Prospettive assistenziali, n. 82, aprile-giugno 1988

 

 

I 140.000 POSTI LETTO PER ANZIANI DELLA LEGGE FINANZIARIA 1988: EMARGINAZIONE DEI PIÙ DEBOLI O RISPETTO DEI LORO DIRITTI? (1)

 

 

Il gruppo che ha redatto i documenti «Diritti ed esigenze delle persone gravemente non autosufficienti» e «Criteri guida per gli interventi sanitari relativi alle persone gravemente non autosufficienti e indicazioni in merito agli interven­ti domiciliari, semiresidenziali, residenziali» (2), ha preso in esame:

- il testo della legge 11 marzo 1988 n. 67 (Finanziaria 1988) nella parte riguardante la realizzazione di 140.000 posti in residenze per an­ziani (art. 20/F);

- il disegno di legge n. 1942 «Modifiche all'or­dinamento del Servizio sanitario nazionale» pre­sentato alla Camera dei deputati il 24 novembre 1987.

Nel testo della legge finanziaria 1988 è previ­sta: «La realizzazione di 140.000 posti in strut­ture residenziali per anziani che non possono es­sere assistiti a domicilio e nelle strutture di cui alla lettera e) e che richiedono trattamenti con­tinui. Tali strutture, di dimensioni adeguate all’ambiente secondo standards che saranno ema­nati a norma dell'art. 5 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, devono essere integrate con i servi­zi sanitari e sociali di distretto e con istituzioni di ricovero e cura in grado d provvedere al rie­quilibrio di condizioni deteriorate. Dette struttu­re, sulla base di standards dimensionali, possono essere ricavate anche presso aree e spazi resi disponibili dalla riduzione dei posti letto ospeda­lieri».

Data la carenza di servizi alternativi, vi è il pericolo che siano programmate, predisposte e utilizzate strutture residenziali per gli anziani che, in presenza di idonei servizi domiciliari, am­bulatoriali e semi residenziali, potrebbero evitare il ricovero a tempo pieno.

Il disegno di legge n. 1942, presentato dal Mi­nistro della sanità di concerto con i Ministri dell'interno, del tesoro, del bilancio e della program­mazione economica, della pubblica istruzione, del lavoro e della previdenza sociale, per gli affari regionali, per gli affari speciali, prevede all'art. 5 quanto segue: «In un ambito territoriale determi­nato, l'unità sanitaria locale esercita le funzioni e provvede ai servizi in materia sanitaria che non siano espressamente riservati dalla legge ad altri enti ed organismi pubblici. Nello stesso am­bito territoriale provvede, inoltre, agli interventi di carattere sociale direttamente connessi a quel­li sanitari nei confronti degli anziani non autosuf­ficienti, degli handicappati, dei tossicodipenden­ti, dei disabili fisici nonché agli interventi ri­guardanti l'area materno infantile, con forma di finanziamento diversa dal fondo sanitario inter­regionale e separata contabilità».

La relazione del disegno di legge precisa, a sua volta, che gli interventi di carattere assistenzia­le direttamente connessi con quelli sanitari de­vono obbligatoriamente essere svolti dalle USL, senza che sia richiesta alcuna delega da parte dei Comuni. Secondo la relazione, il finanziamen­to delle attività assistenziali «non potrà però gra­vare sul fondo sanitario interregionale e le USL dovranno tenerne contabilità separata».

Tutte le altre attività assistenziali resteranno, dunque, di competenza dei Comuni singoli, i qua­li continueranno a non avere alcun obbligo di istituire servizi alternativi al ricovero, quali l'as­sistenza domiciliare e il sostegno economico a1­le persone con redditi inferiori al minimo vitale.

 

Considerazioni anche in merito alla legge finanziaria

Da quanto detto sembra evidente il rischio che i 140.000 posti per anziani, finanziati nell'ambito dei 30.000 miliardi, verranno gestiti dal comparto assistenziale delle USL, comparto che ha funzio­ni, personale, bilancio, strutture e attrezzature distinte da quelli del comparto sanitario delle USL stesse.

D'altra parte non è prevista nella legge finan­ziaria alcuna norma che imponga al settore sa­nitario l'istituzione di interventi domiciliari (ospe­dalizzazione a domicilio, ad esempio), ad esclu­sione delle prestazioni del medico di base che non sempre vengono attuate in moda adeguata. In merito alla legge 67/88 i firmatari del pre­sente documento fanno presente che:

1. secondo quanto affermato dalla Costituzio­ne Italiana, tutte le persone colpite da malattia hanno diritto ai necessari trattamenti curativi e riabilitativi. Pertanto ogni tentativo di estromet­tere gli anziani cronici non autosufficienti dalla prevenzione, dalla cura e dalla riabilitazione è da considerarsi illegittimo rispetto alla legislazio­ne vigente. Per la legislazione si faccia riferi­mento: alla legge 4 agosto 1955 n. 692, al decre­to del Ministro del lavoro del 21 dicembre 1956 e, specificatamente, agli artt. 22, 23, 24, 25 e 29 della legge 12 febbraio 1968 n. 132 e alla legge di riforma sanitaria del 23 dicembre 1978 n. 833. Il riferimento alla Costituzione è agli artt. 3 e 32;

2. nessuno può negare la cura col pretesto che il malato non guarirà più, essendo cronico: ingua­ribile non significa incurabile. Anche se non si può guarire si può migliorare, cercare di non peg­giorare la situazione, lavorando, curando e ria­bilitando, pur senza accanimento terapeutico. Non si può accettare la condizione «Ti curo solo se puoi guarire». Anche chi non può guarire deve essere curato. Anzi deve essere curato di più e meglio perché non potrà vivere molto, e spesso non sarà una vita facile. Essere malati in maniera cronica vuoi dire essere sempre malati. Non si finisce di essere malati quando una malattia ter­mina il suo stadio acuto. Una persona cronica è soggetta più di altri a ricadute. Molte malattie hanno infatti fasi acute e croniche che si alter­nano continuamente;

3. la diffusa opinione secondo la quale le ma­lattie croniche e i loro portatori sono scientifica­mente «meno interessanti», va contestata. Il di­sinteresse è espressivo solo del ritardo culturale del nostro sistema sanitario e dei suoi operatori;

4. non è accettabile che alle persone malate croniche o ai loro parenti, siano addossati oneri più gravosi degli altri cittadini. Sarà piuttosto ne­cessario prevedere delle agevolazioni (sussidi economici, servizi gratuiti, possibilità di aspet­tative e di riduzione di orario nel rapporto di lavoro, esenzione dal ticket) affinché sia soste­nuta l'opera della famiglia e della solidarietà so­ciale;

5. in nessun caso possono essere realizzati travasi impropri dal settore sanitario a quello socio-assistenziale, le cui caratteristiche essen­ziali sono, costituzionalmente, divise e distinte come segue:

 

Settore sanitario

Settore assistenziale

La Costituzione estende gli interventi a tutti i cittadini senza alcuna limitazione.

La Costituzione limita gli interventi ai cittadi­ni «inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi ne­cessari per vivere» (art. 38 Cost.).

Le prestazioni sono fornite immediatamente a semplice richiesta del cittadino.

Le prestazioni sono for­nite solo dopo l'effettua­zione di inchieste socia­li (spesso lunghe).

I servizi sono gratuiti salvo tickets.

Agli utenti viene sempre richiesto un contri­buto, esclusi evidentemente coloro che sono privi di mezzi econo­mici.

Nessuna contribuzione è a carico dei parenti tenuti agli alimenti.

Molto spesso viene ri­chiesto un contributo economico anche ai pa­renti tenuti agii alimen­ti (3).

La legge richiede abilitazioni e titoli specifici e prevede mansionari tassativi.

La legge non richiede abilitazioni o titoli spe­cifici né prevede man­sionari, neppure per la direzione dei servizi.

Gli standards minimi delle strutture pubbliche e private, anche se non soddisfacenti, sono da anni definiti da leggi nazionali.

Gli standards minimi delle strutture pubbli­che e private non sono definiti da nessuna leg­ge nazionale.

 

6. il rispetto delle esigenze sanitarie, unita­mente a quelle psicologiche e umane dei pazien­ti, e del personale addetto, comporta una pro­fonda trasformazione della struttura e dei servizi sanitari. Tale cambiamento deve procedere da un ripensamento profondo della stessa concezione di «atto sanitario», di struttura e di servizio.

 

Le priorità da attuare

Le priorità da attuare, più rispondenti alle ef­fettive esigenze delle persone gravemente non autosufficienti, sono:

- la prevenzione, che deve essere garantita a tutti, soprattutto agli anziani;

- i trattamenti sanitari domiciliari;

- l'ospedalizzazione a domicilio, o servizio analogo, in modo da fornire un aiuto concreto ai numerosi pazienti seguiti da familiari e terzi che provvedono, con un impegno di 24 ore su 24 e spesso di 365 giorni all'anno, a seguire anziani e non anziani gravemente non autosufficienti.

Questi servizi vanno finanziati in via priori­taria.

In particolare l'ospedalizzazione a domicilio, dal punto di vista sanitario, consente:

- di realizzare la continuità terapeutica che viene, viceversa, normalmente compromessa al momento della ammissione/dimissione ospeda­liera;

- di ridurre il rischio dell'insorgere:

- di stati confusionali dovuti al cambiamen­to di habitat,

- di infezioni ospedaliere,

- di sindromi depressive causate dal trovar­si in un ambiente estraneo e normalmente inte­so come ostile,

- di nuove patologie, anche dovute a fatti traumatici, causati dalla difficoltà a muoversi in luoghi poco conosciuti,

- di squilibri dannosi nei ritmi biologici, de­rivanti dalla perdita di abitudini acquisite e fa­miliari,

- di disturbi dovuti al cambiamento di vitto;

- di rimotivare il lavoro del personale, pro­muovendo un rapporto più finalizzato e persona­lizzato con il paziente e riducendo il rischio di un rapporto anonimo, demotivato, deresponsabi­lizzante.

Dal punto di vista sociale si recupera positi­vamente in questo modo un importante poten­ziale di aiuto (familiari, vicinato, volontariato, ecc.).

Dal punto di vista economico occorre ricercare le condizioni affinché:

- aumenti l'efficacia dell'intervento, ove i van­taggi derivanti al paziente dalla ospedalizzazione domiciliare siano superiori a quelli della istituzio­nalizzazione;

- evitando o rinviando l'istituzionalizzazione definitiva si riduca la spesa pubblica per caso trattato, sia con riguardo al breve periodo dell'eventuale episodio acuto, sia con riguardo al lungo periodo.

Per l'ospedalizzazione a domicilio (o servizio analogo) si ritiene realistico ipotizzare, in via di prima realizzazione, uno standard di attivazione pari al 10% delle persone gravemente non auto­sufficienti residenti in ciascuna USL.

Per il restante 90% è necessario incentivare al massimo gli altri trattamenti sanitari domiciliari, per ridurre al minimo il numero delle persone co­strette a ricorrere alle soluzioni residenziali.

Le condizioni di autosufficienza fisica e psichi­ca sono favorite, inoltre, da idonei interventi nel settore della casa, dei trasporti, da attività dì ani­mazione (centri di incontro, ecc.) e dai servizi di aiuto domiciliare e di assistenza economica. Di particolare importanza è la tempestiva erogazio­ne della indennità di accompagnamento alle per­sone «che si trovano nella impossibilità di deam­bulare senza l'aiuto permanente di un accompa­gnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di una assistenza continua» (legge 11.2.1980 n. 18). A tal fine è indispensabile che gli accertamenti siano definiti entro 60 giorni al massimo e che l'inden­nità venga corrisposta nei successivi 30 giorni.

 

Interventi semi-residenziali e residenziali

Nei casi in cui non sia possibile ricorrere agii interventi sopra indicati, vi è la necessità che le USL predispongano idonee soluzioni semiresiden­ziali (ospedali di giorno, ospedalizzazione nottur­na) che integrino le prestazioni domiciliari e am­bulatoriali. Nei casi in cui anche questi inter­venti non siano praticabili, allora è necessario che il servizio sanitario istituisca e gestisca so­luzioni residenziali:

- comunità alloggio (o gruppi appartamento). Si tratta di piccole strutture, a dimensione fami­liare e realizzata in normali appartamenti di abi­tazione o in piccole case inserite nel normale con­testo abitativo. Queste strutture, per la loro di­mensione e per la possibilità che hanno di crea­re nel loro interno una convivenza di tipo familia­re, rappresentano una interessante soluzione in situazioni in cui non è possibile, opportuna e con­sigliabile la permanenza nel proprio domicilio. Le comunità alloggio sono un servizio che può essere particolarmente indicato per pazienti con disturbi psichici. Chi soffre di disturbi psichici ha bisogno non tanto di un letto di ospedale: ha bisogno di un luogo protetto in cui ristabilire, al riparo da ogni violenza, l'equilibrio fra se stesso e il mondo;

- strutture sanitarie di tipo ospedaliero. Nel­la progettazione e ambientazione delle nuove strutture ospedaliere e nella ristrutturazione di quelle esistenti, occorre coniugare le esigenze tecniche dei servizi con quelle umane dei pazien­ti; in primo luogo ciò deve essere attuato nelle strutture residenziali sanitarie in cui la degenza è più prolungata (medicine generali e geriatrie). Particolare attenzione dovrà essere rivolta agli spazi di socializzazione e attivazione dei pazienti, spazi che ovviamente non devono interferire né andare a discapito delle esigenze diagnostiche e terapeutiche. Una particolare attenzione andrà posta sulla esigenza di garantire al servizio il massimo di qualità, professionalità, umanizza­zione;

- strutture residenziali non ospedaliere. Le strutture residenziali non ospedaliere non sono fisicamente collocate all'interno dell'ospedale. Alcuni elementi sopravvengono come condizio­nanti i risultati dei programmi a lungo termine per le persone gravemente non autosufficienti.

Un aspetto fondamentale di dette strutture è rappresentato dal numero delle persone con ma­lattie croniche e non autosufficienti: è consiglia­bile che non sia superato il limite delle cinquan­ta unità; al di sopra diventa precaria l'unitarietà di atteggiamento tra i vari momenti di attività della struttura sempre e comunque volti alla riat­tivazione e all'applicazione di programmi per sin­goli o per gruppi.

Poiché i programmi di riattivazione rappresen­tano l'obiettivo preminente, la struttura dovrà es­sere idoneamente allestita o ristrutturata in modo tale da privilegiare gli spazi di vita rispetto agli spazi di riposo, garantendo la fruibilità compieta interna ed esterna.

Le strutture sanitarie residenziali non ospeda­liere sono organicamente collegate con le divisio­ni ospedaliere di riferimento le quali provvedono con il proprio personale alla gestione di dette strutture e alle ammissioni e dimissioni dei pa­zienti.

Opportuni provvedimenti dovranno definire le modalità per la trasformazione delle case protet­te assistenziali in strutture residenziali sanitarie non ospedaliere; il personale delle attuali strut­ture protette assistenziali deve avere la possibi­lità di optare tra l'inserimento nei ruoli sanitari e la permanenza in quelli socio-assistenziali.

Nei casi in cui la situazione locale sia tale per cui non vi sono strutture residenziali sanitarie (ospedaliere o non ospedaliere) sufficienti per accogliere i malati gravemente non autosufficien­ti, si può accettare - quale soluzione di emer­genza e quindi transitoria limitatamente ai pa­zienti con una situazione psico-fisica stabilizza­ta - l'utilizzo di letti sanitari presso istituti di assistenza (residenze protette, ecc.), assicuran­do standards adeguati di personale e di attrez­zature.

Al riguardo si riporta quanto previsto dalla legge della Regione Piemonte 3 maggio 1985 n. 59: art. 21, «... i presidi residenziali socio-assi­stenziali possono essere utilizzati, anche ai fini sanitari, soprattutto per la deospedalizzazione protetta, secondo ve indicazioni dei piano socio­sanitario regionale, nonché per la tutela della sa­lute mentale e per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti. In tal caso la gestione è a ca­rico dei servizi sanitari e del relativo fondo sa­nitario, fermo restando il supporto che viene ga­rantito dal servizio socio-assistenziale».

Mano a mano che verranno aperte strutture residenziali sanitarie (ospedaliere o non ospeda­liere), saranno ridotti ed infine soppressi i letti sanitari presso gli istituti assistenziali.

 

Riabilitazione

La legge 23 ottobre 1985 n. 595 «Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanita­rio triennale 1986-88e stabilisce all'art. 10 che «la dotazione media dei posti letto nell'ambito della regione o provincia deve essere del 6,5 per mille, di cui almeno l'1 per mille riservato alla riabilitazione».

Poiché le esigenze riabilitative si manifestano soprattutto come conseguenza della patologia cronico-degenerativa tipica degli anziani, ad essi si auspica vengano destinate le cure riabilitative previste dalla citata legge.

Per quanto riguarda i limiti di durata essi van­no riferiti alle esigenze dei soggetti e non presta­biliti.

 

Patrimonio delle lPAB

Poiché le carenze delle strutture dei settore assistenziale sono particolarmente gravi (insuf­ficienza di locali per i servizi alternativi, mancan­za di comunità alloggio per minori, per handicap­pati minorenni e adulti, per anziani autosufficienti in tutto o in parte, ecc.), non è ammissibile la sottrazione di beni alla fascia più debole della popolazione.

Non è quindi accettabile che per la istituzione di postî letto per malati non autosufficienti (ma­teria di competenza dei comparto sanitario) ven­gano utilizzati i patrimoni delle IPAB, Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, patrimoni che la legge 6972 del 1890 destina al settore as­sistenziale.

 

Conclusioni

Nei confronti delle persone gravemente non autosufficienti (anziani e adulti) si richiede in sintesi che:

1. vengano attuate tutte le necessarie misure di prevenzione e di lotta contro la cronicità, in modo da garantire la massima autonomia possi­bile;

2. siano assicurati tutti gli apporti diretti a consentire la permanenza al proprio domicilio mediante:

a) interventi sociali (settore casa, ristrut­turazione alloggi, trasporti, attività di animazio­ne, centri di incontro, tempestiva corresponsione agli aventi diritto dell'indennità di accompagna­mento, ecc.);

b) interventi assistenziali (servizio di assi­stenza domiciliare, contributi economici diretti a garantire almeno il minimo vitale, ecc.);

c) interventi sanitari domiciliari, ambulatoria­li, semiresidenziali;

3. i servizi residenziali ospedalieri e non ospe­dalieri devono essere previsti tenendo conto del­le esigenze risolte o risolvibili con gli interven­ti di cui al punto precedente;

4. si favorisca il coinvolgimento della famiglia (nel pieno rispetto delle scelte dei suoi compo­nenti), del volontariato, del vicinato.

In ogni caso, per le persone gravemente non autosufficienti e per gli anziani autosufficienti in tutto o in parte, la priorità assoluta deve riguar­dare gli interventi domiciliari, ambulatoriali e semiresidenziali, sia per quanto riguarda le spese di investimento, sia in relazione al personale e alla sua preparazione e aggiornamento.

In relazione alle motivazioni esposte i firma­tari del presente documento ribadiscono che la gestione dei 140.000 posti deve essere completa­mente assunta dal comparto sanitario.

 

 

 

 

(1) Chi intende aderire a questo documento, approvato il 18 aprile 1988, è pregato di segnalarlo alla Segreteria tecnica del Gruppo, scrivendo al Centro Studi Programmi Sociali e Sanitari, Via della Scala 3/a, Roma 00153, oppure all'Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali, Via Arno 2, Roma 00198.

(2) Il Gruppo ritiene che fra i pazienti cronici non auto­sufficienti rientrino coloro che sono in una situazione di malattia che si protrae nel tempo e determina limitazioni funzionali che li rendono incapaci di provvedere a loro stessi se non con l'aiuto totale e permanente di altre per­sone, oppure determina la necessità di interventi di terzi per soddisfare le esigenze che i soggetti stessi non sono in grado di manifestare.

Il Gruppo auspica che sia predisposta, con la collabora­zione di esperti, una definizione scientifica di cronico non autosufficiente che possa essere utilizzata anche ai fini sanitari e organizzativi e tuteli l'utenza.

(3) Nell'articolo al diritti dell'anziano» pubblicato sulla «Rivista trimestrale di diritto e procedura civile», settem­bre 1987, Massimo Dogliotti sostiene che le leggi vigenti non consentono agli enti pubblici erogatori di assistenza di rivalersi sui parenti, compresi quelli tenuti agli alimen­ti. La richiesta degli alimenti, secondo Dogliotti, può essere avanzata esclusivamente dall'alimentando.

 

 

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