Prospettive assistenziali, n. 90, aprile-giugno 1990

 

 

ASPETTI GIURIDICI CONCERNENTI LA PRIVATIZZAZIONE DELLE IPAB

MASSIMO DOGLIOTTI (*)

 

 

1. Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza sano, com'è noto, disciplinate dalla legge 17 luglio 1890 n. 6972 che definisce tali le opere pie e gli enti morali (e cioè ogni organizzazione distinta rispetto ai suoi componenti) che forniscono una assistenza ai poveri tanto in sta­to di sanità quanto di malattia procurando ad essi istruzione, avviamento professionale e co­munque un miglioramento morale ed economico.

La legge del 1890 indubbiamente «pubbliciz­zava» tali enti, (spesso sorti in modo assai di­versificato, alcuni per volontà di un benefattore che aveva destinato parte di un patrimonio a de­terminate finalità caritative, altri costituiti da gruppi, laici e religiosi, che creavano un'organiz­zazione, anch'essa per fini caritativi); talora si trattava di strutture già costituite dal potere pubblico, talora organismi privati che diventava­no pubblici solo alla fine. E infatti la legge del 1890 non ne modificava la struttura, l'ammini­strazione, gli organi interni ed esterni, il modo di designazione dei componenti; soltanto attua­va un controllo, malto più penetrante del passa­to, sull'amministrazione, sulle operazioni, con la possibilità di interventi decisivi nella vita dell'ente, di accorporamento o addirittura di scio­glimento (anche se questi poteri furono intro­dotti da una riforma del 1923). E comunque le IPAB si consideravano pubbliche proprio in virtù di questo controllo molto più incisivo che nei confronti di altre organizzazioni private.

Non si trattava peraltro di una novità della leg­ge del 1890 voluta da Francesco Crispi, la scel­ta «pubblica» nasceva già in epoca precedente; una legge del 1862, la prima legge dello Stato unitario in materia, se pur non definiva pubbliche le «Opere pie» però già attuava una forma di controllo assai ampio anche se non così come quello previsto dalla legge del 1890. A sua volta questa legge del 1862 derivava da una legge piemontese del 1859. Anche in pieno periodo liberale, caratterizzato da una limitazione dell'intervento statale, si era sentita l'esigenza, non tanto di trasformare dall'interno queste istitu­zioni, quanto di controllarle in modo deciso, de­terminato, per impedire che esse modificassero il loro fine, ed assicurare che i relativi patrimoni fossero utilizzati per la soddisfazione dei biso­gni delle persone povere.

Sorvolo su altre vicende in prospettiva stori­ca per giungere al passaggio delle funzioni as­sistenziali dal centro agli enti locali, dallo Stato alla Regione; così il DPR 616/77 che prevedeva lo scioglimento generale delle IPAB salvo quelle che svolgessero precipua attività educativa o re­ligiosa (un numero abbastanza circoscritto) con passaggio all'ente locale del patrimonio, sem­pre peraltro destinato alla stessa attività assi­stenziale (non avrebbe avuto alcun senso che in un decreto di trasferimento di funzioni assisten­ziali dello Stato all'ente locale, si ammettesse la possibilità di trasformazione del fine dell'IPAB, con distrazione del suo patrimonio).

Seguirono, com'è noto. due sentenze della Corte costituzionale: una prima, la n. 174 aveva in sostanza bloccato lo scioglimento, con una argomentazione di carattere formale: lo sciogli­mento in sé non era contrario a Costituzione, ma vi era stato un eccesso di potere da parte del Governo; il Parlamento aveva delegato il Governo appunto a disciplinare il trasferimento delle funzioni assistenziali dallo Stato all'ente locale, non aveva conferito però il potere di disporre lo scioglimento generalizzato delle IPAB. Si trattava di una valutazione puramente formale, non di merito. Dopo la sentenza del 1981 della Corte Costituzionale, avrebbe potuto benissimo essere approvata dal Parlamento una legge di delegazione che attribuisse tale potere al Governo.

C'è stata poi una seconda sentenza (e una delle conseguenze di tale sentenza è il progetto di legge della Regione Piemonte che oggi esami­niamo). La sentenza n. 396 del 1988 precisa che la legge del 1890 è in contrasto con la Costituzio­ne, in quanto non prevede che le IPAB regionali o infraregionali possano assumere la personalità giuridica di diritto privato se abbiano i requisiti di una istituzione privata. Ma, come si è visto, le IPAB (almeno la maggior parte di esse) sono pubbliche solo nel fine, ma hanno conservato una struttura privata, e dunque potrebbero chie­dere la privatizzazione. A mio parere la motiva­zione della sentenza non è particolarmente ap­profondita dal punto di vista tecnico, perché si limita ad affermare che la legge in esame è in contrasto con l'art. 38 della Costituzione che si riferisce alla libertà dell'assistenza privata. Si potrebbe peraltro obiettare a questa afferma­zione, che in realtà, se è vero, come dicevo pri­ma, che questi enti hanno continuato ad opera­re per certi versi in modo privatistico (per cui non venivano compromesse 1e finalità stabilite dal fondatore, le strutture, l'amministrazione, c'era semmai un controllo più incisivo da parte del potere pubblico), allora si sarebbe dovuto sostenere coerentemente che il principio della libertà dell'assistenza privata, esclude un con­trollo pubblico su di essa (ma ampi controlli, so­no previsti pure per certi settori «privati»: ban­che, assicurazioni, ecc.). Del resto va osservato che, almeno dopo l'avvento della Costituzione non si può più parlare di un totale monopolio pubblico dell'assistenza: sono state infatti co­stituite, in materia assistenziale, istituzioni si­curamente private.

 

2. Continuiamo con l'analisi del progetto della Regione Piemonte; io nutro forti dubbi sulla co­stituzionalità di esso, sulla possibilità cioè dell'ente di disciplinare con legge regionale il tra­sferimento o la privatizzazione delle IPAB. Certo la sentenza della Corte costituzionale ha posto un problema: ha dato la possibilità, come dice­vo, a quegli enti, che mantengono una struttura privata (e abbiamo detto che la maggior parte di essi hanno conservato questo carattere) di richiedere il riconoscimento di persone giuridi­che private; questo riconoscimento, trattandosi di materia assistenziale, è di competenza delle Regioni.

Sorge peraltro il dubbio che la Regione, ap­provando un progetto di legge di questo tipo, vada oltre le proprie attribuzioni. È vero che le Regioni spesso hanno disciplinato situazioni al limite tra la loro competenza e quella statale; ma a me pare che qui il limite si supererebbe.

Una proposta di legge, come quella in esame, viene a dare una definizione di persona giuridica privata: ci dice cioè che cosa debba intendersi per persona giuridica privata (perché solo in questo caso la Regione potrà evidentemente riconoscere tale tipo di istituzioni). Ecco, una definizione di tal genere, che può essere diversa a Milano, a Genova e a Torino, esorbita dalla competenza regionale, e dovrebbe essere indi­cata dallo Stato attraverso la legge quadro sull'assistenza, che però, come sappiamo, continua a segnare il passo. II dubbio di costituzionalità potrebbe essere sollevato dal Governo, ovvero successivamente nel corso di un provvedimento davanti al giudice ordinario od amministrativo.

Nel testo del progetto sono poi indicate alcu­ne categorie di enti che rientrerebbero nell'am­bito della privatizzazione: istituzioni con strut­tura associativa ovvero promosse e amministrate da privati e operanti prevalentemente con mezzi di provenienza privata, cui il progetto non fa che recepire l'indicazione della Corte costituzionale: se c'è un gruppo associativo, se il controllo è stato effettuato dai privati ed è ancora preva­lentemente privato, si tratta di istituzioni priva­te anche se avevano la denominazione di IPAB.

Ai punti c) e d): si parla di istituzioni religiose o che svolgono prevalentemente attività di istru­zione. Per le prime la natura privata sussiste quando ricorrono i seguenti elementi: l'ispira­zione religiosa risulti dall'atto costitutivo o dal­le tavole di fondazione e continui anche attual­mente a caratterizzarne le finalità e l'attività; l'istituzione risulti collegata ad una confessione religiosa mediante la designazione negli organi collegiali deliberanti di ministri del culto o di appartenenti ad istituti religiosi. Ora se il pro­getto avesse precisato che negli organi colle­giali, per la totalità o per la grande maggioranza, stanno ministri del culto od appartenenti ad isti­tuti religiosi, si tratterebbe di un'istituzione pri­vata, ma il progetto sembra indicare che basta anche la presenza di una minoranza di ministri del culto od appartenenti ad istituti religiosi (anche uno solo) per ritenere questa istituzione privata, e ciò in effetti sembra abbastanza con­trastante con quelle indicazioni, che venivano dalle prime due categorie; si superano così le stesse indicazioni della Corte costituzionale.

Ciò si nota ancor di più, riguardo alle istitu­zioni che svolgono prevalentemente attività di istruzione, compresa quella prescolare. Pare che non si richieda alcun requisito ulteriore per la privatizzazione e sembrerebbe che l'attività di istruzione, in quanto tale, sia considerata un fi­ne privato: se le IPAB esercitano attività di istru­zione, per ciò stesso sono private e possono quindi essere riconosciute come tali. Si arrive­rebbe all'assurdo per cui una struttura creata dall'ente pubblico, otterrebbe la personalità giu­ridica privata soltanto perché svolge attività di istruzione.

 

3. Abbiamo parlato finora di privatizzazione senza chiarire esattamente cosa si intenda per persona giuridica privata e quali siano effettiva­mente i poteri, le possibilità delle IPAB una vol­ta che sia ad esse riconosciuto lo stato di per­sona giuridica privata. perché è qui che alla fine si gioca il destino dei relativi patrimoni. È in ogni caso intuitivo che, se una istituzione è pub­blica, c'è un controllo maggiore, molto maggio­re rispetto all'istituzione privata. Possono esser­vi abusi, distrazioni di patrimoni (ma vi sono in tal caso responsabilità, anche di tipo penale), ma la garanzia che esso rimanga destinato alle esigenze originarle di assistenza, è indubbia­mente assai più ampia. Sono d'accordo con Mons. Nervo che non si può dire: pubblico è sempre buono e privato è sempre cattivo o vice­versa; servizi pubblici o privati possono andar bene o male: ma ribadisco che ci sono maggiori garanzie se l'istituzione rimane pubblica, anche in caso di scioglimento di essa.

La ratio del DPR 616 era che questi patrimoni dovessero continuare ad essere destinati alla finalità assistenziale.

Del resto anche l'art. 70 della legge 6972 del 1890 aveva previsto questa possibilità: le istitu­zioni contemplate nella suddetta legge, alle qua­li sia venuto a mancare il fine o il cui fine più non corrisponde all'interesse della pubblica as­sistenza o beneficenza o che siano diventate su­perflue perché al fine medesimo si sia piena­mente o stabilmente provveduto, sono soggette a trasformazione. Ed essa deve essere fatta in modo che, allontanandosi il meno possibile dall'intenzione dei fondatori, risponda ad un inte­resse attuale e durevole della pubblica assisten­za e beneficenza.

Dunque la legge del 1890, che, fino a quando non vi sarà una nuova legge quadro sull'assi­stenza, è quella cui si deve fare riferimento, for­nisce una garanzia abbastanza precisa di desti­nazione dei patrimoni alle finalità assistenziali.

Ecco, se invece, da questo versante passiamo all'altro, al Codice civile che regola il rapporto tra privati, la prospettiva cambia totalmente, mutando le garanzie e le possibilità di controllo. Gli articoli che possiamo esaminare sono il 14 e successivi del Codice civile.

Che cosa sono le persone giuridiche private? Sono organismi che si distinguono dai soggetti, dalle persone fisiche, dagli esseri umani che agiscono dietro e in rappresentanza di essi; so­no qualche cosa di nettamente distinto anche da un punto di vista patrimoniale, per cui le per­sone, i rappresentanti, non rispondono con il pro­prio patrimonio personale, ma risponde soltanto l'ente, con il suo patrimonio. È una finzione giu­ridica come se quell'ente assumesse una sorta di umanità, nel senso che esso può diventare soggetto titolare di diritti e obblighi, quindi può vendere, acquistare, può compiere tutte le ope­razioni che potrebbe compiere una persona fisi­ca. Questa è la persona giuridica privata. Ma c'è un controllo?

Va detto subito che la disciplina del Codice civile (art. 14 e segg.) è del tutto estranea alle problematiche assistenziali (le preoccupazioni, come per larga parte del Codice civile, sono es­senzialmente di natura patrimoniale). Gli enti privati, infatti, devono chiedere l'autorizzazione (in questo caso l'autorizzazione dovrebbe essere della Regione, se essi continuano ad operare in materia assistenziale) soltanto per l'acquisto di beni, ma non... per la vendita, e questo può far stupire. In realtà le esigenze protette sono diverse da quelle proprie all'attività assisten­ziale. Il Codice civile si preoccupava della cosid­detta «manomorta», un patrimonio notevole, che - e qui gioca l'elemento patrimo­niale, non certo l'elemento personale, quello che appunto riguarda il fine e gli interessi degli assistiti - non deve essere accumulato dall'en­te, ma lasciato nella disponibilità del mercato. Ben venga allora la vendita dei beni, ma non l'acquisto (e dunque l'autorizzazione è richiesta per l'acquisto ma non per la vendita, e già ciò è estremamente contraddittorio rispetto alle fina­lità dell'assistenza).

C'è però una distinzione da fare, è la distin­zione stessa che in fondo fa il progetto di legge regionale tra associazioni e fondazioni. L'asso­ciazione è costituita da un gruppo di persone che decide di mettere insieme professionalità o mezzi per svolgere una certa attività, in questo caso attività caritativa, magari iniziata secoli e secoli fa. Per le associazioni, e alcune IPAB evi­dentemente hanno carattere associativo, le ga­ranzie di mantenimento del fine in pratica non esistono; maggior garanzia invece c'è per quel che riguarda le fondazioni. Si tratta di un patri­monio destinato ad uno scopo: un fondatore, in genere un benefattore, ha stabilito che tutto il suo patrimonio o una parte di esso sia destinato ad un certo scopo e il controllo pubblico della Regione si estende, appunto, alla permanenza dello scopo. In ogni caso per le vendite non s1 richiede alcuna autorizzazione, sia che si tratti di associazioni o di fondazioni.

L'associazione ha uno statuto, un atto costi­tutivo; le deliberazioni dell'assemblea possono modificarli con la presenza di almeno 3/4 degli associati e -il voto favorevole della maggioranza dei presenti. Per deliberare lo scioglimento dell'associazione occorre il voto favorevole di al­meno 3/4 degli associati. Se le IPAB diventano persone giuridiche private, (e nessuna legge af­ferma il contrario) si applica la normativa gene­rale del Codice civile; quindi bastano determi­nate maggioranze per modificare l'atto costitu­tivo e lo statuto e, addirittura, per deliberare lo scioglimento dell'associazione. È vero che le de­cisioni dell'assemblea non possono essere con­trarie alla legge e qualcuno potrebbe anche so­stenere che quelle di mutamento del fine e di scioglimento sono contrarie alla legge perché in fondo c'è anche la legge del 1890, ed è curioso che si debba difendere questa legge arcaica e superata. Tali organismi dovrebbero rimanere nel settore assistenziale.

Si dice però all'art. 23 del Codice civile che le deliberazioni dell'assemblea contrarie alla legge, all'atto costitutivo e allo statuto, possono essere annullate dal giudice, su istanza - si badi bene - degli organi dell'ente, di qualunque associato e del Pubblico Ministero. L'unica possibilità di controllo e cioè di impedire lo scioglimento, po­trebbe venire dall'organo stesso dell'ente che in realtà ha disposto lo scioglimento e che quindi non lo farà, oppure da qualunque associato (po­trebbe esserci un associato contrarlo, ma po­trebbe anche non esserci), oppure dal Pubblico Ministero.

Per le fondazioni, come ho detto, vi è un mag­gior controllo; infatti l'autorità governativa (oggi l'ente Regione) esercita controllo e vigilanza sull'amministrazione, provvede alla nomina e al­la sostituzione degli amministratori o dei rap­presentanti, quando le disposizioni contenute nell’atto di fondazione non possano attuarsi, annulla le deliberazioni contrarie a norme impe­rative, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico, al buon costume, può sciogliere l'amministra­zione qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto e del,lo scopo della fondazione (e dunque se essi non perseguano finalità assistenziali). E si precisa ancora che l'autorità governativa (la Regione) può disporre il coordinamento dell'attività di più fondazioni, ovvero l'unificazione della loro amministrazione, rispettando per quanto possibile la volontà del fondatore. La persona giuridica - si parla sem­pre della fondazione - si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è diventato impossi­bile o di scarsa utilità o il patrimonio è diventato insufficiente. Però il patrimonio potrebbe presto divenire insufficiente anche per le fondazioni, perché - come dicevo - le alienazioni non sono oggetto di controllo e quindi potrebbero sempre essere effettuate. Anche in tal caso, pe­rò, l'autorità (regionale), anziché dichiarare estinta la fondazione, può provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore.

 

4. Un'ulteriore osservazione riguarda il perso­nale delle IPAB, e anche in tal caso le conse­guenze sono abbastanza gravi: si tratta in ge­nere di personale inquadrato nel contratto degli enti locali perché le IPAB infraregionali e regio­nali facevano parte della organizzazione pubbli­ca locale. Chiaramente, se la norma nulla preve­de come nel progetto della Regione Piemonte (un'altra legge, quella siciliana che pure sotto certi versi non è assolutamente soddisfacente, tuttavia almeno per quel che riguarda il persona­le, ha risolto il problema con inquadramenti par­ticolari), il rapporto di lavoro pubblico si trasfor­merà in rapporto privato con le garanzie più li­mitate proprie del settore privato: lo Statuto dei lavoratori, che però, non si applica a tutte le imprese, ma soltanto a quelle che abbiano più di quindici dipendenti; quindi se un'IPAB ne avesse un numero inferiore, non ci sarebbero neppure tali garanzie, con possibilità di licenziamenti in­discriminati. Un problema, dunque, che nell'am­bito di un'eventuale disciplina regionale, non dovrebbe sicuramente essere eluso.

 

5. Ritornando alla sentenza della Corte costi­tuzionale, ritengo che si tratti di un provvedi­mento politico oltre che giuridico e forse soprat­tutto politico.

L'impostazione della legge Crispi del 1890 è superata e su questo siamo tutti d'accordo; però dobbiamo vedere il senso della privatizzazione delle IPAB. Nella sentenza si alternano elementi giuridici e sociologici.

Il nodo che emerge da una serie di interventi ricorrenti è: che cosa fare di fronte alla senten­za e al progetto di legge della Regione Piemonte?

Indubbiamente è meglio una legge che la tota­le assenza di norme oppure la privatizzazione selvaggia, stante la possibilità che le IPAB chie­dano per via amministrativa il riconoscimento di persona giuridica privata.

Su questa falsariga si dovrà cercare di indi­viduare determinati vincoli e proporre emenda­menti al progetto di legge. Sorge a questo pun­to un problema a monte: la costituzionalità o meno di una legge regionale; infatti è contraddit­torio porre dei limiti e quindi approvare una leg­ge ove la stessa rimanga comunque, alla radice, incostituzionale.

Se, in base alla sentenza ricordata, queste IPAB possono diventare persone giuridiche pri­vate regolate dall'art. 14 e seguenti del Codice civile, e se la legge regionale dice che le IPAB non possono modificare il loro fine, a questo punto la legge regionale modifica il codice civile, il che non è possibile.

Non si esce da questa impasse. La soluzione è quella di una legge statale. È un'ulteriore di­mostrazione della necessità che il Parlamento legiferi.

 

6. Va altresì osservato che nel disegno di leg­ge regionale non si è distinto tra associazione e fondazione; questo non mi trova d'accordo perché ci sono differenze nette tra le due forme. La fondazione è costituita da un patrimonio vin­colato ad uno scopo, non ha l'elemento perso­nale. L'associazione non nasce con un patrimo­nio, però ha un elemento personale, cioè un gruppo che ha deciso di dar vita ad un'attività.

E la disciplina è assai diversa: l'associazione è senza controlli; per la fondazione i controlli sono previsti.

 

7. Alcuni aspetti specifici: sono d'accordo che, riguardo al punto e) dell'articolo 2 del progetto di legge n. 512 (1), potrebbe esservi un ulterio­re elemento di incostituzionalità per incompe­tenza della Regione a legiferare in materia di istruzione.

Per quel che riguarda, il personale siamo allo stesso discorso che vale anche per la destina­zione del patrimonio, per cui, se non arriva una legge statale a stabilire che le IPAB, seppur di­ventate persone giuridiche private, non possono modificare lo statuto e le finalità, vale la disci­plina del codice civile e, almeno per quanto ri­guarda le associazioni, esse sono libere di mo­dificare la loro attività.

Per il personale c'è il rischio della privatizza­zione del rapporto di lavoro e, dunque, tenuto conto dello statuto dei lavoratori, c'è il proble­ma delle IPAB con pochi dipendenti e dei loro diritti.

 

8. Per quanto attiene a ciò che può accadere in attesa di una legge statale, la Corte costitu­zionale dà una serie di indicazioni: potrà esser­ci un procedimento giudiziale (ordinario o am­ministrativo) per l'accertamento dello stato di istituzione privata. È un'altra via, più veloce an­cora di quella amministrativa, per il riconosci­mento di persona giuridica privata.

È difficile poter ipotizzare che ]'azione popo­lare della legge del 1890 possa essere promos­sa nel caso vi sia il riconoscimento di persona giuridica privata da parte della Regione.

Nell'ambito di un procedimento giudiziario, forse vedrei qualche maggior possibilità di inter­vento. Partendo dall'idea che ci sia un diritto all'assistenza da parte degli assistiti, si comin­cia a riconoscere la costituzione di parte civile di associazioni e soggetti che tutelano i diritti e interessi diffusi. È una via problematica (per­ché alcuni giudici la ipotizzano, altri no) questa dell'intervento delle associazioni nell'ambito del procedimento di privatizzazione per eventual­mente garantire la loro posizione, far udire la propria voce.

 

9. Una considerazione sulla quota alberghiera a carico dei ricoverati presso IPAB da pagare in caso di privatizzazione. Si torna sempre sullo stesso punto: se le IPAB diventano persone giuridiche private, il discorso starebbe sempre in questa dicotomia associazioni/fondazioni. Per le fondazioni, il cui fine non si può modificare, anche il discorso della quota alberghiera potreb­be rimanere tale, mentre, se si parla di associa­zioni, nulla vieta che, con una autonoma deci­sione dei loro organi, cambino lo scopo e diven­tino cliniche private o altro.

 

10. Circa l'inserimento delle IPAB privatizzate fra gli enti ecclesiastici, ricordo che, prima del concordato del 1984, una commissione mista ha risolto alcuni problemi collegati agli enti eccle­siastici e successivamente una legge ha rece­pito questo accordo. Con la legge del 1929 non c'era possibilità di confusione tra IPAB ed ente ecclesiastico perché secondo tale legge gli enti ecclesiastici erano solo quelli strettamente in­quadrati nell'organizzazione ecclesiale (ordini religiosi o assimilati).

Il problema si è posto con la modifica del con­cordato, perché adesso si precisa che ente ec­clesiastico è quello approvato e costituito dall'organizzazione ecclesiale e che ha un fine di religione e di culto (definizione ristretta); però si dice anche che il fine di religione e di culto di enti che non abbiano personalità giuridica nell'ordinamento della Chiesa può essere accertato di volta in volta, in quanto essi esercitano atti­vità dirette all'esercizio del culto e alla cura di anime, alla formazione del clero e all'educazione cristiana (nozione estremamente ampia).

Tali enti possono essere riconosciuti come persone giuridiche, con uno status sostanzial­mente assimilabile a quello delle persone giuri­diche private disciplinate dal codice civile. E, una volta riconosciute, possono svolgere pure attività diverse da quelle di religione e culto: assistenza, beneficenza, istruzione, cultura e pure (sic) attività commerciali a scopo di lucro. Ben potrebbero dunque le IPAB (non essendo prevista nella legge eccezione alcuna per esse) chiedere il riconoscimento quali enti ecclesiasti­ci (ad esempio, in tutti i casi assai frequenti in cui siano gestite anche solo parzialmente da religiosi): sarebbe un'ulteriore via verso la pri­vatizzazione.

 

 

 

 

 

 

(*) Giudice del Tribunale di Genova e Docente di Dirit­to all'Università della Calabria.

(1) Il punto e) del disegno di legge della Regione Piemonte prevede la privatizzazione delle IPAB «che svolgo­no prevalentemente attività di istruzione, compresa quella prescolare».

 

www.fondazionepromozionesociale.it