Prospettive assistenziali, n. 84, ottobre-dicembre 1988

 

 

Editoriale

 

ALLARMANTI PROSPETTIVE DI RIFORMA DELL'ASSISTENZA

 

 

Sono state presentate al Parlamento alcune proposte di legge in materia di riforma dell'assi­stenza. Le Regioni hanno concordato un testo provvisorio (1). Il PCI ha preannunciato una sua iniziativa. Il problema è stato inserito nel programma del Governo presieduto dall'on. De Mita nei seguenti termini: «L'approvazione di una legge quadro sull'assistenza e i servizi sociali non è più procrastinabile».

A nostro avviso, tuttavia, tali proposte di legge sono assolutamente inidonee a soddisfare le esigenze di vita degli assistiti.

 

Distinguere fra servizi sociali e servizi assistenziali

In primo luogo, c'è confusione su un aspetto di fondamentale importanza, e cioè sulla defini­zione e quindi sulle funzioni dei «servizi assisten­zialì= e dei «servizi sociali».

Sulla netta distinzione (non separazione) fra servizi sociali e servizi assistenziali si pronun­cia, invece, un importante documento della Fon­dazione Zancan che esordisce come segue: «Occorre distinguere con chiarezza nella termi­nologia fra “servizi sociali” (che comprendono, oltre all'assistenza, anche la sanità, la scuola, il tempo libero, la casa, ecc.) e “assistenza sociale” o “servizi socio-assistenziali”, che si rivolgono ai cittadini in stato di bisogno. La legge-quadro sull'assistenza deve riguardare i “servizi socio-assi­stenziali”; occorrerebbe anche una legge sui ser­vizi sociali; anzi alla legge sull'assistenza sareb­be preferibile una legge globale sui servizi socia­li che includesse anche quella sull'assistenza.

Occorre comunque non confondere i servizi «socio-assistenziali» con i servizi sociali. Soprattutto è necessario non far ricadere sui servizi socio­assistenziali i problemi che devono trovare rispo­sta in altri servizi, come la scuola, la casa, il la­voro, la sanità, ecc.» (3).

Attribuire ai servizi assistenziali compiti che spettano ai servizi sociali non significa solo fare una confusione terminologica (il che non ha mol­ta importanza), ma significa, soprattutto, asse­gnare all'assistenza funzioni in materia di preven­zione dei bisogni che possono e devono essere svolte dai settori della sanità, della casa, della scuola, della formazione professionale, del lavo­ro, delle pensioni, ecc. (4).

 

Le altre carenze dei progetti

Le altre principali carenze delle proposte di legge riguardano:

- l'attribuzione di funzioni gestionali in parte ai Comuni singoli, in parte ai Comuni associati, con l'inevitabile conseguenza di vuoti di intervento, sovrapposizioni, conflitti di competenza, a tutto danno dei cittadini, i quali, avendo spesso proble­mi di sopravvivenza, dovrebbero ricevere con im­mediatezza le prestazioni a cui hanno diritto;

- la non obbligatorietà per i Comuni singoli e associati di istituire i servizi entro un termine prefissato. Ne deriva che, nel pieno rispetto della legge, i Comuni singoli e associati possono rifiu­tare l'istituzione di qualsiasi servizio;

- la mancata previsione di un vero e proprio di­ritto esigibile da parte degli utenti nei confronti degli organismi preposti alla gestione. La conse­guenza inevitabile è la discrezionalità degli inter­venti e la indeterminatezza dei tempi di erogazio­ne delle relative prestazioni, discrezionalità degli interventi e indeterminatezza dei tempi che fa­voriscono certamente il ricovero in istituto anche di coloro che sceglierebbero di vivere a casa se supportati da idonei servizi;

- l'attribuzione di compiti alle Province, compiti che possono bloccare ogni attività degli enti gestori;

- l'assenza di norme dirette a definire che cosa si debba intendere per «organizzazioni senza fini di lucro» ed a prevedere effettivi controlli, con il conseguente pericolo di sviluppo di iniziative speculative;

- la possibilità di erogare i servizi anche alle persone in grado di provvedervi con i propri mezzi (5):

È significativo osservare che le quattro inizia­tive legislative stabiliscono che il fondo di finan­ziamento delle attività assistenziali è costituito anche «da una quota non superiore al 5 per cento dello stanziamento annuale del fondo sanitario nazionale». Pertanto, tale quota, che dovrebbe essere quella più consistente, può, in attuazione della legge, anche essere corrispondente a zero.

Infine, va rilevato che le proposte di legge fino­ra presentate e quella predisposta dalle Regioni hanno lo scopo di convalidare la profonda riorga­nizzazione in atto del settore assistenziale, rior­ganizzazione che, a nostro avviso, come motivia­mo nei paragrafi seguenti, è assolutamente ne­gativa.

 

La profonda riorganizzazione in atto del settore assistenziale

È in pieno svolgimento una profonda riorganiz­zazione del settore assistenziale che riteniamo fortemente negativa e che si svolge su tre franti: ricovero in istituto di persone incapaci di autodi­fendersi, privatizzazione delle IPAB, servizi terri­toriali di assistenza usufruibili anche dalle per­sone e dai nuclei familiari che sono in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze.

Per quanto riguarda i ricoveri in istituto, come andiamo denunciando da dieci anni (6), la vecchia utenza (ragazzi, adolescenti, handicappati fisici e sensoriali, anziani autosufficienti), che non ac­cetta più di essere emarginata, viene sostituita da persone le cui condizioni di salute psico-fisica sono tali da ridurre notevolmente o del tutto la loro autonomia (anziani cronici non autosufficien­ti, insufficienti mentali gravi e gravissimi, adulti e anziani con gravi disturbi psichiatrici (7).

I dati statistici confermano la profonda ristrut­turazione in atto, determinata dalla rilevante di­minuzione dei ricoveri dei minori (soprattutto) e degli handicappati (minori e adulti) come risulta dalla seguente tabella:

 

 

Ricoverati (8)

all’1-1-1965

Ricoverati (9)

all’1-1-1986

Differenze

percentuali

Minori (10)

256.693

50.773

-80%

Handicappati sensoriali (minori e adulti)

10.523

4.918

-53%

Handicappati fisici (minori e adulti)

5.383

3.897

-28%

Handicappati psichici (minori e adulti)

18.518

17.049

- 8%

Vecchi indigenti

114.119

147.678

(11)

Altri (minori, adulti, anziani)

26.985

8.010

-70%

Totale

432.301

232.325

-46%

 

Per gli anziani ricoverati in istituto, una com­parazione può essere effettuata solo a partire dal 1974. Alla data del 1° gennaio 1974 gli ultra­sessantacinquenni ricoverati in istituto erano 114.792 su 6.437.599 abitanti della stessa età e cioè l'1,78%; alla data dell'1-1-1986 i ricoverati erano 132.428 su 7.470.549 abitanti. Mentre l'au­mento in assoluto dei ricoverati è stato del 15,3 per cento, la percentuale (1,77%) è identica a quella di undici anni prima.

Osserviamo che la percentuale di ultrasessan­tacinquenni ricoverati in istituto è relativamente

bassa (meno del 2%), nonostante che negli ultimi anni siano state chiuse numerose infermerie e molte medicine e quindi vi sia stato un notevole aumento degli anziani cronici non autosufficienti dimessi (illegalmente) dagli ospedali; inoltre un numero consistente di ricoverati in ospedale psi­chiatrico è stato trasferito in strutture assisten­ziali'.

Va altresì osservato che le suddette percen­tuali smentiscono le allarmistiche dichiarazioni che vengono continuamente diffuse allo scopo di motivare la richiesta di fondi pubblici per la ristrutturazione o la costruzione di istituti di ri­covero per anziani.

Temiamo che questa richiesta sia però in dirit­tura d'arrivo a seguito dell'approvazione della legge finanziaria 1988 (legge 11 marzo 1988 n. 67) che prevede lo stanziamento di migliaia di miliar­di destinati alla «realizzazione di 140 mila posti in strutture residenziali per anziani» (12).

In questo modo i gestori dei ricoveri potranno riempire le strutture che sono rimaste vuote a seguito della deistituzionalizzazione dei minori e degli handicappati (13).

 

Privatizzazione delle IPAB

Il secondo fronte della ristrutturazione in atto riguarda la privatizzazione delle IPAB consentita da una recente sentenza della Corte costituzio­nale, privatizzazione che - incredibile ma vero - consiste nel regalo ai privati senza alcun inden­nizzo dei patrimoni delle IPAB, istituzioni pub­bliche di assistenza e beneficenza.

Il problema è affrontato in questo numero da Massimo Dogliotti nell'articolo «La riforma dell'assistenza... della Corte costituzionale».

Da parte nostra ricordiamo che, secondo i dati dell'ISTAT, alla data del 1° gennaio 1986, la situa­zione era la seguente:

 

a) Numero e posti letto degli istituti

 

IPAB

n. 1431

posti letto

123.691

Istituti privati

n. 2210

posti letto

126.980

Altri enti pubblici

n. 659

posti letto

41.153

Totali

4300

posti letto

292.830

 

 

b) Assistiti e giornate di presenza

 

IPAB

n. 101.201

giorn. di pres.

34.681.043

Istituti privati

n. 97.931

giorn. di pres.

31.246.715

Altri enti pubblici

n. 32.536

giorn. di pres.

10.842.629

Totali

231.668

giorn. di pres.

76.770.387

c) Personale

 

IPAB

n. 38.067

di cui religioso

5.322

Istituti privati

n. 36.840

di cui religioso

15.734

Altri enti pubblici

n. 13.359

di cui religioso

1.359

Totali

88.266

di cui religioso

22.415

 

Al momento dell'entrata in vigore della legge 6972/1980, le IPAB erano 22.000. Da allora ad oggi non è mai stato fatta - sul piano nazionale - alcun aggiornamento sulla loro consistenza e sul­la destinazione dei patrimoni e dei redditi.

Va sottolineato altresì che nella seduta della Camera dei deputati del 17 febbraio 1982, l'ori. Marisa Galli aveva valutato in 30-45 mila miliardi il patrimonio complessivo delle IPAB.

A seguito della sentenza della Corte costitu­zionale, vi è il fondato pericolo della dispersione di questo rilevante patrimonio. In merito, le con­clusioni del seminario della Fondazione Zancan (riportate in questo numero) precisano al punto 9 che «la legge deve garantire con norme esplici­te che i patrimoni delle IPAB, sia di quelle che passeranno ai Comuni, sia di quelle che verranno privatizzate, siano vincolate all'assistenza in sen­so stretto, nel rispetto della volontà dei donatori e secondo le finalità della legge quadro».

 

Assistere il ceto medio?

Con il pretesto di evitare che l'assistenza si rivolga soltanto alla fascia più debole della popo­lazione, alcuni propongono addirittura che gli in­terventi siano estesi alle persone ed ai nuclei familiari che sono in grado di provvedere auto­nomamente alle proprie esigenze. Ovviamente il problema non viene presentato in modo così esplicito, ma l'obiettivo è quella dì favorire il ceto medio.

Al riguardo è incredibile che, di fronte alla situazione di estrema carenza o inesistenza di servizi assistenziali, con la conseguenza che cen­tinaia di migliaia, di persone vivono ben al di sot­to di un livello di vita minimamente accettabile, si proponga di fornire prestazioni assistenziali a coloro che possano procurarsele con i loro mezzi.

Ci riferiamo ad esempio al servizio di assisten­za domiciliare che alcuni, anche con definizioni allettanti (14), vorrebbero assicurare a tutta la popolazione.

L'estensione dei servizi assistenziali a tutti i cittadini è sostenuta, ad esempio da G.C. Vicinel­li, il quale afferma che i criteri per la erogazione delle prestazioni socio-assistenziali devono esse­re «gli stessi già indicati dal sindacato per la ri­forma sanitaria: diritto di tutti i cittadini di acce­dere ai servizi e alle prestazioni» (15), anche per il fatto che «nell'assistenza di un anziano o di un minore disabile, ad esempio, non si può stabilire quanto di sanitario e di sociale debba avere l'in­tervento che non potrà non essere integrato» (16).

Analoga posizione viene sostenuta da E. Ranci Ortigosa secondo il quale, dalla nota definizione di salute dell'OMS di Alma Ata, si avrebbe la «conferma che distinzioni fra sociale e sanitario, fra sanità e assistenza, e simili, non trovano un fondamento nell'uomo, nella popolazione e nella chiara separabilità di diverse categorie di biso­gni di cui sono portatori» (17).

Anzi, Ranci Ortigosa sostiene che «oggi il cam­po d'azione dei servizi socio-assistenziali non è facilmente delimitabile. Si propongono infatti nuo­ve prospettive di intervento, senza poter trascu­rare ovviamente i più tradizionali bisogni specifi­camente assistenziali. Un'ottica di prevenzione dell'insorgere del disagio e dell'emarginazione sociale (cui conseguono altri “danni” alla persona e alla collettività), richiede infatti interventi com­plessi, con finalità educative e socializzanti, nei confronti della persona e dei gruppi. I progetti giovani, i progetti anziani, ma anche l'intervento “avanzato” sui problemi dei portatori di handicap, aprono infatti queste prospettive più ampie, e conducono l'azione dei servizi sociali a ridosso di quella dei servizi scolastici, culturali, ricrea­tivi» (18).

Michele La Rosa, a sua volta, estende moltis­simo il campo d'azione dei servizi socio-assisten­ziali che dovrebbero comprendere anche il segre­tariato sociale, l'assistenza abitativa, gli asili ni­do, i centri diurni e quelli educativi di incontro, i soggiorni di vacanza, l'inserimento sociale e la­vorativo, le iniziative rivolte alla prevenzione del disadattamento, della emarginazione e della «criminalità» minorile (19).

Secondo La Rosa il riferimento di fondo per la definizione delle priorità e per l'espletamento di tutti i servizi deve essere «il criterio della gene­ralità dei destinatari (tutta la popolazione è il sog­getto permanente dei servizi)» (20).

Viene dunque proposta da La Rosa l'istituzione e la gestione di una ampia gamma di servizi che, a nostro avviso, non riguardano solo le persone in situazione di bisogno, come previsto dal primo comma dell'art. 38 della Costituzione, ma sono rivolti soprattutto al ceto medio.

Non si contesta l'utilità sociale di detti servizi: dagli asili nido ai centri educativi, dai soggiorni all'inserimento sociale e lavorativo. Riteniamo però che essi, essendo rivolti a tutta la popola­zione, debbano essere organizzati da altri com­parti come avviene già oggi in molte parti d'Italia: gli asili nido dal settore istruzione anche allo scopo di giungere alla loro unificazione con le scuole materne, i soggiorni di vacanza dal settore preposto alle attività di tempo libero. A loro volta i centri di incontro dovrebbero essere di compe­tenza degli assessorati alla cultura; l'inserimen­to lavorativo è una attività che è e deve essere svolta dagli uffici ministeriali e dagli assessorati al lavoro; non da quelli all'assistenza.

Prevedere servizi non assistenziali, come quelli sopra indicati, e attribuirne la gestione al com­parto assistenziale, significa sottrarre personale, finanziamenti e strutture alla fascia più debole della popolazione. Significa, inoltre, offrire alibi alle amministrazioni che, mentre in concreto in­tervengono a favore del ceto medio (21), possono sbandierare le iniziative come supporto per i più bisognosi.

 

Prevenzione del bisogno di assistenza

Nel citato articolo La Rosa assegna ai servizi socio-assistenziali il compito di predisporre ini­ziative rivolte alla «prevenzione del disadatta­mento, della emarginazione e della “criminalità” minorile».

Più avanti, lo stesso Autore ritiene che i ser­vizi socio-assistenziali possano e debbano attua­re «iniziative di prevenzione primaria rivolta ai giovani in generale tese a facilitare una socializ­zazione opportuna, in specie a seguito dello spo­stamento avvenuto in conseguenza dell'entrata ritardata al lavoro quando addirittura non possi­bile in tempi ravvicinati».

A parte il fatto che l'Autore non suggerisce alcuna esemplificazione delle possibili attività che consentano il raggiungimento di una vera prevenzione, non ci risulta che siano state attua­te iniziative dei servizi assistenziali che abbiano determinato una prevenzione primaria e cioè ab­biano eliminato le cause economiche e sociali del bisogno assistenziale, dell'emarginazione, del disadattamento.

Crediamo che l'esperienza dimostri che l'uten­za del settore assistenziale è soprattutto costi­tuita da:

- disoccupati e sottoccupati;

- ex lavoratori con pensioni insufficienti;

- ragazzi respinti dalla scuola a causa della se­lettività della scuola stessa;

- persone, soprattutto anziane, che, definite ma­late croniche non autosufficienti, non sono am­messe a fruire dei normali servizi sanitari;

- famiglie o persone prive di un'abitazione ade­guata o che non sono in grado di pagare affitti speculativi;

- invalidi che gli enti pubblici e le aziende pri­vate rifiutano di assumere;

- minori in stato di abbandono o con famiglie aventi difficoltà economiche (disoccupazione o sottoccupazione) o abitative.

Ci sembra ovvio affermare che la prevenzione nei confronti di queste persone, che a nostro av­viso costituiscono almeno l'80% dell'utenza dei servizi assistenziali, si attua solamente se si in­terviene sui problemi dell'occupazione (22), delle pensioni, della casa, della scuola, della sanità, della cultura, ecc.

Se è vero, come crediamo sia vero, che per una effettiva prevenzione occorre che intervenga­no i settori sopra indicati, ne risulta anche che, né l'integrazione dei servizi assistenziali con quelli sanitari, né una legge anche ottima di rifor­ma dell'assistenza sono in grado di risolvere i problemi di prevenzione della situazione di bi­sogno per i disoccupati, sottoccupati, gli ex lavo­ratori con pensioni insufficienti per vivere, i ra­gazzi respinti dalla scuola, le persone prive di una abitazione idonea (23).

A noi sembra che sia nell'impostazione dei ser­vizi, sia nella loro quotidiana gestione debba es­sere fermamente rifiutato il principio secondo cui vengono dirottate al settore assistenziale tutte le esigenze delle persane più deboli. A nostro avviso è assurdo che all'assistenza sia attribuito il compito di provvedere al trasporto degli handi­cappati (v. servizio taxi sostitutivo dei mezzi pub­blici inaccessibili per la presenza di barriere ar­chitettoniche), alla cura degli anziani cronici non autosufficienti, alla formazione professionale dei disabili e alla ricerca di un adeguato posto di la­voro, ai soggiorni e ai centri di incontro per an­ziani, alla messa a disposizione di idonee abita­zioni, e così via.

In questo modo si deresponsabilizzano sempre più i settori del lavoro, della casa, della scuola, della cultura, delle pensioni... Tanto per i più po­veri c'è l'assistenza.

Se gli anziani, i minori, gli handicappati non sono considerati cittadini di serie B, devono poter utilizzare i servizi predisposti per tutta la popo­lazione (sanità, scuola, formazione professionale, lavoro, cultura, ecc.).

L'assistenza, a nostro avviso, non deve interve­nire per rispondere a tutte le esigenze del citta­dino bisognoso. Ad esempio l'intervento assisten­ziale nei confronti del minore con una famiglia gravemente carente ed i cui problemi non pos­sono essere risolti con sostegni psico-sociali, può consistere nell'affidamento familiare a scopo educativo. Ma, com'è ovvio, il bambino dovrà frequentare la scuola come tutti gli altri minori, usufruire dei trasporti pubblici, vivere in una ca­sa adeguata, ricevere le necessarie prestazioni sanitarie, ecc.

Una conseguenza negativa del deprecato e de­precabile ricovero di minori, di handicappati, di anziani era ed è anche la gestione di tutte le esi­genze delle persone da parte dell'istituto; sareb­be veramente molto grave se tale visione emar­ginante venisse perseguita anche dai servizi ter­ritoriali.

Non si tratta di una mera ipotesi in quanto - purtroppo - sono numerosi i servizi assistenziali che pretendono di gestire i servizi di trasporto ed i centri di formazione professionale per handi­cappati, provvedere all'inserimento lavorativo de­gli stessi, istituire le case protette per anziani malati cronici non autosufficienti.

 

Interventi di competenza del settore assistenziale

A nostro avviso deve continuare ad essere previsto un settore con lo specifico compito di assicurare condizioni adeguate di vita ai minori privi di un idoneo sostegno familiare, alle perso­ne senza lavoro o impossibilitate a causa delle loro condizioni psico-fisiche di svolgere un'atti­vità lavorativa o con pensioni insufficienti o co­munque senza adeguati mezzi economici o prive di una abitazione accettabile o in altre condizioni di bisogno.

Per i suddetti soggetti, gli interventi di com­petenza del settore assistenziale possono essere indicati nei seguenti:

- analisi qualitativa e quantitativa dei bisogni e definizione delle risposte che, se attuate dai settori preposti al lavoro, alla casa, alla scuola, alla sanità, ai trasporti, alla cultura, allo sport, al tempo libero, ecc. prevengono il bisogno assi­stenziale (24);

- azione promozionale nei confronti dei settari sopra indicati al fine di evitare che ai cittadini più deboli non siano fornite le dovute prestazioni per l'occupazione, la casa, la scuola, ecc.;

- informazione di massa ai cittadini e alle forze sociali e sindacali sui problemi generali e speci­fici dell'emarginazione;

- programmazione degli interventi assistenziali con scelta delle relative priorità e verifica dell'efficacia ed efficienza degli interventi stessi;

- raccolta ed elaborazione dei dati relativi alle esigenze e alle risposte;

- attività di sostegno dirette al superamento di difficoltà personali e familiari;

- assistenza economica continuativa e straor­dinaria;

- aiuto domestico;

- affidamenti educativi di minori, inserimenti di persone adulte o anziane, incapaci di una vita autonoma, presso famiglie, nuclei parafamiliari e persone singole;

- comunità alloggio;

- istituti di ricovero, fino al loro completo su­peramento;

- segnalazione dei minori in situazione di ab­bandono;

- rapporti con l'autorità giudiziaria in materia di tutela e curatela;

- autorizzazione preventiva a funzionare degli istituti pubblici e privati di ricovero per minori, anziani, handicappati;

- vigilanza sulle istituzioni pubbliche e private di assistenza;

- interventi nei confronti dei minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie mino­rili;

- prestazioni di protezione sociale nei confronti delle persone dedite alla prostituzione o al va­gabondaggio;

- assistenza post-penitenziaria;

- servizi diurni per handicappati psichici e plu­riminorati gravissimi non inseribili nel lavoro;

- assistenza alle gestanti e madri nubili o co­niugate in difficoltà, comprese le attività dirette a garantire il segreto del parto alle donne che non intendano riconoscere i propri nati.

 

Conclusioni

La drammatica situazione di centinaia di mi­gliaia di persone e di nuclei familiari che vivono in condizioni di bisogno, spesso estremo, esige interventi solleciti ed adeguati. Le proposte di legge di riforma dell'assistenza finora presentate e quella predisposta dalle Regioni, a nostro avvi­so, non sono finalizzate alla risoluzione dei pro­blemi dei soggetti più deboli e nemmeno al loro tamponamento.

Le indicazioni del documento della Fondazione Zancan, che ripartiamo in questo numero, dovreb­bero invece essere prese in attenta considera­zione dal legislatore e da tutte le organizzazioni e persone che non accettano le condizioni di mi­seria economica, personale e sociale che afflig­gono un così elevato numero di nostri concitta­dini.

Un ruolo di fondamentale importanza può es­sere svolto dai gruppi di volontariato che opera­no non solo per aiutare le famiglie e le persone in difficoltà ma anche perché siano eliminate le cause sociali dell'emarginazione.

 

 

 

 

 

(1) In questo numero sono riportati integralmente i testi delle proposte di legge: n. 246 «Legge quadro sui servizi sociali» presentata alla Camera dei deputati dall'on. Foschi e altri parlamentari DC il 2 luglio 1987; n. 683 «Legge quadro per la riforma dell'assistenza e dei servizi sociali» presentata l'8 luglio 1987 alla Camera dei deputati dall'on. Martinazzoli e altri parlamentari DC. Riproduciamo inoltre il testo della proposta di legge n. 259 «Legge quadro sui servizi sociali», presentata alla Camera dei deputati il 2 luglio 1987 dall'on. Aniasi e da altri parlamentari del PSI. Quest'ultimo testo è quello della bozza consegnata dagli uffici della Camera al presentatore e non ancora restituita corretta. È una prassi assurda, prevista dal regolamento, che consente ai parlamentari di risultare presentatori di un testo qualsiasi che può non essere mai ufficializzato o che può essere modificato anche dopo anni dalla presenta­zione. Riportiamo, infine il progetto redatto da alcune Re­gioni nel testo corretto secondo le indicazioni emerse dal­la riunione degli Assessori all'assistenza avvenuta a Roma il 17 maggio 1988.

(3) In questo numero é riportata, per motivi di spazio, solo la prima parte del documento della Fondazione Zancan «Osservazioni e proposte per la riforma dell'assistenza», documento che condividiamo e che dovrebbe costituire la base per una idonea legge quadro di riforma dell'assistenza.

(4) Si veda più avanti il paragrafo «Prevenzione del bi­sogno di assistenza».

(5) Si veda più avanti il paragrafo «Assistere il ceto-me­dio?».

(6) Cfr. l'editoriale del n. 48, ottobre-dicembre 1979 di Prospettive assistenziali «Inaccettabile l'attuale riorganiz­zazione del settore assistenziale-.

(7) Su questa linea si muovono anche le proposte di leg­ge presentate al Senato dalla Sen. Ongaro Basaglia della Sinistra indipendente (n. 465 del 25 settembre 1987 e alla Camera dei Deputati dall'on. Benevelli del PCI n. 2101 del 20 dicembre 1987). Esse prevedono la competenza del set­tore assistenziale per il mantenimento in case-famiglia di pazienti con disturbi psichici, per i centri di riabilitazione e socializzazione, e per le erogazioni dei sussidi terapeu­tici (proposta Ongaro Basaglìa) e per l'assistenza in denaro, quella domestica, le comunità alloggio, le strutture diurne socio-formative, i soggiorni estivi, i corsi di formazione professionale, gli interventi per l'inserimento e il reinseri­mento lavorativo, i centri di aggregazione e di incontro diurni, 1 ricoveri in strutture protette extra-ospedaliere meramente sostitutivi, sia pure temporaneamente dell'as­sistenza familiare (proposta Benevelli). Nella proposta di legge Benevelli è addirittura previsto che la programma­zione e gestione dei servizi assistenziali competa esclusi­vamente ai Comuni singoli; nessun riferimento viene fatto alle Unità locali dei servizi sanitari e assistenziali.

(8) Dati tratti da «Annuario statistico dell'assistenza e della previdenza sociale», Vol. XI, 1965, ISTAT, Roma, 1967.

(9) Dati ricavati da «Statistiche della previdenza, della sanità e dell'assistenza sociale», Vol. 26, ISTAT, Roma, '88.

(10) Comprende i dati relativi ai ricoverati negli orfa­notrofi, negli istituti per «minori poveri e abbandonati» (così definiti dall'ISTAT), nelle colonie permanenti e nei brefotrofi, limitatamente per questi ultimi all'intervento dl «allevamento interno».

(11) I dati ISTAT relativi al 1° gennaio 1965 riguardano i «vecchi indigenti»; non sono quindi comparabili con quelli datati 1° gennaio 1986 che concernono gli «adulti e inabili anziani».

(12) Cfr. «I 140.000 posti letto per anziani della legge finanziaria 1988: emarginazione dei più deboli o rispetto dei loro diritti?», in Prospettive assistenziali, n. 82, aprile­giugno 1988 e G. Perico, Anziani «cronici» non autosuffi­cienti: rilievi giuridico-legislativi e note etico-sociali, in Aggiornamenti sociali, n. 7/8, luglio-agosto 1988.

(13) L'Avv. Zola, già vice-sindaco e assessore all'assi­stenza del Comune di Milano, ha definito questa operazio­ne ristrutturazione «intelligente». (Cfr. in questo numero l'articolo di Maria Grazia Breda: «Tre incontri sul proble­ma degli anziani cronici non autosufficienti»).

(14) Si parla, ad esempio, di assistenza domiciliare inte­grata, comprendente prestazioni sanitarie e assistenziali, fornite a tutti i cittadini senza alcun limite di reddito.

(15) Cfr. G.C. Vicinelli, Una riforma a misura d'uomo, in L'assistenza sociale, rivista dell'INCA-CGIL, n. 1, gen­naio-febbraio 1987.

(16) Ibidem.

(17) E. Ranci Ortigosa, Modelli per un'integrazione socio­sanitaria, in L'assistenza sociale, op. cit.

(18) Ibidem.

(19) Michele La Rosa, Quali priorità per la rete dei ser­vizi socio-assistenziali, in LABOS, Una prospettiva per l'as­sistenza sociale, Edizioni T.E.R., Roma, 1988, Ed. fuori com­mercio.

(20) Ibidem.

(21) Un altro esempio è costituito dalle cosiddette uni­versità della terza età.

(22) Ad esempio, riducendo al minimo lo scandaloso fe­nomeno del doppio lavoro, praticato da 5-6 milioni di per­sone.

(23) Il problema dell'integrazione dei servizi sanitari, sociali e assistenziali verrà esaminato in un prossimo ar­ticolo.

(24) Nel documento della Fondazione Zancan «Osserva­zioni e proposte per la riforma dell'assistenza» (riportato in questo numero) si propone (v. nota integrativa della 1ª Commissione) che le prestazioni assistenziali conseguenti alla disoccupazione vengano erogate dal settore «lavoro», che il settore «casa» sia tenuto ad intervenire in tutte le situazioni di emergenza determinate dalla mancanza di una abitazione idonea. In questo modo verrebbe in concreto combattuta la funzione «spazzatura» dal settore assisten­ziale, funzione che consiste nell'attribuire a detto settore la competenza per le persone per le quali si rifiutano di intervenire i settori della casa, della scuola, del lavoro, della sanità, ecc.

 

 

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