Prospettive assistenziali, n. 88, ottobre-dicembre 1989

 

 

IL RIENTRO IN SERVIZIO DEGLI AGUZZINI DELLA CASA DI RIPOSO DI MESTRE: UN ESEMPIO DI INCIVILTÀ

 

 

«Il Tribunale civile e penale di Venezia (sezio­ne prima) visti gli artt. 477, 483, 488, 489 c.p.p. dichiara Cerato Adriano, Gomirato Luigino, Mu­lachié Vittorio, Memo Daniele (1), Maso Giancarlo, Checchin Arnaldo, Zanetti Cesarino e Cab­bia Bruno responsabili del reato di cui all'art. 572 c.p. perché, in concorso tra loro, abusando dei poteri e violando i doveri inerenti alla funzione esercitata nella loro qualità di infermieri e ad­detti presso la Casa di riposo di Mestre, agendo per motivi abbietti, maltrattavano anziani degenti ad essi affidati per ragioni di cura (sino al marzo 1982).

«Dichiara inoltre responsabili: Maso Giancar­lo del reato di cui agli artt. 61 n. 1, n. 9, 582 c.p. perché cagionava lesioni lievi in danno di De Pieri Piero, con l'aggravante di aver approfittato della minorata difesa della vittima (sino al feb­braio-marzo 1982); Cerato Adriano del reato di cui agli artt. 61 n.1, n. 5, n. 9, 582 c.p. perché ca­gionava a Marte Cataldo lesioni personali giudi­cate guaribili in giorni 8, con l'aggravante di aver approfittato della minorata difesa dell'anziano paziente (19-20 maggio 1981); M.D. e Gomirato Luigino del reato di cui agli artt. 61 n. 5, n. 9, 521 c.p. per atti di libidine violenti in danno di Truc­colo Antonio, con l'aggravante di aver approfitta­to della minorata difesa della vittima (sino al 31 dicembre 1982); Gomirato Luigino, Mulachié Vit­torio, Maso Giancarlo del reato di cui agli artt. 61 n. 1, n. 2, n. 5, n. 9, 610 c.p. perché in concorso tra loro costringevano Voltan Tullio a tollerare i misfatti da essi perpetrati in danno di altri pa­zienti e a non rivelarli alla Direzione ed alle Au­torità (sino a marzo 1982); Maso Giancarlo e Mu­lachié Vittorio del reato di cui agli artt. 61 n. 1, n. 2 e n. 9, 336 c.p. perché in concorso tra loro, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, allo scopo di occultare reati di cui alle altre imputazioni, esercitavano minacce di percosse e di gravi ritorsioni nei confronti di Listo Maria, infermiera incaricata di pubblico ser­vizio al fine di costringerla ad omettere atti del proprio ufficio e cioè a trascurare i pazienti e a tacere alle competenti autorità i fatti di cui era venuta a conoscenza (sino al marzo 1982).

«Pertanto, ritenuta la continuazione tra tutti i delitti rispettivamente ascritti e considerato più grave il reato di maltrattamenti, condanna: Gomi­rato e M.D. ciascuno alla pena di anni 2 di reclu­sione; Maso alla pena di anni 1 e mesi 9 di reclu­sione; Mulachié alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione; Cerato alla pena di anni 1 e mesi 7 di reclusione; Checchin, Zanetti, Cabbia ciascuno alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione. Tutti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno alle spese della propria custodia pre­ventiva.

«Visto l'art. 163 c.p. concede ai predetti il be­neficio della sospensione condizionale della pe­na (2).

«Visto l'art. 31 c.p. dichiara gli stessi, inter­detti dai pubblici uffici, ciascuno per durata pari alla misura della pena inflitta.

«Condanna Cerato, Gomirato, Mulachié, Me­mo, Maso, Checchin, Zanetti e Cabbia al risarci­mento dei danni, in solido tra loro, in favore delle parti civili costituite, da liquidare in separato giudizio ... (3). Venezia, 24 novembre 1982».

 

Nell'ottobre del 1988, dopo sei anni dalla sen­tenza di condanna, gli aguzzini sono ritornati a lavorare presso la Casa di riposo di Mestre.

Cerato Adriano, come operatore d'appoggio in cucina; Gomirato Luigino, come operaio in offici­na; Mulachié Vittorio, come giardiniere; Chec­chin Arnaldo, come addetto alle pulizie; Zanetti Cesarino, come muratore. Sono stati invece tras­feriti in uffici comunali: Maso Giancarlo e Cab­bia Bruno (4).

Visti i precedenti giudiziari questo fatto è cla­moroso.

I 7 infermieri dovevano essere licenziati in ba­se alla pronuncia della Commissione disciplina­re, ma la delibera dei licenziamenti è stata emes­sa in ritardo, dopo il termine perentorio, previsto dal regolamento organico dei dipendenti dell'En­te, di 90 giorni dall'ultimo atto della Commissio­ne disciplinare, ed è stata successivamente an­nullata dal Comitato regionale di Controllo del Veneto per vizio di legittimità.

Il Tribunale amministrativo regionale ha respin­to il ricorso presentato dall'attuale amministra­zione della Casa di riposo, confermando la deci­sione del CORECO.

Fin qui i fatti, che mettono in luce una situa­zione a dir poco sconcertante, dalla quale emer­gono inquietanti interrogativi:

- perché il Consiglio di amministrazione dell'istituto, composto da 5 membri nominati dal Consiglio comunale di Venezia su designazione dei gruppi consigliari (Andrioli Loris, PCI; Gra­mola Giovanni, PCI; Ceccarelli Silvano, PSI; To­non Claudio, PSI; Biason Giorgio, DC) non ha disposto la sanzione disciplinare entro il termine previsto dalla legge?

- perché la Regione Veneto e il Comune di Venezia non hanno esercitato i loro poteri di controllo e non sono intervenuti (5) adempiendo i rispettivi compiti istituzionali, per assicurare i licenziamenti? Senza contare, poi, che - ai sen­si degli artt. 233 e 248 del Testo Unico della legge comunale e provinciale - l'Amministrazione con­serva pur sempre la facoltà, anche in mancanza di procedimento disciplinare, di disporre il licen­ziamento o la dispensa dal servizio di quei dipen­denti che abbiano dato prova di incapacità pro­fessionale od abbiano tenuto comportamenti in­compatibili con il fedele adempimento dei propri doveri.

Sorge spontanea l'impressione che questa brut­ta faccenda nasca da un pasticciaccio burocrati­co condito da una certa dose di cinismo. O forse l'omissione del Consiglio di amministrazione del­la Casa di riposo di Mestre, il silenzio delle isti­tuzioni pubbliche preposte alla vigilanza sulle IPAB - ai quali va aggiunta la sorprendente pre­sa di posizione dei Sindacati (preoccupati di as­sicurare i posti di lavoro agli infermieri) - sono dettati da una precisa volontà di non punire trop­po severamente gli aguzzini?

In ogni caso il risultato é stato che i poveri vecchi ricoverati, alcuni dei quali sono state vit­time o spettatori impotenti delle violenze e dei maltrattamenti verificatisi 8 anni fa, sono costret­ti a subire questa beffa crudele. Gli aguzzini sono infatti ritornati a lavorare in Casa dì riposo e sono per giunta creditori dell'istituto di circa 600 milioni di stipendi arretrati, maturati durante gli anni di sospensione dal servizio.

Questa è una delle storie (vere!) in cui gli aguzzini con l'appoggio delle istituzioni hanno avuto la meglio sulle persone indifese.

 

 

 

 

(1) Memo Daniele, condannato nel processo di primo grado per maltrattamenti, atti di libidine violenti e atti osceni, è stato assolto nel processo di secondo grado (con sentenza confermata dalla Cassazione) dalle due pri­me imputazioni, essendo riconosciuto colpevole del reato di atti contrari alla pubblica decenza.

(2) Nel processo di appello le pene sono state diminuite con sentenza passata in giudicato.

(3) Il testo integrale della sentenza del processo di pri­mo grado è stato pubblicato nel n. 64, ottobre-dicembre, di Prospettive assistenziali.

(4) Il Pretore di Mestre, Silvia Spinosa, il cui intervento è stato richiesto dal Comitato dei familiari e degli ospiti della Casa di riposo, ha deciso che l'istituto deve astenersi dall'adibire gli infermieri rientrati in servizio a mansioni di assistenza diretta agli anziani.

(5) Ai sensi dell'art. 2 della L. 17 luglio 1890 n. 6972 e dei R.D. 5 febbraio 1891 n. 99 art. 44, spetta alla Regione (che succede ai prefetti, in base al D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616) vigilare sulle IPAB affinché non vi sia abuso di pubblica fiducia, siano assicurate le esigenze sotto il pro­filo igienico-sanitarìo e assistenziale, siano rispettate le misure di sicurezza (anti-incendio, anti-infortunistica ecc.). Alla Regione è inoltre affidato il compito di chiudere gli istituti di assistenza nei casi di loro cattivo funzionamen­to. Ai sensi della L. 10 febbraio 1953 n. 62 competono al Comitati regionali di controllo poteri di controllo sostitu­tivo (art. 59); nei casi in cui Comuni e Province omettano di compiere atti cui sono tenuti per legge, il Comitato (o una sua sezione) può esercitare (quando sia rimasta inos­servata una sua previa intimazione a provvedere) i suoi poteri sostitutivi, ponendo in essere l'atto omesso o prov­vedendovi attraverso speciali commissari ad acta.

 

 

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