Prospettive assistenziali, n. 87, luglio-settembre 1989

 

 

INTERVENTI DOMICILARI PER GLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI: UNA PRIORITA PER UTENTI, FAMILIARI, AMMINISTRATORI, OPERATORI E VOLONTARI

GIOVANNI NERVO

 

 

Organizzato dal CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti e da Prospettive assisten­ziali, si è svolto a Torino in data 12 novembre '88 il convegno regionale piemontese «Anziani cro­nici non autosufficienti: dal ricovero in istituti di assistenza a idonei interventi domiciliari e terri­toriali di prevenzione, cura e riattivazione» (1).

Pubblichiamo il testo integrale della relazione tenuta da Mons. Giovanni Nervo, Coordinatore della Conferenza Episcopale Italiana per i rappor­ti Chiesa - Territorio.

 

Il tema del mio intervento suppone a monte una linea e una scelta; che gli anziani, anche quando sono cronici non autosufficienti, devono poter rimanere a casa loro e nel loro ambiente di vita il più possibile; che cioè devono essere allontanati soltanto quando questo è richiesto dal loro vero interesse, ad esempio per un inter­vento sanitario che non può essere fatto a domi­cilio, o quando la famiglia non esiste, o non può dare nessun supporto, o quando scelgono loro stessi liberamente di andare in una casa di rico­vero. Però la scelta, per essere vera, deve avere delle alternative reali e valide.

Su che cosa si fonda questa linea e questa scelta?

Tempo fa mi è stato chiesto di tenere una re­lazione su questo tema: «I fondamenti etici e so­ciali dei diritti degli anziani nei confronti della famiglia». È ovvio che quando sì parla di inter­venti domiciliari in prima linea si trova innanzi­tutto la famiglia, o spezzoni di famiglia, anche se servizi domiciliari non vuol dire sempre e neces­sariamente servizio all'anziano in famiglia.

Una recente ricerca del Censis forniva questo dato: il 17% delle famiglie italiane ha al suo in­terno una persona da assistere, e nel 77% dei casi l'assistenza è affidata prevalentemente alla famiglia. Però, per parlare dei fondamenti etici dei diritti degli anziani nei confronti della fami­glia, ho dovuto verificare se questi diritti sul pia­no della legislazione positiva esistono.

Ho analizzato le diverse fonti e ho trovato questi risultati, che dò come provvisori e da ve­rificare perché io non sono un giurista, anche se ovviamente sono ricorso alla consulenza di giu­risti. La Costituzione non parla di diritti degli an­ziani nei confronti della famiglia; parla dei diritti dei genitori nei confronti dei figli, ma non vice­versa. Anzi, nella Costituzione non c'è la parola anziano: l'anziano è un cittadino che ha tutti i di­ritti e tutti i doveri degli altri cittadini.

 

Nella Bibbia

Neppure il Codice civile parla di diritti degli anziani nei confronti della famiglia; e neppure il Codice di diritto canonico. Quindi, sul piano stret­tamente giuridico, nessun diritto nei confronti della famiglia.

Sul piano religioso ne parla invece con forza la Bibbia. Deuteronomio, 5,6: «Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio ti ha comandato»; ancora, 27,16: «Maledetto chi maltratta il padre e la madre». Siracide: 3,1 e segg.: «Figlio soccor­ri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo du­rante la sua vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo».

Degli anziani parla il Vaticano II nella Gaudium et Spes: «I figli... risponderanno ai benefici rice­vuti dai genitori con affetto riconoscente, con de­vozione e fiducia; e saranno loro vicini, come si conviene ai figli, nelle avversità e nella solitudi­ne della vecchiaia».

Ci troviamo di fronte a doveri e diritti etici, che si usava chiamare naturali, che non hanno riscontro nel diritto positivo. Sembra che i diritti sanciti dalla Costituzione per tutti i cittadini, e quindi anche per gli anziani, e quelli sanciti da leggi specifiche per gli anziani abbiano come soggetto corrispondente di doveri, non la fami­glia, ma la società.

Un quesito: i doveri della famiglia verso gli anziani, affermati con tanto vigore dalla Bibbia e richiamati dal Concilio, non hanno forse un ri­scontro sociale soltanto nella società rurale do­ve la famiglia costituiva un sistema primordiale di sicurezza sociale? Questi riferimenti etici val­gono ancora in una società avanzate come la no­stra, dove la sicurezza sociale è basata non più sulla solidarietà familiare - la legge 833 di ri­forma sanitaria non fa cenno alla famiglia - ma sulla solidarietà nazionale con le sue leggi, le sue istituzioni, i suoi servizi?

Ma la solidarietà nazionale, è in grado di ri­spondere da sola, senza la solidarietà della fa­miglia, ai bisogni e quindi ai diritti degli anziani?

 

Due diritti

Ci sono due bisogni fondamentali degli anziani e quindi due diritti fondamentali che la sicurezza sociale non è in grado di soddisfare pienamente senza il coinvolgimento della famiglia, se c'è.

Gli anziani hanno diritto che la famiglia non li allontani dal loro ambiente di vita, dove hanno i loro punti di riferimento, i loro interessi, i loro legami con le persone e con le cose, perché han­no bisogno di questi punti di riferimento, di que­sti legami e di questi interessi per non cadere ra­pidamente nella non autosufficienza.

Ampie e rigorose ricerche scientifiche hanno dimostrato quello che d'altronde l'esperienza quo­tidiana ci dice: la persona anziana fino a che ha impegni, rapporti, attività sta bene e rimane effi­ciente; quando vengono meno questi stimoli esi­stenziali decade rapidamente nella inerzia e nella non autosufficienza.

In secondo luogo gli anziani hanno diritto che la famiglia non li abbandoni affettivamente, per­ché hanno bisogno di affetto per vivere. La perso­na anziana, quando non è più amata da nessuno, non è più niente per nessuno, rapidamente muo­re. Il bambino senza affetto cresce male, l'anzia­no senza affetto muore, si lascia morire.

È ovvio che l'affetto non può essere garantito da una legge positiva, però il bisogno rimane e il diritto rimane. La legge deve creare le condizio­ni. Anche questo è ampiamente dimostrato dalle ricerche scientifiche e dalla esperienza quotidia­na. L'anziano potrà anche capire che, in certe cir­costanze, i suoi non lo possono tenere con sé, e accettare a malincuore e con sofferenza di dover andare in una casa di riposo; ma non potrà mai accettare di essere abbandonato dai figli.

Questi due diritti, che la famiglia non allontani l'anziano dal suo ambiente e che non lo abban­doni affettivamente, hanno il loro fondamento nei bisogni primari ed esistenziali dell'anziano; oggi non sono esigibili sul piano giuridico ma costi­tuiscono pesanti e gravi doveri morali per la fa­miglia, non delegabili a nessuno.

Ecco perché la priorità degli interventi domi­ciliari. Mi riferisco particolarmente a tre com­ponenti: familiari, amministratori, volontari. Non possiamo nasconderci che molte famiglie, per consentire agli anziani di rimanere nel loro am­biente di vita, devono modificare qualche cosa nel loro costume, nella mentalità, nell'organizza­zione della casa.

E qui c'è un'azione culturale ed educativa da compiere che investe la responsabilità di tutte le agenzie formative dalla scuola, alle associa­zioni, alla Chiesa, ma ritorna ad avere la sua se­de naturale fondamentale e determinante nella famiglia stessa.

Sarebbe però ingiusto, ipocrita e senza risulta­to far ricadere tutte le responsabilità e il peso sulle famiglie. Perché è vero che con la denata­lità sono meno aggravate dai figli - uno o due, contro i cinque-sei di 50 anni fa. Ma è anche vero che hanno meno risorse per farsi carico degli an­ziani. E qui entra in gioco la responsabilità degli amministratori, degli enti locali.

 

La famiglia

La famiglia è aiutata, stimolata ad assolvere a quei due doveri fondamentali indicati sopra: mantenere presso di sé gli anziani fino a che è possibile, non abbandonarli quando diventa ne­cessario o inevitabile il ricovero, se i Comuni e (e USL sviluppano sul territorio una efficace as­sistenza domiciliare integrata, l'ospedalizzazione a domicilio dove è necessario e possibile, servizi diurni integrativi della famiglia, il telesoccorso, piccole strutture residenziali quando si rende in­dispensabile un ricovero temporaneo o perma­nente.

Ma tutto questo richiede che nella formulazio­ne delle leggi regionali, dei piani regionali socio­sanitari e socio-assistenziali e dei bilanci dei Co­muni e delle USL si dia priorità, nell'assegnazio­ne delle risorse, a questo tipo di servizi.

Le Regioni, e quindi anche la Regione Piemon­te, stanno preparando il riparto della cifra che loro spetta dei 30 mila miliardi stanziati dalla leg­ge finanziaria dello scorso anno per 140 mila po­sti letto per anziani che non possono essere as­sistiti in famiglia. Faccio osservare che in questa legge non è stata osservata la priorità dei servizi domiciliari, perché la finanziaria ha destinato qualche cosa come circa 8 mila miliardi in sei anni per i 140 mila posti letto e non ha stanziato neppure una lira per i servizi domiciliari. Perciò quei soldi saranno dati alle case di riposo e po­tranno servire per aiutare le famiglie a mante­nere i rapporti can i loro vecchi o ad allontanare i vecchi dalle loro famiglie.

Aiuteranno le famiglie a mantenere i rapporti con i loro vecchi, se saranno dati a piccole strut­ture collocate nel paese o nel quartiere, vicino al­le loro famiglie. Serviranno invece ad allontanare i vecchi dalle famiglie se saranno dati a grandi case di riposo, vere concentrazioni di vecchi che vengono da tutte le parti a morire; oppure se vengono dati a case di riposo lontane, isolate dal resto del mondo; oppure a strutture che lavora­no per il profitto: le quali non hanno nessun inte­resse alle piccole strutture inserite nell'ambiente di vita degli anziani, perché non è con esse che si fanno i soldi.

Oggi nessuna Regione avrebbe il coraggio di dire nel suo Piano regionale socio-sanitario e nei suoi piani di settore che dà la priorità alle case di riposo e non ai servizi domiciliari: nessun par­tito lo affermerebbe nel programma elettorale. Però se i soldi si destinano alle case di riposo e non si destinano ai servizi domiciliari, vuol dire che si ha più interesse a far le case di riposo che a mantenere gli anziani, con libertà e dignità, nel loro ambiente.

 

Il volontariato

E il volontariato?

Vale la stessa cosa: dove pone i suoi servizi? Dà priorità al sostegno alla famiglia o al servizio in casa di riposo? Dico priorità, perché anche gli anziani da imboccare in casa di riposo sono per­sone; ma se si vuole effettivamente mantenere l'anziano, anche non autosufficiente, nel suo am­biente di vita, occorre accentuare la presenza e i servizi, anche del volontariato, a supporto dei servizi del territorio e della famiglia.

Mi sembra pertinente richiamare, a conclusio­ne, un passaggio del discorso di Giovanni Paolo II alla Conferenza internazionale che si è svolta nei giorni scorsi in Vaticano ad iniziativa della Pontificia Commissione per la pastorale degli operatori sanitari sul tema «Longevità e qualità della vita», che si collega assai bene agli inter­venti del Cardinale Martini e del Senatore Bobbio nel Convegno di Milano del 20-21 maggio 1988: «Il crescente fenomeno dell'affidamento dell'an­ziano alle strutture pubbliche o private, le quali, nonostante i buoni intendimenti - ha affermato Giovanni Paolo II - in genere non sono in grado di aiutarlo totalmente a superare la barriera dell'isolamento psicologico e soprattutto dell'emar­ginazione familiare, privandolo del calore della famiglia».

Ma non è questa la risposta ideale. Per il Papa l'obiettivo verso cui ci si deve orientare è che l'anziano possa restare nella sua casa, contando eventualmente su adeguate forme di assistenza domiciliare. In ciò all'impegno pubblico potrà af­fiancarsi l'azione del volontariato, con l'apporto delle iniziative ispirate dagli insegnamenti della Chiesa cattolica, come anche da quelli di altri movimenti religiosi e umanitari meritevoli di ri­spetto e di gratitudine.

È un indirizzo che ci stimola, ci incoraggia, ci impegna tutti.

Noi, come Fondazione Zancan, l'anno scorso abbiamo fatto un seminario proprio sulla ridefi­nizione del volontariato, perché questo termine molte volte è usato in maniera molto equivoca e con esso si indicano anche cose che non sono volontariato. Siamo arrivati alla conclusione che c'è più chiarezza se si adopera il termine: terzo sistema o terzo settore. Il primo comprende lo Stato, il secondo il mercato, il terzo comprende tante tipologie diverse: istituzioni non a scopo di lucro che non sono volontariato; le cooperative che gestiscono servizi sociali che non sono vo­lontariato; le cooperative integrate (handicappa­ti, dimessi dall'ospedale psichiatrico etc.) che non sono volontariato; le cooperative di solida­rietà sociale dove il volontariato entra come una componente mentre ci sono persone stipendiate e quelle non sono volontariato; le cooperative in quanto tali poi non sono volontariato, perché la cooperativa, anche di solidarietà, è un'impresa autogestita, che deve rispettare le norme orga­nizzative dell'impresa; ci sono le comunità di accoglienza, dove entra il volontariato come com­ponente, ma entrano anche persone stipendiate e quello non è volontariato; e c'è il volontariato, le associazioni di volontariato che hanno come caratteristica essenziale la spontaneità, la gra­tuità, che non esclude il rimborso delle spese vive, e la continuità per garantire le prestazioni. Noi riteniamo che, in senso vero, autentico, com­pleto questo si possa chiamare volontariato: tut­to il resto ha attinenza con il volontariato perché ha valori comuni, ci sono degli interscambi, dei supporti reciproci.

Le associazioni poi, le grandi associazioni, le ACLI, l'AGESCI, l'ARCI, etc. non sono volonta­riato, possono esprimere forme di volontariato, sono sorgente da cui nasce il volontariato, ma non sono volontariato.

Il servizio civile non è volontariato, perché manca l'elemento spontaneità; tu o fai il militare o fai il servizio civile o vai in prigione. Anche obiettori che provengono da esperienze di volon­tariato portano nel loro servizio civile gli atteg­giamenti che avevano e che conservano, rima­nendo attivi nelle associazioni di volontariato.

C'è bisogno di chiarezza perché c'è una grande confusione che ha riflessi anche molto impor­tanti: per esempio il servizio di una cooperativa va pagato per quello che costa; un'associazione di volontariato potrà avere delle incentivazioni per la formazione su progetti, potrà avere rimbor­si di spese vive, ma mai contributi a pioggia.

 

Che cosa possano fare gli anziani

Volevo dire poi un'altra cosa che si riferisce ai vari interventi che avete fatto. lo esprimo una mia idea, un po' futuristica e utopistica, ma spe­rerei che i giovani la vedessero realizzata. Perso­nalmente faccio parte della categoria degli an­ziani.

Io non ho molta fiducia che gli altri siano in grado di risolvere adeguatamente i problemi de­gli anziani, fino a che gli anziani stessi non assu­meranno direttamente la tutela dei loro diritti, perché gli altri sono troppo assorbiti da una vita complessa e dai doveri e interessi immediati a tutti i livelli.

Quando gli anziani si mettono insieme, le for­me associative stesse rischiano di restare dentro un sistema di strumentalizzazione; perché gli an­ziani sono voti, allora bisogna vedere chi usa questi voti: li usano gli anziani per recuperare i loro diritti e il bene comune o sono usati da altri per interessi particolari? Questo a mio avviso è il punto chiave sul problema degli anziani: a me sembra che gli anziani avrebbero tutte le risorse per affrontare adeguatamente i loro problemi per­ché tra gli anziani c'è la classe dirigente in tutti i settori della vita sociale; se prima di diventare non autosufficienti sapessero unirsi insieme su­perando gli steccati dei partiti e delle categorie per formare un unico fronte omogeneo, questo servirebbe non solo alla tutela della propria di­gnità e dei propri diritti, ma anche per un recu­pero dei valori fondamentali che sono necessari alla società dei giovani.

 

 

 

(1) Al convegno hanno partecipato oltre 500 persone. Numerosi sono stati gli interventi. Notevoli le relazioni dei giuristi Adriano Sansa e Massimo Dogliotti, del geria­tra Fabrizio Fabris e di Silvano Miniati, Segretario nazio­nale del Sindacato Pensionati UIL.

Purtroppo nulla - proprio nulla - hanno detto gli As­sessori regionali piemontesi alla sanità Eugenio Maccari e all'assistenza, Giampaolo Brizio, in risposta alle gravi e precise questioni sollevate dal CSA - Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti: competenza sanitaria e non assi­stenziale nei confronti degli anziani (adulti) cronici non autosufficienti, prevenzione della cronicità, priorità degli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione (senza al­cun accanimento terapeutico) anche delle persone ingua­ribili, illegalità dei contributi economici richiesti dalle USL e dal Comuni al pazienti e ai loro familiari.

 

 

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