Prospettive assistenziali, n. 88, ottobre-dicembre 1989

 

 

I COMPORTAMENTI DELLE ISTITUZIONI PUBBLICHE NELLE ESPERIENZE DELL'ANFAA, DELL'ULCES E DEL CSA (1)

 

 

Sono numerose le organizzazioni di volontariato che ritengono prioritari i rapporti con le isti­tuzioni pubbliche, a tal punto che una parte con­siderevole della loro attività è dedicata all'attuazione di questi rapporti. Se si frequentano i Con­sigli regionali, provinciali e comunali, si constata che le anticamere sono affollate anche da rappre­sentanti di tali organizzazioni che si comportano come postulanti di favori, anziché come difensori e promotori di diritti.

È ovvio che, se le richieste si pongono nell'am­bito della linea politica dell'ente e dei partiti che la sostengono, l'azione clientelare dà frutti. Ad esempio, è noto che vi sono associazioni che si richiamano alla tutela degli handicappati mentre, in realtà, operano per le assunzioni di falsi inva­lidi, assicurando ai benefattori voti e preferenze.

Ovviamente, le iniziative di tal sorta ottengono maggiori risultati quando l'associazione patroci­natrice di benefici riesce ad inserire propri rap­presentanti negli organi di governo dì Regioni, Comuni, Comunità montane, USL, Province o in enti pubblici, magari motivando l'immissione di un proprio mandatario come strumento di difesa dei diritti degli utenti.

Molto diversamente si presentano le cose quando si cerca di modificare o, peggio ancora, capovolgere una situazione in atto; ad esempio, ottenere che gli anziani cronici non autosufficien­ti, spesso colpiti da pluripatologie, vengano rico­nosciuti come malati da curare e riabilitare in al­ternativa alla loro emarginazione in istituti di ri­covero assistenziale.

In questi casi, di grossa rilevanza politica ed economica, le istituzioni fanno muro. Esse, infat­ti, tutelano gli interessi precostituiti; a loro volta le forze politiche che rappresentano detti inte­ressi non accettano certamente di danneggiare coloro che li hanno eletti.

D'altra parte, se si accetta il principio demo­cratico, è indispensabile, per ottenere che i pro­getti vengano approvati con leggi, delibere o altri provvedimenti, che i progetti stessi siano condi­visi dalla maggioranza dei cittadini. «È pertanto antidemocratica la pretesa dei gruppi che vorreb­bero che le loro posizioni diventassero operative, per il solo fatto che essi ritengono che le loro proposte siano giuste» (2).

Partendo da queste premesse, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno sempre considerato il rapporto con le istituzioni come l'ultimo anello della catena; cioè come la conclusione di riven­dicazioni, di manifestazioni, di azioni di vario genere. Hanno sempre fatto il possibile affinché le proposte fossero articolate in modo compren­sibile e preciso e i loro contenuti innovativi fos­sero in diretto rapporto con le forze in campo.

L'adozione, l'affidamento familiare a scopo edu­cativo, l'attivazione di comunità alloggio, la crea­zione di corsi prelavorativi per handicappati in­tellettivi, l'assegnazione di alloggi ai cosiddetti casi sociali, sono tutte proposte dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA che le istituzioni hanno accolto, in tutto o in parte, solo dopo che era stata costituita la necessaria base culturale, era­no state attuate le conseguenti iniziative di pres­sione politica ed era stata ottenuta una consi­stente adesione di forze sociali, gruppi e citta­dini.

 

Atteggiamenti e comportamenti delle istituzioni

Lottare per il riconoscimento delle esigenze fondamentali e dei diritti delle persone (minori, handicappati, anziani) non autosufficienti o con gravi limitazioni delle proprie capacità di auto­difesa (3), è stato un impegno assunto dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA con la consape­volezza delle difficoltà che si sarebbero incon­trate.

Quando l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno po­sto i problemi di fondo dei cittadini più deboli indicando anche le relative soluzioni possibili a breve, medio e lungo termine, quasi sempre le istituzioni hanno inizialmente risposto in modo negativo o ambiguo.

In pochissimi casi la risposta è stata sincera: non abbiamo nessun interesse alle vostre pro­poste o non siamo d'accordo con le ipotesi di so­luzione da voi avanzate.

 

La negazione del problema

Sulla base delle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA si può affermare che il primo strumento utilizzato dalle istituzioni è la nega­zione del problema.

Ad esempio, agli inizi degli anni '60, alla ri­chiesta di iniziative per dare una famiglia ai bam­bini in situazione di abbandono morale e mate­riale, venne inizialmente affermato che ciò era impossibile in quanto non c'erano coppie dispo­nibili ad accogliere i minori (4).

La presunta carenza di famiglie e persone di­sponibili è anche l'alibi che da anni viene presen­tato dalle istituzioni che nulla fanno e nulla vo­gliono fare per la promozione dell'affidamento familiare a scopo educativo dei fanciulli in diffi­coltà e per l'istituzione del servizio di ospedaliz­zazione a domicilio di adulti e di anziani cronici non autosufficienti.

Molto spesso Regioni, Comuni, Comunità mon­tane, Province, USL enfatizzano la gravità degli abbandoni o delle carenze delle famiglie d'origine e avanzano come pretesto il disinteresse delle altre persone e nuclei per motivare il ricovero in istituti di minori, di handicappati, di anziani.

Sotto questo profilo, è significativo il fatto che le autorità politiche, civili e religiose quasi mai compiano atti diretti a riconoscere l'apporto delle famiglie, ad esempio di quelle che provve­dono a minori gravemente handicappati o ad an­ziani non autosufficienti, ma intervengono sem­pre e solo per esaltare il ruolo delle strutture di ricovero, spesso travisando la realtà dei fatti. Esse non perdono occasione per inaugurare o visitare istituti assistenziali, atti che - eviden­temente - hanno lo scopo di rafforzare il ruolo di dette strutture fornendo alla popolazione, tra­mite gli immancabili ampi resoconti dei giornali e della televisione, una immagine positiva del ricovero (5).

La predilezione per gli istituti non è nemmeno compensata dal riconoscimento della validità dei sacrifici, spesso gravissimi, compiuti da familiari e, a volte anche da terzi (6), che assistono a casa loro persone con limitata o nulla autonomia (han­dicappati e anziani non autosufficienti, persone con rilevanti disturbi psichici).

Mai le suddette persone vengono visitate da Presidenti della Repubblica o del Consiglio dei Ministri, da Sindaci, da Assessori e nemmeno da Papi e da Vescovi. Pertanto i cittadini non sono informati in merito alle iniziative di assistenza domiciliare familiare; a loro volta i parenti con­tinuano a vivere in una situazione di isolamento sociale e di solitudine personale con tutti gli ef­fetti negativi della mancanza di sostegno delle istituzioni pubbliche nei confronti degli interven­ti alternativi al ricovero, nonostante - fra l'al­tro - che detti interventi non solo siano estre­mamente utili per gli utenti, ma anche economi­camente poco costosi (7).

Ovviamente va tenuto conto - e nella loro azione l'ANFAA, l'ULCES e il CSA non hanno certo ignorato questo aspetto di rilevante im­portanza - che le strutture residenziali hanno un notevole potere economico e quindi anche un peso rilevante sul piano politico-clientelare (8). Inoltre esse hanno una influenza, spesso molto forte, sui mezzi di informazione di massa: a volte dispongono di proprie pubblicazioni periodiche.

 

La non decisione e la mobilitazione dei pregiudizi e dei luoghi comuni

Nel corso della loro attività di volontariato pro­mozionale l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno continuamente dovuto difendersi dalle non deci­sioni delle istituzioni stesse (9).

Fra le varie forme di non-decisione, la più usata dai politici (e a volte anche dai funzio­nari) è il rinvio degli incontri richiesti dai gruppi di volontariato promozionale. Le scuse non man­cano: impegni non dilazionabili, riunioni di par­tito, interviste a cui non possono dire di no (10).

Sovente gli appuntamenti concordati vengono rinviati all'ultimo momento. Occorre allora rico­minciare la fatica di contattare la segreteria, che ovviamente deve concordare l'incontro con l'in­teressato (il Sindaco, l'Assessore, ecc.). Seguo­no telefonate su telefonate per ottenere l'incon­tro, sperando che non venga nuovamente rinvia­to all'ultimo minuto.

Fra le altre forme di non-decisione, molto usa­ta è la creazione di commissioni di esperti e pre­sunti tali (cercando ovviamente di includervi an­che i responsabili del gruppo di pressione), ai quali viene affidato il compito di studiare i vari aspetti delle questioni sollevate e di individuare le soluzioni, che molto spesso sono così semplici da essere immediatamente concretizzabili senza troppi studi.

Ad esempio, non si comprende per quale moti­vo l'amministrazione, che assiste 15-20 handicap­pati intellettivi mediante ricovero in istituti si­tuati in zone lontane dall'abitazione dei loro fa­miliari, debba rinviare, magari per anni, ogni de­cisone alle conclusioni di una ricerca sulle pos­sibili soluzioni alternative e non cominci imme­diatamente a deliberare l'istituzione di 2-3 co­munità alloggio, a ricercare i locali, a individuare ed aggiornare il personale necessario.

Nella rete delle commissioni di studio, spe­cialmente all'inizio della loro attività, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA sono sovente caduti, anche se la partecipazione ai lavori non ha mai determi­nato l'abbandono delle iniziative di pressione.

Tuttavia, l'azione rivendicativa ha avuto cadute di tensione e rallentamenti anche notevoli, so­prattutto quando altri movimenti con i quali ope­ravano le organizzazioni di cui sopra, avevano accettato la costituzione della commissione di studio. In questi casi, fra l'altro, occorreva valu­tare se la partecipazione ai lavori della commis­sione da parte del o dei movimenti con cui si collaborava, era determinata dalla speranza di trovare un accordo con l'istituzione, oppure se era l'espediente per ottenere benefici per la propria associazione o per i rappresentanti inse­riti nel gruppo di lavoro.

Si tratta - com'è evidente - di valutazioni molto difficili, soprattutto nella fase iniziale dei lavori in cui non si dispone di riscontri oggettivi.

Altra modalità di non decisione consiste spes­so nell'affidamento di una ricerca, commissionata quasi sempre ad un gruppo della stessa tendenza politica dell'ente che la finanzia (11). La ricerca viene motivata dall'esigenza di conoscere tutti gli aspetti qualitativi e quantitativi del problema al fine di predisporre un piano organico di inter­vento.

In realtà si tratta, sovente, di una scappatoia per rinviare ogni decisione.

D'altra parte, molto spesso, non si comprende perché si voglia conoscere il numero esatto delle persone da assistere (12), ad esempio, mediante l'affidamento familiare a scopo educativo, quan­do l'istituzione non incomincia nemmeno a costi­tuire una équipe (anche minima) con l'incarico di provvedere nei confronti dei minori già in ca­rico ai servizi.

Altro strumento utilizzato dalle istituzioni è la mobilitazione dei pregiudizi e dei luoghi comu­ni (13).

A questo riguardo si ricorda: che all'azione svolta dall'ULCES e dal CSA per il riconoscimen­to del diritto degli anziani e degli adulti non au­tosufficienti alle cure, comprese - occorrendo - quelle ospedaliere, sovente siano state con­trapposte dalle istituzioni presunte conseguenze negative per gli altri malati.

In sostanza, si sosteneva e si sostiene che la permanenza negli ospedali degli anziani cronici non autosufficienti danneggerebbe i giovani e gli adulti colpiti da malattie acute (14).

In secondo luogo viene affermato che la per­manenza in ospedale è sempre e comunque nega­tiva per gli anziani cronici non autosufficienti, qualsiasi sia il trattamento fornito e indipenden­temente dalla qualificazione del personale e dalla configurazione edilizia dei locali (15). Ne derive­rebbe che gli anziani starebbero sempre male negli ospedali e invece vivrebbero bene negli istituti, anche quando, come spesso avviene, il personale è impreparato e insufficiente ed i ca­meroni comuni sono di 30-40 letti (16).

Inoltre si asserisce che negli ospedali gli an­ziani contrarrebbero frequentemente malattie provocate dalla permanenza in dette strutture, mentre nulla viene detto sulle conseguenze del ricovero di centinaia di anziani malati ammassati in strutture assistenziali, anche fatiscenti.

Infine si tenta di motivare la politica di incen­tivazione dei ricoveri con la falsa affermazione dei frequentissimi abbandoni degli anziani da parte dei loro familiari e si strumentalizzano i dati statistici (17).

La mobilitazione dei pregiudizi e dei luoghi comuni da parte delle istituzioni costituisce un ostacolo rilevante all'azione di promozione socia­le, soprattutto per l'amplificazione che viene ef­fettuata dai mezzi di informazione di massa.

Altra forma di non decisione è la presentazione da parte delle istituzioni di vincoli o inesistenti o superabili. Ad esempio l'interpretazione volu­tamente distorta di leggi (18) e di regolamenti, l'asserita opposizione da parte dell'organo ese­cutivo (giunta, comitato di gestione, consiglio di amministrazione) o degli organi di controllo (revi­sori dei conti, comitati regionali di controllo, ecc.). Al riguardo va segnalato l'espediente della presentazione di una delibera con motivazioni sbagliate a inconsistenti, in modo che il provve­dimento venga respinto dall'organo di controllo.

A volte la non decisione dell'istituzione è fa­vorita dal sostegno di organizzazioni apparente­mente di base, ma in realtà funzionanti su basi clientelari. Dette organizzazioni, che a volte sono costituite da volontari, hanno come finalità pre­valente o esclusiva il tornaconto dei dirigenti, tornaconto che viene realizzato mediante appoggi di varia natura all'istituzione (19).

 

Altri comportamenti delle istituzioni

Un motivo addotto dalle istituzioni per non istituire i servizi necessari o per non svilupparli in base alle esigenze è la carenza di mezzi eco­nomici. È una vecchia scusa, spesso destituita di ogni fondamento. È significativo che l'insuffi­cienza di risorse riguardi sempre e solo i servizi rivolti alle persone più deboli.

Per materie che non sono istituzionalmente di competenza (20) e che quindi potrebbero anche non essere gestite dalle istituzioni, com'è risa­puto, le risorse vengono trovate, soprattutto se dette funzioni procurano clienti e voti.

Da notare che un comportamento molto prati­cato dalle istituzioni è la sottrazione ai poveri di risorse ad essi destinate. Ad esempio, nel perio­do dal 1975 al 1989, a seguito del trasferimento di vari enti (Patronato scolastico, Ente comunale di assistenza, ONMI, ENAOLI e soprattutto IPAB), il Comune di Torino ha acquisito patrimoni per oltre 1.000 miliardi, patrimoni che, per legge, devono conservare, insieme ai relativi redditi, la destinazione a servizi assistenziali.

Orbene né la giunta comunale di sinistra, né quella pentapartitica (DC, PLI, PRI, PSDI, PSI) hanno provveduto ad utilizzare detti patrimoni per sopperire alle esigenze pur pressanti (21) della fascia più debole della popolazione. Li han­no invece destinati ad altri scopi (soprattutto a scuole e a uffici), per cui - ancora una volta - ai più bisognosi è stato sottratto quel che era loro destinato.

Purtroppo detto comportamento non riguarda solo il Comune di Torino: è un modo di agire estremamente diffuso e frequente, anche per il fatto che i patrimoni sono sottratti alla fascia di popolazione che non è in grado di autodifen­dersi (22).

Si noti che i Ministri dell'interno non hanno mai rispettato quanto disposto dall'art. 20 della legge 17 luglio 1890 n. 6972 che così si esprime: «Ogni anno il Ministro deve presentare al Sena­to e alla Camera dei deputati una relazione in­torno ai provvedimenti di concentramento, rag­gruppamento e trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e d! revi­sione di relativi statuti e regolamenti emanati nell'anno precedente. Deve pure presentare un elenco delle amministrazioni sciolte, coll'indica­zione dei motivi che avranno determinato lo scioglimento».

A causa della suddetta inadempienza (che du­ra da 100 anni) non è mai stato aggiornato il censimento delle IPAB, effettuato dalla Commis­sione reale negli anni 1880-1888, per cui molte IPAB sono letteralmente sparite insieme ai rela­tivi patrimoni.

D'altra parte il Ministero dell'interno e la stra­grande maggioranza delle Regioni (a cui sono state trasferite le competenze in materia con il DPR 616 del 1977) non hanno inventariato i beni mobili e immobili delle migliaia di IPAB esistenti, favorendo in tal modo la sottrazione di opere d'arte e di altri beni.

Inoltre, è noto che le istituzioni da decenni nulla fanno per intervenire contro l'evasione fi­scale che ha raggiunto i 50 mila miliardi annui (23).

Di fronte all'alibi della mancanza di risorse, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno controbattuto le argomentazioni di assessori e di funzionari, documentando le esigenze degli assistiti e delle persone assistibili e fornendo elementi concreti circa l'uso non distorto delle risorse disponibili.

Tolto dalla scena il pretesto della carenza dei mezzi economici, il confronto con le istituzioni ha spesso potuto fare passi avanti, sempre che vi fosse un adeguato sostegno alle rivendicazioni dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA da parte di altre organizzazioni o di un gruppo compatto di cittadini.

Se non si vogliono attivare servizi, un altro pretesto molto comodo per le istituzioni è la mancanza di personale. È una scappatoia sovente grossolana, in quanto, anche in questo caso, il personale per i servizi che portano potere e voti c'è sempre, anche se spesso, essendo esuberan­te rispetto alle necessità, grava pesantemente sul bilancio delle istituzioni (24).

D'altra parte, è noto che i vincoli di assunzione del personale da parte degli enti locali possono essere superati con il convenzionamento con or­ganizzazioni private e cioè con l'attribuzione a dette strutture della gestione di servizi specifici (ad esempio assistenza domiciliare e comunità alloggio).

Ma, ad avviso dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA, non tutti i servizi sono affidabili ai privati. Ad esempio, dovrebbero restare di competenza dell'ente pubblico l'accertamento del diritto alla prestazione, l'esame dei ricorsi presentati dagli utenti, gli affidamenti familiari a scopo educativo e la valutazione dello stato di adottabilità dei minori. Si tratta infatti di prestazioni riguardanti diritti che incidono in misura sostanziale sulla vi­ta delle persone.

Per altri servizi (comunità alloggio, corsi pre­lavorativi per insufficienti mentali istituiti presso i normali centri di formazione professionale, as­sistenza domiciliare, ospedalizzazione a domi­cilio), l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno operato ed operano perché - anche al fine di non creare monopoli - vi fosse e vi sia una ripartizione equa fra gestione pubblica e gestione privata (25).

Si osservi altresì che la carenza di personale è, a volte, determinata dalla inattività delle isti­tuzioni. Lo comprova, ad esempio l'allora Mini­stro della Sanità, Donat Cattin, il quale dichiarò che «in due anni non è mai pervenuta al Ministe­ro una sola richiesta di aumento di organici a To­rino» (26). Ciò appare tanto più grave, in quanto da anni gli ospedali torinesi affermano che la causa principale delle loro disfunzioni va attri­buita alla insufficienza del personale, in partico­lare di infermieri. Al riguardo, un primario del­l'Ospedale Molinette di Torino aveva dichiarato che gli mancava «la metà degli infermieri neces­sari» (27). Negli stessi giorni i paramedici dell'Ospedale Mauriziano, anch'esso di Torino, invi­tavano «i cittadini a non recarsi al loro pronto soccorso perché mancavano posti e personale» (28).

Nella loro attività, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno sperimentato ancora altri comportamenti delle istituzioni.

Uno di essi è la proposta ai responsabili del gruppo di pressione di entrare a far parte della istituzione o come dipendenti o consulenti (in genere lautamente pagati) o come futuri membri dell'istituzione stessa (candidati al Parlamento oppure al Consiglio regionale, provinciale o più frequentemente, comunale) o come componenti di uno dei numerosi consigli di amministrazione.

Non è raro il caso in cui il gruppo di base si spezzi a seguito dell'accettazione da parte di uno o più componenti, di inserirsi nell'istituzione.

Va anche precisato che uno dei comportamenti usati abbastanza sovente dalle istituzioni è il di­scredito dei movimenti di base che promuovono i diritti dei più deboli e la denigrazione dei suoi componenti più rappresentativi.

Ad esempio, l'ANFAA era stata accusata dal responsabile del servizio di igiene mentale di Torino di aver irresponsabilmente sostenuto che «la peggior famiglia è preferibile al miglior isti­tuto», mentre in realtà l'ANFAA dal 1962 ad oggi ha sempre ritenuto che «il miglior istituto non può essere preferito ad una normale famiglia».

Negli ultimi anni vi è stato chi ha diffamato l'azione svolta dall'ULCES e dal CSA per il rico­noscimento del diritto alla cura degli anziani cronici non autosufficienti, affermando che in ef­fetti sì volevano trasformare gli ospedali in cro­nicari (29).

Un altro mezzo è lo svilimento dell'azione delle organizzazioni di volontariato promozionale. Gli amministratori delle istituzioni pubbliche le accusano sovente di non rappresentare nessun cittadino, mentre essi sono stati democratica­mente eletti dalla popolazione e sono anche stati preferiti dai votanti rispetto ad altri candidati.

Certamente le organizzazioni di volontariato non hanno altra rappresentanza che quella dei propri aderenti e dei gruppi alleati. Tuttavia è proprio dal corretto rapporto dialettico fra isti­tuzioni, operatori, associazioni, gruppi di volon­tariato che possono essere approntate le solu­zioni più idonee. Queste considerazioni valgono soprattutto per l'individuazione delle esigenze e delle possibili risposte per le persone che non sono in grado di autodifendersi.

Va altresì segnalato che, a volte, le istituzioni arrivano a fornire informazioni distorte al fine di raggiungere i loro obiettivi.

È il caso, ad esempio, delle notizie fornite dall'Assessore all'assistenza della Regione Piemon­te ai Sindacati e ai Partiti di opposizione in me­rito all'asserito rifiuto del Commissario di Gover­no di approvare la pianta organica per il perso­nale dei servizi assistenziali delle Unità socio­sanitarie piemontesi, mentre, in realtà, la legge della Regione Piemonte 7 marzo 1988 n. 12, che definiva le suddette piante organiche, era entrata in vigore in quanta, come risulta dal Bollettino ufficiale n. 11 del 15 marzo 1988 «il visto del Commissario di Governo si intende apposto per decorso del termine di legge».

A seguito dell'informazione distorta fornita ai Sindacati e ai partiti di opposizione (30), il Con­siglio regionale piemontese revocò le norme re­lative alla pianta organica stabilite dalla legge regionale 7 marzo 1988 n. 13 e approvò la legge 6 luglio 1988 n. 31, in base alla quale il personale dei servizi socio-assistenziali delle USSL non può essere inquadrato nei, ruoli organici, ma continua a restare alle dipendenze degli enti di provenien­za (Comuni, Province, Comunità montane, ecc.) per quanto concerne inquadramento, carriere, stipendi e permessi, mentre fa riferimento alla USSL solo in relazione al funzionamento dei ser­vizi.

Questo ed altri esempi dimostrano che una delle questioni di fondamentale importanza per le organizzazioni di volontariato promozionale è l'autonomia delle informazioni e delle elabora­zioni, in modo da cogliere i! significato vero delle numerose «cortine fumogene» sparse dalle isti­tuzioni per confondere le idee.

Spesso, troppo spesso, sindaci, presidenti di Province e di USL, assessori raccolgono il con­senso, e a volte l'applauso dei volontari sprov­veduti, anche quando questi amministratori han­no l'oggettiva responsabilità della carenza o ine­sistenza dei servizi.

Altra modalità di intervento delle istituzioni che continua ad avere un largo e immeritato fa­vore da parte di molti cittadini sono le promesse tranquillizzanti e illusorie. Si afferma, in sostan­za, che il problema sollevato è in via di soluzio­ne: è sufficiente avere un po' di pazienza e fiducia.

Al riguardo, quale esempio significativo, ripor­tiamo le affermazioni contenute nel paragrafa 65 del rapporto preliminare al programma econo­mico nazionale 1971-75 a proposito degli anziani: «L'insieme delle riforme che investiranno il set­tore sanitario, quello delle prestazioni economi­che previdenziali e il settore dei servizi sociali, permetterà di formulare una politica sociale a favore degli anziani più aderente ai bisogni reali di questo gruppo di popolazione in aumento.

«Gli interventi fondamentali nel settore dovran­no consentire agli anziani di continuare a vivere nel loro ambiente sociale originario e dovranno soddisfare i loro bisogni peculiari senza isolarli dal resto della società».

Erano altresì previsti «alloggi speciali per pen­sionati da prevedere nell'ambito dell'edilizia po­polare e sovvenzionata e il servizio domiciliare».

Se si tiene conto che sono passati vent'anni, ci si rende conto che si trattava di promesse tanto tranquillizzanti, quanto illusorie.

Infine vanno ricordate le ritorsioni delle isti­tuzioni nei confronti dei gruppi di volontariato promozionale meno arrendevoli e nei riguardi dei loro esponenti più rappresentativi. Se si tratta di dipendenti delle istituzioni, la loro progressio­ne di carriera viene ostacolata o bloccata. Nei confronti di altre persone vi sono state improv­vise irruzioni dì organi di controllo per verifiche anche minuziose su aspetti marginali. Ad esem­pio, a difesa dei diritti degli handicappati rifiutati dall'hotel K2 di Bellaria intervenne il Sindaco, che dispose la chiusura dell'hotel per sei giorni, sollevando la reazione degli albergatori che, in segno di protesta, minacciarono di spegnere tut­te le insegne dei loro locali. Nello stesso tempo, l'ANIEP inviò un esposto al Procuratore della Repubblica di Forlì per la violazione dell'articolo 27 della legge 118/1971 che stabilisce: «In nes­sun luogo pubblico o aperto al pubblico può es­sere vietato l'accesso ai minorati».

Ebbene, pochi giorni dopo, «su mandato del Procuratore della Repubblica di Rimini, i carabi­nieri effettuarono un'indagine meticolosa, una ve­ra perquisizione, sulla casa marina dell'ANIEP e sulla sua regolarità» (31).

 

Il condizionamento economico

Per le organizzazioni che criticano le istituzio­ni, anche con motivazioni inoppugnabili, i contri­buti economici degli enti pubblici (Regioni, Co­muni, Province, ecc.) o sono di entità estrema­mente limitata, oppure - il che avviene con mag­giore frequenza - non vengono corrisposti.

Va inoltre segnalato che alle censure degli enti pubblici da parte delle organizzazioni private che gestiscono servizi, le istituzioni generalmen­te rispondono con la minaccia di non rinnovare più la convenzione (con la conseguente inevita­bile licenziamento del personale) o con altri ri­catti (pagamenti ritardati, controlli burocratici

estenuanti, continua richiesta di giustificativi contabili). È una situazione che dimostra l'estre­ma difficoltà o impossibilità di svolgere contem­poraneamente attività di gestione e azioni pro­mozionali.

 

 

 

(1) Sull'attività dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA, si vedano gli articoli apparsi su Prospettive assistenziali: Esperienze di volontariato promozionale, n. 79, luglio-set­tembre 1987; Obiettivi, strumenti e criteri di Intervento del volontariato promozionale attuato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA, n. 83, luglio-settembre 1988; Diritti dei cittadino debole: riferimento prioritario del volontariato promozionale praticato dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA, n. 87, luglio-settembre 1989.

(2) Cfr. «Obiettivi, strumenti e criteri ...», art. cit.

(3) Ad esempio, il diritto alla famiglia da parte dei mi­nori in situazione di abbandono materiale e morale; il di­ritto all'inserimento degli handicappati nelle normali strut­ture prescolastiche, scolastiche, abitative e lavorative; il diritto degli anziani cronici non autosufficienti alle cure sanitarie.

(4) In quel periodo venne addirittura proposta la crea­zione di «una banca del nome», in modo che le persone disponibili potessero dare il loro cognome (senza alcun altro impegno di qualsiasi genere) ai figli di ignoti ai quali gli ufficiali dello stato civile attribuivano e attribuiscono cognomi inventati. In sostanza, si riteneva che il problema di fondo per i bambini in situazione di abbandono non fosse la carenza di cure familiari, ma semplicemente il possesso di un cognome fittizio. Cfr. A. Cicotero, Gli ille­gittimi - Aspetti sociali, giuridici, assistenziali del proble­ma dei figli illegittimi, UTET, Torino, 1951.

(5) Ricordiamo, ad esempio, l'inaugurazione dell'istituto provinciale per l'infanzia di Genova Quarto (capienza 420 posti), avvenuta il 7 ottobre 1967 con l'intervento del Pre­sidente della Repubblica Saragat. Si noti che per dar corso alla cerimonia nonostante i lavori non fossero terminati, le autorità della Provincia di Genova portarono i bambini al mattino nella nuova sede per riportarli alla sera in quella da cui erano stati prelevati. A sua volta il Presi­dente Leone nel 1973 ha visitato l'istituto «Giuseppina Saragat» di Anzio, il «Cottolengo» di Torino, il complesso «Sacra Famiglia» di Cesano Boscone (3.000 ricoverati). Inoltre ha dato l'alto patrocinio alla «Caccia al tesoro in­ternazionale di beneficenza» a favore dei ritardati men­tali che ha avuto luogo a Venezia il 7-8 ottobre 1973 con L'intervento della moglie Vittoria Leone e dei principi di Monaco e di Liegi. In data 3 settembre 1989 il Presidente della Repubblica Cossiga ha inaugurato a S. Germano Chisone (Torino) un nuovo ricovero per 80 anziani.

Circa la visita del Pontefice al «Cottolengo» di Torino nel 1980 si veda G. Pagliarello, Il discorso del Papa al Cotto­lengo, in Prospettive assistenziali, n. 50, aprile-giugno 1980.

(6) Si pensi, ad esempio, alle famiglie affidatarie con minori anche gravemente handicappati e a coloro (parenti e non) che accolgono anziani anche non autosufficienti. Cfr. Inserimento familiare di adulti, handicappati e di an­ziani, in Prospettive assistenziali, n. 66, aprile-giugno 1984.

(7) Va sottolineato che, in genere, non solo gli inter­venti domiciliari costano meno del ricovero per quanto concerne la gestione, ma anche in merito alla loro isti­tuzione; infatti non richiedono spese di investimento. Per la costruzione di un posto letto in istituto assistenziale, ad esempio, la spesa è di 70-80 milioni.

(8) In un prossimo articolo tratteremo -distesamente questo problema alla luce delle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA.

(9) I temi della non decisione e della mobilitazione del pregiudizio sono magistralmente trattati nel volume di P. Bachrach e M.S. Baratz, Le due facce del potere, Liviana Editrice, Padova, 1986. Gli Autori, dopo una ricerca durata più di dieci anni, affermano che i conservatori dispongono di un mezzo di lotta politica che non hanno né possono avere gli innovatori: si tratta dello strumento della non­decisione.

(10) Ad esempio, l'Assessore alla sanità e assistenza del Comune di Torino, Giuseppe Bracco (DC), affermò di non poter partecipare per precedenti, indifferibili e im­portanti impegni al convegno di Torino del 3 giugno 1989 «A sostegno di famiglie e persone in difficoltà: priorità degli interventi domiciliari», organizzato da dieci organiz­zazioni di volontariato. In realtà, non voleva confrontarsi con i movimenti di base e discutere con i Capi gruppo della DC, del PCI e del PSI. Il suo indifferibile impegno era la partecipazione a Montiglio (a pochi chilometri da Torino) a un pranzo offerto dal Gruppo anziani della Micro­tecnica, una azienda del capoluogo piemontese. Cfr. Con­trocittà, n. 8, agosto 1989.

(11) Nel settore assistenziale vi sono anche centri dl ricerca il cui vero scopo è quello di appoggiare questa o quella istituzione (o peggio ancora questo o quel perso­naggio) ricevendo come contropartita finanziamenti soven­te cospicui.

(12) E preoccupante l'atteggiamento di molte associa­zioni che continuano a richiedere il censimento degli han­dicappati, ad esempio, degli insufficienti mentali, censi­mento inattuabile in quanto - per fortuna - non esiste un confine fra la normalità intellettiva e l'insufficienza mentale. È soprattutto preoccupante il fatto che, nel frat­tempo, le organizzazioni richiedenti restino - come spes­so avviene - nella inattiva attesa dei risultati.

(13) Nel citato libro Le due facce del potere (cfr. la nota 9), gli Autori affermano che, mediante la non-deci­sione, i conservatori dispongono anche del tempo neces­sario per provvedere alla «mobilitazione del pregiudizio» e cioè ricorrere agli stereotipi, ai miti, ai rituali, ai falsi valori che favoriscono l'opposizione al cambiamento.

(14) Sfruttando la minor considerazione sociale che la popolazione ha nei confronti dei vecchi, per una maggiore efficacia della mobilitazione del pregiudizio, vengono volu­tamente ignorati i giovani e gli adulti cronici non auto­sufficienti.

(15) Questa affermazione è vistosamente contraddetta dalla presenza di adulti e anziani cronici non autosuffi­cienti nelle camere a pagamento degli ospedali pubblici, con costi addirittura più bassi delle rette degli istituti as­sistenziali di ricovero. Nell'ospedale Molinette di Torino, ai pazienti delle camere (singole!) a pagamento vengono addebitate L. 33mila al giorno, mentre ai ricoverati nell'istituto Carlo Alberto gestito direttamente dal Comune di Torino, la retta giornaliera a carico dei ricoverati nelle corsie di 35 posti è di L. 36.400 al giorno!

(16) Cfr. Cronicari fuorilegge, due inchieste della Fede­razione Nazionale Pensionati CISL, in Prospettive assisten­ziali, n. 74, aprile-giugno 1986 e n. 87, luglio-settembre 1989.

(17) Si citano i dati statistici sull'aumento degli anzia­ni, ignorando volutamente che gli ultrasessantenni di oggi godono di livelli di autonomia non certamente comparabili con quelli degli scorsi decenni. Pertanto, l'aumento dei numero degli ultrasessantenni non determina un propor­zionale aumento delle persone bisognose di cure e di assi­stenza. Non è escluso che ricerche approfondite dimostri­no che all'aumento numerico degli ultrasessantenni corri­sponde una diminuzione in valori assoluti degli anziani parzialmente o totalmente non autosufficienti.

Circa il falso luogo comune del parcheggio, soprattutto estivo, degli anziani negli ospedali si veda: AA.VV., Il ma­lato dichiarato cronico in ospedale e sul territorio, Ricerca svolta dall'USL Roma 9, 1985; AA.VV., La degenza ospe­daliera prolungata - Indagine conoscitiva nella USL RM 4, Roma, 1988.

Si veda inoltre in Prospettive assistenziali: Anziani cro­nici: obblighi del Servizio sanitario e l'alibi dei figli ingrati, n. 67, luglio-settembre 1984; Il Ministro della sanità non smentisce i diritti degli anziani cronici non autosufficienti, n. 80, ottobre-dicembre 1987; C. Hanau, R. Moretti, Sta­gionalità dei ricoveri in ospedale, con particolare riferi­mento agli anziani, n. 87, luglio-settembre 1989.

(18) Nel campo degli anziani cronici non autosufficienti le autorità non fanno mai riferimento alle leggi vigenti che sanciscono il loro diritto alle cure sanitarie. Vi sono anche enti di ricerca che omettono detto riferimento di fonda­mentale importanza per il rispetto dei diritti dei cittadini. Al riguardo si veda F. Santanera, Ricerca Labos sugli an­ziani non autosufficienti: metodologia e conclusioni fuor­vianti, in Prospettive assistenziali, n. 82, aprile-giugno 1988 e la lettera del Labos e la relativa risposta pubblicata sulla stessa rivista, n. 85, gennaio-marzo 1989.

(19) Scorrendo le delibere degli enti pubblici concer­nenti i contributi erogati, è facile individuare le organiz­zazioni che possono essere definite clientelari.

(20) Si noti che fino a qualche anno fa le spese per l'assistenza erano obbligatorie per i Comuni ai sensi del D.L. 3 marzo 1934 n. 383 (art. 91). Ciò nonostante, la stragrande maggioranza dei Comuni non ha mai stanziato una lira.

(21) Tanto per citare una situazione estremamente gra­ve, da anni centinaia sono i minori, gli handicappati e gli anziani ricoverati in istituti situati anche fuori della Re­gione Piemonte, a causa della carenza dei servizi in Torino. Fra i servizi carenti vi sono anche quelli il cui costo è, per l'ente pubblico, inferiore alla retta di ricovero. Si tratta ad esempio, degli interventi economici diretti ad assicurare il «minimo vitale», dell'assistenza domiciliare, dell'affidamento familiare a scopo educativo, dell'adozione, dell'ospedalizzazione a domicilio.

(22) Si veda l'articolo Evitare che la legge di riforma dell'assistenza sottragga i patrimoni ai poveri, in Prospet­tive assistenziali, n. 80, ottobre-dicembre 1987, in cui è anche riportata la rilevante consistenza immobiliare di tre IPAB di Roma (S. Michele, S. Maria in Aquino e Santa Caterina della Rosa).

(23) Cfr. l'editoriale del n. 87, luglio-settembre 1989 di Prospettive assistenziali.

(24) In una situazione di dichiarata carenza di risorse economiche, a parte il problema - di fondamentale rile­vanza - della lotta all'evasione fiscale, non si comprende per quale motivo si continui a permettere a Regioni, Co­muni, Province, Comunità montane di svolgere funzioni spesso estremamente costose, non rientranti fra quelle che l'Ente deve istituire in base alle leggi vigenti. A que­sto proposito sarebbe necessaria e urgente una legge che vietasse agli enti pubblici di istituire servizi non obbliga­tori per legge, salvo che !a maggioranza dei cittadini in­teressati esprimano con un voto il consenso a sopportare i relativi oneri.

(25) Si veda, ad esempio, la delibera del Comune dl Torino del 14 settembre 1976, n. 1398, ancora oggi in vi­gore, il cui testo è stato predisposto dal CSA. Cfr. Pro­spettive assistenziali, n. 35, luglio-settembre 1976.

(26) Cfr. La Stampa del 3 dicembre 1988 «La Regione fermò le richieste». I dirigenti delle Molinette, l'ospedale più importante di Torino e del Piemonte, hanno replicato al Ministro, affermando che le richieste di nuovo perso­nale erano state avanzate, ma che «si sono arenate in Re­gione». Da osservare che la Regione Piemonte, negli ul­timi dieci anni, con il pieno consenso delle USL e dei Sin­dacati, ha autorizzato il trasferimento in altre regioni, so­prattutto meridionali, di oltre 1.000 addetti della sanità, in­fermieri nella stragrande maggioranza dei casi.

(27) Cfr. Il Nostro Tempo dell'11 dicembre 1988.

(28) Ibidem. Nello stesso articolo è riportata la dichia­razione del Ministro della sanità secondo cui il Piemonte «non è neppure in grado dl spendere i soldi di cui di­spone».

(29) Si ricorda che il CSA è attivamente intervenuto, in collaborazione con l'Istituto di geriatria e gerontologia dell'Università di Torino, per l'istituzione del servizio di ospe­dalizzazione a domicilio, il primo realizzato in Italia.

(30) Si tenga conto dell'abissale ingenuità dei Sindacati e dei Consiglieri regionali che abrogano una legge sulla base di una presunta affermazione verbale di funzionari del Commissario di Governo.

(31) Cfr. G. Selleri, La vicenda dell'hotel K2 di Bellaria: una inammissibile discriminazione, in Prospettive assi­stenziali, n. 80, ottobre-dicembre 1987.

 

 

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