Prospettive assistenziali, n. 90, aprile-giugno 1990

 

 

ANZIANI TRA VIOLENZA E ABBANDONO. PERCHÈ NON SIA PIÙ COSÌ

 

 

Si è svolto a Roma, il 16 gennaio 1990, il Convegno internazionale: «Anziani tra violenza e abbandono. Perché non sia più così», organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio.

Si è trattato di una intensa e articolata rifles­sione su uno dei problemi più urgenti e dram­matici della nostra società: la violenza agli an­ziani, il loro abbandono. È stata presa in analisi la situazione presente, in una prospettiva eu­ropea.

Alla presenza delle più alte autorità dello Sta­to, il Presidente della Repubblica, i Presidenti del Senato e della Camera, il Ministro degli Af­fari Sociali, si sono succeduti Carlo Maria Martini, Cardinale di Milano; Andrea Bartoli, diret­tore del Centro Studi e Programmi Sociali e Sa­nitari; Massimo Dogliotti, magistrato; Augusto Panà, del Dipartimento di Sanità Pubblica della Università Tor Vergata e altri. Contributi auto­revoli, accompagnati dalla riflessione su alcune esperienze italiane ed europee particolarmente significative, come quella inglese, presentata da Betsy Searle di «Age Concern», quella fran­cese (Joelle Voisin del Ministero della Solida­rietà), quella tedesca (Claus Lutz del Ministero della Famiglia, la Gioventù, le Donne, la Salute).

Spunti propositivi sono stati poi presentati da Silvia Marangoni, responsabile del servizio an­ziani della Comunità di Sant'Egidio.

I lavori sono stati conclusi da una tavola ro­tonda, guidata dal prof. Andrea Riccardi della Università La Sapienza di Roma, con la parteci­pazione di Gennaro Acquaviva, Francesco M. Antonini, Alfonso di Noia, Oscar Scalfaro, Bruno Trentin.

 

Gli anziani: una centralità che si impone

Aprendo i lavori del convegno il Presidente della Comunità di Sant'Egidio, prof. Andrea Ric­cardi, ha sottolineato come la crescita del nu­mero degli anziani, fenomeno comune a tutto il Nord industrializzato del mondo, si appresti a diventare fenomeno mondiale «Quale spazio ci sarà, in questo quadro di sovraffollamento del­la terza età, per l'anziano? Come evitare la vio­lenza e l'abbandono che nascono in una realtà sociale inflazionata dagli anziani?» Interrogativi pressanti che «nascono - ha affermato Riccar­di - nella solidarietà quotidiana della Comunità di Sant'Egidio con l'universo anziano».

Un universo oggetto «dell'impegno e del col­loquio di operatori e volontari della comunità», un universo carico di domande e di problemi che ormai si «impongono per la loro obiettiva gravità e per la loro caratteristica fondante la moralità della convivenza sociale». La «condi­zione dell'anziano, infatti, è uno tra i principali indicatori della qualità e del tono etico di una società».

L'impegno, ormai di anni, della Comunità di Sant'Egidio nell'incontro con gli anziani si è, così, «voluto fare denuncia, riflessione penso­sa, indagatrice, alla ricerca di cause, di nuove soluzioni, convinti che solo un rinnovamento culturale, in vario senso, può rimuovere la vio­lenza e l'abbandono per gli anziani, dando loro il giusto spazio nella società di tutti».

 

L'eutanasia da abbandono

Lo spessore etico e civile connesso alla con­dizione di vita degli anziani è stato ampiamente sottolineato nell'intervento del Cardinal Martini che, prendendo le mosse da un articolo excur­sus sulla condizione del vecchio così come ap­pare descritta nella Bibbia, condizione di grande dignità, «ben diversa da quella attuale», ha af­fermato che «come sull'accoglienza e la difesa della vita del nascituro e sull'ospitalità offerta agli stranieri, così anche sulla dignità della vita offerta agli anziani si misura il profilo etico della nostra società europea».

Invecchiare è difficile e «per invecchiare be­ne occorrono condizioni che non dipendono sol­tanto dal singolo... È indispensabile promuovere - secondo il Cardinale - un atteggiamento premuroso di adulti e di giovani nei confronti degli anziani». Ciò non avviene, anzi, largamen­te, nella consuetudine personale, nelle priorità sociali ed economiche, nella stessa azione della chiesa; sono i giovani, considerati il futuro, ad accentrare le maggiori attenzioni.

L'anziano «finisce così per essere un po' esu­le dalla sua casa, dalla sua famiglia, dalla sua stessa storia. Il caso estremo è quello degli an­ziani in istituto».

Invecchiare è difficile anche perché numerosi «sono i pesi non necessari che gravano oggi sulla condizione di chi è anziano e che proven­gono dall'assetto attuale della società, da com­portamenti purtroppo comuni e che non incon­trano sanzione sociale».

L'abbandono nei confronti degli anziani è una espressione di questi comportamenti comuni e tolleranti. Eppure «abbandonare un abbandonato è sempre un male, ma in un momento così difficile può essere una violenza».

«Essere abbandonati - infatti - vuol dire essere più facilmente preda della casualità, dell'ignoranza e talora anche della violenza istinti­va e strutturale». Molti sono gli abusi di cui sono vittime anziani. «L'eutanasia non è che l'esito estremo di un atteggiamento troppo dif­fuso: non è un caso che da alcune parti si parli oggi di eutanasia da abbandono. Sedare gli an­ziani perché stiano buoni nel loro letto, colpirli, insultarli o ignorarli non prestando loro ascolto, costringerli, far mancare loro ciò che serve, non dare loro a sufficienza da bere o da mangiare, tutte queste cose drammatiche purtroppo acca­dono».

Facilmente davanti a questo, si risponde con un atteggiamento indifferente. Esistono invece - secondo Martini - precise responsabilità «che interrogano in modo particolare i cristiani. Penso a molti istituti direttamente gestiti dalla chiesa o altri ad essa collegati che devono mo­strarsi all'altezza di un imperativo morale che impone il rispetto delle persone e delle norme vigenti nel paese. L'istituto, oggi, può ridurre anziché allargare la speranza di vita. Si deve, per questo, fare di tutto per curare a casa. La chiesa deve muoversi in questa direzione».

Davanti a questa realtà è necessario operare una scelta non violenta, che non può essere solo il rifiuto di una violenza attiva: «non violen­za oggi è scegliere per un impegno quotidiano contro gli abusi subiti da altri». È necessario l'impegno di tutti, singoli e società, perché mol­to si potrebbe fare per «migliorare le condizioni di vita degli anziani prevenendo, curando e ria­bilitando. Di più si dovrebbe impegnare in que­sto la ricerca scientifica che spesso cerca altro­ve le sue priorità. È necessario un rinnovato in­teresse per la soluzione dei problemi relativi al­la condizione di chi è anziano. È una domanda antica - ha concluso il cardinale - che si im­pone con forza alla attenzione di tutti».

 

Storie di ordinario abbandono. Note per una sociologia critica

«A. era un anziano di 82 anni, allettato. Si la­mentava spesso quando andavo a trovarlo per dei dolori allo stomaco. I medici dell'istituto dove era ricoverato avevano diagnosticato "de­pressione". Di fronte all'evidente peggioramento ­di A. i medici avevano parlato di ictus, bronchite, malattia allo stomaco in modo generico perché la struttura non consentiva di effettuare speci­fici accertamenti per formulare una diagnosi e l'unica anormalità che i medici avevano registra­to era un forte calo delle piastrine. Alla mia richiesta insistente di ricoverare A. in una strut­tura ospedaliera rispondevano che non era ne­cessario. A. è morto dopo 4 giorni di coma, dopo aver più volte vomitato sangue».

Quella di A. è una delle 205 storie di abusi raccolte nel corso di una indagine realizzata a Roma dalla Comunità di Sant'Egidio, nell'ambito di una indagine internazionale tra l'aprile e il settembre 1989, che ha interessato oltre 3.000 anziani. .

L'indagine, nei suoi primi risultati, è stata presentata da Andrea Bartoli direttore del Cen­tra Studi e Programmi Sociali e Sanitari.

«Una seria conoscenza scientifica non può fare a meno di misurarsi con le contraddizioni reali del nostro vivere comune e deve ritrovare la via di un sapere speso nella prospettiva del miglioramento delle condizioni di vita di tutti». Partendo da questa premessa Bartoli ha svolto una rigorosa analisi sulle condizioni di abban­dono in cui versano gli anziani nel nostro paese, in casa e soprattutto in istituto, supportando i risultati della indagine di Roma con analoghe conclusioni presenti nella letteratura sociologi­ca europea.

L'universo della indagine è quello degli an­ziani non autosufficienti: «l'anziano come sog­getto debole, dipende anche per le esigenze del proprio corpo. Tali esigenze non devono essere nascoste da pretese priorità post-materialisti­che». Al contrario la «riaffermazione del valore del singolo corpo è la vera radice di un corret­to rapporto soggetto-ambiente».

Una premessa importante per capire nella loro complessiva valenza la portata degli abusi che gli anziani subiscono, abusi, spesso, tanto generalizzati da divenire la norma. Così quelli «delle cure sanitarie negate a chi, non autosuf­ficiente, non è però considerato malato» e quel­li, di natura psicologica che, partendo dal topos «la vecchiaia si può prevenire», finisce quasi con il colpevolizzare chi, non più autosufficiente, non poteva prevenire la sua dipendenza. «Cia­scuno si trova così solo con il peso del proprio declino e chi abbandona sembra legittimato a farlo proprio dalla colpa del vecchio».

Entrando nel merito dei risultati della ricerca, Bartoli ha posto l'accento su cosa debba inten­dersi per maltrattamento. «È necessario indica­re un criterio ampio che renda ragione di un rapporto di forza sperequato... la stessa perce­zione dei comportamenti è diversa tra chi com­pie e chi subisce maltrattamenti». Secondo una definizione di Donabedian il maltrattamento è «la deviazione in un caso specifico degli stan­dard attesi di una soddisfacente qualità di vita che comprenda relazioni interpersonali e cure sanitarie adeguate».

La ricerca condotta evidenzia tre tipi di mal­trattamento: la violenza fisica, l'aggressione verbale, l'omissione. Si tratta di maltrattamenti che possono verificarsi in casa propria, seppur molto meno frequentemente. Più spesso, in ca­sa, gli anziani si trovano di fronte ad una «vio­lenza dell'ambiente che li circonda, della peri­colosità degli strumenti della vita quotidiana».

«Ma - afferma Bartoli - spesso questo pe­ricolo viene utilizzato per giustificare scelte segreganti nelle istituzioni. Al contrario non è opportuno ricoverare in strutture di socialità coatta i molti anziani che vivono soli. Si dovreb­be, piuttosto, modificare l'ambiente intorno all'anziano in modo che siano attenuati i rischi della sua permanenza».

Certamente la scelta della istituzionalizzazio­ne si rivela, in molti casi, la peggiore. Non è una coincidenza che il maggior numero di abusi re­gistrati dalla indagine sia avvenuta proprio in istituzioni. Abusi che colpiscono, in maniera maggiore, i non autosufficienti (98 casi su 205) e i più anziani (il 72% degli anziani sottoposti ad abusi ha più di 75 anni, il 48,9% più di 80).

Gli abusi si moltiplicano in presenza di fattori esterni all'istituto, quali la scarsa disponibilità di servizi o l'assenza o carenza, nel mercato del lavoro, di alcune figure professionali. O in pre­senza di fattori interni; quando l'istituzione è prevalentemente di tipo tutelare, quando il li­vello delle cure è scarso, quando il personale non è specializzato.

Analogamente incidono sulla natura e la fre­quenza dei maltrattamenti alcuni fattori relativi al personale (giovane età, posizione gerarchica bassa, scarsa formazione...) o alla condizione dell'anziano stesso: più si è malati - spesso - più si è soggetti a maltrattamenti, più si è iso­lati più si è esposti ad abusi.

«Si tratta - ha concluso Bartoli - di spunti descrittivi tendenziali che mettono però in luce i rischi di una politica sanitaria che volendo ri­sparmiare su alcuni elementi essenziali deter­mina le condizioni di future violenze. Tutto que­sto richiama noi (Stato, famiglia, comunità) nei confronti di chi non è autosufficiente alla respon­sabilità di garantire a tutti diritti, rispetto e sod­disfazione, se non altro in nome della nostra co­mune condizione civile ed umana».

 

Diritti degli anziani diritti di tutti

Sul tema dei diritti degli anziani, tanto spesso negati, si è soffermata la relazione di Massimo Dogliotti, Magistrato presso il Tribunale di Ge­nova.

Dogliotti ha posto l'accento, inizialmente, sul­la carenza, nella attuale normativa, di uno speci­fico interesse al tema dei diritti degli anziani.

«La letteratura giuridica in materia minorile è oggi amplissima, talora sovrabbondante. Minore attenzione è rivolta ad altre categorie di poten­ziali emarginati», ha affermato Dogliotti.

«Nulla esiste per l'anziano: egli di per sé non viene preso in considerazione dall'ordinamento se non in quanto si trovi in una condizione parti­colare, nella quale peraltro non rientrano solo gli anziani».

Questo tipo di situazione, secondo Dogliotti; è espressiva di una scelta presente nel nostro ordinamento: l'anziano in sé non è portatore di diritti particolari ma condivide i diritti propri di tutti i cittadini. Sono i diritti sanciti dalla nostra Costituzione, laddove parla di diritti inviolabili dell'individuo (art. 2), dell'impegno della Repub­blica a rimuovere ogni ostacolo che si frappon­ga allo sviluppo della personalità (art. 3), del diritto alla salute (art. 32) e alla assistenza quan­do si è inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari (art. 38).

Si tratta, dunque,di diritti universali che «possono essere guardati con nuova considerazione, per quanto appunto possano interessare gli an­ziani quali principali (ma non esclusivi) desti­natari».

Dogliotti ha quindi descritto una serie di circostanze comuni, specialmente alla vita di chi è istituzionalizzato, che rappresentano una pa­lese violazione di diritti riconosciuti. Si pensi, ha detto «agli istituti dove gli ospiti non sono chiamati con il proprio nome, dove non vengono rispettate le loro abitudini, dove non ci si preoc­cupa della loro intimità. In tali casi sussistono violazioni di diritti fondamentali (il diritto al no­me, il diritto alla immagine, all'onore, alla riser­vatezza) tutelabili davanti alla Autorità giudizia­ria ordinaria».

Ciò, nella stragrande maggioranza dei casi, non avviene: l'anziano «abusato», infatti, non è spesso in grado di difendere da solo le sue prerogative giuridiche.

Si innesta qui, secondo Dogliotti, il problema della tutela e della curatela. Si tratta di istituti giuridici la cui efficacia è tuttora molto limitata, riguardando esclusivamente, gli aspetti di sal­vaguardia del patrimonio.

Da tempo si parla di modifica della disciplina «anche se spesso le idee non sono abbastanza chiare. Si ipotizza l'istituzione di un Ufficio di Pubblica Tutela, ma certamente si tratta di pro­spettive da ipotizzare in un quadro di riferimen­to più generale: sarebbe, per esempio, opportu­no sopprimere i termini interdizione e inabilita­zione e parlare di limiti della capacità per defi­nire, caso per caso, gli ambiti di una protezione personale, aiuto e sostegno al soggetto più de­bole».

Una prospettiva, dunque, su cui sarà neces­sario operare opportuni approfondimenti.

Esistono, ha proseguito Dogliotti, diritti ina­lienabili, come quello della salute, che sono, vi­ceversa, pericolosamente messi in discussione dalle stesse normative dello Stato.

Ad esempio di ciò, Dogliotti ha ricordato l'At­to di indirizzo della Presidenza del Consiglio dell'8 agosto 1985 in cui viene stabilita la com­petenza del comparto assistenziale ad interve­nire nei confronti degli anziani non autosufficien­ti. Questa normativa è altamente lesiva del di­ritto alla cura degli anziani non autosufficienti stessi. Da questo Atto di indirizzo sono discese una serie di iniziative a livello regionale che hanno, di fatto, privato gli anziani non autosuf­ficienti del diritto alla cura.

«Fra le ragioni - ha detto Dogliotti - che hanno suggerito di "scaricare" le prestazioni sanitarie nel magma socio-assistenziale, c'è la prassi consolidata da parte degli Enti di costrin­gere i parenti al pagamento delle rette». Ciò contravvenendo a quanto stabilito dall'ordina­mento vigente che stabilisce che la richiesta di aiuto economico ai parenti tenuti agli alimenti possa essere eseguita esclusivamente dal sog­getto interessato.

Un esempio, particolarmente grave, di come si assista a violazioni reiterate nei confronti degli anziani più deboli. «È importante - ha affermato in conclusione Dogliotti - che la dot­trina, colmando un notevole ritardo culturale e recuperando il tempo perduto, si apra alla que­stione dell'anziano, individuando diritti e forme di protezione... È necessario cominciare a par­lare oggi, più ampiamente del passato, di diritto dei diritti dell'anziano».

 

Il ruolo dell'ambiente sociale nelle condizioni di salute dell'anziano

«Intorno alla metà degli anni '70, alcuni im­portanti lavori scientifici posero in evidenza co­me il supporto sociale, inteso come l'insieme di contatti umani nel quale l'individuo era inte­grato e il complesso di aiuti disponibili, non solo aveva un positivo effetto diretto sulle condizio­ni fisiche e psichiche dell'anziano, ma esercitava anche una azione protettiva, di compensazione, nei confronti di stimoli pressanti o nocivi prove­nienti dall'ambiente». Intorno a questa nodale affermazione si è sviluppata la relazione del prof. Augusto Panà, della Cattedra di Igiene della Università Tor Vergata di Roma.

Basandosi su di un'ampia casistica desunta da numerose ricerche effettuate a livello mondiale, Panà si è a lungo soffermato sulla «positiva in­terazione tra salute e supporto sociale», intera­zione dimostrata da un'ampia letteratura scien­tifica ma che non ha, però, nel nastro paese, «determinato un corrispondente mutamento di prospettive e di mentalità nei confronti del ruo­lo che l'ambiente sociale in cui è immerso l'an­ziano sembra avere».

Entrando nel merito del tema proprio del con­vegno, quello degli abusi subiti dagli anziani, Panà ha affermato che «l'abuso può essere defi­nito anche come la privazione temporanea o per­manente di quella adeguata rete di rapporti uma­ni informali, amicali, affettivi e istituzionali che rappresenta, particolarmente nel soggetto ultra­sessantenne, un decisivo fattore di protezione». «L'isolamento sociale è - dunque - in sé una forma di violenza e una minaccia per la salute dell'anziano particolarmente diffusa e perico­losa».

Gli approfondimenti scientifici offrono un qua­dro dell'universo anziano come un universo in grande aumento e trasformazione: nel 1955 solo 1 italiano su 8 aveva più di 60 anni, nel 1988 lo era diventato 1 su 5,6. Nello stesso periodo gli ultraottantenni sono più che triplicati. Un univer­so di anziani in gran parte soli.

K Una indagine condotta dal Dipartimento di Sanità pubblica e dal CSPSS su un campione se­condo criteri di casualità di anziani del centro storico di Roma ha fatto emergere che il 52% di­chiarava di sentirsi spesso solo ».

La solitudine diventa un fattore di accelera­zione del tasso di mortalità.

«Una ricerca eseguita, già nel 1969 negli USA dimostrava che le morti dei "soli" (in soggetti dai 30 ai 69 anni) erano il doppio, se uomini, il triplo, se donne, di quelle dei soggetti con nor­mali relazioni interpersonali. Tale effetto era assai più vistoso negli ultrasessantenni e nei disabili».

L'attuale sistema sanitario in Italia deconsi­dera gravemente questo tipo di relazione: l'uso diffuso nel nostro paese della istituzionalizza­zione ne è la dimostrazione in qualche modo più evidente e drammatica. Ciò mentre, secondo Panà, numerose documentazioni scientifiche per­mettono di identificare «le strutture di lungode­genza come un fattore di rischio anziché di pro­tezione per gli anziani».

In uno studio condotto nel 1963 da Ferrari emergeva con drammatica chiarezza la verità di questa affermazione: «a 10 settimane di distan­za dall'ingresso nell'istituto geriatrico, 16 indi­vidui su 17 ricoverati contro la propria volontà erano deceduti».

Da questo e da altri riscontri è possibile affer­mare che «il cambiamento di residenza non de­siderato rappresenta in sé un fattore di rischio di primaria importanza per la salute psicofisica dell'anziano ed anche una forma di abuso, forse la più diffusa».

È necessario, ha concluso Panà, recuperare le enormi potenzialità che il tessuto sociale con­tiene per ridurre ed eliminare questo tipo di abuso.

«L'ambiente sociale è insieme fonte di rischi profondi per l'anziano e potente risorsa per la prevenzione delle patologie e il miglioramento della qualità della vita: a noi trovare i modi, le vie, i tempi per garantire e, in un futuro più o meno lontano, garantirci, una vecchiaia serena, da vivere in un paese che si possa dire civile e progredito».

 

Le risposte possibili ad un abbandono non necessario

La relazione di Silvia Marangoni, responsabile del servizio anziani della Comunità di Sant'Egi­dio, si è soffermata sulla descrizione di inter­venti alternativi alla violenza e all'abbandono.

Il contesto concreto in cui ci si trova a vivere presenta, ha detto, aspetti fortemente inquie­tanti: «l'abbandono degli anziani è una pratica ormai legittimata dalla cultura, dalle circostan­ze, da una consuetudine che non fa più scandalo. Nonostante esista una legislazione che garanti­sce i diritti di tutti, e quindi anche degli anziani, si assiste ad un abbandono conclamato e siste­matico delle istituzioni. Le risorse economiche degli anziani sono insufficienti e la povertà eco­nomica diviene per molti causa e ragione di ri­covero in istituto».

L'istituto sembra, ha detto la Marangoni, una struttura inattaccabile, rispetto a cui è difficile dimostrare e sostenere carenze e inefficienza. Le stesse indagini svoltesi quest'anno, che han­no documentato, con un certo risalto dei media, le situazioni di abbandono e di violenza in cui versano gli istituzionalizzati hanno avuto un pa­radossale effetto «boomerang», creando un peg­gioramento, anziché un miglioramento nelle con­dizioni di vita degli anziani stessi.

Silvia Marangoni ha, quindi, descritto l'espe­rienza di amicizia, sostegno, assistenza della Comunità di Sant'Egidio rivolta a diverse migliaia di anziani. «Un servizio che si è voluto rivolgere alle fasce di età più critiche. I 2/3 degli anziani seguiti, in Italia e in Europa, ha più di 75 anni. Si tratta di situazioni, tutte, per cui il rischio di istituzionalizzazione è molto alto. La non auto­sufficienza, la malattia, l'invalidità, le difficoltà non sono un motivo per abbandonare, piuttosto devono divenire il motivo, la ragione, la legit­timazione per moltiplicare gli sforzi, la presenza, il sostegno».

In questi anni «abbiamo lavorato in una pro­spettiva totalmente alternativa al ricovero». Non è quasi mai vero, contrariamente a quan­to recitano i luoghi comuni, che «non sia possi­bile restare a casa».

L'impossibilità è determinata, spesso, dalla assenza di supporti che pure dovrebbero essere previsti. Attivare servizi sociali e sanitari nel domicilio, istituire l'ospedalizzazione domicilia­re, prevedere sostegni alle famiglie, rappresen­tano supporti in grado di rendere possibile per­manenze di anziani facilmente indirizzati verso la soluzione, più comoda forse, ma non certo migliore, quella dell'istituto.

«È importante - ha affermato infine Silvia Marangoni - promuovere a tutti i livelli una cultura della accoglienza verso chi è anziano, sconfiggendo una mentalità emarginante attra­verso una solidarietà diffusa. Occuparsi degli anziani è occuparsi di noi stessi ed è imprevi­dente, oltre che incivile, ignorare l'attuale situa­zione di abbandono e di discriminazione cui gli anziani sono sottoposti».

 

Guardando l'Europa

Guardare, oggi alla condizione degli anziani significa, necessariamente, guardare in una pro­spettiva europea. I fenomeni, le soluzioni, non possono, infatti, non essere analizzati che den­tro uno scenario più ampio, e al tempo stesso vicino e comune.

Betsy Searle, di «Age Concern» di Londra, ha aperto, in questa direzione, la serie di con­tributi internazionali che si sono succeduti nel corso del convegno. «Le cause dell'abbandono e della solitudine degli anziani, possono essere ascritte ad alcuni fenomeni di fondo: la povertà economica, la perdita della casa, la perdita della salute. Di fronte a questi fenomeni, in Inghilter­ra, sono stati avviati alcuni tentativi di riforma».

La legislazione, infatti, si presenta inadegua­ta ad affrontare questi fenomeni. Si pensi alla legislazione che non prevede aiuti per il coniuge superstite in caso di vedovanza ed anzi è forte­mente penalizzante per quest'ultimo creando, frequentemente, situazioni di perdita della pro­pria casa e di forti riduzioni del reddito.

È necessario prevedere interventi che faciliti­no al contrario la permanenza nel domicilio e garantire, nel caso di ricoveri in istituto, il ri­spetto di una «carta dei diritti dell'individuo».

La perdita della salute, spesso, è connessa alla perdita delle piene facoltà intellettive. La legislazione inglese deve prevedere strumenti di difesa e di tutela allontanandosi dall'attuale modello che prevede esclusivamente difesa e tutela dei beni patrimoniali.

L'aumento delle persone anziane fa aumenta­re il numero delle persone bisognose di cure. «Si crea un problema di costi crescenti - ha detto la Searle - e la loro distribuzione pone problemi di etica medica. È importante che gli anziani, come gruppo, non siano discriminati».

È inoltre essenziale utilizzare le potenzialità residue che gli anziani esprimono, potenziando le esperienze di self-help, già diffuse in Inghilterra.

Un quadro più positivo, in qualche modo, quel­lo presentato da Joelle Voisin, Capo Divisione anziani della Direzione Azione Sociale del Mini­stero della Solidarietà francese. «In questi ulti­mi 20 anni la politica condotta a favore degli an­ziani ha fatto numerosi progressi. Cambia pro­fondamente il quadro di riferimento: oggi la po­litica per la terza età non è più una politica assi­stenziale. Oggi i grandi problemi sono quelli del­la dipendenza legati direttamente all'invecchia­mento della popolazione. Gli anziani a cui rivol­giamo i nostri servizi sono molto vecchi e spesso hanno perduto ogni legame parentale. Di fronte a questa evoluzione le risposte date devono essere multiformi».

Alcune le direzioni di impegno indicate: «il mantenimento nel domicilio, migliorare la quali­tà della vita negli istituti, il telesoccorso. La ri­sposta da dare agli anziani che perdono la auto­sufficienza deve essere globale e coordinata, ma deve sempre essere anzitutto una risposta vi­cina».

Ha concluso gli interventi internazionali Claus Lutz del Ministero per la famiglia, la gioventù, le donne, la salute della Germania Federale. In un universo relativamente più benestante, come è quello degli anziani nella Germania Federale, si aprono varchi a situazioni di malessere, qui come altrove rappresentati soprattutto dalle ca­salinghe vedove. Per loro, prioritariamente, e per tutti gli anziani che si trovano in condizioni di dipendenza fisica, si ripropongono le priorità già individuate: servizi domiciliari, costruzione di centri diurni per la cura, collaborazione tra servizi domiciliari e servizi residenziali, tutto nella prospettiva non di una mera custodia dell'anziano non più autosufficiente ma del recupe­ro delle sue potenzialità residue.

Occorre trasformare fa coscienza culturale nel modo di affrontare l'universo anziano; liberare l'anzianità dai suoi connotati negativi e solo negativi per restituire ad essa piena dignità. «In una società che mira alla produttività il mo­dello deficitario, rappresentato dagli anziani, ha per conseguenza l'emarginazione». Questo mo­dello deficitario va trasformato prendendo con­sapevolezza della volontà e possibilità propria degli anziani di rappresentare una vitalità reale nel contesto sociale: «prendendo gli anziani con noi - ha concluso Lutz - e riconoscendo il loro contributo, rafforzeremo la solidarietà tra gene­razioni e assicureremo la pace sociale, di cui abbiamo bisogno per il nostro futuro».

 

Politici, geriatri, accademici, sindacalisti a confronto

A conclusione del convegno si è svolta una tavola rotonda, coordinata dal prof. Andrea Ric­cardi, con diverse personalità, espressioni del mondo politico, geriatrico, accademico, sindacale, riunite insieme per confrontarsi sul problema ed esprimere la loro posizione, tanto più signi­ficativa proprio in quanto frutto di approcci mul­tiformi.

Ha aperto Gennaro Acquaviva, senatore socia­lista. «Esiste - ha detto - una sorta di terro­rismo demografico che ipotizza scenari in cui l'economia e la società saranno soffocate dall'aumento del numero degli anziani». Un «ter­rorismo» inaccettabile che fa risaltare «la de­crepitezza della cultura e degli strumenti con i quali si continua ad affrontare il problema».

«Il vero punto di riferimento che dobbiamo porci - secondo Acquaviva - è quello della dignità dell'anziano che si deve tradurre nel di­ritto pieno ed esercitabile a svolgere una esi­stenza al 100%; diritto vero per tutti gli anziani, autosufficienti e non, in condizioni economiche difficili e non».

Lo scenario futuro dell'universo anziano sarà per Acquaviva, molto diverso dall'attuale: gli anziani di domani, ma già in gran parte quelli di oggi, saranno anziani meno provati da condizioni di vita e di lavoro difficili, saranno anziani più ricchi, grazie ai progressi del sistema pensioni­stico, saranno anziani più sani, grazie alle mi­gliori cure e alla migliore qualità di vita. Non saranno più, quindi, anziani che chiedono assi­stenza e beneficenza, ma saranno anziani che esigono una nuova cultura di socializzazione.

In attesa, e per creare i presupposti di questa nuova cultura, è necessario individuare alcuni interventi urgenti e prioritari. «Il sostegno alle famiglie che accolgono anziani; il diritto al la­voro, anche quando si è pensionati; la tutela giuridica degli anziani; il diritto alla cultura, al tempo libero, allo sport, la tutela del risparmio, il diritto alla informazione. Occorre inoltre crea­re, a premessa di questi interventi; una Commis­sione per la tutela giuridica dell'anziano, garanzia del pieno rispetto di diritti altrimenti facilmen­te negati».

«Campi di impegno - ha concluso Acquavi­va - già importanti oggi e di più guardando il futuro. Mi sembra un modo assai dubbio di pro­gredire, infatti, l'emarginare il patrimonio di sag­gezza e di esperienza che ci viene da coloro che hanno già vissuto una parte della loro vita».

È quindi intervenuto il prof. Francesco Maria Antonini, geriatra di Firenze, fra i primi e i più noti esperti internazionali dell'universo anziano.

«Non sarei venuto a questo convegno - ha esordito il prof. Antonini - perché ho deciso di non partecipare più a discussioni organizzate da chi non fa niente di concreto per gli anziani, e dopo anni, continua solamente a discutere. Ho deciso di venire perché ho sentito parlare degli organizzatori di questo convegno come di gente che vive dentro il mondo complesso e variegato degli anziani».

«Devo parlare qui di violenza - ha prosegui­to Antonini - e io ho parlato di violenza solo qualche mese fa, per la prima volta, quando so­no stato intervistato sulla questione delle infer­miere di Vienna che avevano ucciso degli an­ziani. Le infermiere non hanno colpa, ho detto allora. Perché sono state educate ad un'idea del­la loro professione fatta di ordine e di pulizia e si sono trovate, senza averlo scelto, loro, infer­miere di prima categoria a lavorare con malati di quarta categoria, certo non per colpa dei ma­lati. Anziani allettati, piagati, abbandonati anche dai loro parenti! Le infermiere a questo punto non capiscono più la loro funzione perché si ve­dono trasferite in una immagine di medicina che non è più medicina ma è custodia e abbandono».

Al contrario quello che è necessario, per gli anziani cronici secondo Antonini, è massimizza­re i livelli di intensità delle cure. «Per i vecchi non autosufficienti non serve una medicina di questo grado, ma una medicina di primissimo grado, capace di guardare alle correlazioni e alle possibili complicanze».

Non bisogna accettare una medicina che aspet­ta la morte, ma una medicina che cerca la vita. «Per evitare la violenza contro gli anziani biso­gna spendere il massimo delle cure e della at­tenzione. Noi abbiamo sperimentato come la "cura" della morte stia proprio nella intensità della azione: questa capre la violenza e l'abban­dono. Le richieste del morente sono richieste di azione "tirami su, tirami giù, stammi vicino". Queste sono le cure per il morente: dammi un po' d'acqua, mettimi le coperte e soprattutto non scappare. E invece tutti si scappa. I medici non possono sopportare la morte e anche questa è una violenza, abbandonare un paziente che ha bisogno. Ma non perché gli deve dare "le" cure, gli deve dare "la" cura che è lui, se stesso. Gli anziani malati hanno bisogno di questo».

In questo senso, ha concluso Antonini «la ba­se della moralità è la "voglia" di far vivere i vecchi».

Dopo l'appassionato intervento del prof. Anto­nini, la relazione di Alfonso di Noia, antropologo dell'Istituto Orientale di Napoli.

«Di fronte alla condizione dell'anziano - ha detto Di Noia - le culture hanno sempre mani­festato comportamenti contraddittori. Alcune cul­ture considerano importante solo il periodo pro­duttivo della vita, altre, le culture di tipo patriar­cale, attribuiscono, al contrario, proprio agli an­ziani la dote della saggezza».

Con la morte della società contadina, nella nostra società industriale l'anziano è, sostan­zialmente, colui che non produce.

«Occorre - secondo Di Noia - mettere l'an­ziano in condizione di ritrovare la propria fun­zione sociale. In questo senso significativa è l'esperienza della Università per gli anziani».

Il primo suggerimento che nasce dalla espe­rienza antropologica è quello di non ghettizzare l'anziano. «Nella cultura si sono alternati com­portamenti che hanno emarginato l'anziano o che hanno, al contrario, esaltato la vecchiaia. Forse il problema è semplicemente quello di comin­ciare a non parlare di anziani ma soltanto di uomini».

Ha preso quindi la parola Bruno Trentin, se­gretario generale della CGIL.

«Voglio portare a questo convegno, e non sembri un paradosso - ha detto Trentin - una nota di ottimismo, perché ho l'impressione che le cose stiano cambiando nella coscienza civile e stiano cambiando proprio in relazione all'entra­ta in campo di nuove generazioni di anziani».

Sono proprio questi nuovi anziani, e i bisogni di cui sono portatori a spingere la società a co­struire in una logica non più di ghettizzazione, ma in una cultura di solidarietà in cui l'anziano non sia più solo oggetto ma attore, un conferen­te, cioè di cultura, di valori, di potere.

«Ho potuto vedere in mille casi - ha prose­guito Trentin - come un anziano che ritorna protagonista di una vita sociale, anche attraverso delle forme sindacali di lavoro collettivo, ritor­na anche protagonista, immediatamente, nella vita familiare, nei rapporti affettivi. Sente di es­sere un attore e non più soltanto un oggetto di determinati riguardi. Combattere la violenza con­tro gli anziani vuol dire, allora, assumere il lavo­ro, l'attività sociale dell'anziano come un obiet­tivo costante, non come una eccezione. È stata una grande mistificazione, anche sindacale, cre­dere che il lavoro dell'anziano rubasse lavoro ad un giovane. Con la stessa logica si potrebbe pen­sare oggi che il lavoro di un immigrato rubi il la­voro ad un italiano. Ma così non è. Si tratta - ha concluso Trentin - di assumere la battaglia per il recupero pieno di ogni persona a qualsiasi stadio della sua esistenza o della sua salute es­sa si trovi».

Gli anziani chiedono di essere protagonisti della società, chiedono di «affermare diritti, anche propri, e di controllare, promuovere, auto­governarsi nella fruizione dei diritti stessi. An­che nel dramma della violenza e della emargina­zione dell'anziano può nascere, allora, la pre­messa per la creazione di nuovi, grandi anticorpi che non sono solo sociali, ma morali e culturali e possono dare fiducia al futuro di questa so­cietà».

A conclusione della tavola rotonda l'interven­to di Oscar Luigi Scalfaro, deputato della Demo­crazia Cristiana. «Le radici del problema - ha detto Scalfaro - stanno nel senso degli altri, nel dovere di dare spazio agli altri. Dalla nega­zione di questo spazio nascono tutte le ingiu­stizie».

Ma l'anziano non è, solo, il destinatario di azio­ni di solidarietà, l'anziano è depositario di diritti: «prima viene l'affermazione dei diritti, poi la carità».

«Non c'è niente di peggio - ha detto Scalfa­ro - del rispettare i diritti e farlo passare per carità».

Il dovere di rispettare i diritti, in primo luogo, incombe sulla famiglia, che va sostenuta. Ampio spazio va dato, in questa direzione - secondo Scalfaro - al volontariato. «È questa una ricchezza ulteriore; che esalta il valore del lavoro di tanti, operatori, che si consumano per il bene dell'anziano».

«Il primo maltrattamento - ha concluso Scal­faro - è il calpestare i diritti, omettendo i do­veri. Ciò crea la situazione più difficile per l'an­ziano: quella di non capire più quali cose rap­presentino suoi diritti e quali siano gesti carita­tevoli di altri».

«Emerge in questa giornata di lavoro - ha concluso Andrea Riccardi - come l'impegno di tanti sia divenuto domanda e denuncia. Un lavo­ro piccolo e costante è divenuto, così, occasione di incontro e di riflessione per tanti. In una fase storica come quella che stiamo vivendo c'è bi­sogno di tutti per costruire quella cultura della solidarietà che rappresenta una delle maggiori sfide della società contemporanea».

 

 

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