Prospettive assistenziali, n. 83, luglio-settembre 1988

 

 

I CORSI PRELAVORATIVI PER INSUFFICIENTI MENTALI L'INTERESSANTE ESPERIENZA DEL COMUNE DI TORINO

MARIA GRAZIA BREDA, ADRIANO SERAFINO (*)

 

 

Nell'ambito delle alternative promosse a favore dei soggetti insufficienti mentali uno spazio rilevante lo occupano i corsi «prelavorativi» (1). Essi sono sorti con lo scopo di colmare il vuoto dato dalla mancanza di strutture formative adat­te a questa tipologia di handicap, che ancora og­gi in generale si registra nella formazione pro­fessionale.

 

LA SITUAZIONE ESISTENTE

 

Possiamo dire che per ora (ad eccezione dell'esperienza realizzata fino ad oggi solo dal Co­mune di Torino dei corsi prelavorativi) (2) per il ragazzo ultraquindicenne insufficiente mentale, non grave (dotato cioè di autonomia sufficiente per poter svolgere un'attività lavorativa) sono previsti i seguenti sbocchi dopo la scuola dell'obbligo:

a) l'inserimento in strutture assistenziali (i centri diurni), che sono inidonei però per i sog­getti con handicap lievi. Le attività di carattere hobbistico o ludico, che in questi centri si svol­gono in maniera prevalente, portano purtroppo ad una conseguente diminuzione o riduzione del­le capacità precedentemente acquisite. Inoltre tale condizione non aiuta la maturazione del ra­gazzo e non può quindi essere considerata come risposta idonea per tutti quei ragazzi che poten­zialmente possono avere anche una minima pos­sibilità di inserimento lavorativo.

Il centro diurno dovrebbe quindi essere ri­condotto alla sua funzione di assistenza specia­lizzata, con elevato grado di socializzazione, nei confronti di quei soggetti ultraquattordicenni, che, a causa delle loro condizioni fisiche e psi­chiche. siano privi di potenzialità lavorative.

b) L'inserimento nei centri speciali di forma­zione professionale, che non rappresentano ugualmente una soluzione accettabile perché:

- non rispondono minimamente alle importan­ti esigenze di socializzazione dei ragazzi; la strut­tura stessa isola i ragazzi dal resto dell'ambien­te e li priva delle sollecitazioni e degli stimoli che sono dati proprio dal contatto con le situa­zioni di normalità;

- l'attività didattica non è finalizzata a sboc­chi lavorativi reali; per quanto si debba ricono­scere il patrimonio di esperienze maturato dagli insegnanti dei corsi speciali, per la preparazione professionale specifica e per la specializzazione acquisita nel rapporto continuo con il soggetto handicappato, tuttavia va rilevato che la loro com­petenza non è impiegata in direzione di una pre­parazione che permetta al ragazzo handicappato mentale di acquisire capacità generiche finaliz­zate all'inserimento lavorativo.

Di fatto si assiste più ad un «parcheggio» in questi centri, che ad una attività di formazione: l'orientamento è più volto a svolgere attività tese ad «occupare» il soggetto, piuttosto che a prepararlo in funzione di uno sbocco lavorativo successivo al corso.

c) L'inserimento nei corsi normali di formazio­ne professionale, limitata però a quei soggetti che sono così lievi da essere in grado di soste­nere nel tempo e proficuamente (cioè con l'ef­fettivo raggiungimento della qualifica finale) la parte teorica e pratica, che questi corsi compor­tano (3).

 

CORSO PRELAVORATIVI OVVERO LA SOLUZIONE INTERMEDIA

 

Come si può vedere resta comunque scoperta una consistente fascia di soggetti per i quali non ci sono risposte adeguate; si tratta di quei ra­gazzi che, pur non essendo così gravi da richie­dere solo un intervento assistenziale (centri diur­ni), non sono così lievi da poter reggere l'inseri­mento in un corso normale di formazione profes­sionale.

Per evitare quindi il ripetersi dell'esperienza limitante ed emarginante del centro speciale e l'altrettanto inadatta esperienza registrata con l'inserimento in corsi normali (che il ragazzo alla fine subisce perché non è in grado di seguire) si sono realizzati i corsi prelavorativi.

Il corso prelavorativo si pone allora come solu­zione intermedia capace di soddisfare le esigen­ze di quei soggetti che hanno bisogno di un in­segnamento didattico speciale in una classe a parte che prevede momenti anche individuali ma realizzato in un contesto normale, cioè all'in­terno di un centro di formazione professionale pubblico, privato o convenzionato.

Perché prelavorativo? Perché scopo del corso è di valorizzare e sollecitare le capacità di la­voro del portatore di handicap, offrendogli più possibilità di apprendimento di attività, che svol­gerà tuttavia in collaborazione e sotto la respon­sabilità di altri lavoratori.

 

ELEMENTI PORTANTI DEI CORSI PRELAVORATIVI

 

Alla luce di quanto detto finora riteniamo che un corso prelavorativo debba rispondere ai se­guenti requisiti:

1) inserimento nei normali centri di formazione professionale;

2) tirocinio al lavoro;

3) attività di laboratorio e di tipo teorico fondate sul tirocinio al lavoro;

4) attività di socializzazione e autonomizzazione personale.

L'importanza dell'inserimento dei corsi in cen­tri di formazione professionale normali è data da più fattori:

a) i centri speciali (o le scuole speciali), de­rivati dall'istituzione delle allora dette «classi differenziate», sono strumenti inadeguati ad as­solvere le finalità per le quali inizialmente erano sorti e che erano quelle di riadattare alla vita sociale comune il soggetto svantaggiato.

Pur riscontrando la necessità di una didattica differenziata e specifica a causa dell'handicap, che impedisce l'inserimento in corsi normali, si ritiene tuttavia dannoso l'avviamento di questi soggetti con difficoltà in centri speciali.

Si è osservato che nella generalità dei casi, la classe differenziata e/o il centro e la scuola spe­ciale, per la loro stessa natura, emarginano. «In essa vengono raggruppati individui presentanti analoghe problematiche e carenze e, facendolo vivere in un ambiente scolastico scarso di stimo­lazioni sul piano sensoriale, intellettivo, e cultu­rale, con conseguenti ritardi di maturazione e turbe del carattere e del comportamento, deriva­ti dalla convinzione, ben presto introiettata dal ragazzo, di essere un soggetto che vale meno degli altri, di essere "diverso"» (Enciclopedia della psicologia, aggiornamenti, «Dalla scuola speciale all'integrazione scolastica», pag. 356, Procaccianti, Trento, 1982).

Ne risulta, a priori, impossibile un'azione di­dattico-terapeutica che miri ad un effettivo recu­pero dell'handicappato al contesto sociale;

b) negative sono le conseguenze dovute all'iso­lamento dei docenti; in assenza di momenti di scambio con insegnanti e allievi di corsi nor­mali rischiano di perdere a livello di elaborazione di progetto di lavoro e viene anche per loro meno la sollecitazione e l'arricchimento che na­sce invece in un contesto scolastico dove le realtà diverse (corsi normali e non) si mesco­lano e si confrontano.

Inoltre, proprio a causa di ciò, può succedere che gli insegnanti dei corsi prelavorativi siano vissuti come meno preparati e meno qualificati rispetto agli insegnanti dei corsi normali, quasi fossero insegnanti di serie «b»;

c) l'inserimento dei ragazzi dei corsi prelavora­tivi in un centro di formazione professionale nor­male ha inoltre il vantaggio di permettere con facilità il passaggio dal corso prelavorativo ai corsi normali di quei soggetti che si dimostras­sero così lievi da poter essere considerati ido­nei per l'inserimento in una classe normale.

 

Condizioni minime per l'inserimento

L'esperienza fin qui condotta segnala che mol­to rilevante diventa la scelta oculata del perso­nale docente e delle sedi per i corsi prelavo­rativi.

 

Insegnanti

La figura dell'insegnante nei corsi prelavorativi si colloca oltre i limiti che attualmente ricopre la figura dell'insegnante di appoggio. La forma­zione e l'informazione per il personale insegnan­te sono condizioni indispensabili per sviluppare una didattica che sia in grado di aiutare effetti­vamente il soggetto insufficiente mentale, ma an­che per comprendere la necessità di un amplia­mento delle proprie competenze ad altri campi (ad esempio quello educativo) per procedere ad una maturazione più complessiva del ragazzo; at­tualmente tale formazione non può che essere garantita e predisposta dall'ente locale.

Dovrebbero essere previsti corsi di aggiorna­mento periodici con disponibilità ad utilizzare ma­teriale didattico da consultare autonomamente o in lavori di gruppo, possibilità di visite guidate e di scambio con altre esperienze. È anche molto importante poter aver momenti di lavoro e di progettualità in collaborazione almeno per al­cuni aspetti con gli insegnanti dei corsi normali; si possono prevedere momenti di formazione co­mune articolati in sequenze graduali, per diffi­coltà, in base alle capacità individuali di appren­dimento dei soggetti.

Necessaria è la predisposizione dei laboratori (presenti nel centro di formazione professionale) a seconda degli interessi degli allievi o delle attività di tirocinio che svolgono; laboratori che possono essere aperti anche ai ragazzi dei corsi normali (ad esempio per attività di scienze natu­rali, la costruzione di plastici, ecc.).

 

Struttura e sedi

L'apertura dei corsi prelavorativi (ciascuno di tre moduli: 1°, 2° e 3° anno) dovrebbe essere prevista sia in centri di formazione professionale pubblici che in centri di formazione professionale privati o convenzionati, in modo tale da poter soddisfare le esigenze della popolazione di uten­ti. Nella realizzazione di ciò si dovrà considera­re che:

- è importante non separare le aule adibite ai prelavorativi dal resto dell'edificio (ad esem­pio le classi per i corsi prelavorativi tutte su un medesimo piano), ma la distribuzione dovrà essere equilibrata in modo da permettere e fa­vorire incontri programmati e/o occasionali nei momenti di intervallo e non creare a priori una immagine sbagliata nei ragazzi;

- in mancanza di aule disponibili, si richiede­rà lo spostamento dei corsi normali, in altro edi­ficio, eventualmente disponibile, e non dei corsi prelavorativi, per non penalizzarli sul piano delle relazioni sociali. Va ricordato che a parità di di­ritti alla formazione professionale, qualunque scelta dovrebbe essere indirizzata a favorire l'individuo più svantaggiato;

- possono essere eventualmente previste an­che altre soluzioni diverse da queste ipotesi, purché mantengano le indicazioni date preceden­temente per la salvaguardia degli aspetti relativi alla socializzazione e al tirocinio;

- i laboratori dei corsi normali non sempre possono essere già adeguati in partenza alle ca­pacità dei ragazzi che frequentano i prelavorativi. Per favorire però l'incontro tra i ragazzi del centro normale con i ragazzi dei prelavorativi, è necessario che i laboratori prevedano una par­te organizzata in modo da contenere quelle at­trezzature di base che consentano l'accesso an­che al ragazzo insufficiente mentale del corso prelavorativo.

Viceversa, laddove siano già stati attivati dei laboratori nei corsi prelavorativi, si possono ipo­tizzare momenti di apertura ai ragazzi dei corsi normali.

 

IL TIROCINIO AL LAVORO

 

Bisogna innanzitutto ricordare che per questi soggetti l'attenzione e la concentrazione su no­zioni puramente teoriche non può attardarsi a lungo nel tempo, né si possono raggiungere li­velli particolarmente elevati di apprendimento. Per questo l'esperienza pratica, con l'inseri­mento in un ambiente di lavoro, adeguatamente preparato, ottiene risultati considerevoli sia dal punto di vista dell'aumento delle capacità lavo­rative, sia di quelle relazionali, sia dell'autono­mia personale.

Interessanti sono i risultati riportati nella ri­cerca psico-sociale condotta a Taranto da cui ri­sulta che:

- «molti dei comportamenti inadeguati ma­nifestati dall'insufficiente mentale non sono di­rettamente rapportabili (come è convinzione co­mune) alla patologia in atto, ma dipendono stret­tamente dalla situazione ambientale vissuta dall'individuo. Perciò modificando la situazione am­bientale verifichiamo una conseguente modifica­zione dei comportamenti;

- «anche soggetti insufficienti mentali gravi sono in grado di apprendere, con un opportuno sostegno metodologico, l'esecuzione di posizio­ni di lavoro adeguate alle abilità possedute individualmente;

- «l'esperienza di lavoro produce una dimi­nuzione dei comportamenti socialmente non ade­guati e determina un accrescimento della matu­rità sociale;

- «è possibile modificare in senso positivo, mediante un'esperienza diretta, lo stereotipo se­condo cui 1'handicappato è soprattutto malato, dipendente, bisognoso di cure e non persona ca­pace di realizzarsi come lavoratore».

La stessa ricerca ha anche evidenziato (quale aspetto positivo) che l'inserimento di soggetti insufficienti mentali ha prodotto un processo di maturazione sociale molto rilevante. «I dipen­denti invitati ad esprimere il proprio giudizio ser­vendosi di alcuni concetti forniti dai ricercatori nella prima somministrazione hanno valutato il concetto di handicappato abbastanza negativa­mente, per cui appariva lontano dai concetti di la­voratore, persona, mio figlio. La valutazione fina­le ha invece dimostrato una modifica sostanziale ed in positivo del concetto di handicappato e si può concludere che l'esperienza ha inciso sulle persone in misura tale da provocare un muta­mento di atteggiamento» (Taranto: handicap e lavoro, una ricerca psicosociale in ambiente di fabbrica, in Prospettive sociali e sanitarie, n. 12/1986, pag. 14).

Va precisato a questo punto che il tirocinio è un'esperienza importante, che favorisce la rela­zione ragazzo/adulto (appoggio dei compagni di lavoro), ma non deve, né può sostituire la rela­zione coi coetanei altrettanto importante per una equilibrata esperienza di vita sociale.

 

Condizioni minime richieste nell'attuazione del tirocinio

Poiché ci troviamo di fronte ad una situazione che prevede, anche per il futuro, un ampliamento dei tirocinii da seguire e la fase sperimentale precedente ha dimostrato che non è consolidato che gli insegnanti si facciano carico del tiro­cinio (vedi le diverse esperienze dei centri «Pa­store» e «Caduti per la Libertà» di Torino), ritenia­mo indispensabile che venga costituito un grup­po più sostenuto di operatori, che operi a livello centrale.

Tale gruppo (che non può per ovvii motivi esse­re formato solo da due persone, come è la si­tuazione attuale di Torino) dovrà farsi carico di:

- preparare l'ambiente socio-lavorativo nel quale si vuole inserire il ragazzo e creare con­dizioni favorevoli all'integrazione coi lavoratori; si potranno utilizzare la formula della piccola as­semblea, dell'informazione con audiovisivi, qual­che illustrazione o foglio da lasciare ai singoli;

- scegliere i posti di tirocinio considerando la tipologia dell'handicap del soggetto che andrà inserito per individuare un posto di lavoro adatto e la residenza dello stesso per favorire il rag­giungimento del centro di formazione professio­nale;

- essere reperibili nel giro di brevissimo tem­po in caso di manifestazioni di crisi dei soggetti inseriti nel posto di tirocinio, per poter garantire adeguati interventi nei riguardi sia del ragazzo, che dei lavoratori;

- sviluppare la ricerca di posti di tirocinio, favorire gli inserimenti lavorativi anche con l'uti­lizzo di contratti parte-time, con progetti mirati con le aziende e mantenere rapporti con l'ufficio di collocamento.

- potenziare lo strumento dei contratti di for­mazione e lavoro, come possibile intreccio con l'esperienza del tirocinio.

Nel caso in cui l'Assessorato al lavoro e alla formazione professionale non abbia personale sufficiente destinato a quest'area, potrà richiede­re operatori da altri assessorati (assistenza, istruzione, ...) fermo restando che tale personale passerà alle dipendenze dell'assessorato in que­stione.

 

ATTIVITÀ DI LABORATORIO E DI TIPO TEORICO-PRATICHE FONDATE SUL TIROCINIO AL LAVORO

 

Benché i soggetti dei corsi prelavorativi non siano particolarmente predisposti a seguire con prolungato interesse corsi di teoria, è tuttavia in­dispensabile che siano garantite alcune acquisi­zioni di base utili proprio per poter sviluppare quella autonomia della persona, che è condizione imprescindibile per poter accedere ad un posto di lavoro.

Saper distinguere le cifre, leggere e compren­dere alcuni piccoli ordini o riconoscere anche solo il proprio mezzo di trasporto, compilare una scheda coi dati personali.., sono condizioni mi­nime a cui non si può rinunciare.

In caso di soggetti più dotati di altri si possono offrire integrazioni e conoscenze teoriche indi­vidualizzando i programmi e riferendoli all'atti­vità che il ragazzo svolge poi nel tirocinio.

Inoltre diventa sempre più chiaro che il ra­gazzo non può essere aiutato solo dall'esperien­za realizzata nel posto di lavoro e solo dall'aiuto degli altri lavoratori: il posto di lavoro non può sostituire il centro di formazione!

Egli ha bisogno pertanto di momenti separati in cui poter fare il punto o perfezionare o affinare le sue capacità in funzione della mansione che deve svolgere. Tali momenti vanno naturalmente organizzati con gli insegnanti all'interno del cen­tro di formazione professionale.

Condizione minima richiesta in questo caso è l'attivazione di un laboratorio polivalente di base che non necessariamente va inventato o costrui­to appositamente: è sufficiente riadattare in par­te o riorganizzare (come già anticipato nelle pa­gine precedenti) i laboratori già presenti nel cen­tro professionale; tale laboratorio deve essere dotato di attrezzature che consentano con eser­citazioni pratiche elementari ed individuali di svi­luppare la manualità (anche quella fine) o ridur­re o eliminare eventuali difficoltà riscontrate nel posto di tirocinio e realizzare quella che è poi la formazione professionale, minima, perseguita.

Senza questi momenti di verifica il tirocinio non risponde alle esigenze per cui è sorto; inol­tre può far insorgere situazioni che rischiano di trasformarsi in forme non controllabili di sfrut­tamento.

 

ATTIVITÀ DI SOCIALIZZAZIONE E PER L'AUTONOMIA PERSONALE

 

Un'attenzione particolare va riservata anche al­la parte che deve occupare la socializzazione.

Innanzitutto con questo termine s'intende il modellamento delle caratteristiche e del compor­tamento individuali attraverso l'addestramento fornito dal contesto sociale. Attraverso la socia­lizzazione l'individuo si forma una struttura mo­tivazionale tale da fargli trovare gratificante il fatto di agire in base ai ruoli che gli sono pre­scritti; sviluppa un suo comportamento ed una relativa autonomia in presenza di situazioni di­verse.

Tra i meccanismi che favoriscono la socializ­zazione troviamo:

- l'inibizione, mediante la quale il soggetto impara a posporre la gratificazione di certe pul­sioni in vista delle conseguenze mediate o im­mediate;

- la sostituzione d'una fonte di gratificazio­ne ad un'altra;

- l'imitazione di modelli prima interni al grup­po familiare, poi esterni;

- l'identificazione che coinvolge gli strati più profondi della personalità.

Ciò premesso, se si considera la particolare età del ragazzo, non va dimenticato che a que­st'età il rapporto con gli altri adolescenti è pri­vilegiato rispetto a quello con l'adulto e non va sottovalutata l'importanza di favorire al massimo la possibilità di incontro tra i soggetti normali e i soggetti con handicap, per i vantaggi già evi­denziati. «Al rifiuto dei valori e delle abitudini degli adulti, alle difficoltà di rapporto con gli adulti corrisponde, nell'adolescente, una grande inclinazione a vivere insieme ai coetanei, a sta­re in gruppo con loro, a condividere con loro ogni tipo di esperienza. Vivere in gruppo, avere gli stessi gusti, le stesse esperienze, usare lo stesso gergo verbale, vestire allo stesso modo degli altri, diviene per l'adolescente un modo di rassicurazione, di sentirsi qualcuno (...). Consen­te una identificazione rassicurante che colma, per così dire, un vuoto psicologico: quello che segue alla perdita della precedente identità fan­ciullesca (...) e precede la conquista di una nuo­va identità» (da: Enciclopedia della psicologia, psicologia dell'età evolutiva, «Il rapporto con gli altri adolescenti», pag. 231, Procaccianti, Tren­to, 1978).

 

Condizioni minime per la realizzazione di momenti di socializzazione

È molto importante che siano sollecitati mo­menti informativi da parte degli insegnanti, per preparare i ragazzi normo-dotati all'incontro con il soggetto handicappato. Ad esempio sì posso­no organizzare piccole assemblee o momenti tra più classi con gli insegnanti di cultura o preve­dere lezioni di educazione civica che introducano espressamente l'argomento.

Così si possono attivare visite guidate, attività sportive, gite tra gli allievi del centro... puntando più all'esperienza positiva data dal poter frequen­tare ragazzi normali, che all'apprendimento vero e proprio, che il ragazzo handicappato può trarre.

Nel caso sia necessario fruire di attrezzature o impianti esterni alla scuola (ad esempio nel caso di attività sportive), tale utilizzo non deve essere limitato ai soli ragazzi dei corsi prelavo­rativi, ma esteso naturalmente a tutte le classi organizzando turni e compresenza tra i corsi nor­mali e i corsi prelavorativi.

 

Condizioni minime per il raggiungimento di un grado sufficiente di autonomia personale

Diamo alcune indicazioni circa i settori su cui i docenti potrebbero dirigere parte delle loro at­tività a completamento dell'autonomia globale che il ragazzo può raggiungere. Tra gli scopi dell'insegnante potrebbero rientrare i seguenti:

- educare all'igiene personale, alla cura del proprio aspetto (abbinamento abiti e loro scelta a seconda delle situazioni, pettinatura, trucco...);

- favorire con l'aiuto anche individualizzato la conoscenza dello stradario cittadino, la sua consultazione, per aiutare il soggetto a raggiun­gere da solo sia il centro di formazione profes­sionale, che il posto di tirocinio;

- promuovere o sollecitare l'interesse per at­tività integrative extrascolastiche che investono l'area del tempo libero (sport, cultura, musica, cinema, ecc.);

- aiutare il soggetto a comprendere i modi diversi con cui ci si rapporta alle persone a se­conda della loro posizione sociale a scuola, nel posto di tirocinio e coi compagni di scuola;

- aumentare globalmente le conoscenze spa­zio-temporali e verificare anche le capacità di agire in condizioni di relativa autonomia: il ra­gazzo al termine del corso deve imparare ad ar­rivare puntuale sul posto di lavoro, presentarsi in modo ordinato, timbrare il cartellino, spostar­si all'interno del posto di lavoro, capire le dif­ferenze di ruolo tra le persone, saper richiedere e accettare l'aiuto dei compagni di lavoro, com­prendere piccoli ordini, ecc.

Come si può facilmente comprendere, il ragaz­zo insufficiente mentale ha bisogno di un periodo di tempo non solo per sviluppare maggiormente le proprie capacità lavorative, ma anche per rag­giungere quel grado di autonomia personale indi­spensabile per sostenere un inserimento lavora­tivo. Sarà pertanto necessario saper indirizzare i ragazzi dei prelavorativi anche attraverso inse­gnamenti che esulano in parte da compiti stret­tamente didattici, ma che non sono per questo meno significativi o meno importanti.

 

CONCLUSIONI

 

L'esperienza dei corsi prelavorativi, avviata or­mai da circa tre anni a Torino, finora ha avuto un andamento caratterizzato fortemente dalla sperimentazione e, quindi, anche da una certa improvvisazione, per cui una prima verifica è pos­sibile solo ora.

Senz'altro positiva è stata l'introduzione dei tirocinio sia per quanto riguarda direttamente i ragazzi, sia per quanto riguarda la risposta data dalle aziende private, oltre che dagli enti pub­blici: fatto questo non di secondaria importanza se si considera l'alto numero di disoccupati e la situazione in genere dell'occupazione della zona.

Certo è un'esperienza complessa che impegna su molti fronti: la qualificazione e l'aggiornamen­to del personale docente, la ricerca di sedi ido­nee sia sul piano strutturale, che della socializza­zione, impongono scelte politiche precise ed atti conseguenti, anche coraggiosi, che finora non sempre si sono potuti registrare.

Tuttavia, nonostante le carenze riscontrate corso prelavorativo si pone ad un livello supe­riore rispetto alle altre esperienze. La validità di questo modello è anche dimostrata dall'atten­zione che cominciano a porre a questo tipo di soluzione tanto i centri speciali, quanto i centri convenzionati di formazione professionale. Rispetto allo sbocco lavorativo non ci sentia­mo di affermare con certezza l'inserimento alla fine del corso in un posto di lavoro: sarebbe as­surdo considerando la situazione generale. Tuttavia riteniamo in coscienza di poter soste­nere che con il modello del prelavorativo, au­mentano le conoscenze date al ragazzo insuffi­ciente mentale e quindi conseguentemente au­menta la probabilità di occupazione.

Inoltre è indubbio che molto si può fare sia con la promozione di tirocini più mirati ad un suc­cessivo posto di lavoro nelle aziende, sia utiliz­zando, come già è stato ricordato, il contratto di formazione e lavoro.

Infine non ci resta che augurarci che tale espe­rienza - ripetiamo, positiva - non resti un fat­to puramente torinese, ma sia ben presto estesa ad altre realtà, per un graduale superamento dei centri speciali.

 

 

(*) Rappresentanti nella Commissione sui corsi prela­vorativi del Comune di Torino, Assessorato alla formazione professionale rispettivamente del Coordinamento sani­tà e assistenza fra i movimenti di base e delle Organizza­zioni sindacali CGIL. CISL, UIL di Torino.

(1) Cfr. F. SANTANERA, «Esperienze in materia di for­mazione professionale e di inserimento lavorativo di han­dicappati», n. 70, aprile-giugno 1985 di Prospettive assi­stenziali.

(2) Cfr. il testo dell'intesa intervenuta fra il Comune di Torino, i Sindacati CGIL, CISL, UIL e il Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base in data 10 feb­braio 1986, pubblicato sul n. 74, aprile-giugno 1986, di Pro­spettive assistenziali.

(3) Oltre il 95% dei ragazzi handicappati Inseriti nel corsi normali non raggiunge la qualifica.

 

 

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