano malato non autosufficiente: sem­bra però molto importante sottolineare anche la importanza dell'esperienza sensoriale e della di­mensione fantastica ed onirica nella percezione, comprensione, appropriazione dello spazio.

Lo spazio, il territorio, l'ambiente a misura di uomo, è qualcosa di più che non uno spazio di­mensionalmente calibrato sull'uomo, ma investe anche lo spazio psicologico e la percezione (5). Ciò appare molto importante per la persona che vede ridotte o annullate le sue capacità di mobi­lità e di comunicazione.

Lo spazio a misura di anziano malato non au­tosufficiente presuppone che nella progettazione si tenga conto non solo dei dati anatomici e me­trici, ma anche dell'importanza dei processi senso-percettivi. I dati antropometrici, valutati staticamente e dinamicamente, vanno messi in relazione ai processi cognitivi, ai campi senso­riali dell'uomo ed alle loro modalità di esercizio, per consentire l'uso, l'operabilità, l'interpretazio­ne, la decodificazione, il controllo, la gestione degli spazi. In questo modo, l'uomo, a livello pro­gettuale, è inteso non solo come misura bensì anche come sensazione, percezione, ricordo, at­tesa, confronto, scelta...

 

Accessibilità e fruibilità

Le osservazioni che di seguito saranno fatte sono rivolte all'organizzazione spaziale e distri­butiva di RSA finalizzate ad accogliere anziani malati cronici non autosufficienti, tenendo conto delle seguenti considerazioni:

1. l'anziano malato cronico non autosufficiente

- può essere in grado di manifestare i suoi bisogni, ma non di soddisfarli in maniera autonoma,

- può non essere capace né di esprimere le proprie esigenze fondamentali né di chie­dere aiuto per soddisfarle;

2. le malattie prevalenti in età senile che ge­nerano non autosufficienza sono quelle di tipo cronico-degenerativo:

2.1 patologie cardio-vascolari e cerebro-vasco­lari comportanti diminuzione o abolizione della motilità (monoplegie, emiplegie, paraplegie), gravi impedimenti intellettivi, difficoltà di co­municazione,

2.2 malattie neurologiche e demenze: demen­ze primarie (ad es. malattia di Alzheimer), de­menza multiinfartuale, demenze secondarie (morbo di Parkinson, di Wilson, corea di Hun­tington).

In alcuni casi è alterata maggiormente la sfera cognitiva, in altri la mobilità, la capacità di orien­tarsi, di esprimersi e di farsi capire: in ambedue i casi prima ricordati (punti 2.1 e 2.2) sono com­promesse o rese impossibili le comuni attività della vita quotidiana;

3. molto comune è nell'anziano la presenza di una pluripatologia (accompagnata da polifarma­cologia), che spesso porta al manifestarsi di una catena di eventi morbosi (patologia a cascata) e a malattie iatrogene. La presenza di una polipa­tologia richiede spesso più interventi sanitari coordinati;

4. la cronicità della malattia richiede interven­ti prolungati e ricovero a lungo termine o per sempre;

5. gli stati morbosi dell'anziano comportanti non autosufficienza necessitano, al di là degli indispensabili interventi nella fase più acuta del­la malattia, di una ben più faticosa (e meno gra­tificante) prestazione sanitaria di tipo continua­tivo. Una corretta idratazione e nutrizione, la mo­bilitazione, la cura dell'igiene del corpo (dal ba­gno assistito, alla cura dei piedi, ai lavaggi vesci­cali, alla sostituzione dei cateteri, ai clisteri) so­no veri e propri atti terapeutici, per i quali sono necessari personale preparato e spazi ed attrez­zature adeguati.

Dalla valutazione degli aspetti ora elencati si deduce che nella RSA che accoglie pazienti con le caratteristiche di cui sopra, è necessario:

a) prevedere un adeguato supporto sanitario, specie per l'aspetto riabilitativo, per il recupero di accettabili condizioni di benessere e per evi­tare peggioramenti,

b) curare particolarmente l'aspetto di qualità ambientale, in particolare quello relativo allo spa­zio «privato», al fine di umanizzare, per quanto possibile, la struttura di ricovero.

L'umanizzazione della struttura è ulteriormen­te favorita se è consentito lo sviluppo di relazio­ni interpersonali (tra i pazienti, tra pazienti, ope­ratori, volontari) e se sono consentite la presen­za e la permanenza di familiari in un rapporto di collaborazione col personale e non di supplenza. Al riguardo si presenta il problema di come e dove accogliere il coniuge sano dell'anziano ma­lato (nella stessa stanza o nell'alloggio o nella foresteria, che è un ambiente facoltativo della RSA?) qualora egli sia disposto a vivere con con­tinuità col congiunta ricoverato: è evidente che si presentano problemi di tipo burocratico ed amministrativo.

È ovvio che l'aspetto più squisitamente sanita­rio e quello residenziale sono interagenti fra di loro. Ad esempio, il trattamento dell'incontinen­za può dare esiti più vantaggiosi se, a fianco dell'intervento sanitario (definizione di piani indivi­dualizzati che prendano in considerazione l'assun­zione di liquidi, l'eventuale somministrazione di farmaci, esercizi dì rafforzamento dei muscoli pel­vici, accompagnamenti periodici ai servizi igieni­ci) (6), esiste la possibilità di effettuare veloci ed agevoli spostamenti ai servizi igienici, garan­tendo il rispetto della privatezza. Quest'ultimo obiettivo si consegue con più facilità se il servi­zio igienico è annesso alla spazio privato dell'an­ziano ed è organizzato funzionalmente in base ai suoi desideri ed esigenze (oggetti personali, uso di comode se richiesto, ecc.).

È bene inoltre sottolineare che il concetto di riabilitazione, intesa come recupero funzionale, assegna valenza riabilitativa anche all'aspetto ambientale: pertanto l'ottimizzazione dell'ambien­te circostante (tra cui rientrano la non creazione di barriere architettoniche, l'accessibilità e la fruibilità generalizzate, la sicurezza, la conforte­volezza, la gradevolezza, la comprensibilità, la riconoscibilità dello spazio costruito) è uno degli aspetti della riabilitazione sociale.

Gli studi, ai quali prima si è fatto cenno (7), attribuiscono importanza preminente a tre carat­teristiche dell'ambiente utilizzato da anziani, soprattutto nei casi di alta dipendenza della per­sona anziana:

1. la leggibilità: o comprensibilità o riconosci­bilità intesa come:

1.1 la capacità di comunicare il senso dello spazio, di dare messaggi per l'orientamento, di superare l'anonimato delle strutture seriali; 1.2 caratterizzazione formale degli spazi sia in termini planivolumetrici sia nella differen­ziazione degli interni;

2. l'accessibilità in senso esteso, di cui si par­lerà più avanti;

3. l'adattabilità: la potenzialità di uno spazio da adeguarsi alle specifiche caratteristiche fisiche e psichiche di chi lo usa.

La presenza o l'assenza di queste caratteristi­che influenza la qualità dell'ambiente.

Soffermandoci sulla seconda caratteristica, l'accessibilità, riteniamo che essa, all'interno delle RSA, debba essere diffusa e globale, riguar­dante quindi:

- la raggiungibilità dell'edificio e la possibi­lità di percorrere e utilizzare le sue parti ester­ne all'aperto, all'aperto-coperto, al coperto, ivi compresi i percorsi pedonali, i parcheggi, 1e aree di sosta, le zone «verdi»;

- l'accessibilità in senso stretto dell'edificio, cioè la possibilità di entrare dentro, attraverso sistemi di mobilità orizzontale (ingressi, atri, piattaforme di distribuzione, corridoi, ecc.) e verticale (scale, rampe, ascensori, montaletti­ghe, elevatori montascale, piattaforme eleva­trici);

- la fruibilità interna dell'edificio e dei suoi componenti (unità ambientali, arredi, apparec­chiature fisse, terminali di impianti, comandi, serramenti), la gradevolezza, la confortevolez­za, il benessere, la privatezza, la sicurezza.

Si possono quindi evidenziare alcuni elementi di prioritaria importanza all'interno delle RSA:

1. l'impianto distributivo dell'edificio deve es­sere facilmente individuabile, controllabile, rico­noscibile. Infatti, per facilitare l'orientamento è indispensabile che ci sia chiarezza nell'impianto distributivo che può essere conseguita anche con la collaborazione della segnaletica (semplice, ef­ficace, non dispersiva) e con il supporto del colo­re (colore come elemento di riconoscibilità dei luoghi oltre che come ingrediente estetico). Non bisogna sottovalutare anche il fatto che il colore può avere anche una funzione terapeutica. Stret­tamente collegato all'impianto distributivo è il tema dei percorsi da intendersi sia come mezzi di collegamento sia come luoghi di incontro. La psicologia ambientale suggerisce di contenere le possibili scelte nei percorsi (mai più di due cambiamenti di direzione prima di giungere a de­stinazione). Per gli ambienti di passaggio si può tener conto di una serie di indicazioni:

- percorsi preferibilmente continui, in piano, non tortuosi, con pavimentazione antisdruccio­levole, evitando (o contenendo) l'uso di disli­velli, soprattutto di gradini isolati;

- l'uso di pavimentazioni differenti per faci­litare l'individuazione dei percorsi;

- mancorrenti, facili da afferrare, su tutti e due i lati dei corridoi;

- inserimento di paraspigoli;

- allargamento dei corridoi per rompere la monotonia e spezzare un percorso troppo lun­go;

- illuminazione (preferibilmente naturale) che comunque non provochi fenomeni di abba­gliamento (fonti di luce poste lateralmente); - frequenti vedute all'esterno;

- inserimento di elementi «naturali», che pri­vilegino l'aspetto sensoriale (verde, piante, acqua).

In stretta relazione con la tipologia dell'im­pianto distributivo è la scelta di un edificio mono o pluripiano, che è altresì condizionata dal sito, dagli strumenti urbanistici esistenti, dal conte­sto architettonico e paesaggistico in cui l'edificio deve essere collocato. Ovviamente è preferibile una struttura ad un solo piano, per garantire un miglior collegamento con l'esterno ed una mag­giore mobilità all'interno.

2. Lo spazio residenziale privato (la camera o la cellula abitativa), dal punto di vista dimensio­nale e organizzativo, deve essere attentamente studiato tenendo canto:

- della ridotta o nulla mobilità della persona e della possibile presenza di confusione men­tale;

- dell'esigenza di accogliere un eventuale ar­redo integrativo sia per personalizzare la stan­za con propri elementi sia per accogliere gli ospiti in visita.

L'ambiente privato deve permettere un como­do, sicuro, confortevole soggiorno per il paziente anziano e per i familiari in visita, favorendo l'in­timità, dando la possibilità di stare da sali o in compagnia, evitando però il ripiegarsi su di sé.

L'arredo base, già individuabile in sede proget­tuale, deve prevedere il letto can rete ortopedica inclinabile, tavolino da notte, poltroncina ad as­setto variabile, piccolo tavolo con sedie o piano di appoggio, armadi contenitori. Nel caso di più anziani conviventi in una stessa camera, deve essere permessa la schermatura dei letti, con possibilità di visione all'esterno dai letti stessi. È auspicabile che ogni stanza (o cellula abitativa) sia dotata di proprio servizio igienico (lavabo, vaso, bidet o vaso-bidet, doccetta flessibile a fianco del vaso, doccia a pavimento con sedile ribaltabile, maniglioni di supporto). La scelta di dotare ogni stanza di proprio servizio igienico, anziché di centralizzarli, è motivata da conside­razioni sanitarie (spesso l'utenza presenta dop­pia incontinenza) e residenziali (desiderio dì pri­vatezza, possibilità di personalizzare l'ambiente bagno con propri oggetti) ed è finalizzata a favo­rire un uso il più possibile autonomo di tali ap­parecchiature.

La disposizione e la configurazione dei serra­menti devono poter permettere una buona e com­pleta visione all'esterno da differenti posizioni, seduti o in carrozzina, coricati, in piedi.

Tenendo conto dei problemi di mobilità e di confusione di molti anziani, è preferibile localiz­zare gli spazi residenziali privati a piano terra, per favorire un più agevole contatto can lo spazio esterno. Comunque ogni ambiente privato (ca­mera o cellula abitativa) dovrebbe essere dotato di uno spazio contiguo all'aperto (terrazzo, loggia, balcone, giardino).

3. È necessario realizzare un rapporto imme­diato, comodo, facile e sicuro con la parte all'aperto della struttura. Si è già detto che sareb­be auspicabile che le stanze avessero un rap­porto diretto con la parte all'esterno; è comunque necessario che anche dagli altri ambienti della struttura ci sia la possibilità di disporre di fre­quenti vedute all'esterno.

4. Indispensabili sono buone condizioni di orientamento, illuminazione, acustica:

-  orientamento per garantire buoni livelli di soleggiamento, per evitare posizioni eccessi­vamente ventilate o con correnti d'aria;

- illuminazione naturale, opportunamente graduata ed integrata con quella artificiale, è sempre da preferire ed è un requisito indispen­sabile negli ambienti privati (camere da letto-­soggiorno) e nei luoghi di soggiorno, riposo, terapia;

- analoga cura deve essere dedicata all'acu­stica, con uso di materiali fonoassorbenti, di schermature ecc., onde evitare sia la diffusione di rumori all'interno dell'edificio (vocio, rumo­re di passi, televisione, radio, carrelli e attrezzi in movimento) sia la penetrazione di rumori dall'esterno (ad es.: traffico).

5. Gli spazi per la vita di relazione (zona per pranzo e soggiorno collettivo, angolo tranquillo per lettura, ascolto musica, per vedere la televi­sione, spazio per i familiari in visita, angolo del «camino», ecc.) devono essere quantificati e di­mensionati in misura equilibrata. Sono sempre da preferire spazi di dimensione contenuta, che si possano prestare ad accogliere più attività, anche a rotazione. È opportuno non specializzare troppo questi ambienti, anch'essi possono avere valenza terapeutica: basti pensare ad attività di mobilitazione, allo svolgimento di terapie di orientamento alla realtà.

6. Gli spazi sanitari per la cura e la riabilitazio­ne rivestono, come è ovvio, un'importanza prima­ria, dal momento che la struttura accoglie anziani malati cronici non autosufficienti.

Devono essere presenti:

- palestra per la chinesiterapia (parallele per deambulazione con specchio, scala e ram­pe per deambulazione, gradoni, ruota per spal­le, girelli e treppiedi per deambulazione, pesi mobili, attrezzo per correzione andatura, voga­tore, bicicletta per riattivazione arti, lettino da statica, cicloergometro, spalliera svedese con apparecchi oleodinamici, tappeti) e locali ac­cessori;

- ambiente per fisioterapia con box per trat­tamenti fisioterapici individuali e piani di ap­poggio per aerosolterapia;

- ambiente per ergoterapia (quadro a muro per esercizi di terapia occupazionale, tavoli e piani di appoggio);

- locali per la cura della persona (bagno as­sistito, podologia, chiropodia, massoterapia).

Altri aspetti da tener presente nell'organizza­zione spaziale di residenze sanitarie assistenziali riguardano aspetti più strettamente connessi con la sicurezza e l'accessibilità, a tal fine se ne elencano alcuni:

- eliminazione dei dislivelli (preferibilmente anche di quelli contenuti) tra interno ed ester­no, soprattutto nei punti cha mettono in colle­gamento gli ambienti per ]'anziano e lo spazio esterno; realizzazione di soglie a raso, evitan­do nel contempo il ristagno di acqua piovana o il deflusso della stessa verso l'interno;

- facilità di apertura delle porte e dei serra­menti in condizioni di sicurezza, sistema di oscuramento manovrabile dall'interno, parte vetrata delle porte con cristalli di sicurezza antiurto e antisfondamento e segnalazione del­la parte vetrata;

- riconoscibilità delle porte, ad esempio at­traverso l'uso del colore (ante delle porte di un colore diverso da quello delle pareti):

- balconi, parapetti, ringhiere che consentano la visuale all'esterno e che non siano facili da scavalcare;

- facile riconoscibilità dei percorsi verticali:

- scale segnalate, presenza di corrimano continuo, forma dei gradini che non tratten­gano il piede, spigoli arrotondati, colore di­verso tra alzata e pedata, piani di sosta at­trezzati anche con panche a sedere;

- oltre alle scale e alla necessaria presen­za di ascensore e montalettighe, può essere previsto l'uso di rampe interne che soddisfi­no all'aspetto funzionale ma che diventino anche motivo architettonico.

 

L'apporto tecnologico

Per ultimo, un cenno sull'uso della tecnologia, finalizzata a:

- migliorare l'autonomia dell'anziano non au­tosufficiente, riducendo la dipendenza dall'ope­ratore e facilitando, nello stesso tempo, il la­voro del personale;

- salvaguardare l'incolumità (ad es. sistemi di allarme personale) e la sicurezza (rivelatori di vario genere per fumo, gas, fuoco, ecc.).

Lo sviluppo della tecnologia, basato sull'infor­matica, l'elettronica, la robotica rende possibile l'uso di ausili computerizzati, il cui campo spazia dai servocomandi per azionare a distanza (anche senza il contatto diretto) quanto serve per le at­tività quotidiane (luce, porte, televisore, tempe­ratura ambientale, ecc), ai «semoventi automa­tizzati» (dalla carrozzella, alle tapparelle, alle fi­nestre, al letto), ai dispositivi elettronici in grado di valutare automaticamente lo stato di necessità della persona, ai sistemi di allarme, ai meccani­smi di controllo solo col movimento del capo o della voce (8) (9). Fra le attrezzature in grado di agevolare sia la persona anziana non autosuffi­ciente sia l'operatore rientrano i vari tipi di sol­levatore (fissi, a pavimento, a soffitto), i solleva­tori-traslatori (a ruote, a soffitto), i carrelli eleva­tori, tutta la serie di apparecchiature per l'igiene della persona (barelle igieniche mobili, barella doccia, poltrona-bagno, vasca da bagno con por­tellone laterale, vasca regolabile in altezza e vari tipi di vasche e docce attrezzate).

Al riguardo occorre precisare che l'uso dei ri­trovati della tecnologia non deve trasformarsi in «accanimento tecnologico» o in deviazione d'uso. La strumentazione tecnologica deve rispettare i diritti umani, assicurare migliori prestazioni sani­tarie e assistenziali, soddisfare un bisogno docu­mentabile, deve essere di alta qualità, efficace, affidabile e non deve interferire con lo stretto rap­porto interpersonale che deve stabilirsi tra pa­ziente ed operatore (9).

 

Indicazioni bibliografiche minime per l'aspetto spaziale

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EUGENIA MONZEGLIO, Valutazione in merito al Progetto-prototipo delle case protette, in Contro­città, 6, 1989, pp. 4-6.

LYNN NESMITH, Designing for Special Popula­tions, in Architecture AIA Journal, January 1987, pp. 62-77.

Santé, handicapés, personnes âgées, petits équi­pements, in L'Achitecture d'aujourd'hui, 214, '81.

 

 

 

(*) Architetto del Dipartimento Casa-Città del Politecnico di Torino. Relazione tenuta al incontro di studio orga­nizzato dal Gruppo permanente di lavoro per gli interventi alternativi al ricovero sul tema «Le residenze sanitarie as­sistenziali (RSA) nell'ambito degli interventi rivolti agli anziani ed agli altri soggetti non autosufficienti: requisiti dell'utenza, delle strutture edilizie e del personale», Tori­no, 15 febbraio 1991, organizzato da Prospettive assisten­ziali, CGIL Funzione pubblica Torino, CISL Funzione pub­blica territoriale Torino e UIL Enti locali Torino.

(1) BRUNO GROSSI, Produrre leggi non basta, in Tecno­logie per la sanità, 516, 1989, pp. 67-78.

(2) Il D.M. 14.6.1989, n. 236, Prescrizioni tecniche neces­sarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sov­venzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell'eli­minazione delle barriere architettoniche. (s.o. n. 47 alla G.U. n. 145 del 23.6.1989), si applica, oltre all'edilizia resi­denziale, agli edifici costruiti da privati ma di uso pubblico e sociale e, fra questi rientrano, gli edifici destinati ad attività sanitarie. Per gli edifici aperti al pubblico o di uso pubblico e sociale, di pubblica proprietà, valgono ancora le norme del D.P.R. 384/1978.

(3) WILLIAM J. MC AULEY, JOAN M. OFFERLE, Percei­ved Suitability of Residence and Life Satisfaction among the Elderly and Handicapped, in Journal of Housing for the Elderly, vol. 1, no. 1, 1983

(4) JOHN M. MC RAE, Spatial Implications of Design for the Elderly, in Journal of Housing for the Elderly, vol. 5, no. 1, 1988, pp. 105-110.

(5) ENZA PISANO, Progettare, stare, fare, Milano, F. Angeli, 1987.

(6) PIER LUIGI MOROSINI, LIDIA GOLDONI, Qualità dell'assistenza è qualità dell'esistenza, in Tecnologie per la sanità, 5-6, 1989, pp. 58-66.

(7) THOMAS BYERTS, Toward a Better Range of Housing and Environmental Choices for the Elderly, Center of Ge­rontological Studies, University of Florida, Gainesville, FL, 1978; cfr. anche la nota 4.

(8) CLAUDIO CALISTI, BENEDETTA SPADOLINI, Unità telematica protetta, pp. 173-184, in F. ROSSI PRODI, Nuove residenze per gli anziani, Firenze, Alinea, 1988.

(9) UBALDO MONTAGUTI, VINCENZO RAFFAELLI, Tec­nologie informatiche integrate nelle residenze per anziani non autosufficienti, in Tecnologie per la sanità, 5-6, 1989, pp. 123-135.

 

 

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