Prospettive assistenziali, n. 92, ottobre-dicembre
1990
IL GOVERNO SI È DIMENTICATO DEI
POVERI? INTERVISTA A MONS. PASINI
Uscire dalle
sagrestie e camminare a fianco dei cittadini più deboli, dei senza potere e dei
senza voce, è l'invito rivolto alle comunità ecclesiali da mons. Giuseppe Pasini, direttore della Caritas Italiana al termine del 17.mo convegno
nazionale delle Caritas diocesane svoltosi a Collevalenza (Perugia) dal 10 al
14.9.1990.
Alle
autorità dello Stato, alle amministrazioni pubbliche, alle forze sociali e
politiche è stato chiesto, invece, di impegnarsi per il bene comune, per la
realizzazione dei diritti costituzionali, la promozione della solidarietà
sociale, soprattutto in favore dei cittadini e delle componenti sociali più
esposte al disagio, all'abbandono e all'emarginazione.
Impegno sul
territorio, denuncia delle inadempienze e incurie dei servizi sociali e
assistenziali, attenzione al problema degli immigrati e dei giovani, approvazione
della legge-quadro sull'assistenza e sui servizi sociali, sono alcuni temi
rimbalzati durante il convegno nazionale e di cui mons. Pasini ha parlato, in
un'intervista rilasciata ai giornalisti dopo il suo intervento conclusivo.
Eccone il testo integrale che abbiamo ripreso da Adista del 26
settembre 1990.
È ormai concluso il 17.mo Convegno nazionale delle
Caritas diocesane («Parrocchia e testimonianza della Carità nel territorio»).
Perché e in che modo questo tema si inserisce nel contesto ecclesiale
italiano?
«La scelta
del tema parte da due convinzioni: innanzitutto, non si può affrontare il
problema della povertà senza intaccare il problema delle cause: e le cause
vanno rimosse nel contesto sociale e politico, a livello di leggi, di occupazione,
di servizi sociali. In secondo luogo, i destinatari dell'azione pastorale della
chiesa sono tutti gli uomini; e questo a tutti i livelli: mondiale, nazionale,
diocesano e parrocchiale. Nel caso specifico della parrocchia. destinatari
della testimonianza della carità sono "tutti" i poveri, i sofferenti,
gli emarginati nel territorio, e non soltanto quelli che vengono a bussare in
parrocchia...
Pertanto,
nei confronti delle persone in difficoltà la comunità cristiana - e quindi
anche la parrocchia - deve svolgere una duplice azione: di aiuto e di
assistenza, di condivisione e di sostegno; e un'azione sociale politica
destinata a modificare la cultura della gente, spesso caratterizzata da
disinteresse, rifiuto, razzismo o Indifferenza verso i poveri; e, ancora,
un'azione tesa a stimolare le amministrazioni pubbliche perché assicurino leggi
e servizi: ossia, garantiscano risposte adeguate ai diritti delle persone.
Accentuare
il rapporto chiesa-territorio significa, infatti, spostare l'impegno dei
cristiani dal livello dell'assistenza a quello dei diritti».
Legge finanziaria '91, gli appuntamenti politici
post-estivi, riforme elettorali e autonomia degli enti locali. Cosa c'entrano
con il Convegno e con le riflessioni pastorali cui Lei ha accennato nel suo
intervento?
«Il tema
dibattuto in questi giorni al convegno ricorda ai cittadini e ai politici
alcune urgenze: anzitutto l'avvio del dibattito parlamentare sulla legge
quadro sull'assistenza e sui servizi sociali, che riguarda tutti, ma in
particolare gli 8 milioni di poveri presenti in Italia, siano essi anziani,
handicappati, malati mentali o senza fissa dimora: tutti coloro, in sintesi,
che ogni giorno bussano alla porta delle parrocchie e di fronte ai quali
spesso la carità cristiana si sente impotente. La legge quadro sull'assistenza
e sul servizi sociali è legata anche alla legge finanziaria, giacché per
attivarla, dopo l'approvazione, occorrono i finanziamenti; ma è legata soprattutto
alla volontà politica di dare ad essa priorità. A promuoverla, infatti, si era
solennemente impegnato il Presidente del Consiglio, on. Giulio Andreotti, già
nella finanziaria '90: poi, tutto è piombato nel silenzio e i poveri sono stati
sistemati con "belle parole" e niente più.
Sul piano dettagliato ci sono poi tre
gravi problemi:
- gli
immigrati: la legge varata per gli extracomunitari va integrata con una serie
di altri provvedimenti, previsti al momento della sua approvazione;
- i malati
mentali: sono anni, ormai, che questi malati, e soprattutto i familiari,
attendono una legge che garantisca i doverosi servizi e alleggerisca le
famiglie che sono le uniche a sopportare il peso dell'incuria statale;
- il
problema casa: si attende una seria ed organica politica della casa che
privilegi quanti ne sono privi e garantisca ai milioni di persone che
dispongono solo di un reddito modesto il diritto ad accedere ad un
appartamento in affitto».
Il compito pedagogico della Caritas, in sintonia con
il piano pastorale dei vescovi italiani per il prossimo decennio
(«Evangelizzazione e testimonianza della carità»), è sintetizzato nella
espressione: «dall'elemosina alla condivisione, dalla carità alla solidarietà e
alla giustizia». Che cosa significa in concreto?
«Fin dai
primi anni della sua esistenza, la Caritas ha avvertito che il compito più
arduo che la aspettava era la modifica della cultura sulla carità, e si è
perciò impegnata, nella sua attività pedagogica, a realizzare un salto di
qualità: da una visione della carità intesa come elemosina ad una visione
della carità intesa come solidarietà; concetto, quest'ultimo, espresso in termini
inequivocabili da Giovanni Paolo II nella "Sollicitudo rei socialis":
non vago sentimento di compassione e di intenerimento per i mali di tante
persone vicine e lontane, ma determinazione ferma e perseverante di un impegno
per il bene comune, per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano
responsabili di tutti.
Il decennio
del piano pastorale della CEI sarà forse l'occasione storica per aiutare le
comunità cristiane ad entrare in una visione corretta di carità e in una prassi
credibile di testimonianza comunitaria.
In
riferimento al territorio, il grosso lavoro pedagogico della Caritas deve
svilupparsi non solo in rapporto alle istituzioni, magari con la preoccupazione
di avviare servizi in convenzione, ma anche e soprattutto in rapporto alla
popolazione, con l'obiettivo di informarla sulle povertà emergenti e di
valorizzarne le risorse esplicite e latenti, creando una nuova cultura di
partecipazione».
Lotta all'emarginazione, tutela dei poveri e dei
deboli, emergere di nuove povertà e nuovi bisogni. Non le sembra che le forze
sociali abbiano altro a cui pensare e che i politici siano in tutte altre
faccende affaccendati?
«L'occuparsi
dei poveri e degli emarginati non è un "optional" per le forze
sociali e politiche: è un dovere che nasce dall'attuazione dell'art. 3 della
Costituzione; esso impegna lo Stato a rimuovere tutti gli ostacoli -
economici, sociali, politici - che di fatto impediscono l'uguaglianza dei
cittadini.
L'impegno
per i poveri è il banco di prova, per le forze sociali e politiche, della loro
sincera volontà di perseguire la giustizia sociale e il bene del Paese. Certo,
per raggiungere questo obiettivo lo Stato deve darsi dei mezzi che lo aiutino a
conoscere le povertà e le loro cause. Uno dei mezzi indispensabili, per
esempio, è la riattivazione di quella Commissione nazionale di ricerca sulle
povertà, ferma da un anno per mancanza di una "leggina" che le
consenta di utilizzare gli esigui ma indispensabili finanziamenti già
stanziati dalla finanziaria '90. O dobbiamo pensare che il Governo non vuole
che questa Commissione funzioni, perché con i suoi dati e le sue ricerche
distruggerebbe i programmi dei politici?».
Se lei dovesse dare un messaggio alle Caritas e alle
componenti ecclesiali impegnate socialmente nel territorio, cosa suggerirebbe?
«È
necessario anzitutto che tutti i cristiani vivano esemplarmente da cittadini,
che facciano il loro dovere professionale, che paghino le tasse in rapporto ai
propri redditi, che siano presenti agli appuntamenti elettorali e a tutte le
forme di partecipazione democratica: l'annuncio del Vangelo passa innanzitutto
attraverso la testimonianza di vita. Ma poi, singolarmente o associati, i
cristiani devono farsi "coscienza critica" nel territorio, vigilare
sul corretto funzionamento dei servizi sociali e sulla corretta attuazione
delle leggi, dotarsi di capacità di lettura dei bilanci comunali e rendersi
così conto dl quale posto in essi occupino i poveri; sono soprattutto i poveri
e i cittadini più deboli, Infatti, che pagano quando lo Stato e i servizi dello
Stato non funzionano o sono assenti... E i poveri non hanno certo i mezzi per
accedere a comodi servizi privati».
Nella lettura delle riflessioni pastorali di alcuni
dati relativi alla «Seconda ricerca sui servizi socio-assistenziali collegati
con la Chiesa», qual è l'aspetto da cui è stato più colpito e che ha suscitato
in lei preoccupazione?
«La Chiesa
italiana sta per rendere pubblici tutti i dati della ricerca. Già una prima
lettura di alcuni di essi consente, comunque, di cogliere una sperequazione tra
l'alto livello numerico di questi servizi (circa 4500) e la loro scarsa incidenza
nelle politiche socio-assistenziali del Paese. Questo può dipendere dalla poca
attenzione che lo Stato riserva alla presenza caritativa della chiesa: la usa
ma la tiene ai margini; ma può dipendere anche dalla scarsa capacità di queste
iniziative a collegarsi tra loro per una forte incidenza nel sociale e nel
politico. La ricerca, che sarà resa nota integralmente a novembre, sarà forse
l'occasione anche per le congregazioni religiose, il volontariato e le chiese
locali (impegnate spesso in splendide iniziative) per allargare le proprie
potenzialità ad un impegno civico e politico più ampio e incisivo».
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