Prospettive assistenziali, n. 81, gennaio-marzo 1988

 

 

SENTENZA FAVOREVOLE ALL'INSTALLAZIONE DI UN ASCENSORE IN UN CONDOMINIO PRIVATO

 

 

Riportiamo integralmente la sentenza del Pretore Tavassi di Milano con la quale viene consentita l'installazione di un ascensore, come richiesto da un condomino handicappato sul piano motorio.

 

Testo della sentenza

Il Pretore esaminati atti e documenti di causa, sciogliendo la riserva, osserva quanto segue:

Con ricorso depositato il 17 novembre 1986, la Signora Sandra Soli e la LEDHA - Lega confe­derativa di associazioni, per la difesa dei diritti degli handicappati, in persona del suo presiden­te dott. Edoardo Cernuschi, chiedevano che il Pretore 2i sensi dell'art. 700 c.p.c. autorizzasse la signora Soli a procedere all'installazione di un ascensore nello stabile di via Ozanam n. 10/A ed a richiedere le necessarie autorizzazioni am­ministrative. Esponevano i ricorrenti che la Soli era invalida civile, affetta da sclerosi multipla con totale incapacità deambulatoria e totale ina­bilità lavorativa, e che, abitando al quarto piano di uno stabile privo di ascensore, le era impos­sibile uscire di casa, se non rivolgendosi, con anticipo e con notevole spesa, ad una associa­zione di volontariato. La installazione di un im­pianto di ascensore era osteggiata dagli altri condomini dello stabile, nonostante la ricorren­te avesse offerto di assumersene le relative spe­se, anche tramite l'intervento finanziario del Co­mune di Milano.

Costituendosi in giudizio il Condominio di via Ozanam 10/A eccepiva pregiudizialmente la ca­renza di legittimazione attiva della LEDHA. Nel merito sosteneva l'insussistenza dei presuppo­sti di cui all'art. 700 c.p.c., ed assumeva che l'in­stallazione dell'impianto rappresentava un'innovazione per la cui delibera sarebbe dovuta inter­venire la maggioranza qualificata dei condomini ai sensi degli art. 1120 e 1136 c.c..

Il Pretore disponeva CTU al fine di accertare la fattibilità dell'impianto in relazione ai proble­mi di stabilità del fabbricato inizialmente pro­spettati dal Condominio, ed al fine di determina­re le modalità di realizzazione dell'impianto stes­so con il minor ingombro possibile e con il ri­spetto del decoro architettonico dello stabile e delle parti comuni interessate.

Esaminando l'eccezione formulata dal conve­nuto circa la carenza di legittimazione attiva del­la LEDHA, giustamente è stato rilevato che la tu­tela in via cautelare di cui all'art. 700 c.p.c. è riservata a chi sia titolare di un diritto in rela­zione alla fattispecie dedotta in giudizio, per il quale si teme che il tempo occorrente a farlo valere in via ordinaria possa rappresentare un pregiudizio di natura irreparabile.

Indubbiamente nel caso in esame, titolare dei diritti dipendenti dalla posizione di condominio nell'ambito del Condominio di via Ozanam è la sola signora Soli, laddove per la LEDHA va esclu­sa l'esistenza di una qualsiasi posizione di dirit­to soggettivo deducibile nella presente sede.

Tale osservazione comporta l'esclusione della legittimazione attiva della medesima associa­zione, come pure della legittimazione a propor­re in causa un intervento volontario principale o litisconsortile, o comunque autonomo. Rimar­rebbe la sola possibilità di interpretare la propo­sizione del ricorso anche da parte della LEDHA quale intervento adesivo dipendente.

Non sussistono problemi circa la capacità pro­cessuale in astratto della LEDHA; ancorché la stessa sia un'associazione non riconosciuta e pertanto priva di personalità giuridica; la giuri­sprudenza ha ormai accettato una limitata capa­cità processuale di dette associazioni quali sog­getti dotati di una certa autonomia e come tali centri autonomi di interessi, dotati di «persona­lità limitata» o di «soggettività intermedia» (in tal senso: Cass. 3-7-59 n. 2119, 19-4-73 n. 1138, e numerose pronunce di merito).

Con il riferimento al caso di specie, però, l'as­sociazione non sembra essere portatrice di un interesse idoneo a legittimare il suo intervento nel giudizio, sia pure in posizione dipendente.

Se è vero infatti che l'associazione é legitti­mata ad intervenire, e in alcuni casi a proporre in via autonoma l'azione, quando si tratti di rap­presentare i singoli associati per tutte le que­stioni che rivestono interesse generale, il caso in esame riguarda una posizione particolare e personale della ricorrente. Ancorché l'interes­se di cui al secondo comma dell'art. 105 c.p.c. possa individuarsi non solo quale interesse giu­ridico, ma altresì quale interesse di mero fatto, nella specie, però, l'intervento della LEDHA trova una giustificazione solo nel cosiddetto interes­se al precedente giurisprudenziale, che non sem­bra poter supportare un intervento nel giudizio.

Quanto alle osservazioni circa l'ammissibilità del ricorso alla procedura di cui all'art. 700 c.p.c. e la sussistenza dei requisiti dettati dalla mede­sima norma, ritiene questo pretore che l'indagi­ne vada condotta unitariamente con quella che la difesa del resistente qualifica come «merito vero e proprio», e cioè l'indagine circa la sussi­stenza del diritto in capo alla ricorrente, consi­derato che l'affermazione dello stesso diritto, quale accertamento del requisito dei «fumus boni iuris», è presupposto per l'affermazione della sua tutelabilità in sede cautelare.

Sostiene il condominio resistente che l'instal­lazione dell'ascensore rappresenterebbe un'in­novazione e come tale sarebbe subordinata alla decisione dell'assemblea dei condomini assunta con la maggioranza rappresentante almeno i due terzi del valore dell'edificio, a norma del combi­nato disposto degli artt. 1120 e 1136, 5° comma, c.c.. Va osservato al riguardo che la fattispecie contemplata dal citato art. 1120, riguarda l'appro­vazione di innovazioni che comportino per tutti i condomini l'onere delle relative spese, suddivi­se secondo la ripartizione millesimale. Tanto ve­ro che il successivo art. 1121 prevede per le so­le innovazioni gravose o voluttuarie, se suscet­tibili di utilizzazione separata, l'esonero dal con­tributo di spesa dei condomini che non intendo­no trarne, vantaggio.

L'eccezione prevista da questa norma non avrebbe senso se non ritenendo che l'ipotesi normalmente contemplata dall'art. 1120 e per la quale si richiede la maggioranza qualificata è quella in cui si impone a tutti i partecipanti al Condominio, e quindi anche ai dissenzienti, la ripartizione delle spese.

Ove non si discuta circa l’onere delle spese, ma il solo condomino interessato, come nella specie, offra di farsene esclusivo carico, le norme citate non vengono in rilievo e la normativa applicabile è quella di cui all'art. 1102 c.c., che, dettato fra i principi generali in materia di comu­nione, titolo di cui il Condominio negli edifici rappresenta il capo II, sopravviene ove non vi sia una normativa particolare, come previsto dall'art. 1139 c.c..

La giurisprudenza si è, del resto, ripetutamen­te pronunciata in tal senso, non solo nel caso ricordato da parte ricorrente (Cass. 5-4-77 n. 1300 riguardante proprio l'installazione di un ascen­sore), ma in altre fattispecie: Cass. 4-1-69 n. 5, 21-1-72 n. 156 e 13-11-78 n. 5220, nonché App. Mi­lano, se. 1°, sent. 7-3-80 n. 368, in Arch. loc. 1980, 233.

L'art. 1102 c.c. contempla, quindi, anche le in­novazioni, nonostante spessa venga letto in con­trapposizione all'art. 1120, distinguendosi con il primo le modificazioni e con il secondo le innova­zioni. L'unico limite è dalla stessa norma indivi­duato nella necessità di non alterare la destinazio­ne della cosa comune e non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il lo­ro diritto.

Sotto il primo profilo, realisticamente la norma­le destinazione della tromba delle scale è la col­locazione dell'impianto di ascensore, né si può ipotizzare un diverso godimento di tale spazio da parte condomini; quanto al pari uso da parte di questi ultimi, la installazione dell'impianto non impedisce ma al contrario realizza o comunque predispone l'utilizzo comune. La destinazione a pertinenza del medesimo impianto di parti comu­ni dell'atrio, aventi attualmente un diverso utiliz­zo, di modestissimo rilievo, non contrasta con la ricordata normativa, in quanto, sebbene si elimi­ni la possibilità di un certo tipo di godimento, se ne offre uno diverso, di contenuto enormemente migliore, cosicché la posizione di tutti i dissen­zienti è salvaguardata dalla possibilità di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto (in questi termini la già citata sent. Cass. n. 1300/77 e la n. 2E95 del 9-7-1975).

L'esperita relazione di CTU ha escluso che l'in­stallazione dell'impianto possa in qualche modo compromettere la stabilità e la sicurezza del fab­bricato, individuando le modalità di esecuzione, con le necessarie modifiche da apportare alla porzione dell'atrio che viene occupata dalla base dell'impianto, al ripostiglio retroscala, nonché ai gradini che conducono al piano di sbarco dell'a­scensore. Dette modifiche accettabili per i mo­tivi già esaminati, non rappresentano alcuna si­tuazione di pericolo: tale non può dirsi, infatti, la collocazione di tre gradini posti d'angolo a piè d'oca, esistenti in molti palazzi, e facilmente su­perabili considerata anche l'ampiezza della sca­la. La stessa ricorrente potrà superarli o con l'aiuto di una persona, limitate in questo caso a pochi gradini, e non a quattro piani di scale, ol­tre quei pochi gradini, o eventualmente con l'au­silio del carrello elettrico saliscale suggerito dal­la difesa del resistente.

A tal proposito è opportuno rilevare come la proposta soluzione del carrello elettrico non può essere valutata quale valida alternativa all'im­pianto di ascensore, dal momento che l'utilizzo del medesimo carrello, come illustrato dal depli­ant prodotto dal resistente, richiede la costante ed attenta presenza di un accompagnatore, che mantenga l'equilibrio del mezzo stesso, e sono facilmente immaginabili le difficoltà e la fatica di percorrere in tal modo ben quattro piani di scale. La soluzione non risponderebbe comunque all'esigenza di restituire alla signora Soli un mi­nimo di indipendenza nei propri spostamenti.

La registrazione del vano dell'atrio, poi, a det­ta del CTU, con considerazioni che appaiono pienamente condivisibili, non comporta «un apprez­zabile disagio»; le inevitabili modifiche all'este­tica dell'atrio e della tromba delle scale, se ese­guite nel rispetto delle linee architettoniche, con soluzioni di materiali e colori armonizzati a quelli esistenti, comportano sicuramente un mutamento del decoro architettonico dello stabile, ma non per questo è di per sé una sua alterazione in sen­so peggiorativo.

È evidente, del resto, che nella specie è indi­spensabile realizzare un opportuno contempera­mento del criterio estetico e di quello utilitario, delle esigenze dei condomini, che è giusto consi­derare (tutela della sicurezza e stabilità del fab­bricato, del decoro architettonico, del possibile utilizzo da parte di tutti), e dell'imprescindibile diritto della ricorrente ad una esistenza libera e dignitosa, alla facoltà di spostarsi e di uscire di casa, con quel minimo di indipendenza che la sua situazione fisica le consente, La realizzazione dell'impianto esaminato nel corso della consulen­za tecnica risponde all'equo contemperamento degli interessi sopra considerati, proponendo ai condomini una situazione di assoluta tranquillità circa la stabilità e sicurezza del fabbricato, una soluzione di indubbia maggior comodità per tutti, nonché di aumentato valore economico dell'im­mobile, con un minimo disagio, pienamente com­pensato dal vantaggio in prospettiva fornito.

Le altre argomentazioni addotte dalla difesa del Condominio non meritano di essere prese in con­siderazione, in quanto assolutamente pretestuo­se. Dai verbali delle assemblee tenutesi sul punto in quest'ultimo anno, sembra del resto, al di là di alcune posizioni intransigenti, che vi fosse nella maggioranza dei condomini la volontà di da­re il proprio assenso, purché fossero superate alcune perplessità che in questa sede sembrano essere state risolte.

Quanto all'attribuzione dei millesimi, è eviden­te che la stessa non possa essere elaborata dalla condomina ricorrente, né in questa sede dal Pre­tore; la tabella millesimale sarà rivista dall'am­ministratore, secondo la normativa vigente (artt. 1101, 1123, 1138 c.c. e 69 d.a.), o, in mancanza di un accordo, dall'autorità giudiziaria, su istan­za degli interessati.

Altre contestazioni riguardano l'estensione dell'impianto in altezza, e l'ampiezza dell'ascen­sore. Sotto il primo profilo, in mancanza di accor­do, non può che limitarsi la facoltà della ricorren­te di installare un impianto che serva fino al quar­to piano comprese, considerato che la situazione di arrivare fino al quinto piano comporta l'utilizza­zione di alcuni spazi di proprietà esclusiva per i quali non è possibile disporre in questa sede. Un eventuale accordo in tal senso fra i condomini, ac­cordo che dovrà comunque intervenire in tempi ristretti, comporterà l'addebito della relativa mag­gioranza di spesa a carico di tutto il condominio, e non della sola ricorrente. Analoga soluzione do­vrà adottarsi per quanto riguarda l'ampliamento della cabina e della luce della porta di accesso. Alle esigenze della ricorrente sembra sufficiente la soluzione di cui all'offerta Bassetti con una lar­ghezza di cabina di circa 75 cm. ed un vano di ac­cesso di 60 cm., interamente sfruttabile mediante l'accorgimento suggerito dal CTU (cerniere ango­lari, pagg. 7 e 8 della relazione).

L'eventuale ampliamento prospettato ed i lavori necessari allo scopo potranno essere attuati su richiesta del Condominio e con assunzione a carico di tutti del relativo aggravio di spesa, quantomeno in questa fase di giudizio.

Circa la sussistenza del periculurn in mora, non possono nella specie essere avanzati dubbi sulla necessità e sul diritto della ricorrente di condur­re, per quanto le sue condizioni di salute glielo consentano, un'esistenza il più possibile normale ed integrata nella vita della società.

Analogamente non può fondatamente dubitarsi che la facoltà di uscire dalla propria abitazione sia un'esigenza primaria alla conduzione di una vita normale, sia per la gestione della casa e della vita familiare, sia per una continuità di contatti umani, sia eventualmente per l'esplicazione di un'attività lavorativa che la segregazione in casa compro­mettono, senza rimedio. Sarebbe assurdo e disu­mano che le preoccupazioni a carattere estetico o di maggior comodità di alcuni (ma questo Pre­tore non vuole credere che solo tali fossero, quelle addotte da certuni condomini) compromet­tano la realizzazione di una soluzione che per la ricorrente potrebbe rappresentare un notevole miglioramento delle sue condizioni di vita.

Di fronte alle incomprensioni, opposizioni e quindi alle lungaggini manifestatesi in sede di de­libere condominiali, il ricorso al procedimento cautelare appare indispensabile a tutelare in via d'urgenza la posizione della ricorrente, durante il tempo a far valere il suo diritto in via ordina­ria, proprio per evitare che la situazione di segre­gazione in cui attualmente si trova comprometta in maniera irreparabile la sua salute psicofisica.

Il caso in esame appartiene a quella categoria di provvedimenti cautelari, ormai concordemen­te ammessi dalla giurisprudenza (per la funzione anticipatrice ed innovativa dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c. cfr. Cass. S.U. 28-2-53 n. 3605, 18-2-56 n 475, 27-10-76 n. 3899, 4-3-78 n. 1094), in cui il periculum in mora è rappresentato non dal venir meno dei mezzi necessari all'esecuzio­ne del futuro provvedimento di merito, ma pro­prio dal protrarsi, nelle more del processo ordi­nario, dello stato di insoddisfazione del diritto di cui si discute nel giudizio di merito. È vero che nel dettare la sistemazione provvisoria del rap­porto il giudice anticipa, sia pure in via provviso­ria, e quindi con il rischio di rimessione in pri­stino, gli effetti del provvedimento definitivo, ma è altrettanto vero che si può e si deve ricorrere alla soddisfazione anticipata tutte le volte in cui il protrarsi dello stato di insoddisfazione, da un lato, rappresenti un pregiudizio irreparabile, qua­le il danno alla salute e allo svolgimento di un'e­sistenza normale, e dall'altro non possa essere tutelato con altro tipo di garanzia.

P.T.M.

Il Pretore, ritenuta la carenza di legittimazio­ne attiva della LEDHA, accogliendo il ricorso proposto ai sensi dell'art. 700 c.p.c. dalla signo­ra Sandra Soli in Graziano nei confronti del con­dominio di via Ozanam 10/A in Milano, ordina al condominio di consentire l'installazione a cu­ra e spese della ricorrente dell'impianto di ascen­sore, secondo il progetto e le soluzioni indicate nella relazione di CTU del Geom. Gian Paolo Musu; fissa per l'inizio del giudizio in merito il termine di giorni 90 dalla comunicazione della presente ordinanza.

 

Milano, 19 maggio 1987

IL PRETORE

 

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