Prospettive assistenziali, n. 83, luglio-settembre 1988

 

 

UN CONVEGNO EUROPEO MULTIDISCIPLINARE PER I MALATI INGUARIBILI

GIORGIO DI MOLA (*)

 

 

Dal 23 al 25 aprile si sono svolti all'Università statale di Milano i lavori del primo Congresso europeo sulle «Cure palliative», organizzato dalla Fondazione Floriani, che ha visto la partecipazione di oltre cinquanta relatori, in sei sessioni e dodici seminari concomitanti.

Al convegno hanno aderito più di cinquecento congressisti, provenienti da ogni parte del mondo, i quali hanno dato testimonianza dell'interes­se che questa disciplina, la «medicina palliativa», sta suscitando non solo in campo clinico-assistenziale, ma anche a livelli di cultura più generale.

È stato inoltre presentato l'unico testo esistente per ora in Italia sull'argomento, che raccoglie i contributi e le esperienze non solo dei medici e infermieri addetti ai servizi di terapia del dolore e cure palliative del nostro paese, ma an­che riflessioni filosofiche, psicologiche, giuridiche su argomenti come la morte, l'eutanasia, l'accompagnamento spirituale ecc. («Cure palliative - Approccio multidisciplinare alle malattie inguaribili», a cura di Giorgio Di Mola, Masson Italia edizioni, Milano, 1988).

 

Una filosofia medico-assistenziale

Ciò che è emerso dal convegno, ciò che è stato chiarito e maggiormente puntualizzato, per chi pensava che «medicina palliativa» potesse essere considerata un'ulteriore specialità (nel marasma dei l'iperspecializzazione), è l'approccio totale, multidisciplinare, «olistico», di una disci­plina molto più simile ad una forma di pensiero filosofico, che non ad una «tecnica».

La medicina palliativa affonda le radici nelle più antiche e sperimentate forme di solidarietà, in parte perse con l'inurbamento e l'avanzare della società tecnocratico-industriale e risponde ai dettati deontologici e morali dell'arte medica più tradizionale, che considera non solo la malat­tia, ma l'uomo malato, dando importanza tanto ai sintomi fisici quanto al «patire» della psiche e dello spirito.

La «palliazione» ha ritrovato oggi un modo «moderno» di essere, attraverso la spinta inno­vativa del «Movimento Hospice», di matrice an­glosassone, portando la filosofia dell'assistenza totale e continuativa a tutti i malati morenti in ogni ambito sanitario. Come poi ha affermato nella lezione magistrale introduttiva Balfour Mount, direttore del «Palliative Care Service» del Royal Victoria Hospital di Montreal (pioniere dei servizi di cure palliative), anche i più moderni studi di neurofisiologia e psiconeuroimmunologia «hanno dimostrato la necessità di considerare la persona nel suo complesso, se si vuole otte­nere il massimo dal nostro impegno curativo...», dando così anche spessore scientifico ai principi sostenuti dalla medicina palliativa.

 

La sofferenza e l'etica

La prima giornata di lavori è stata dedicata a tematiche ancora molto trascurate dalla medici­na moderna e che riguardano problemi che ogni essere umano (il medico in prima persona) si trova ad affrontare ai limiti della malattia e della vita, come i problemi relativi alle scelte, per esempio, su ciò che è bene in assoluto e per il malato in particolare e ciò che invece è dannoso o riprovevole nei comportamenti dei curanti.

Ne ha parlato con grande chiarezza e profes­sionalità Raanan Gillon, direttore sanitario dell'Imperial College of Science and Technology di Londra, chairman anche del seminario su «Il pro­blema etico e l'eutanasia», mettendo in luce al­cuni punti nodali, come l'importanza della comu­nicazione più corretta e completa al malato, il diritto ad una scelta negli approcci terapeutici, il dovere di rispettare l'autodeterminazione. A proposito di eutanasia sono emerse tre tenden­ze: una prima, relativa ad una morale più stret­tamente «religiosa», sostenuta da Cattorini (me­dico consulente in scienze umanistiche all'Ospe­dale S. Raffaele di Milano), che si oppone rigida­mente a qualsiasi atto che possa far sospettare di abbreviare o interrompere la vita, ammetten­do tuttavia la possibilità che, soprattutto per le­nire dei dolori o sofferenze difficilmente controllabili, si debba far ricorso a dosi tali di analge­sici da levare la coscienza al paziente. Catto­rini sostiene che questa evenienza possa consi­derarsi legittima solo comprendendo comunque anche la consensualità del malato. La seconda tendenza, più possibilista, è stata espressa dal prof. Ricca, pastore valdese, il quale si è pronun­ciato decisamente contro le proposte di legaliz­zazione di eutanasia, affermando che l'eutanasia va considerata una «possibilità etica» reale e che quindi «ciò che è già moralmente legittimo, non richiede legittimazione giuridica». «Una possibilità etica., ha detto Ricca, «non può essere condotta a norma, ma ad una sorta di "clima" di intensa comunicazione, per cui si possa configu­rare come intervento dialogico eccezionale, per­ché eccezionali sono le condizioni che lo richie­dono». L'ultima tendenza è quella della posizione più «interventista», rappresentata dal medico olandese Cohen, il quale ha dichiarato che nel suo Paese almeno il 3% o il 4% delle morti av­viene per «eutanasia attiva». Convinto che la stessa percentuale si rileverebbe anche nel no­stro Paese (se i medici avessero il coraggio di dirlo...) ha sgomberato il campo da tutte le de­finizioni di eutanasia, chiamandola: «un interven­to compiuto attivamente dal medico per prende­re intenzionalmente la vita di una persona, con il consenso della persona stessa» dopo che - se­condo lo stesso olandese - sia stato fatto tut­to per dissuaderla e lenire le sue sofferenze. Resta da capire cosa sia e cosa comprenda que­sto «aver fatto tutto» e secondo quali modalità venga attuato. Durante il dibattito R. Twycross, direttore del Churchill Hospital di Oxford, ha ricordato che una cura palliativa dà ai pazienti la possibilità di vivere gli ultimi giorni senza sofferenze e circondati da rapporti umani che danno valore e senso alla loro condizione: perciò nessuno chiede che la sua vita venga in­terrotta e l'eutanasia (in questo senso) è incon­ciliabile con una corretta medicina palliativa.

Nella stessa giornata si è svolto il seminario dedicato alle patologie che necessitano cure pal­liative, al centro del quale erano la comunica­zione del Prof. Moroni sulle problematiche dell'AIDS e quella sulla sclerosi multipla del Prof. Canal (si è ovviamente messo l'accento su pa­tologie terminali «altre» dal cancro) ed i semi­nari sulla sofferenza e la comunicazione con il paziente inguaribile.

Nel seminario sulla sofferenza, il tema è stato affrontato negli aspetti filosofici, culturali, reli­giosi, antropologici (è mancato l'intervento pre­annunciato su «La sofferenza nell'arte», per una indisposizione del prof. Procacci) senza mettere al centro, volutamente, l'aspetto del dolore fisico. La sofferenza, si è detto, sta perdendo sem­pre più spazio nello scenario costruito dalla cul­tura occidentale, ossessivamente occupato dal­la preoccupazione di garantire una vita di piace­re, di efficienza, escludendo il dolore e la morte dai progetti naturali. Le conseguenze sono state discusse nel secondo seminario, su «La comuni­cazione al paziente inguaribile», con Sandro Spin­santi, docente di etica e direttore del Diparti­mento di scienze umane dell'Ospedale Fatebene­fratelli di Roma.

Si è parlato di qualità di vita (M. Tamburini) in rapporto ai messaggi che trasmette il malato e ciò che la nostra cultura è capace di ricevere e restituirgli (per esempio nella comunicazione del­la verità: su 48 pazienti 16 conoscevano la verità, 20 ne avevano solo una vaga idea e 12 non erano assolutamente consapevoli delle loro condizioni). La qualità di vita è correlata al grado di consa­pevolezza, è stato concluso, ed è migliore nei pa­zienti consapevoli. Si è parlato di «medicina umana» (S. Spinsanti: «... non è quella che for­nisce una maggiore quantità di "buoni sentimen­ti", ma quella che è capace di rispettare le di­verse esigenze della persona, considerata in quanto più ricca e differenziata in senso antro­pologico ...») e di aspetti medico-legali (R. Pozza­to: il paziente può rifiutare delle terapie che pro­lunghino la sua vita e le sue sofferenze, se que­sto rifiuto è «libero» e derivato dal consenso, at­traverso una completa informazione da parte del medico...). John Hinton, docente di psichiatria e autore di un famosissimo saggio sul morire, «Dying», ha riferito sull'esperienza dell'«Hospice Home Care»: l'assistenza domiciliare, come una possibilità di orientare in modo più proficuo la comunione con il paziente morente. Infine Helmut Zielinski, riprendendo in parte il tema di Tam­burini, ha messo in luce come la comunicazione con il paziente morente possa essere efficace solo se, verbalmente, riusciamo a trovare i ter­mini che quel tipo di malato, ed in quelle parti­colari circostanze, è capace di comprendere. Ha sottolineato inoltre che su 100 pazienti che muo­iono in un ospedale, solo 25 non sono completa­mente orientati nel tempo e nello spazio nelle ultime ore di vita e molti riescono ad essere nel pieno delle loro facoltà comunicative sino a 15 minuti prima della morte.

 

I ruoli e l'approccio sintomatico

La seconda giornata del congresso, di conte­nuto più «tecnico», è stata dedicata al tratta­mento dei sintomi, soprattutto del dolore (con particolare riguardo al dolore da cancro) ed alla funzione che i vari operatori svolgono nell'ambito del lavoro interdisciplinare d'équipe. È stato ri­cordato come ancora oggi più di un terzo dei pa­zienti che lamentano forti dolori per l'evoluzio­ne del cancro siano destinati a morire nella sof­ferenza. È ancora diffusa l'ignoranza sull'uso del­le più corrette tecniche analgesiche e i falsi miti sull'utilizzazione degli oppiodi e sulle capacità il­limitate della tecnica sono duri a cadere nel mon­do medico. Vittorio Ventafridda, chairman del co­mitato scientifico del congresso e del seminario «I sintomi: controllo del dolore», ha ricordato che la stessa Organizzazione mondiale della sani­tà ha pubblicato previsioni allarmanti sulla dif­fusione del cancro per gli anni 2000 (il numero di pazienti ammalati e conseguentemente ingua­ribili è destinato ad aumentare) e ha presentato un lavoro dell'OMS, recentemente tradotto in italiano, destinato ad essere distribuito gratuita­mente a più di 70.000 medici. (Dolore è cancro, Organizzazione mondiale della sanità, Ginevra).

Ma si è parlato anche di nausea e vomito, sin­tomi spessissimo correlati con le terapie con­comitanti, causali o no; di sindromi dispeptiche ed intestinali, tra le più frequenti cause di disa­gio e sofferenza nei malati terminali; di igiene delle mucose e del cavo orale (è stato sottoli­neato che spesso la comunicazione con il pazien­te è resa difficoltosa prima di tutto dalle condi­zioni della sua bocca: lingua secca e desquama­ta, labbra fissurate, alitosi, denti malati, micosi ecc.); si è parlato di piaghe da decubito e di fi­sioterapia, dell'alimentazione più corretta e di come presentare i cibi perché risultino più ap­petitosi.

Molti di questi temi sono stati ripresi dai diver­si operatori che si sono succeduti nel seminario dedicato alla definizione dei ruoli (il medico, lo psicologo, l'assistente sociale, l'assistente spi­rituale, l'infermiera). Del tutto originale l'inter­vento di S. Porchet Munro, musicoterapeuta, che ha sottolineato l'importanza dell'evento musica­le, come uno degli strumenti principali e più effi­caci nella comunicazione e nella terapia «diver­sionale», soprattutto nel trattamento dei pazienti con dolore e senza speranze di guarigione.

 

Il morire, la morte, il lutto

Il convegno si è concluso con le lezioni magi­strali di due tra i più autorevoli e famosi esperti di dinamiche psicologiche e sociali relative alla morte, al lutto ed al cordoglio: Elisabeth Kubler­-Ross e Colin Murray Parkes.

La Kubler-Ross ha sensibilizzato l'uditorio con un'accattivante carrellata su eventi personali e situazioni incontrate durante la sua trentennale esperienza con i malati morenti. La psichiatra svizzera ha sottolineato l'importanza dell'univer­so fisico, psicologico e spirituale del malato mo­rente, affermando che lo scopo ultimo è quello di raggiungere il suo «spirito» e indicando, tra i mezzi che passano attraverso il linguaggio sim­bolica, il disegno come uno degli strumenti espressivi più semplici ed utili per comprendere le esigenze dei pazienti. Ha messo l'accento sul­la condizione del bambino che muore, particolar­mente grave oggi negli Stati Uniti, dove migliaia di bambini affetti da AIDS causano gravissimi problemi, soprattutto alle madri evitate ed iso­late dalla società. «Non si nasce, ha detto la K. Ross, con la paura della morte». Il bambino non ha paura della morte e questa sua capacità di «non morire» nella paura, può essere di aiuto e di esempio anche per l'adulto morente. Un aneddoto, tra i tanti, è servito alla K. Ross per dare idea della visione della morte nei bambini: molti bambini ebrei nei campi di concentramento nazisti prima di morire lasciavano sui muri del­le camerate graffiti a forma di farfalla. Secondo l'autrice questa è una commovente testimonian­za dell'unico modo che a loro era rimasto di comunicare la propria morte: frutto di un bozzolo che contiene una vita che se ne va via.

Il prof. Parkes, che ha anche moderato il semi­nario sul lutto ed il cordoglio, ha messo in luce l'incapacità di saper vivere oggi l'esperienza lut­tuosa (diventata quasi norma sociale) elaborando le fasi di dolore in senso positivo, per riacqui­stare il valore della vita. La reazione dolorosa alla perdita viene affrontata invece in modo ne­gativo, prolungando quella fase di «addormenta­mento» (così l'ha definita Parkes) che è fisiolo­gicamente destinata a presentare le più precoci difese nei confronti di un evento tanto sconvol­gente. Viene meno una solidarietà, di cui oggi è urgente ritrovare il profondo significato sociale e preventivo, soprattutto nei confronti delle pa­tologie dei vedovi. Quando si perde qualcuno che si ama, ha detto Parkes, sembra che il mondo diventi pericoloso: ci si aspetta che un disastro capiti anche a noi. Molti si chiedono se il do­lore che avvertono potrà mai avere fine; altri hanno invece quasi paura di poter dimenticare. I rischi maggiori di morte, constatati nei primi anni del lutto, hanno trovato conferma clinica anche in esami ematochimici, che hanno dimo­strato un abbassamento dei sistemi immunitari e linfocitari, statisticamente significativi nelle persone addolorate per la perdita di una persona cara. Parkes ha ricordato perciò quanto sia im­portante preparare le famiglie, i parenti, nella fase anticipatoria, più che nel post-mortem quan­do, per una sorta di pudore, la famiglia non sem­bra gradire l'intrusione di estranei nel suo lutto. Ha infine sottolineato che anche i consulenti pos­sono soffrire dello stesso dolore che soffre chi è in lutto. Per Parkes si sta sviluppando una ri­tualità nuova, riscontrabile in alcune forme spon­tanee di solidarietà, che nascono spesso da con­testi extrafamiliari. A questo proposito il dr. Ra­pin (responsabile di un grande centro geriatrico e per le cure palliative nei pressi di Ginevra) ha esposto un'alternativa «medicalizzata» della ritualità: nel suo centro intorno al parente mor­to si svolge e può avvenire tutto ciò che all'ester­no viene rifiutato o dimenticato. I parenti posso­no star vicino al morto, partecipare alla sua ve­stizione, vegliarlo nella stessa stanza ecc.

 

Conclusioni

Il prof. Ventafridda, nella cerimonia di chiusu­ra del congresso, ha riaffermato la dignità della medicina palliativa, come disciplina e filosofia in­dispensabile in campo sanitario per dare concre­to significato agli attributi di umanitarietà neces­sari alla cura. La cura palliativa, ha detto Venta­fridda, non è solo quell'atteggiamento umanita­rio e caritatevole, che ha caratterizzato molte note opere benefiche, ma ha dimostrato di esse­re un'autentica scienza di approccio sintomatico a tutte le manifestazioni di disagio dell'essere sofferente. Ventafridda ha infine raccomandato, secondo le indicazioni dell'Organizzazione mon­diale della sanità, che ogni medico, in qualsiasi paese si faccia portavoce e fautore di questo at­teggiamento curativo ed assistenziale, al quale, come sta già avvenendo nei Paesi anglosassoni, dovrà affiancarsi l'appoggio ufficiale delle isti­tuzioni pubbliche.

I lavori sono stati chiusi dall'ing. Virgilio Flo­riani, presidente della «Fondazione Floriani», che per prima in Italia ha dimostrato come si pos­sano praticamente attuare delle cure palliative, assistendo sino alla morte centinaia di pazienti nelle loro abitazioni.

 

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Riportiamo qui di seguito la risoluzione con­sensuale e le raccomandazioni che verranno in­viate all'Organizzazione mondiale della sanità, al Ministero della sanità italiana e al Dipartimento della sanità della Comunità europea.

 

 

RISOLUZIONE CONSENSUALE DEL CONGRESSO EUROPEO DI CURE PALLIATIVE

 

Presupposti

1 - Con il termine «Cure palliative» si intende il controllo delle sofferenze fisiche, emozionali, sociali e spirituali della persona inguaribile fino all'ultimo istante di vita.

2 - Le cure palliative sono un problema neglet­to ma importante.

3 - Nel prossimo futuro, secondo le previsioni della Organizzazione mondiale della sanità, tale problema diventerà preminente perché:

- la popolazione anziana raddoppierà e quel­la giovane si dimezzerà;

- malgrado i notevoli sforzi e progressi, il numero di malati di cancro è destinato ad au­mentare in modo significativo. A questa patolo­gia si aggiungerà quella progressiva dell'AIDS, dei casi terminali di sclerosi multipla e di quelli cardiorespiratori.

4 - Anche con la più sofisticata tecnologia in queste patologie, l'aspettativa di prolungamento di vita è marginale, ma la qualità di vita potrà significativamente migliorare, dando maggior en­fasi alle cure palliative.

 

Raccomandazioni

1 - L'atteggiamento negativo esistente verso le cure palliative deve essere cambiato.

2 - Si deve svolgere un'educazione di routine a tutti i livelli sulla filosofia e le metodologie del­le cure palliative.

3 - È necessario che ogni governo della Comu­nità europea segua l'esempio del Ministero degli affari sociali francese, emettendo un documento sull'istituzione delle cure palliative, a livello del­le strutture sanitarie esistenti.

4 - Bisogna ridistribuire in modo più adeguato le risorse sanitarie verso le cure palliative, aven­do come obiettivo nella politica sanitaria, il mi­glioramento della qualità di vita dei pazienti ter­minali di malattie inguaribili.

 

  

(*) Vice Direttore scientifico della Fondazione Floriani e Coordinatore scientifico della Società Italiana Cure Pallia­tive (Vicolo Fiori 2, Milano).

 

 

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