Prospettive assistenziali, n. 83, luglio-settembre 1988

 

 

OBIETTIVI, STRUMENTI E CRITERI DI INTERVENTO DEL VOLONTARIATO PROMOZIONALE ATTUATO DALL'ANFAA, DALL'ULCES E DAL CSA

 

 

Nell'editoriale del n. 79, luglio-settembre 1987 di Prospettive assistenziali dal titolo «Espe­rienze di volontariato promozionale», sono stati presentati i principali risultati raggiunti dall'ANFAA (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), dall'ULCES (Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale) e dal CSA (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base torinesi).

Le realizzazioni ottenute confermano che il volontariato promozionale può incidere in misura più consistente, più stabile e a volte anche più celere delle iniziative di volontariato gestionale.

Occorre inoltre ricordare che il volontariato gestionale spesso - troppo spesso - finisce con l'essere condizionato dalle istituzioni in cui opera (1).

 

Caratteristiche essenziali del volontariato promozionale

Molti ritengono che un gruppo di pressione sia tanto più forte quanto maggiore è il numero dei suoi aderenti. Si tratta di un principio troppo semplicistico e, spesso, fuorviante.

Sulla base delle esperienze dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA, si può affermare che l'effica­cia di un gruppo di pressione dipende in primo luogo, dalla chiarezza delle idee sugli obiettivi, sui metodi e sugli strumenti di intervento. È evi­dente che se non si sa in modo preciso che cosa si vuole e se non si sono messe in atto iniziative adeguate, i risultati non arrivano o sono scarsis­simi.

Ad esempio, negli anni scorsi e ancora oggi, vi sono associazioni che perseguono contestual­mente finalità opposte: rivendicano l'inseri­mento degli handicappati e nello stesso tempo costruiscono villaggi o istituti destinati esclusi­vamente a persone in situazione di handicap.

Altre organizzazioni richiedono contempora­neamente l'inserimento di handicappati. aventi analoghe capacità lavorative, nelle normali azien­de pubbliche e private, nelle cooperative sov­venzionate e in centri assistenziali. II disabile nello stesso tempo, viene considerato dall'asso­ciazione che dovrebbe difenderne le esigenze, un lavoratore con eguali diritti e doveri di quelli non handicappati, un lavoratore che deve essere protetto, un soggetto non inseribile nel lavoro e pertanto da proporre come utente del settore as­sistenziale.

Per una efficace operatività è indispensabile non solo una buona compattezza del gruppo, ma anche la massima autonomia possibile rispetto alle istituzioni. Occorre, inoltre, definire con mol­ta chiarezza chi sono i beneficiari, chi deve inter­venire, che cosa deve essere fatto, come, dove e quando gli investimenti devono essere proposti: Infine, in certi casi, devono essere fornite indi­cazioni sui costi (2).

 

Chiarezza sugli obiettivi

Ad esempio per la promozione della legge sull'adozione speciale del 5 giugno 1967 n. 431, è stato necessario definire (3):

- chi erano i minori adottabili (la legge ave­va stabilito che fossero i minori segnalati ai Tri­bunali per i minorenni prima del compimento de­gli anni otto);

- chi doveva definire le procedure relative all'adozione speciale: i Tribunali per i minorenni in prima istanza, quindi le sezioni minorenni del­le Corti di appello e la Corte suprema di cassa­zione;

- i contenuti (il «che cosa»). Essi consiste­vano essenzialmente nell'assunzione da parte dell'adottato dello stato di figlio legittimo degli adottanti;

- le modalità (il «come») comprendenti la di­chiarazione dello stato di adottabilità, la valuta­zione della idoneità delle famiglie adottive, l'af­fidamento preadottivo;

- la competenza territoriale (il «dove»). Per i minori la competenza ad intervenire è stata in­dividuata nel territorio in cui si trovava il minore a1 momento della segnalazione; per gli adottanti la domanda poteva essere presentata a uno o più Tribunali per i minorenni: l'ambito territoriale era quindi tutta l'Italia;

- i problemi temporali (il «quando»). Nella legge 5-6-1967 n. 431 era previsto, fra l'altro, che gli istituti di assistenza dovevano inviare ogni 3 mesi l'elenco dei minori ricoverati e assistiti;

- i problemi dei costi (il «quanto»). Non veni­va precisato nella legge, ma era evidente che, mentre il ricovero dei minori ricoverati era a ca­rico dello Stato, effettuata l'adozione speciale, le spese relative al mantenimento, educazione e istruzione passavano agli adottanti.

 

Il diritto a vivere In condizioni accettabili

L'ANFAA, l'ULCES e il CSA hanno prevalente­mente operato per l'affermazione concreta dei diritti fondamentali delle persone che, per età (bambini), per la gravità delle condizioni fisiche e/o psichiche (handicappati intellettivi gravi e gravissimi, anziani cronici non autosufficienti) non erano, non sono e non saranno mai in grado di autodifendersi.

L'ANFAA, l'ULCES e il CSA sono sempre par­titi dalla considerazione che tutte le persone, nessuna esclusa, qualsiasi siano le loro condi­zioni fisiche, psichiche o mentali, l'età, la collo­cazione sociale e l'origine, hanno il diritto di vi­vere in condizioni almeno accettabili.

Alcuni diranno che questo è un principio mo­rale, altri possono ritenere che sia un riferimen­to assunto a fini di semplice convenienza opera­tiva. Si potrebbe anche pensare che alcune scel­te siano state determinate da opportunismo, con­siderato che nessuno di noi può sapere quali sa­ranno le sue condizioni future. Si può quindi ope­rare per assicurarsi una vita migliore, nel caso si dovesse perdere in tutto a in parte la propria autonomia.

Non vale la pena di disquisire se sia più valida l'una o l'altra considerazione. È invece di fonda­mentale importanza, a nostro avviso, che il prin­cipio sopra enunciato sia stato assunte dalle suddette tre organizzazioni come base per le azioni perseguite.

I principi valgono se non sono dimenticati nemmeno in parte, nelle azioni concrete, come purtroppo spesso avviene che lo siano per op­portunismo o, peggio ancora per mero calcolo. Rispolverarli esclusivamente per salvare la fac­cia, è un'operazione che non fa avanzare il pro­blema. Purtroppo molti volontari ritengono tem­po perso riflettere e discutere sui principi e sul rapporto principi-operatività.

Capita così, molto sovente, che nel settore as­sistenziale vi siano volontari sprovveduti a tal punto da non accorgersi che viene sfruttata la loro disinformazione. Basti pensare alle promes­se che, puntualmente ad ogni tornata elettorale, vengono fatte nei confronti delle persone più de­boli. Questa situazione di promesse ripetute e non mantenute è certamente favorita e con­sentita dalla presenza di dirigenti di associazioni e di altre organizzazioni che sostengono questo a quel candidato, questo o quel parlamentare o assessore.

Partendo dal principio del diritto di tutti ad una vita almeno accettabile, ne discende che al­le persone che hanno una minore autonomia per­sonale, dovrebbero essere assicurati gli inter­venti aggiuntivi di cui hanno bisogno.

Se una persona, per un impedimento transito­rio (malattia, infortunio o altro) o per handicap permanente (insufficienza mentale, paralisi ce­rebrale, ecc.), non è in grado di mangiare da so­la, è evidente che ha il diritto che qualcuno prov­veda a questa sua primaria esigenza.

Si tratta di diritti che vanno rivendicati sem­pre e comunque.

Abbastanza spesso avviene che vi siano per­sone, le quali, essendosi disinteressate della si­tuazione degli invalidi o peggio avendoli disprez­zati, divenute esse stesse handicappate, avan­zano richieste di privilegi personali.

Analoghi comportamenti si riscontrano per quanto riguarda gli anziani: disinteresse fino a quando non si è coinvolti dal problema, pretesa che tutto sia risolto immediatamente quando se ne ha bisogno.

Pagare 70-80 mila lire al giorno per un anziano malato cronico non autosufficiente ricoverato in un istituto di assistenza (non sempre adeguato alle esigenze) o 200.000 mila giornaliere in una clinica privata, è un peso che pochi possono sop­portare. In questi casi non c'è da stupirsi che vi siano persone del tutto sprovvedute sul piano delle conoscenze, che si ergano a difensori degli anziani. Ma, spesso, queste persone non hanno alcun interesse ai problemi della lotta all'emar­ginazione; quel che vogliono è la «sistemazione» dei loro parenti al minor costo possibile, sistema­zione che spesso ha caratteristiche, anche evi­denti, di emarginazione.

Viene così evidenziato che non sempre i pa­renti sono i migliori difensori dei diritti dei loro familiari.

D'altra parte è assurdo pretendere che all'im­provviso, in coincidenza con il proprio coinvol­gimento diretto, tutti i problemi vengano posti e affrontati in modo corretto.

 

Un problema permanente della società

Purtroppo, la lotta contro l'emarginazione - questo è un convincimento di fondo - è un pro­blema permanente della società.

Si tratta anche di un problema ricorrente, vale a dire mai risolto una volta per tutte, che si ripro­pone con gravità dopo ogni conquista, che susci­ta dopo una riforma una controriforma, che ri­chiede un impegno costante e vigile.

Potrà esserci la garanzia di condizioni di vita non emarginanti per i più deboli solo se vi sa­ranno gruppi molto forti che agiranno per assi­curare condizioni accettabili di vita a coloro che non sono in grado di provvedere a se stessi con i propri mezzi o con l'aiuto dei familiari.

I bambini, gli insufficienti mentali gravi, gli an­ziani malati cronici non autosufficienti non sono e non saranno mai capaci di autogestirsi nè di tutelarsi. Se nessuno interverrà a loro difesa, es­si saranno in balia dei gruppi più forti, i quali sempre hanno pensato e sempre penseranno pri­ma di tutto a difendere i loro interessi.

È illusorio ritenere che - non si sa in base a quale motivo - i gruppi più forti ad un certo punto accettino di rinunciare ai privilegi ed in­comincino a mettersi a disposizione dei deboli.

D'altra parte, se agli insufficienti mentali ed agli anziani cronici non autosufficienti venissero assicurate migliori condizioni di vita, a questo scopo dovrebbero essere destinati fondi aggiun­tivi, fondi che dovrebbero evidentemente essere forniti dal resto della popolazione.

In parole povere i più forti dovrebbero decide­re di stare meno bene.

È ipotizzabile che ciò possa capitare un giorno o l'altro? C'è da dubitarne fortemente. L'unica speranza è la costituzione di gruppi di volonta­riato promozionale, mossi non dal loro persona­le interesse ma da ragioni di giustizia umana e sociale, che lottino per l'affermazione dei diritti di chi non è in grado di difendersi.

 

Scegliere gli obiettivi in base alle forze

Tali gruppi - evidentemente - devono sce­gliere gli obiettivi in base alla loro forza.

Per quanto concerne l'ANFAA, l'ULCES e il CSA, trattandosi di gruppi composti da non molte persone, essi hanno sempre scelto pochi obiet­tivi, spesso uno solo.

Ad esempio, l'obiettivo dell'ANFAA, dalla co­stituzione al 1967, anno in cui è entrata in vigo­re la legge istitutiva dell'adozione speciale, era quello di fare in modo che venissero approvate disposizioni che avessero lo scopo di «dare una famiglia ai bambini in situazione di abbandono materiale e morale».

Anche un gruppo numericamente poco nume­roso può agire nel settore del volontariato pro­mozionale. Molte azioni sono state intraprese dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA, inizialmente con non più di dieci persone. Le azioni si sono poi quasi sempre sviluppate grazie all'interven­to di altri gruppi.

Se i promotori sono pochi sul piano numerico, occorre evitare che l'attività sia sempre e solo rivolta alla ricerca di altri aderenti: quasi sem­pre la frustrazione sopraggiunge e il gruppo si sfascia.

È invece necessario che il gruppo, definite in modo chiaro l'obiettivo prescelto e verificatone accuratamente la validità, predisponga un piano di azione compatibile con la consistenza del gruppo e non rinvii di settimana in settimana l'i­nizio dell'attività, subordinandola all'estensione numerica del gruppo stesso.

 

La ricerca di alleanze

L'ANFAA, l'ULCES e il CSA, giustamente, non hanno mai impegnato molte energie nel proseli­tismo, anche se - com'è evidente - hanno sem­pre valutato positivamente le nuove adesioni e il maggior impegno dei propri aderenti.

Passare da una associazione con cento ade­renti ad una con mille, richiede sforzi notevoli mentre sono scarsamente significative le riper­cussioni esterne.

Di gran lunga più efficace è stabilire alleanze con altri gruppi, o meglio ancora, ottenere che il maggior numero possibile di altre organizzazioni assumano autonomamente lo stesso obiettivo e, se possibile, gli stessi metodi di intervento.

Può anche essere conveniente che, trovato un alleato potente, sia necessario che il gruppo pro­motore dell'iniziativa si limiti ad esercitare una azione di sostegno nei confronti dell'alleato stesso (4).

Nei paesi democratici, le decisioni assunte a livello parlamentare dovrebbero essere l'espres­sione della maggioranza dei cittadini. È pertanto antidemocratica la pretesa dei gruppi che vor­rebbero che le loro posizioni diventassero opera­tive, per il solo fatto che essi ritengono che le loro proposte siano giuste. In linea di principio, occorre operare in modo che le proposte siano condivise dalla maggioranza dei cittadini.

Evidentemente i gruppi di volontariato promo­zionale non sono in grado di raggiungere tutta la popolazione. L'unico canale praticabile è quello di ottenere l'appoggio del maggior numero pos­sibile di partiti, sindacati, associazioni, movimen­ti di base, circoli culturali, ecc.

Al riguardo accorre tener presente che malti dirigenti delle suddette organizzazioni (partiti, sindacati, associazioni, ecc.) si impegnano con maggiore solerzia (o solamente) se possono as­sumere il ruolo da protagonisti. Il gruppo promo­tore deve quindi essere disponibile a trasferire ad altri questo ruolo.

Come abbiamo già detto, è da preferire l'as­sunzione del problema da parte di altre organiz­zazioni, soprattutto se si tratta di organizzazioni molto forti.

Se gli obiettivi assunti hanno una certa rile­vanza sociale, è illusorio pensare che un piccolo gruppo di volontariato possa farcela da solo. La pubblicazione di un giornale, la partecipazione a convegni, la distribuzione di volantini, la diffusio­ne di notizie tramite la radio o la televisione, so­no strumenti certamente utili, ma insufficienti per il raggiungimento, con 100, 1000, 10.000 ade­renti, di mete che coinvolgono il vivere civile dell’intera popolazione.

Sollecitare altre organizzazioni ad assumere gli stessi obiettivi, non ha significato certamen­te per l'ANFAA, per l'ULCES e per il CSA la ri­nuncia ad intervenire. Esse hanno continuato a svolgere una azione di stimolo, azione che è sta­ta della massima importanza. Non sono state nep­pure trascurate la raccolta della documentazione e la verifica continua di come il problema veniva percepito dalla cittadinanza. Inoltre è continuata la ricerca di nuovi sostenitori.

 

I «ripetitori»

Quando si affrontano temi sociali con propo­ste alternative alla pratica corrente, si incontra­no, soprattutto nella fase iniziale, grosse difficol­tà: non è raro essere tacciati di superficialità, di ignoranza, di megalomania, di utopia, ecc.

I luoghi comuni sono difficili da superare. D'altra parte, le persone che hanno sempre so­stenuto una certa linea di intervento, hanno dif­ficoltà ad ammettere di aver detta e scritto case sbagliate. Alcune si difendono insultando chi propugna idee diverse.

Un primo e non trascurabile risultato si ottie­ne, sul piano culturale, quando i cosiddetti «ri­petitori» cessano di intervenire.

I «ripetitori», a volte anche cittadini illustri, sono quelle persone che riferiscono, spesso in buona fede, cose sentite dire (5), senza aver com­piuto alcun approfondimento sulla validità delle loro affermazioni (6).

Allorquando le nuove idee vengono pubbliciz­zate, soprattutto se esse sono sostenute da per­sone note per il loro equilibrio professionale, la loro onestà culturale e il loro disinteresse eco­nomico, molti «ripetitori» tacciono, non scrivo­no più, né intervengono in convegni e congressi.

Restano ovviamente attivi coloro che conti­nuano a ritenere valide le loro posizioni.

 

Gli «approfittatori»

Nello svolgimento di attività di volontariato promozionale, alcune volte ci si è incontrati (e quasi sempre scontrati) con coloro che possia­mo definire come «approfittatori». Si possono suddividere in due categorie:

1) si tratta di persone che entrano a far parte dell'organizzazione di volontariato con il preciso scopo di riferire a questo o a quell'assessore sul­le iniziative, o di cercare di rompere la solidarie­tà del gruppo. Quando ci si accorge delle mano­vre di questi individui, bisogna correre ai ripari al più presto possibile;

2) sono individui che si annidano spesso nelle segreterie particolari degli assessori o sono po­sti a capo di uffici «chiave» delle istituzioni. Non sempre si tratta di persone con una specifi­ca formazione professionale e tanto meno con una sufficiente pratica operativa.

Non mancano i casi di arroganza: credono di aver scoperto il sistema di risolvere in fretta e bene tutti i problemi. Non si degnano di confron­tare le loro idee con gli altri: sanno tutto. Spes­so sono apprezzati da assessori incompetenti e impreparati ai quali forniscono una sufficiente dose giornaliera di apprezzamenti accompagnati dal disprezzo - a volte anche brutale - di coloro che si permettono di mettere in discussione le loro verità.

In genere, 1e parabole di questi individui han­no un rapido andamento in salita e una altrettan­to veloce caduta: non bisogna quindi, contare troppo sul loro appoggio.

Non ci risulta che vi siano approfittatori. come sopra descritti, che abbiano continuato, dopo le dimissioni del «loro» assessore, ad occuparsi del settore dell'emarginazione.

A questo riguardo va anche osservato che è rarissimo incontrare un politico o un operatore che abbia continuato ad interessarsi della fascia più debole della popolazione dopo il ritiro o il pensionamento.

Questa constatazione non vuole assolutamen­te essere una critica aprioristica, ma intende solo essere una fotografia della realtà.

Partendo però da questa realtà, riteniamo che occorra fare molta attenzione a credere nelle dichiarazioni dei politici e degli operatori (7) senza verificarne il fondamento.

Anzi, com'è evidente, le opinioni (di tutti. com­prese le nostre) subiscono forti condizionamenti dai principi etici, filosofici, giuridici, politici e sociali professati.

 

Vantaggi del confronto

Il confronto, in questi casi, è utilissimo perché le parti in causa sono costrette ad approfondire le loro tesi: emergono quindi indicazioni sempre più concrete, le affermazioni di principio vengo­no motivate e documentate, si entra in dettagli anche di tipo operativo.

Molto spesso, poi, avviene che i «ripetitori» assumano le nuove idee e ne diventino dei fer­venti sostenitori.

Come vedremo negli articoli che ci ripromet­tiamo di predisporre per entrare dettagliatamen­te nel merito delle attività svolte dall'ANFAA, dall'ULCES e dal CSA, l'obiettivo di dare una fa­miglia ai bambini in situazione di abbandono ma­teriale e morale ha portato all'approfondimento delle esigenze del bambino solo, dei diritti-dove­ri delle famiglie d'origine, dei compiti dei tribu­nali per i minorenni e dei giudici tutelari, delle funzioni degli enti pubblici e privati, del ruolo dell'adozione, ed ha fatto emergere la necessità di una profonda riforma del settore assistenziale.

Inoltre è stato necessario inventare atti giuri­dici assolutamente nuovi, come la dichiarazione dello stato di adottabilità e l'affidamento preadot­tivo. Una innovazione radicale è stata, fra l'altro, la previsione delle differenze minima e massima di età fra adottante e adottato in sostituzione dell'età minima dell'adottante.

 

Autonomia del gruppo

Nello svolgimento delle attività promozionali dirette alla eliminazione degli ingiusti trattamen­ti cui erano sottoposte le persone più deboli, l'ANFAA, l'ULCES e il CSA si sono sempre scon­trate con le autorità (Governo, Parlamento, Re­gioni, Comuni, Province, Unità sanitarie locali, enti privati).

Questi scontri sono avvenuti soprattutto nella fase iniziale. In seguito, con la creazione di alle­anze con altre organizzazioni, questi contrasti si sono attenuati e si è anche arrivati a situazioni di pieno accordo. Ad esempio la legge sull'adozione speciale è stata approvata praticamente all'una­nimità dalla Camera dei Deputati e dal Senato.

All'inizio delle attività, quando lo scontro è stato più forte, le istituzioni hanno combattuto (8) le iniziative dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA.

Le modalità sono quasi sempre le stesse. Si cerca in primo luogo di screditare il gruppo con affermazioni false: si sostiene che i volontari vo­gliono tutto e subito quando invece riconoscono la gradualità, ma non il «niente e mai»; si invo­cano impedimenti non veritieri, quali la mancan­za assoluta di mezzi economici.

Vi sono casi in cui le istituzioni tentano di rin­viare ogni decisione circa i temi sollevati dai vo­lontari con la creazione di commissioni di studio o con l'affidamento di ricerche a enti di loro fi­ducia.

Se il gruppo di volontariato promozionale non si lascia intimidire e intrappolare e riesce ad estendere la sua azione, certe istituzioni possono cercare allora di rendere innocuo il gruppo o di determinarne l'estinzione proponendo l'inseri­mento nell'istituzione di esponenti del gruppo promozionale. Sono quindi offerti posti di consi­gliere o di presidente di enti vari (IPAB e USL ad esempio). Spesso viene anche proposto l'inseri­mento di esponenti dei gruppi di volontariato nel­le liste elettorali.

Un altro mezzo per contrastare i gruppi di ba­se può essere quello di orientarli verso la gestio­ne di servizi. In questo modo, i gruppi sono co­stretti, per ottenere il pagamento delle presta­zioni effettuate, a scendere a compromessi con le istituzioni. Inoltre la gestione costringe il gruppo ad approfondire gli aspetti tecnici e am­ministrativi specifici, con la conseguenza di tra­scurare e abbandonare l'analisi degli aspetti po­litici e cioè il problema del rapporto fra i diritti fondamentali del gruppo delle persone (e non so­lo dei singoli cittadini conosciuti dal gruppo) e le loro reali condizioni di vita.

Ad esempio chi gestisce una comunità allog­gio si preoccupa - giustamente - delle condizioni di vita dei minori accolti. Fa quindi il necessario per migliorare le proprie capacità professionali. Nello stesso tempo opera per ricevere senza ri­tardi i corrispettivi relativi alle rette.

Chi opera a livello promozionale, come nel ca­so dell'ANFAA, dell'ULCES e del CSA, invece, deve individuare le modalità per assicurare una adeguata sistemazione familiare a tutti i minori ricoverati in istituto e cioè, a seconda dei casi, aiuti economico-sociali alle famiglie d'origine, adozione, affidamento familiare a scopo educati­vo, comunità alloggio.

Sulla base delle esperienze delle tre organiz­zazioni prese in esame, condizione essenziale per lo svolgimento di attività di volontariato promo­zionale è la massima autonomia del gruppo dal­le istituzioni.

L'autonomia deve riguardare non solo le fonti di informazione, l'individuazione degli obiettivi a lungo, medio e breve termine, ma anche gli aspetti economici.

Non sono da trascurare altre iniziative assunte dagli oppositori quali l'inserimento nel gruppo di volontariato promozionale di propri sostenitori. Spesso è difficile individuarli soprattutto se si tratta di persone abili nel fare il doppio gioco.

Infine i gruppi di volontariato promozionale de­vono resistere alle umiliazioni che vengono mol­to spesso inflitte dalle istituzioni.

 

 

 

(1) Nell'editoriale sopra citato abbiamo rilevato che «la gestione diretta di casi personali presso strutture assistenziali pubbliche o private costringe i gruppi di vo­lontariato a scendere a compromessi con le autorità: se si denunciano pubblicamente le carenze sofferte da que­sto o da quel cittadino bisognoso di assistenza, si rischia di danneggiare chi sta già male, con il rischio di farlo star peggio: spietata è la ritorsione dell'ente coinvolto». Veniva inoltre precisato quanto segue: «Riteniamo che l'unica forma di volontariato gestionale conciliabile con quello promozionale sia il volontariato svolto a livello do­miciliare-familiare. A nostro avviso rientrano nel volonta­riato domiciliare anche l'adozione e l'affidamento familia­re a scopo educativo».

(2) Svilupperemo questi aspetti in un prossimo artico­lo, riprendendoli dalle esperienze acquisite.

(3) La stessa modalità (chi riceve, chi fa, che cosa, come, dove, quando, quanto) può essere applicata per la lettura di leggi, delibere e regolamenti. Se manca anche una sola voce, c'è il rischio che le norme restino inope­ranti.

(4) L'alleanza effettiva di una organizzazione di cento soci con un gruppo avente duemila aderenti, determina - ovviamente - la stessa forza che si sarebbe verificata con il passaggio da cento a duemila soci. Con l'avvenuta al­leanza la forza è aumentata di ben 21 volte.

(5) Ovviamente occorre tener conto di tutte le opinio­ni, anche quelle degli avversari più accesi, soprattutto se sono documentate.

(6) Ad esempio i «ripetitori» affermano, per sentito di­re e non sulla base di ricerche storiche, che le IPAB (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza) sono state pubblicizzate dalla legge 17 luglio 1980 n. 6972, mentre erano già pubbliche ai sensi della legge 3 agosto 1862 n. 753 «Sull'amministrazione delle Opere pie», legge che estendeva a tutto il territorio nazionale le norme già in vigore nel Regno Sardo. Da notare che per opere pie non si intendevano organismi di natura religiosa, ma isti­tuzioni «di carità benefica» (Cfr. M. Tortello e F. Santa­nera, L'assistenza espropriata - I tentativi di salvataggio delle IPAB e la riforma dell'assistenza, Nuova Guaraldi Editrice, Firenze, 1982).

Altri «ripetitori» dichiarano, sempre per sentito dire, che l'aspetto più grave del problema degli anziani croni­ci non autosufficienti era il loro abbandono generalizzato da parte dei familiari. Le ricerche condotte sull'argomen­to smentiscono la suddetta affermazione.

Vent'anni fa molti sostenevano che l'adozione era de­stinata al fallimento in quanto rare sarebbero state la fa­miglie disponibili ad accogliere in casa loro un bambino procreato da altri. Oggi molti ripetono che non si trovano famiglie affidatarie, mentre con semplici azioni informa­tive numerose sono le disponibilità che emergono.

(7) Analoghe considerazioni possono essere fatte nei confronti di gruppi di volontariato e di altre organizzazioni pubbliche e private.

(8) In molti casi i contrasti continuano: l'obiettivo del­la chiusura di tutti gli istituti e della sistemazione fami­liare dei minori viene ancora duramente contrastata da molte forze politiche e da molte istituzioni.

 

 

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