Prospettive assistenziali, n. 85, gennaio-marzo 1989

 

 

ASSOLTI I DUE OPERATORI DELL'OSPEDALE MOLINETTE DI TORINO CONDANNATI IN PRIMA ISTANZA

 

 

Nel n. 68, ottobre-dicembre 1984, di Prospettive assistenziali avevamo pubblicato la «Sentenza penale nei confronti di due operatori dell'Ospedale Molinette di Torino per le dimissioni sel­vagge di un anziano», il Sig. Stefano Nosenzo di 94 anni.

Riportiamo ora la sentenza di assoluzione degli operatori suddetti. Prendiamo atto della pronun­cia della Corte di appello di Torino. Ci sorpren­de però che essa si basi su impegni e doveri della Signora Natalina Longarini (non parente e non convivente) del Nosenzo, impegni e doveri che non sono mai stati accertati e dimostrati. Dalla sentenza di primo grado risulta, anzi, che l'ass. soc. Trombini sapeva «che la Signora Longarini Natalina è assente da Torino, che la figlia non è in grado di recarsi in ospedale a prelevare il Nosenzo, che comunque è indisponibile a pre­stargli assistenza».

In secondo luogo riteniamo inammissibile che una persona soprattutto se ha 94 anni, venga di­messa da un ospedale «in un giorno assai freddo del mese di febbraio, in ora tarda e buia ed es­sendo il Nosenzo vestito del solo pigiama e della vestaglia», senza che il personale incaricato ab­bia verificato se l'interessato aveva l'autonomia indispensabile per vivere da solo e se l'apparta­mento era in condizioni tali da poter essere abi­tato dal paziente dimissibile.

 

 

SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO

 

La Corte di appello di Torino, 3a Sezione penale, composta dal Presidente Nello Montinari e dai Consiglieri Anna Viberti, relatore, e Mauro Maz­ziotti, ha pronunciato la seguente sentenza contro Trombini Maria nata il 4-10-1945 a Cuneo, resi­dente e domiciliata ex art. 171 C.P.P. in Torino, Via Cardinal Maurizio 11, libera e presente, e Marfario Paolo, nato il 24-12-1951 a Novara, resi­dente e domiciliato ex art. C.P.P. in Torino, Corso Bramante 29 e in Corso Bramante 88/9P c/o Ospedale Molinette, libero e presente, in primo grado imputati del reato di cui all'art. 591 C.P. per avere, nelle rispettive qualità il Marforio di ispettore sanitario presso l'Ospedale Molinette, la Trombini di assistente sociale USL applicata presso il predetto nosocomio, abbandonato No­senzo Stefano (il quale non era in grado di prov­vedere a se stesso sia per vecchiaia sia in rela­zione alla particolare situazione di tempo e di luogo in cui avvenne il fatto: egli aveva 94 anni, era appena giunto dall'ospedale di Pietra Ligure dopo una lunga degenza; era un giorno assai fred­do nel mese di febbraio, in ora tarda e buia ed essendo il Nosenzo vestito del solo pigiama e della vestaglia) non consegnandolo al momento della dimissione a familiari o a personale da loro indicato, ma facendolo trasportare da solo a bordo di un taxi nelle vicinanze di un numero civico ove era sito un alloggio abitato da persone le quali avevano le chiavi di quella del Nosenzo.

In Torino il 16-2-1983 oltre le ore 16,00.

 

APPELLANTI

 

Avverso la sentenza del Tribunale di Torino in data 28-3-1984 che dichiarava: Marforio Paolo e Trombini Maria colpevoli del reato loro ascritto e, concesse ad entrambi le attenuanti generiche li condannava ciascuno alla pena di mesi sei di reclusione ed entrambi in solido al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 28 e 31 C.P., interdiceva il Marfo­rio e la Trombini dai pubblici uffici per la durata di anni uno.

Visti gli artt. 163 e 164 C.P. concedeva a en­trambi gli imputati il beneficio della sospensione condizionale della esecuzione della pena.

 

FATTO E DIRITTO

 

In data 16-2-1983 Nosenzo Stefano, di 94 anni, viene soccorso mentre, piangente disorientato e infreddolito, sosta nell'androne dello stabile di via Petrarca 28, in Torino.

Viene accertato che il Nosenzo il 25-1-1983 è stato ricoverato per una bronchite ormai cronica presso l'ospedale Molinette; di qui poi è stato trasferito all'Eremo e successivamente avviato presso l'Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure, Divisione lungodegenti.

Il 16-2-1983 si dispone la dimissione del pazien­te clinicamente guarito.

Il provvedimento viene comunicato telefonica­mente dall'Ospedale di Pietra Ligure alla casa della sig.a Longarini, abitante in Via Petrarca (non distante da via Goito ove abita il Nosenzo) che da tempo provvede alla saltuaria assistenza del Nosenzo stesso.

Anna Rivalta, figlia della Longarini, secondo la testimonianza Longarini, avrebbe risposto che la madre era assente e che nessuno poteva prov­vedere a prelevare il vecchio per riportarlo a casa.

Invece, secondo la testimonianza del dottor Pinna, la Rivalta avrebbe assicurato che qualcuno avrebbe ricevuto il Nosenzo a Torino.

Allora il medesimo viene accompagnato con un'autoambulanza dell'Ospedale Molinette fino a Torino, ove viene fatto scendere nel cortile dell'Ospedale stesso. Qui la situazione del Nosenzo, rimasto solo nel cortile senza che nessuno fosse venuto ad aspettarlo, viene segnalata all'assi­stente sociale Maria Trombini, dipendente USL e applicata presso l'ospedale, e all'ispettore sani­tario dott. Paolo Marforio.

L'assistente sociale contatta nel proprio ufficio il Nosenzo, e viene informata che a lui dovrebbe provvedere per l'accompagnamento a casa la sig. Longarini, e pertanto telefona a casa Longarini. Risponde Anna Rìvalta, che ripete quanto già, a dire della Longarini, aveva comunicato telefoni­camente all'ospedale Santa Corona.

Nosenzo Stefano, informato dell'esito della te­lefonata, manifesta il proprio disappunto per quel­la che gli sembra una trascuratezza della Longa­rini, che pure «aveva i suoi soldi» e, desiderando comunque recarsi a casa, chiede alla Trombini di accertare presso casa Longarini il luogo dove si trovano le chiavi del proprio alloggio. Ricevuta l'informazione che le chiavi in questione si tro­vano presso la portineria della Longarini, il No­senzo viene dall'assistente sociale affidato ad un infermiere perché lo accompagni fino al taxi. Pri­ma di allontanarsi, viene avvicinato dal dott. Mar­forio, già messo al corrente della situazione dal­la Trombini, il quale rivolge all'anziano alcune domande per assicurarsi sulla sua lucidità men­tale.

Successivamente l'infermiere, all'atto di scen­dere in strada, si rende conto che il Nosenzo è privo di cappotto (pare che avesse indosso il ve­stito grigio e una vestaglia o una giacca da came­ra, in quanto il cappotto era stato trattenuto dalla Longarini, quando accompaqnò il Nosenzo a Pie­tra Ligure) e, stante la giornata rigida invernale gli mette sulle spalle «qualcosa prelevato dal­la borsa».

Quindi lo accompagna fino ad un taxi.

Il Nosenzo indica al taxista l'indirizzo di via Petrarca; qui giunto e sceso dall'auto, il medesi­mo entra nell'androne della stabile ove abita la Longarini e presso la cui portineria sono custodite le chiavi del proprio alloggio. A questo punto si sente disorientato, infreddolito e viene preso dallo sconforto. «Più che confuso, sembrava mol­to depresso, preoccupato e ansioso» (testimo­nianza Argentieri). Non risulta agli atti se fosse riuscito a trovare le chiavi in portineria. Risulta che ai suoi soccorritori, che intervennero mezza ora dopo la sua partenza dalle Molinette, disse confusamente che cercava la sig.a Longarini e che non ricordava a che piano abitasse.

Il Tribunale, ritenuto che all'organizzazione ospedaliera incombe l'obbligo di assistere i pazienti non autosufficienti anche dopo la formale dimissione, fino a quando l'obbligo stesso non si trasferisca in capo ad altra persona vincolata per legge o per contratto ad assolvere analoga fun­zione, ritenuto che il Nosenzo era in situazione di minorata autonomia, ha dichiarato i pervenuti Marforio e Trombini, rispettivamente quali ispet­tore sanitario presso l'Ospedale Molinette e as­sistente sociale USL applicata presso il predetto nosocomio, colpevoli del reato ascritto.

Proponendo appello i pervenuti chiedono l'as­soluzione con formula ampia o, in subordine, per insufficienza di prove; in ulteriore subordine, la­mentano l'eccessività della pena, la mancata esclusione della pena dell'interdizione dai pub­blici uffici e la mancata concessione del beneficio della non menzione.

A parere della Corte la sentenza impugnata, pregevole per la chiara affermazione di sacrosanti principi umanitari, per la scrupolosa delimitazione dell'ambito entro il quale l'istituzione ospedalie­ra è competente e ha il dovere di assistenza, non­ché per l'approfondita ricerca dei criteri in base ai quali una persona anziana può essere qualifi­cata come non autosufficiente e pertanto «inca­pace» ai sensi dell'art. 591 C.P., non può essere condivisa nella parte in cui motiva la propria convinzione che i prevenuti fossero consapevoli della situazione di minorata autonomia del No­senzo e comunque di carenza della necessaria assistenza.

Vi sono invece buoni motivi per ritenere che, agli occhi dell'ispettore sanitario e dell'assisten­te sociale, il medesimo non apparisse come per­sona in condizioni di non poter provvedere a se stesso.

In primo luogo occorre soffermarsi a conside­rare qual era la situazione ambientale, secondo quanto era prevedibile per i pervenuti in cui il Nosenzo si sarebbe venuto a trovare una volta sceso dal taxi.

L'assistente sociale era stata informata dal No­senzo che la Longarini, sua vicina di casa, prov­vedeva saltuariamente alla sua assistenza, e ave­va potuto arguire dal disappunto manifestato dal medesimo per l'assenza della Longarini, che pure aveva il suo denaro, che il detto impegno perdu­rava tuttora. Si era poi resa conto, telefonando a casa Longarini, che nessuno era venuto ad at­tendere il dimesso perché la sig.a Longarini non c'era e la figlia, Anna Rivalta, non poteva allon­tanarsi da casa dovendo custodire i bambini. Pa­re anche che alla Rivalta, che palesava la propria impossibilità ad ospitare il vecchio, essendo as­sente sua madre, l'assistente sociale abbia rivol­to un fermo invito a fare il proprio dovere. La cir­costanza è stata riferita da Longarini Natalina, essendo stata esposta dalla figlia (la quale non si è mai presentata a testimoniare). L'assistente sociale era dunque convinta che la Longarini, o la figlia per lei, avrebbe provveduto a continuare ad assistere saltuariamente il Nosenzo, così come aveva fatto fino ad allora, essendovi contrattual­mente tenuta, anche se meno volentieri che in precedenza. Forse impensierita per la poca di­sponibilità manifestata dalla Rivalta o forse aven­do avuto il sentore dall'atteggiamento del Nosen­zo di contrasti tra lui e la Longarini, la Trombini la mattina successiva segnalò il caso all'assisten­te sociale di zona.

Secondo le previsioni dell'assistente sociale, il Nosenzo, una volta sceso dal taxi avrebbe dovuto entrare nell'androne dello stabile ove abitava (in­formata che la Longarini era vicina di casa del Nosenzo, l'assistente sociale era convinta che i due abitassero nello stesso stabile), ritirare le chiavi in portineria, entrare nel proprio alloggio e passarvi la notte. Il giorno successivo - se non la sera stessa - la Longarini o sua figlia si sarebbero certamente occupate di lui, come era loro dovere.

Occorre ora accertare se il Nosenzo si trovasse in condizioni psico-fisiche apparenti tali da poter essere ritenuto capace dì provvedere senza peri­colo per la propria incolumità personale a svol­gere le dette incombenze.

Va a questo punto chiarito che l'ispettore sani­tario non era tenuta secondo la prassi a visitare i dimessi, né ad esaminare la documentazione sanitaria relativa al periodo di degenza, essendo la dimissione avvenuta a Pietra Ligure e in ordine alla quale la responsabilità essendo assunta dall'Ospedale Santa Corona.

Va aggiunto che i pervenuti, anche se avessero preso visione della lettera di dimissione con cui il sanitario dell'Ospedale Santa Corona dott. Giu­liano Pinna dichiarava di acconsentire alla richie­sta di dimissione del Nosenzo sembrando che questi avesse una persona che lo assisteva, pro­babilmente non si sarebbero comportati in modo diverso, posto che essi avevano già tenuto conto della necessità per il Nosenzo di avere qualcuno che saltuariamente lo assistesse.

Dalla testimonianza resa dal dott. Giuliano Pinna, risulta che in relazione all'età il Nosenzo godeva di ottime condizioni fisiche ed era in gra­do di vivere da solo in casa, in piena indipenden­za; egli teneva alla propria autonomia, tanto che fin dal primo giorno a Pietra Ligure aveva chiesto di essere lasciato tornare a casa; avrebbe potuto essere dimesso anticipatamente per le sue condi­zioni di salute, ma la dimissione venne ritardata perché non c'era alcun parente che potesse pren­derlo con sé.

Dunque, alla luce di detta testimonianza, si de­ve credere ai pervenuti quando dichiarano che il Nosenzo era apparso lucido di mente, e non di­mostrava gli anni che aveva. Egli aveva indicato con esattezza il numero telefonico della Longa­rini, aveva insistito perché si assumessero in­formazioni circa le chiavi di casa e aveva di­chiarato che intendeva comunque recarsi a casa propria.

Il perito dott. Pernigotti ha detto che il Nosen­zo era in condizioni psico-fisiche buone, «solo era condizionato psichicamente per ansietà, ave­va momenti di emotività» per cui non poteva dirsi fornito di totale autosufficienza. La fragilità psico­emotiva, tipica dell'età, lo rendeva incapace di affrontare compiti complessi. Orbene, la situa­zione che egli avrebbe dovuto affrontare rientran­do a casa, così come se la poterono prospettare i pervenuti, non dovette apparire loro particolar­mente difficile per lui, stante la sua apparente buona autonomia e potendo contare sull'impegno assunto dalla Longarini.

Pare di poter arguire dalle risultanze di causa, e in particolare dalla già citata testimonianza resa da Argentieri che prestò soccorso al Nosenzo, che questi, anziché cercare di ritirare le chiavi in portineria e avviarsi nel proprio alloggio come concordato con l'assistente sociale, sia rimasto a sostare nell'androne combattuto probabilmente tra il proprio desiderio di contattare la famiglia Longarini e la consapevolezza amara che da loro non era desiderato; preso da profondo sconforto e dall'ansia a cui era predisposto, data la fragilità psico-emotiva tipica dell'età, provò la terribile sensazione di essere stato abbandonato dalla so­la persona su cui fino ad allora aveva contatto e che gli aveva permesso di vivere autonoma­mente.

La detta interpretazione dello stato d'animo del Nosenzo è avvalorata dalla testimonianza resa dal dott. Pernigotti, secondo la quale il medesimo, quando, ospite di un istituto, venne sottoposto ad esame peritale, presentava «un'emotività come se fosse stato abbandonato da una persona».

Se così si sono svolti i fatti, non pare che sia ravvisabile la responsabilità dei pervenuti per il reato di cui all'art. 591 C.P.: la situazione di con­creto abbandono del Nosenzo si sarebbe venuta a creare più per il comportamento trascurato della Longarini che non per la condotta dei pre­venuti, i quali, comunque, per quanto era ai loro occhi prevedibile, non erano consapevoli di una tale possibile conseguenza.

Pertanto, sembra conforme a giustizia assolvere l'assistente sociale Trombini e il Dott. Marforio dal reato loro ascritto perché il fatto non costi­tuisce reato.

P. Q. M.

La Corte, visto l'art. 523 C.P.; in riforma della sentenza appellata assolve Trombini Marina e Marforio Paolo dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato.

Torino, 13 ottobre 1988 - Depositata in Cancel­leria il 4 novembre 1988.

 

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