Prospettive assistenziali, n. 83, luglio-settembre 1988

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

VENT'ANNI DI ADOZIONE INTERNAZIONALE: ANALISI E RIFLESSIONI

(seconda parte)

 

Autorizzazione agli enti

Pur ritenendo insufficienti i requisiti di idoneità previsti dai Ministeri per il rilascio delle auto­rizzazioni agli enti, consideriamo che il rendere possibile l'adozione internazionale solo attraver­so tali organismi sia il primo passo fondamentale da compiere, l'unico modo per condurre l'ado­zione di un bambino, straniero in una situazione di normalità, incanalandola in binari ben identifi­cati.

Si tratterà poi di esercitare su tali organismi dei controlli sostanziali tesi a verificarne non so­lo le dichiarazioni di principio ma anche l'opera­tività; dopo di che l'organismo si muoverà non solo in base alle proprie scelte, ma anche nel rispetto delle condizioni che l'autorizzazione ha posto.

Se l'operato dell'organismo non è in sintonia con quanto previsto, i Ministeri possono e deb­bono tempestivamente intervenire per introdur­re dei correttivi o per procedere alla sospensio­ne e/o alla revoca dell'autorizzazione.

Non ci nascondiamo che l'avere poi sul terri­torio nazionale una numerosa presenza di orga­nismi autorizzati creerà una nuova serie di pro­blemi, ma è anche vero che se le autorizzazioni saranno concesse su verifiche sostanziali, i pro­blemi non potranno che essere inferiori agli at­tuali.

Si tratta anche di trarre vantaggio dall'espe­rienza di altri Stati che hanno già compiuto un percorso in questa direzione con risultati soddi­sfacenti.

Anche alcuni Paesi di origine dei minori si so­no già orientati a rendere possibile l'adozione so­lo quando questa viene effettuata attraverso or­ganismi autorizzati: uno nel Paese d'origine e una nel Paese d'adozione.

Crediamo sia un errore ritenere ««l'obbligato­rietà» una sorta di limitazione della libertà del cittadino, e a favore di questa nostra posizione sottolineiamo alcuni motivi:

- il cittadino potrà sempre effettuare libera­mente le sue scelte fra organismi diversi che of­frono impostazioni, metodologie e servizi diversi,

- ci saranno meno coppie allo sbaraglio pronte a divenire, per sprovvedutezza o per ignoranza, facili prede di discutibili personaggi con pochi scrupoli,

- i rapporti con i Paesi stranieri migliorerebbe­ro sicuramente: allontanato ogni pericolo di ir­regolarità, e quindi di scandalo, gli operatori ita­liani guadagnerebbero maggiore credibilità.

 

L'idoneità della coppia

Ecco un altro nodo cruciale che fa molto di­scutere e sul quale ci sono opinioni contraddit­torie.

Alcuni sostengono, dimostrando a nostro pa­rere una buona dose di superficialità e derespon­sabilizzazione, che tutti coloro che desiderano adottare sono di per sé idonei. Sarebbe come di­re che il solo desiderio di avere un bambino rac­chiuda tutti quegli elementi di equilibrio, di di­sponibilità, di positività, di affettività, di capaci­tà educative e di sacrificio che una coppia deve possedere quando si propone come genitore.

Se fosse il solo fatto di procreare un figlio a eleggerci al ruolo di genitori, non avremmo bam­bini rifiutati o abbandonati e le strutture pubbli­che si dovrebbero occupare solo di orfani, ma la realtà appare essere molto diversa

È questa la testimonianza più evidente che non si diventa genitori per caso, sempre se per geni­tori si intende una paternità e maternità respon­sabile.

L'adozione non può che essere il frutto di una scelta ponderata, maturata e verificata.

Si tratta di affidare un bambino che ha già sof­ferto, che è già stato deprivato e la cui tutela è demandata a persone e/o enti che istituzional­mente hanno il dovere di proteggerlo.

Questo significa farsi responsabilmente carico di lui, della sua situazione e trovare per lui, at­traverso gli strumenti a disposizione, la miglior famiglia possibile in possesso dei presupposti per il recupero della sua personalità attraverso un positivo rapporto familiare.

Scegliere coloro che in prospettiva potrebbero essere i migliori genitori per quel bambino, non significa che chi non sarà scelto è «cattivo», ma più semplicemente che la loro disponibilità non corrisponde ai bisogni di quel bambino,.

Intendiamo dire che l'adozione non è un dirit­to ad avere un figlio, ma più semplicemente una possibilità, e come tale c'è anche il rischio dell'esclusione.

Sui criteri di valutazione dell'idoneità, il dibat­tito è più che mai aperto. È indispensabile indi­viduare almeno alcuni concetti fondamentali e discuterli ampiamente con gli operatori sociali e i magistrati al fine di creare, laddove è possibi­le, una base di lavoro comune.

La pluralità delle scuole di psicologia, e per­tanto le diverse interpretazioni, non dovrebbero costituire un ostacolo insormontabile nella ricer­ca di una base di partenza comune. Al contrario dovrebbero servire da stimolo al confronto e al dibattito teso all'affinamento delle tecniche.

Lo scopo finale sarebbe la riduzione del ri­schio d'errore.

 

Gli accordi bilaterali

Abbiamo già accennato alle difficoltà dell'in­terpretazione e applicazione della legge; è evi­dente che gli stessi problemi esistono anche ne­gli altri Paesi. È impossibile che una legge, fosse anche la più perfetta, si possa adattare alla legge di ogni singolo Paese dal quale arriva il bambino.

Il divario è ancora più ampio laddove l'adozio­ne, e di conseguenza la sua regolamentazione, rispecchia ordinamenti giuridici, economici, so­ciali, culturali e religiosi diversi dai nostri.

Non sono rari i Paesi che pur consentendo la adozione da parte di stranieri non residenti non l'hanno ancora regolamentata.

Sono queste le situazioni più altamente a rischio, per non dire esplosive. Quando manca una guida a cui fare riferimento, la linea di demarca­zione fra lecito e illecito è quasi inesistente e troppo soggettiva. Tutto può apparire legale sul­la carta, tranne poi scoprire, ma ciò succede ra­ramente e quasi mai è fatto oggetto di indagini approfondite, che c'è stata una «cessione di bam­bino» o un falso riconoscimento.

C'è una sorta di solidarietà nello stendere un velo di silenzio riparandosi dietro l'alibi «che tanto il bambino è venuto a star bene».

Anche se non ci arrendiamo (rientra nel nostri programmi l'intensificazione dell'attività promo­zionale all'estero affinché queste lacune siano colmate), siamo pienamente coscienti di quanto utopistico sia aspettarci che nel giro di poco tempo ogni Paese legiferi su questo specifico argomento.

Sono però proponibili soluzioni intermedie a breve scadenza. Ci riferiamo agli accordi bilate­rali tra Stato italiano e Stato straniero, che rap­presentano per noi l'unica strada percorribile, la sola in grado di dare rapidamente i migliori ri­sultati.

La realtà nella quale viviamo ci dimostra che gli accordi tra Stati sono all'ordine del giorno e che tutte le attività con l'estero sono rese pos­sibili data l'esistenza di questi accordi.

Perché allora non sottoscriverli anche per un intervento di umanità e solidarietà che dimostre­rebbe inoltre una raggiunta maturità nel farsi re­sponsabilmente carico, ognuno per le proprie competenze, di un problema che ci coinvolge tutti?

Queste sono le nostre aspettative, ma ci sono aspettative anche nei Paesi d'origine dei bambini che contano su aiuti esterni, oltre che sulle loro risorse, per raggiungere lo scopo che ci acco­muna.

È possibile che all'occhio poco attento la po­sizione del CIAI possa apparire rigida, quasi con­traria all'adozione internazionale; non è così! Siamo stati i primi ad incoraggiarla, ma propo­nendola sempre nell'ottica di una sua regola­mentazione che la renda praticabile quando ser­ve al bambino nel rispetto dei suoi diritti priori­tari.

GABRIELLA MERGUICI

 

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