Prospettive assistenziali, n. 81, gennaio-marzo 1988

 

 

PER UNA CHIESA GIOVANE AL SERVIZIO DEL MONDO

 

 

La diocesi di Ivrea (Torino), presieduta dal Vescovo Mons. Luigi Bettazzi, ha pubblicato gli atti del ventunesimo Sinodo diocesano, di cui riportiamo integralmente il capitolo relativo all'emarginazione.

 

 

Testo

 

Per leggere la realtà

88. Da quanto abbiamo detto in generale e dall'analisi del mondo contemporaneo emerge concretamente il fenomeno dell'emarginazione come conseguenza dei forti squilibri tra gli uomini. Essa colpisce tutte le classi sociali e molte categorie di persone: anziani, minori, giovani, donne; si è acuita con la crisi mondiale degli an­ni '70 ed è destinata a crescere ancora, poiché aumentano velocemente, anche nel nostro paese, le disuguaglianze sociali. Nonostante tutto ciò il modello consumistico resta l'unica prospettiva delle economie occidentali (con nuove tendenze simili anche nei Paesi socialisti). Di fronte a que­sta situazione, per capire chi sono gli ultimi nel nostro sistema di vita, occorre partire dai biso­gni fondamentali: il bisogno biologico (cibo, sa­lute, casa), il bisogno lavorativo, i bisogni tipica­mente umani (culturali, affettivi, religiosi).

L'occupazione è un parametro che permette di cogliere nell'immediato la causa di nuove emarginazioni. Più di mezzo miliardo di persone nel mondo sono senza lavoro e la disoccupazione au­menta anche nei sette paesi più industrializzati; in Italia i disoccupati hanno già superato il 10% della popolazione attiva e sono destinati a cre­scere. Gli ultimi nel bisogno lavorativo sono dun­que i disoccupati, i cassintegrati, coloro che fan­no lavoro nero o lavori saltuari, che mancano di protezione, di garanzie.

Alla carenza di lavoro si aggiunge la mancan­za di casa; in Piemonte è un problema scottante che sarà accresciuto dallo sblocco degli sfratti.

89. Vi è poi un vasto panorama di emarginazione sul piano affettivo, dagli anziani ai minori, dai giovani ai tossicodipendenti, agli etilisti, ai di­messi dai reparti psichiatrici e ai carcerati.

In Piemonte gli anziani sono circa un quinto della popolazione; questa percentuale raggiun­gerà nel giro di pochi anni cifre più elevate. In corrispondenza a ciò si rileva un calo, di popolazione infantile, fatto che ribalterà il nostro tes­suto sociale dei prossimi anni.

La persona anziana si trova speso in situazio­ne di precarietà sia economica, sia fisica, sia af­fettiva; in particolare gli anziani non autosuffi­cienti o ammalati cronici spesso, non possono restare nelle famiglie, per motivi diversi: perché la famiglia si è estinta o è lontana o perché man­ca il tempo, lo spazio e l'amore, o perché vi è una totale assenza di aiuto esterno alle famiglie stesse.

I giovani soffrono in primo luogo, come è già stato detto, la disoccupazione. Alcuni abbando­nano la scuola prima dei 14 anni, molti vivono l'esperienza dello scioglimento del nucleo fami­gliare; preoccupante è anche la percentuale dei giovani suicidi, di quelli che fuggono di casa o subiscono maltrattamenti gravi.

Sul fenomeno delle tossicodipendenze si è vi­sto che negli ultimi anni è molto aumentato il numero dei decessi per droga e il numero dei consumatori segnalati dalle statistiche ufficiali.

Più radicata della droga è la realtà dell'alco­lismo, che riguarda, senza differenze di età e di sesso, persone che vivono altre situazioni pe­santi: solitudine, rapporti familiari distorti, diffi­coltà di lavoro, oppressioni.

Quanto ai casi dì handicap mentali, la maggior parte delle persone vive in situazioni di provvi­sorietà, senza sicurezza né possibilità di inseri­mento reale nella società o anche solo riabilita­zione. Le stesse famiglie che se ne fanno carico sono spesso esposte all'isolamento e all'emar­ginazione.

 

Per un discernimento nella fede

90. La Chiesa che è in Ivrea prende coscienza di queste nuove povertà della nostra epoca, qua­si sempre accompagnate anche dalla povertà eco­nomica, e le ritiene un male sociale da vincere, poiché non vi può essere pace dove non c'è giu­stizia.

Essa, mentre rileva che le comunità cristiane non sono sempre sensibili a questi problemi umani, intende far sua la prospettiva evangelica del servizio e della condivisione («Chi vuol esse­re grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, me. per servire e dare la sua vita in ri­scatto per molti», Mc 10, 43-45), convinta che la condivisione è la logica dei l'incarnazione di Gesù: Gesù sottrae l'uomo ad ogni schema emargi­nante - non più il puro e l'impuro, l'amico e il nemico, il giusto e i peccatore.

 

Proposte pastorali

91. Per questo la Chiesa che è in Ivrea richiede ai credenti di essere una comunità più accoglien­te, ospitale, attenta principalmente a quelli che non contano e non hanno voce, estendendo ad essi l'amicizia più premurosa e fraterna. II cri­stiano che condivide, quando dà inizio a nuove strutture, lo fa senza appropriarsene, ma al con­trario collabora e stimola l'ente pubblico nel far­si carico di questi nuovi poveri, pronto altresì ad assumere proprie iniziative che sollecitino l'at­tenzione sociale sia nell'affrontare le nuove povertà come nel realizzare la pubblica assisten­za con effettivo rispetto ed efficace solidarietà verso i più poveri e i più abbandonati.

Perché questa testimonianza sia efficace, oc­corre che il tema evangelico della povertà sia costantemente presente ai singoli cristiani e alle comunità, nella valutazione dei doppi lavori e del lavoro straordinario non giustificato da un vero bisogno, nella partecipazione disinteressata ad iniziative di promozione e di solidarietà, nel con­tributo generoso a quanto viene incontro alle e­sigenze dei fratelli più provati.

Contemporaneamente la Chiesa che è in Ivrea ritiene urgente che la nostra società limiti i bi­sogni individuali e aumenti l'attenzione all'uomo, e sostiene le esperienze positive di chi tenta strade diverse di vita (animatori di cooperative, famiglie e comunità di accoglienza, volontari).

92. Propone quindi ai credenti della Diocesi forme concrete di condivisione coinvolgendo a1 massimo tutti gli uomini di buona volontà:

a. Ogni credente mediti seriamente se le sue condizioni di vita non gli permettano di aderire ad un'opera di volontariato nel campo sociale, assistenziale, educativo. Il suo servizio sia un contributo generoso e fattivo, e si manifesti con intelligenza, preparazione e fantasia.

b. Le famiglie aprano realmente la propria ca­sa, non solo accogliendo nel tempo libero perso­ne emarginate, ma soprattutto rischiando qual­che sicurezza nell'adozione ed ancor di più nell'inserimento tramite l'affidamento di minori, di ragazze madri, di anziani... Anche l'uso della ca­sa data in affitto non può obbedire alle pure leggi di mercato, per le quali risulterebbe più conve­niente lasciarle vuote, o affittarle con sotterfu­gi legali a persone non residenti, ammobiliate e prezzi esosi.

c. Le comunità parrocchiali sostengano le varie forme di volontariato di singole persone o di gruppi organizzati; prendano coscienza delle si­tuazioni e delle strutture emarginanti e ne diano informazione corretta sui bollettini, nelle pre­ghiere dei fedeli, nelle omelie, nel catechismo; abbiamo bilanci trasparenti; insistano perché la prima Comunione e i Matrimoni, non siano cause di sprechi, ma occasioni di condivisione; esami­nino la possibilità di condividere i locali vuoti della casa parrocchiale.

d. Le strutture promosse e sostenute dalla Chiesa facciano attenzione agii ultimi sia nei cri­teri di accettazione nelle case di riposo, negli asili, nelle scuole, sia nella loro gestione e nell'assistenza a domicilio. 9n più, poiché non si de­ve difendere l'istituzione per puro istinto dì con­servazione, ma solo per reale consapevolezza di servizio, si accompagni l'eventuale passaggio agli enti pubblici con la ricerca di modi di pre­senza tra i nuovi poveri: comunità-alloggio, co­operative di lavoro che favoriscano l'inserimen­to dei tossicodipendenti, ex carcerati, handicap­pati ...

e. Tutti i cristiani si impegnino ad ogni livello possibile perché il valore di una vita non sia più commisurato a quanto quella vita potrà rendere; e quindi in particolare perché cessi lo scandalo di strutture pubbliche e private che rigettano le persone anziane quando sono ormai considerate inguaribili e senza prospettive. In termini concre­ti si dovrà esercitare ogni pressione perché gli ospedali si attrezzino per curare malattie lunghe in un ambiente sereno; perché le famigli- siano incoraggiate, tramite un opportuno aiuto ester­no, a curare amorevolmente l'anziano che può rimanere a casa; perché i singoli si impegnino ad una fraterna presenza con chi è più solo e malato.

 

 

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