Prospettive assistenziali, n. 83, luglio-settembre 1988

 

 

Libri

 

 

CARLO MARIA MARTINI, Educare al servizio - Per un'etica nella pubblica amministrazione, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1987, pp. 184, L. 10.000

 

La pubblicazione raccoglie una serie di inter­venti presentati dal Cardinale Martini «a coloro che a vari livelli sono impegnati nella pubblica amministrazione» sui seguenti temi:

1. Sviluppi e trasformazioni del mondo con­temporaneo nei riflessi sulla mentalità e i valori della gente e nei rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione (Como, 10 settembre 1984);

2. Rifare le cattedrali centro della città (Firen­ze, 22 novembre 1984);

3. Esiste un'etica del lavoro pubblico? (Mila­no, 30 marzo 1984);

4. Il mistero dell'amore di Dio per la nostra città (Milano, 19 aprile 1984);

5. Verso una città unita (Milano, 20 aprile '84);

6. Società complessa, riconciliazione, eticità (Firenze, 8 gennaio 1985);

7. Nuovi orientamenti della politica comunita­ria di cooperazione (Milano, 21 ottobre 1985);

8. L'impegno del pubblico amministratore (Mi­lano, 2 dicembre 1985);

9. La testimonianza del discernimento spiri­tuale e pastorale (Milano, 8 febbraio 1986);

10. Handicappati, società e lavoro (Bergamo, settembre 1986);

11. Una cultura per l'assistenza (Milano, 6 giu­gno 1986);

12. I rapporti tra giustizia e carità (Milano, set­tembre-ottobre 1986);

13. Farsi prossimo nella città (Milano, 9 dicem­bre 1986);

14. La dialettica tra carità e giustizia nel rap­porto tra pubblico e privato (Varese, 22 gennaio 1987).

Le analisi dell'Arcivescovo di Milano ci trova­no pienamente consenzienti. Ne riportiamo al­cune:

«Ci preoccupa infatti, una certa ridefinizione della “cronicità” e della “irrecuperabilità” da parte della cultura e dei sistemi sanitari vigenti, che finisce per negare risorse professionali, strumentali e finanziarie del comparto sanitario ad un bisogno chiaramente sanitario. Perché la persona gravissima, con poche possibilità di re­cupero fisico, non deve aver diritto ad essere seguita in tutti i suoi bisogni, compresi proprio quelli sanitari? La questione è fondamentale e si radica in quella difesa della vita della perso­na che, dal momento del concepimento fino al suo ultimo istante, va qualificata e non relegata a questioni secondarie»;

«Vanno allora valorizzate modalità di interven­to quali: comunità di vita, comunità alloggio, co­munità di pronto intervento, famiglie affidatarie, piano di assistenza domiciliare, centri educativi diurni, collegamento di famiglie con amici, nello spirito ad esempio di “Fede e Luce”. Tali inter­venti hanno il merito culturale e sociale di ripor­tare sul territorio le problematiche dell'handicap­pato grave, di non sradicarlo dal suo contesto sociale, di creare adeguata solidarietà alle fami­glie, di sviluppare una forte creatività e integra­zione, di porre in primo piano interrogativi che cercano di capire cause e responsabilità per po­ter sviluppare un concreto progetto di preven­zione. E, soprattutto, rispondono a una visione di umanità, solidarietà, rispetto della vita, che rag­giunge una profonda radicalità»;

«Possiamo allora dire che il problema dell'ab­battimento delle barriere architettoniche e di conseguenza di progettazione urbanistica - pub­blica e privata - senza barriere, è una scelta di civiltà significativa»;

«Difendere e proteggere socialmente la pro­duttività dei l'handicappato, trasferire le risorse economiche dall'area assistenziale a quella dei sostegno del lavoro, significa compiere un'ope­razione economica saggia»;

«La tendenza a risparmiare sulle opere sociali porta a tagliare sui rami più deboli, più poveri, che non hanno forza per reagire. Si veda, ad esempio, il decreto 8 agosto 1985 che, con il mo­tivo di separare nettamente le spese assisten­ziali da quelle sanitarie per ridurre la spesa del Servizio sanitario nazionale, in realtà taglia sull'assistenza agli handicappati, disabili, malati mentali, tossicodipendenti, anziani cronici»;

«II discernimento delle cause è compito irri­nunciabile per ogni pubblica amministratore, che non può rassegnarsi a inseguire la miriade di singole istanze, ma deve mirare - pur entro i limi­ti delle sue competenze - ad aggredire i fattori scatenanti e a farsi interprete del complesso dei problemi che ineriscono al suo territorio pressa i superiori livelli di governo»;

«La considerazione del rapporto tra carità e giustizia consente innanzitutto di prendere co­scienza dei limiti che caratterizzano certe visio­ni dei ruolo e della funzione storica della carità. Questi limiti si manifestano quando le iniziative e le opere della carità diventano, per la più invo­lontariamente, l'alibi per la persistente inefficienza delle strutture e delle istituzioni della giustizia. In tal modo la carità rischia di ridursi ad essere una copia scolorita e inadeguata della giustizia. Se la supplenza delle opere della ca­rità alle carenze della giustizia, invece di essere l'unica risposta possibile, in un particolare mo­mento, a situazioni di grave emergenza e di pe­nuria delle risorse oggettive e soggettive, inco­raggia la latitanza dei normali interventi istitu­zionali, allora bisogna avere il coraggio di sot­trarsi a un tale uso della carità distorto e inte­ressato».

 

 

ENRICO MONTOBBIO - M. LAURA GRONDONO, La casa senza specchi - Quale identità per l'inat­teso?, Edizioni OMEGA, Torino, senza data di stampa, pp. 89, senza indicazione di prezzo.

 

L'inatteso è il bambino handicappato, colui che provoca «l'esplosione del dolore» e che causa nei genitori una «delusione cocente».

Per la madre si tratta di «una grave ferita nar­cisistica che la disorienta, togliendole ogni pun­to di riferimento interno ed esterno, lasciandola sola con un profondo senso di frustrazione, di truffa, con in braccio un bambino inatteso, un bambino sostituito».

Il libro analizza con un linguaggio semplice, ricorrendo spesso a metafore, il cammino di per­sone con problemi psichici, spesso associati ad insufficienza mentale, dalla nascita all'inserimen­to lavorativo o paralavorativo (tirocini di lavoro, formazione in situazione, borse di lavoro), inse­rimento che spesso è «la effettiva causa del be­nessere psicologico dei l'handicappato», specie quando determina una esperienza di aggiusta­mento «rispetto al suo mondo psicologico e alle dinamiche familiari».

Il volume, certamente utile a tutti coloro che si occupano di inserimento lavorativo degli han­dicappati, dovrebbe anche essere letto dai geni­tori (che sono il riferimento essenziale per lo sviluppo armonioso o distorto del proprio figlia disabile), dagli insegnanti, in particolare dal per­sonale dei centri di formazione professionale e dagli altri individui (operatori, volontari, parenti, vicini di casa, ecc.) interessati al problema.

Gli Autori approfondiscono gli aspetti conosci­tivi del problema così come si presenta oggi; non  affrontano purtroppo - ad esclusione di brevi cen­ni sull'inserimento lavorativo - il tema delle ini­ziative da assumere per un cambiamento o alme­no un miglioramento degli apporti sociali, in mo­do che l'handicappato e la sua famiglia escano dall'isolamento sociale in cui troppo spesso so­no costretti a vivere, situazione che è causa di permanente sofferenza. Inoltre sarebbe stato ne­cessario un approfondimento circa gli interventi da attuare nei confronti degli insufficienti menta­li, dei pazienti psichiatrici e di coloro che sono colpiti contemporaneamente dai suddetti handi­cap.

 

 

JOHN H. WEAKLAND, JOHN J. HERR, L'anziano e la sua famiglia - Teoria e pratica dell'intervento psicologico, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1986, pp. 293, L. 32.500.

Come rileva giustamente Maria Selvini Palaz­zoli nella presentazione: «una massiccia istitu­zionalizzazione degli anziani permane ed è, pra­ticamente sempre, senza ritorno».

Di qui l'esigenza di ricercare alternative con­crete.

Ovunque è riconosciuta l'importanza di coin­volgere le famiglie.

Scopo del libro è «quello di offrire all'operato­re sociale, agli inizi della sua carriera o dotato già di una certa esperienza, dei punti da cui par­tire per aiutare le famiglie ad aiutarsi da sole».

Il volume comprende tre parti. Nella prima sono trattati due problemi: che cosa si deve fare e non si deve fare con gli anziani per poter sta­bilire con essi un rapporto di collaborazione.

In particolare sono esaminati i comportamenti da evitare: una serie di suggerimenti pratici su­gli errori in cui, per mancanza di esperienza, si può incorrere con gravi conseguenze sugli anzia­ni e sui loro congiunti.

La seconda parte contiene riferimenti alla teo­ria dei sistemi applicata alla famiglia con l'ob­iettivo di fornire strumenti di comprensione e di intervento circa i problemi (relazioni e conflit­ti) che emergono nei confronti delle persone an­ziane.

Nella terza parte sono, invece, contenuti una serie di esempi casistici con la trascrizione di stralci dei dialoghi con l'operatore, da cui emer­gono le strategie di intervento.

Nella creazione e gestione dei servizi alterna­tivi al ricovero in istituto o in ospedale, sono certamente di fondamentale importanza i rappor­ti che si stabiliscono fra l'anziano e/o i suoi fa­miliari con l'operatore.

Tuttavia - e questa ci sembra essere una ca­renza del libro - vi sono condizioni sociali che li­mitano o impediscono agli operatori di poter svolgere adeguatamente le loro funzioni e non consentono agli anziani di vivere in condizioni accettabili. Ci riferiamo, ad esempio, agli anziani che non hanno nemmeno il necessario economi­co per vivere (i 700 mila pensionati sociali del nostro paese ricevono 250 mila lire al mese!) o che abitano in alloggi fatiscenti.

 

 

GAETANO MUN0Z, Prometeo nella spelonca, Centro Letterario del Lazio, Roma, 1985, pp. 372, L. 15.000.

 

«Uno degli ultimi giorni della permanenza in Romagna, la prodezza spericolata da legare per sempre al ricordo di quella villeggiatura. L'idea venne ad Andrea da un momento all'altro: anda­re a forza di braccia, spingendo le ruote delle rispettive carrozzelle, ad Igea Marina (che si tro­va a tre chilometri da Torre Pedrera), alla colonia estiva dell'A.N.I.E.P., che dà sullo stesso vialone litoraneo su cui s'affaccia il “Sol et Salus”. Luisa si dimostrava alquanto perplessa di fronte alla proposta del marito; ma Andrea, detto fatto, quello stesso pomeriggio verso le 17, infilò l'usci­ta dell'istituto, e in un baleno fu sulla strada met­tendosi in marcia. Per prudenza, data la ridotta capacità visiva del marito, Luisa procedeva avan­ti ed Andrea la seguiva ad una certa distanza. Le macchine sfrecciavano loro accanto, sfiorandoli. Alcune dame pietose, incontrandoli lungo il per­corsa, riuscivano a stento a nascondere il loro sgomento e li spingevano poi per qualche tratto, fuggendo alfine terrorizzate nel vedere i due in­validi attraversare. Luisa ed Andrea continuava­no ad andare avanti! Ad un certo punto incontra­rono i bambini di una colonia, che si diedero a fare il tifo per loro: da qualcuno di quei ragazzi si levò la domanda che i due invalidi si erano sentiti rivolgere cento volte in quel mese: “Siete sposati? E come fate a cucinare?”...

«Giunsero a Igea Marina che imbruniva. Gian­ni Selleri, il presidente dell'ANIEP e sua moglie Carla - anch'essi impossibilitati a camminare - li ricevettero con festosa cordialità e con com­mozione; però Andrea e Luisa si sentirono criti­care da quei loro amici per l'alone propagandisti­co di cui avevano voluto circondare il loro matri­monio. Carla dichiarò poi schiettamente che bra­vate come quella da poco compiuta dai due inva­lidi, né lei né il marito si sarebbero mai sognati di perpetrare: erano troppo lontane dal loro stile riservato e prettamente antiesibizionista...».

Con questo episodio si conclude praticamen­te la lunga e densa biografia dell'autore (nel li­bro: sotto lo pseudonimo di Andrea). Ci piace ci­tarlo e presentarlo un po' come una scena sim­bolica ed emblematica della corsa faticosa e do­lorosa che contrassegna la lunga ricerca dell'Au­tore verso l'autonomia e l'affermazione persona­le, sorretta da uno spirito mai domato, nutrito di alta filosofia idealistica, ma resa ancora più drammatica (come documenta lo stesso prota­gonista con una sincerità a volte impietosa) da una troppo acuta e sofferta autocritica, che lo isola in un individualismo a tratti tragico (il «Pro­meteo nella spelonca»), e lo inibisce nei confron­ti di una partecipazione piena a un impegno so­ciale, pur desiderato, come gli rimprovera bene­volmente anche l'amico Selleri.

Lo stesso stile della scrittura, che può risul­tare appesantito, rispecchia, a nostro parere, questo tormentoso atteggiamento interiore e gli scontri continui con una realtà dura e nemica.

Ne risulta così un itinerario personalissimo, degno di grande attenzione e riflessione: le gra­vi sofferenze fisiche dovute anche alle cure sba­gliate di medici istrioni e profittatori, le soffe­renze psichiche per i rapporti col suo fisico, e per le relazioni molto complesse con i famigliari, specialmente con la madre, segnati da un'ambi­valenza profonda, i rapporti con gli amici, e so­prattutto con i due «maestri» amati che segna­rono la sua formazione, e con un numero enorme di «volontari» (fra cui alcuni con comportamenti negativi), la ricerca dell'amore durata moltissimi anni, la paura ossessiva della malattia, e infine il matrimonio in una nuova prospettiva sempre problematica di autonomia.

Una storia dolente e forte, coraggiosa e a trat­ti impietosa, entra nel nostro animo, proprio per la sua problematicità, per gli esiti non raggiunti, sofferti e sottolineati dallo stesso protagonista. Una storia che ci interroga e ci mette anche sot­to accusa.

 

 

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