Prospettive assistenziali, n. 82, aprile-giugno 1988

 

 

AUTISMO INFANTILE, ALCUNE PRECISAZIONI

CARLO HANAU

 

 

Pubblichiamo il contributo di Carlo Hanau come stimolo alla discussione sul drammatico pro­blema dell'autismo infantile, anche in considerazione del fatto - non corretto - che una rivista di psicologia ha rifiutato questa scritto.

 

L'autismo è una delle più gravi forme di psicosi infantile, caratterizzata da mutismo, assen­za di rapporti con le altre persone, chiusura in se stessi e dondolamenti. L'evoluzione naturale del­la malattia, per il 90% dei casi, conduce verso l'istituzionalizzazione permanente psichiatrica: alla non autosufficienza si accompagna spesso, fin dall'adolescenza, una forte aggressività ver­so sé e gli altri.

I genitori, colpiti da questa grave disgrazia, vengono colpevolizzati dagli psicologi che fanno risalire la malattia alla mancanza di affetto da parte della madre durante la gravidanza o duran­te i primi giorni di vita.

Solo da qualche anno indagini statistiche con­dotte scientificamente hanno dimostrato che l'autismo può essere provocato da tante cause diverse di natura organica, alcune delle quali vi­rali, altre genetiche, la cui determinazione è sta­ta resa possibile dai più recenti studi nel campo dei cromosomi.

Ogni volta che lo scienziato scopre una di que­ste cause in un bambino autistico, vengano di­scolpati e assolti i genitori ed inoltre si aprono possibilità terapeutiche efficaci per quei partico­lari tipi di autismo trattabili con vitamina 136 e magnesio, acido folico, altre forme di diete. È ovvio che la terapia risulta tanto più efficace quanto più precoce, per cui sarebbe necessario che la diagnosi di autismo venisse posta fin dai primi mesi di vita, così come già avviene in altri paesi più avanzati del nostro, e che si iniziasse subita dopo la eventuale terapia farmacologica. Ciò non esclude l'intervento psicopedagogico, la cui utilità è pure dimostrata in tanti casi (vedi da ultimo Lovaas, che, mediante il trattamento in­tensivo prescolare, ha ottenuto la guarigione du­ratura per quasi la metà dei soggetti trattati).

Purtroppo in Italia e in gran parte dell'Europa latina le nuove terapie organiche e quelle psico­pedagogiche sano state ignorate, e la prima do­manda che i genitori si sentono rivolgere dallo psicologo è: «Avete desiderato questo figlio?», come se dall'intensità del desiderio potesse di­pendere una malattia così particolare e così gra­ve. Gli psicologi e gli psicoanalisti italiani sono ancora legati alla vecchia interpretazione dello autismo di Bettelheim.

Prova evidente di questo ritardo del mondo latino è il recente articolo sull'autismo apparso in contemporanea su «Psicologia contemporanea» n. 84/1987 e su «Psychologies» a firma, di Claire Synodinou, rappresentante della scuola psicoanalitica francese. A questo articolo sen­tiamo il dovere di dare una risposta, che la rivi­sta «Psicologia contemporanea» ha rifiutato di pubblicare.

Il contenuto dell'articolo è anticipato già dal titolo: «Il diritto alla differenza» e nell'introdu­zione: L'uomo è autistico per natura, in ognuno di noi c'è una parte che non riveliamo. La chiusu­ra autistica si potrebbe paragonare all'atteggia­mento del saggio che vive in solitudine, ma nel bambino questa chiusura non è una scelta: è la impossibilità di affrontare un mondo esterno che è troppo duro per lui... Quando si costringono a fare certe cose, volendo a tutti i costi inserirli nella società, farli diventare come gli altri si scatenano diverse manifestazioni incontrollate.

Si direbbe quasi «autismo è bello» dato che più oltre la Synodinou riprende: «L'autismo è ac­compagnato da una specie di allegria... i bambini autistici hanno generalmente il viso disteso e di una bellezza angelica, purché l'autismo non sia deformato dall'ambiente circostante. I familiari hanno bisogno di essere aiutati a capire la pecu­liarità di questo membro della famiglia... Non siamo tutti eguali a questo mondo. L'essenziale è che non ci sia sofferenza, dipendenza nei biso­gni della vita quotidiana. Che un bambino non sia scolarizzato non è essenziale». L'articolo con­clude: «Se, in mancanza di parole, il bambino può comunicare in altro modo, non per questo è privo di linguaggio. Ciò gli dà diritto di esistere come vorrà».

Se volessimo interpretare la psicoanalista con la sua stessa metodologia, dovremmo sospettare che la sua accettazione della diversità autistica altro non sia che la sublimazione dello scacco terapeutico subito: non riuscendo a far nulla per modificare l'evoluzione della malattia, si prefe­risce negarne l'esistenza e le terribili conseguen­ze; si arriva ad attribuire al soggetto autistico uno stato di felicità rilevato dai tratti del viso. Anche nella interpretazione dell'Idiota traspare un'apparente felicità: ma non possiamo dimenti­care quanto sia differente lo stato di tensione permanente dei bambini autistici, e sopra tutto quanto venga compromessa la loro autosuffi­cienza nei bisogni della vita quotidiana giovane e adulta.

La rassegnazione con la quale viene accettata la mancata scolarizzazione è colpevole, e può essere compatita solo se letta nel quadro dell'ef­ficientismo della società francese, ove la scuola è l'antipasto forte di una selezione meritocratica che dura tutta la vita.

La preoccupazione di disturbare l'asserito equilibrio autistico, la personalità del bambino diverso, parta a legittimare la condotta terapeu­tica psicoanalitica classica, fatta di pazienti at­tese di piccoli segni come «gesti, parole, suoni inarticolati, linee tracciate sul foglio... tracce di comunicazione si tirano come un filo e possono farlo uscire dal labirinto dove si è nascosto, se ha voglia di uscirne». Tutta diversa è la condot­ta terapeutica di pedagogisti, di psicopedagogi­sti, di etologi e di alcuni genitori ormai famosi, come la Clara Claiborne Park (cfr. «L'Assedio», Astrolabio editore), che tendono a forzare il bam­bino con stimolazioni continue verso una sua sempre maggiore socializzazione. Le forzature, compresi i meccanismi di premi e castighi, trag­gono legittimità dalla consapevolezza che il bam­bino autistico è molto malato e che, lasciato a sé stesso, quasi sempre peggiora fino a confon­dersi con tutti gli altri malati mentali gravi, irre­cuperabili al vivere sociale.

Contro l'istinto naturale dei genitori-educatori, ben rappresentato dall'esperienza descritta da Giulia Basano (cfr. «Storia di Nicola», Rosen­berg & Sellier editori), la Synodinou sembra con­siderare pericoloso l'intervento attivo per la so­cializzazione, mentre noi riteniamo che il male sia tanto grave da esigere un rimedio efficace, anche se forte: come un tumore al cervello può esigere che i chirurghi facciano violenza al sog­getto malato aprendo il cranio ed asportando la parte malata, così il bambino autistico può avere bisogno di un'educazione contraria alle sue ten­denze «naturali», e - se del caso - anche i far­maci adatti a cambiare gli aspetti malati del suo comportamento.

Si fa molto rilevante, nel problema terapeu­tico, l'esatta indicazione delle cause dell'auti­smo. Non si tratta soltanto, come afferma la Sy­nodinou, di determinare in astratto l'esattezza di una teoria o di un'altra «che non cambia nulla nel tipo di terapia che stiamo facendo. Che l'au­tismo sia genetico o no, non elimina la possibili­tà di un'evoluzione, di un'apertura alla comuni­cazione. I genitori vedono nell'ipotesi genetica qualcosa di meno colpevolizzante. Sta di fatto che il comportamento di una famiglia non è più volontario che l'essere portatori di una certa ere­dità biologica».

L'unica opinione condivisibile è quella per cui l'autismo, anche se di origine genetica, può evol­vere in senso positivo; tuttavia l'evidente igno­ranza della medicina organica non può scusare l'affermazione della Synodinou, secondo la quale l'accertamento delle cause non cambia nulla nel tipo della terapia: se ad esempio si riscontra una anomalia genetica (ad esempio fenilchetonuria) alla base dell'autismo, esistono terapie dieteti­che e farmacologiche, tanto più efficaci quanto più precoci, per cui si può ottenere un ottimo ri­sultato senza alcun supporto di tipo psico-peda­gogico o psicoanalitico.

Noi riteniamo che la tesi psicogena, secondo la quale l'autismo è causato dal comportamento della famiglia, e in particolare della madre, non possa essere accettata dogmaticamente come valida a priori, come fanno ancora molti epigoni di Kanner, a differenza dello stesso Kanner, che già nel 1975 ebbe modo di sconfessare se stes­so, chiedendo scusa ai genitori americani riuniti in un'assemblea per averli ingiustamente accu­sati di aver provocato l'autismo dei figli.

Se l'autismo non è imputabile alla famiglia, viene a cadere il problema della volontarietà del comportamento che avrebbe causato l'autismo: d'altra parte tale questione è di competenza di teologi e di filosofi, che per generazioni si sono combattuti sul determinismo del comportamen­to umano e il libero arbitrio, ma non ci sembra sia questa la sede per riprendere la polemica.

Dopo averla dissimulata, la Synodinou tradi­sce la sua scelta sulle cause dell'autismo quan­do afferma che «il bambino autistico a un certo momento ha voluto ritirarsi in se stesso perché non sopportava le costrizioni della vita, dei con­tatti col mondo esterno» ed ancora più esplicitamente: «Il bambino che avrebbe dovuto spec­chiarsi, vedersi negli occhi della madre non ha trovato altro che vuoto... il bambino e la madre nascondono la simbiosi esistente fra loro ed ap­paiono entrambi indifferenti l'uno all'altra».

Si giustificherebbe così l'azione riparatrice e sostitutiva dello psicoterapeuta, che tuttavia non sembra dare risultati apprezzabili sull'evoluzio­ne della malattia, per ammissione degli stessi terapeuti. Il transfert è la base di questo inter­vento terapeutico, la cui efficacia dovrebbe es­sere dimostrata sperimentalmente. Qualcuno osa mettere in discussione addirittura l'esisten­za del transfert stesso, dato che il bambino a volte sembra del tutto indifferente. A questo ipo­tetico profanatore del metodo analitico la Syno­dinou risponde con un sillogismo illogico: «Anche quando (il bambino) manifesta freddez­za il transfert è presente, altrimenti non ci sareb­be terapia».

Per concludere, sembra necessario invitare la Synodinou a mettere in discussione l'ipotesi psi­cogenetica sulla quale si fonda tutto il castello: chi ha cercato sperimentalmente una qualche at­titudine dei genitori che potesse spiegare l'au­tismo dei figli non è mai riuscito a trovare nulla. (1)

I genitori, per parte loro, hanno il diritto ed il dovere di pretendere gratuitamente dal servizio sanitario nazionale tutte le prestazioni diagno­stiche che le tecniche moderne mettono a dispo­sizione per scoprire eventuali difetti cromosomi­ci o biochimici congeniti e per le eventuali tera­pie dietetiche, farmacologiche e psicopedagogi­che necessarie. Per sollecitare il servizio sanita­rio ad adempiere ai suoi doveri e per mettere in atto tutte quelle forme di intervento che posso­no aiutare il difficile inserimento nella scuola e nella società (insegnante di appoggio, riduzione dei bambini per classe, cooperative integrate etc. etc.) si è costituita l'Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici, casella postale 3102, Bologna Ponente, 40100 Bologna, cui possono ri­volgersi genitori ed operatori per ottenere indi­cazioni ed aiuti.

 

 

(1)     Per una bibliografia in lingua francese vedasi, ad esempio, M. Leboyer, Autisme infantile, faits et modèles, P.U.F., 1985.

 

 

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