Prospettive assistenziali, n. 94, aprile-giugno 1991

 

 

CANI, BAMBINI, HANDICAPPATI E ANZIANI

MARIO TORTELLO

 

 

Riportiamo integralmente l'articolo di Mario Tortello apparso su Stampa sera del 24 dicembre 1990 con il titolo «Contano i cani - Scordano i cristiani».

 

L'Italia vuole contare i cani, ma (per ora) dimentica i... cristiani. Le cronache del Bel Paese registrano anche questo: Regioni e Comuni ap­provano leggi o emettono ordinanze (civilissime e ineccepibili, sia ben chiaro) per schedare i quattrozampe e «tenere sotto controllo la popo­lazione canina», ma altrettanta solerzia non sembrano mostrare nei confronti di bambini so­li, handicappati e anziani, dei quali in certi casi le istituzioni continuano addirittura ad ignorare l'esistenza.

Erano state le Regioni Toscana ed Emilia Ro­magna a disporre, per prime, l'anagrafe dei cani. Ora, ci sta provando anche una grande città co­me Torino: tra gli obiettivi della registrazione e del successivo tatuaggio, vi è quello di mettere finalmente ordine in un settore che ha creato enormi problemi, primo fra tutti il randagismo dovuto agli abbandoni.

Peccato che molte Regioni italiane non sap­piano mostrare analoga attenzione anche verso i più deboli, costretti a vivere ai margini della società.

Da anni, associazioni ed esperti chiedono lo­ro di realizzare una «anagrafe delle persone ri­coverate in istituto», con scarsi risultati. Al mo­mento, in Italia, solo la Regione Piemonte ha istituito una sua anagrafe dei ricoveri assisten­ziali: utilissima, ma al momento, limitata ai minori. Handicappati ultradiciottenni ed anziani re­stano numeri senza volto, anche se - dietro a quei numeri che soddisfano le curiosità statisti­che - ci sono vite che potrebbero schiudersi o che si consumano tra l'indifferenza di molti.

Ora, è più difficile, in alcune realtà italiane, sbarazzarsi del «migliore amico dell'uomo» quando arriva la furia del solleone; devono es­sere segnalati passaggi di proprietà del cane o cambiamenti di residenza del proprietario; è necessario presentare, entro il quindicesimo giorno dal decesso, la dichiarazione di morte dell'animale, firmata da un veterinario. È giusto che sia così. Ma, a fronte d'una meticolosa ana­grafe dei quattrozampe, poco o nulla sanno le istituzioni di dove e come vivano quei bambini soli, quelle persone handicappate, quegli anzia­ni che popolano cameroni o camerette degli isti­tuti d'assistenza. Come faranno a predisporre adeguati controlli sulle loro condizioni di vita? Gli amministratori degli enti locali potranno pensare e proporre servizi sociali che evitino nuovi ricorsi agli istituti e consentano, ove pos­sibile, il rientro in un ambiente familiare di chi oggi è ricoverato, se non hanno strumenti per conoscere la realtà e seguirne l'evoluzione?

Così, mentre qua e là per l'Italia, per ogni cane è in arrivo qualcosa di più d'un pedigree (e alcuni deputati prevedono giustamente di estendere l'esperienza all'intero territorio na­zionale), capita che il Parlamento «dimentichi» i poveri e gli assistiti quando approva una leg­ge importante com'è quella sulle autonomie lo­cali, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Ci sono voluti 56 anni per riordinare le com­petenze degli Enti locali, ma più di mezzo seco­lo non è bastato per far sì che la riforma non danneggiasse i più deboli. Il legislatore ha sta­bilito, infatti, che deve cessare ogni attività in materia assistenziale da parte delle Province, ma si è scordato di indicare modalità e proce­dure per il passaggio ai Comuni delle relative funzioni, dei finanziamenti, del personale, delle strutture e delle attrezzature.

E non si tratta di competenze di poco conto. Al momento dell'entrata in vigore della riforma, le Province svolgono funzioni riguardanti l'assi­stenza a ciechi e sordomuti poveri rieducabili, a madri nubili o coniugate, ai bambini «esposti» di cui non si conoscono i genitori, a minori figli d ignoti o riconosciuti dalla sola madre, ai minori già di competenza dell'ex Opera nazionale mater­nità e infanzia. Inoltre, alcune Province (ad esem­pio, quella di Torino) si occupavano di insuffi­cienti mentali minori o adulti, con aiuti econo­mici e assistenza a domicilio (o pagavano rette di ricovero) e gestivano Centri diurni per gravi, comunità alloggio...

Oggi, famiglie, ragazzi e operatori, vivono col fiato sospeso e non sanno che cosa riserverà lo­ro l'immediato futuro. In Piemonte, una direttiva regionale dell'ultima ora ha fatto slittare di sei mesi la scadenza, ma nulla ha tolto all'incertez­za relativa a finanziamenti, strutture e persona­le da trasferire ai Comuni, per il buon funziona­mento dei servizi. Prova ne sia che, proprio in questi giorni, a Torino, verrà chiusa una delle due comunità per madri nubili: manca il perso­nale e non è chiaro quale Ente deve sostituirlo.

Sarà un caso: ma quella comunità per le donne che devono partorire e che hanno bisogno di un aiuto concreto per crescere il loro figlio, trova ospitalità in corso Giovanni Lanza 75; lo stesso indirizzo dove continua a funzionare il servizio veterinario dell'Usl che, su prenotazione tele­fonica, provvede gratuitamente al tatuaggio dei quadrupedi.

È troppo chiedere che ciò che, magari da anni, è stato fatto per i cani, venga finalmente attua­to anche per i bambini, gli handicappati ed i vec­chi? Forse, anche quel Paolo abbandonato in una scatola vicino all'autogrill Pavesi di Cigliano, avrebbe evitato questa esperienza se la madre avesse saputo dove trovare l'aiuto necessario.

 

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