Prospettive assistenziali, n. 89, gennaio-marzo 1990

 

 

Libri

 

 

JEAN CARTRY, Genitori simbolici - L'inserimento in «famiglia terapeutica» di bambini affetti da carenze relazionali, Edizioni Dehoniane. Bologna, 1989, pp. 319, L. 28.000

 

È un libro importantissimo, ottimamente tra­dotto dal francese, che tutti coloro che operano nel campo dell'infanzia in difficoltà dovrebbero leggere, meditare e discutere.

I coniugi Cartry con 6 figli biologici accolgono altri 6 minori, tra bambini e adolescenti con ca­renze più o meno gravi. Come precisa l'Autore «i nostri figli sono "immersi" con gli altri nella vita quotidiana».

Nei nove anni di durata dell'esperienza, sono stati ospitati tredici minori affidati dall'«Aide so­ciale à l'enfance», uno degli enti che in Francia si occupano dell'infanzia in difficoltà. Sei di loro vivono ancora oggi con i Cartry.

Nell'introduzione, A. Canevaro ricorda che «gli studi sull'ospitalismo, cioè sulla vita dei bambini negli ospizi e negli orfanatrofi, hanno dimostrato come la vita di un bambino non sia garantita dal pasto, dal tetto e dal letto: questi sono necessari ma non sufficienti ad assicurare una crescita au­tentica».

Prima di accogliere i bambini a casa sua con i suoi figli, Cartry lavorava in un istituto, che, nonostante tutta la buona volontà dei dirigenti e la preparazione professionale degli operatori, non era in grado di dare una risposta valida ai minori con carenze relazionali e quindi «alla ricerca di un oggetto unica, stabile, a cui far riferimento e in cui trovare sicurezza». Infatti la sua organiz­zazione era solo in grado di proporre «quattro, cinque, a volte sei educatori, il cui intervento è rigorosamente delineato da orari prestabiliti».

Dopo aver esplicitato le ragioni della scelta sua e di sua moglie di operare come «famiglia terapeutica» in alternativa alla prosecuzione del loro lavoro come educatori in un istituto (anche se radicalmente ristrutturato), l'Autore tratta ampia­mente le caratteristiche della carenza affettiva. Delinea quindi i fondamenti teorici della pratica quotidiana sia in relazione ai rapporti interni che a quelli con il contesto sociale.

Il libro, tuttavia, non è una semplice testimo­nianza, ma è un tentativo - a nostro avviso pie­namente riuscito - di analisi e di riflessione teo­rica sui principi e sulle modalità di intervento nei confronti dei minori che hanno duramente, e spesso troppo lungamente, sofferto di carenze affettive.

 

 

AUGUSTO PALMONARI (a cura di), Gli handicappati mentali e il lavoro - Inserimento, risultati, resistenze, Giuffrè Editore, Milano, 1987, pp. 149, L. 12.000.

 

Il libro contiene i testi delle relazioni presen­tate al convegno «L'inserimento al lavoro degli handicappati mentali: mito e realtà» realizzato a Bologna nei giorni 4-5 marzo 1985.

Per una lettura proficua è consigliabile soffer­marsi con attenzione su quanto esposto nell'in­troduzione da Augusto Palmonari, che ci offre contributi e critiche indispensabili per superare anche i limiti di alcuni contributi.

A partire dalla considerazione che la realtà, di fatto, è spesso rinunciataria verso l'inserimento lavorativo degli insufficienti mentali, o comunque raramente preparata o dotata di strumenti indi­spensabili per la riuscita dell'inserimento (ad esempio corsi di formazione professionale ade­guati alle effettive capacità di questa tipologia di soggetti), si giunge a ribadire con forza e con tesi sostenute dall'esperienza concreta, che «dopo l'inserimento scolastico ci deve essere l'inserimento al lavoro come momento qualifi­cante ulteriore dell'inserimento sociale», prece­duto e/o coadiuvato da momenti di formazione professionale.

«Attenzione ad ogni rischio di istituzione to­tale», avverte Palmonari. Ne deriva che non può essere accettata l'impostazione di «villaggi di lavoro per handicappati», riportata nel libro. «Ogni tappa della formazione deve dunque svol­gersi in un ambiente il più aperto possibile, se­condo un piano formativo che integri scolarità e pratica aziendale».

Va senz'altro apprezzato lo sforzo presente in tutti i contributi di andare oltre le esperienze presentate, per tentare di muoversi in direzione del loro superamento che, come più volte viene ricordato, sarà possibile solo se si partirà «dalla idea che l'integrazione sociale delle persone han­dicappate è una rivendicazione collettiva, un obiettivo politico e sociale e non un semplice ri­sultato tecnico».

 

 

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