Prospettive assistenziali, n. 81, gennaio-marzo 1988

 

 

FAMIGLIE DIVISE E TUTELA DEI MINORI

FRANCESCA ICHINO, ANNA VlRNO, PAOLA BEZZOLA (1)

 

 

É stato chiesto al CAM (2) di riferire che cosa accada, nella sua fascia di utenza, al bambino del­le famiglie divise.

Ora il CAM ha un suo bacino di utenza che comprende il sottoproletariato urbano o rurale, per lo più immigrato, o il proletariato privo di radici familiari allargate sul territorio: se la fa­miglia è nucleare e il genitore rimasto solo deve uscir di casa per lavorare (salvo lodevoli ecce­zioni), per i figli la norma è il ricorso all'istituto o, in piccola misura, all'affido familiare, con risultati, come vedremo, assai interessanti per quel che riguarda la responsabilizzazione o la deresponsabilizzazione del genitore separato.

Teniamo presente che, nell'anno 1986, i figli di genitori sposati e separati costituivano, nella no­stra utenza, il 43% dei minori collocati in affido familiare tramite CAM; il 30% dei minori collo­cati in istituto; e il 20% dei minori collocati in comunità.

Con la collega Danovi che si è occupata della fascia che va dalla piccola alla media ed alta bor­ghesia, abbiamo avuto uno scambio di idee dal quale è risultato che i suoi clienti, sia pur con risorse che vanno dall'aiuto di personale dome­stico (governanti, babysitter, ecc.) al collocamen­to in collegi di lusso, non presentano minori pro­blemi, né evidenziano meno gravi segni di irre­sponsabilità dei genitori, rispetto agli utenti del CAM.

Il CAM ha una banca-dati comprendente i mi­nori di competenza del tribunale per i minoren­ni di Milano, banca-dati che viene semestralmen­te aggiornata attraverso lo spoglio di schede in­viate dai 110 istituti (31 in Milano e 79 fuori) e dalle 55 comunità (25 in Milano e 30 fuori) per un totale di circa 2.836 minori, cioè circa 2.000 famiglie.

Alla fine dell'aprile 1987, solo il 62% degli istituti avevano inviato le schede; ed è a que­sto 62%, più tutti i minori ospitati in comunità, più tutti i minori collocati in affido tramite il CAM, per un totale di 1.808 che si riferiscono le nostre osservazioni e riflessioni.

Così risulta che, sui 1.808 minori presi in esame, ben 490, pari al 28% circa, erano figli di genitori sposati e poi separati.

Volutamente non abbiamo considerato le fa­miglie di fatto - che pur sono «legione» -, che depositano i figli in istituto o altrove quando si dividono.

Dei 490 figli di separati, la stragrande maggio­ranza (cioè 398 pari all'81%) viene «parcheggia­ta» in istituto; un piccolo contingente va in co­munità (70 minori pari al 14%) e solo per il 5% sì tenta l'avventuroso sentiero dell'affido fami­liare (22 minori collocati tramite il CAM. Proba­bilmente qualcuno in più sarà collocato in affido fra quelli trattati soltanto dagli enti territoriali; ma siamo sempre sulle piccole cifre).

Lato caratteristico di questa fascia di utenza: le separazioni giudiziali sono soltanto il 20% del totale, mentre l'80% che non è in condizioni eco­nomiche o culturali tali da potersi pagare l'av­vocato o da ottenere un qualsiasi patrocinio gra­tuito (magari presso lo stesso ufficio legale del CAM) risolve i suoi problemi con una semplice separazione di fatto e forma nuovi nuclei fami­liari con nuovi partner e nuovi figli.

In genere, i figli del primo matrimonio vengo­no espulsi, mentre la nuova coppia alleva e tie­ne in casa, i soli figli del secondo letto.

Nella cultura proletaria, il «patrigno» e la «ma­trigna» non sono ancora diventate figure positi­ve, tranne eccezioni con bimbi molto piccoli. Col figlio o figlia adolescente è ben difficile che il nuovo partner vada d'accordo, e altissime sono le percentuali di espulsione, come pure molto frequenti sono, purtroppo, i casi in cui il convi­vente della madre insidia la figlia adolescente o bambina.

Il 60% dei figli di separati collocati in istituto e il 99% in comunità sono a carico del comune di origine e nessuno dei due genitori paga la retta. E questo è un primo segno concreto di disaffezione, cioè di quanto poco i genitori si sentano responsabili dei figli messi al mondo: eppure, dopo la promulgazione delle leggi 431/1957 e 184/1983 la gente sta incominciando a sapere che pagare la retta, visitare i bambini in istituto, ecc. sono elementi importanti per conservare anche i «diritti sul figlio».

Segno di disaffezione ancora più grave è 1'al­tissimo numero di genitori separati indicati dal­le schede come irreperibili che caratterizza so­prattutto le separazioni di fatto.

Tra gli istituzionalizzati si hanno:

- 109 separazioni di fatto con padre irrepe­ribile (pari al 34% del totale);

- 38 separazioni ove irreperibile è la madre (pari al 12%);

- 7 casi in cui sono diventati irreperibili en­trambi i genitori (pari al 2,14%).

In totale, nel 47% dei casi di separati di fat­to, almeno un genitore si è reso irreperibile e nella irreperibilità i padri hanno il triste primato sulle madri.

Nelle separazioni legali la percentuale delle irreperibilità calano sensibilmente, anche se sono pur sempre alte: in 16 casi pari al 22%, irrepe­ribile si è reso il padre, in 7, pari al 9,85%, la madre e in 1 caso (1,4%) si sono resi irreperibili entrambi.

Questo della irreperibilità, cioè del genitore che scompare sottraendosi a tutti i suoi doveri, è uno dei dati che differenziano la nostra fascia di utenza da quella borghese.

Dalla collega Danovi abbiamo sentito auspica­re un maggior intervento pubblico, una possi­bilità di controllo dei servizi sociali sull'evento della separazione coniugale, che eviti o neutra­lizzi soprattutto la contesa tra i coniugi per strap­parsi i figli l'un l'altro.

Nel nostro campione, vediamo più frequente la tendenza dei genitori a «perdere» i figli in istituto, come i genitori di Pollicino nel bosco, soprattutto quando si uniscono ad altro partner e privilegiano i figli avuti con questo.

Ricordiamo che circa un sesto del nostro con­tingente di figli di genitori separati istituzionaliz­zati è, più o meno gravemente, affetto da han­dicap e quindi tanto più bisognoso di cure ma­terne e paterne. (Si tratta, per la precisione di 80 minori, 29 dei quali handicappati fisici e 51 psichici).

Bisogna, purtroppo, rilevare che il comporta­mento degli sposati che si separano non è mol­to diverso da quello dei non sposati o delle fa­miglie di fatto che, pure, prima o poi si sepa­rano o riconoscono tardivamente i figli.

Dai colloqui appare che i figli vengono spesso concepiti, anche se in condizioni di massima in­stabilità della coppia, deliberatamente, con moti­vazioni del tutto estranee a quella di «bene del minore». Per quanto concerne le madri: «per te­ner legato l'uomo», «per avere compagnia», «per realizzare se stesse» ecc., sempre in base al con­cetto di fondo che «il figlio è mio e ne faccio quel che mi pare».

Quanto ai padri, spesso ritengono che l'esser lei incinta sia la riprova tangibile della propria virilità, oppure considerano il figlio come «uno spiacevole incidente capitato a lei».

In complesso, un quadro che è indice generale di paternità irresponsabile e di ineducazione ses­suale e morale, che deve imporre dei ripensa­menti seri a tutti gli organismi che hanno, tra i loro compiti, l'orientamento del costume e della morale, non esclusa la Chiesa cattolica e tutte le altre Chiese.

Non sappiamo se per deformazione professio­nale (dato che ci occupiamo da tanti anni di affi­do familiare), ci è sembrato che induca a mag­gior ottimismo il panorama di quella diversa for­ma di intervento a tutela del minore, che è l'af­fido familiare.

Come abbiamo detto, il 43% circa degli affidi operati nel 1986 tramite il CAM riguardava pro­prio figli di genitori sposati e separati in giudizio o meno.

In genere, già il fatto che i genitori accettino l'affido, cioè questa forma di intervento, che li obbliga a rapporti col bimbo e con la famiglia af­fìdataria assai più impegnativi e controllati che non l'istituto, dà a sperare che vi sia maggior senso di responsabilità nei genitori stessi. Inol­tre, il bambino in affido ha possibilità molto mag­giori di esprimersi, dì sfogare la sua angoscia e di «elaborare il lutto» per la sua famiglia che gli sembra di aver perso, di esprimere i suoi sensi di colpa, di esser curato in maniera persona­lizzata.

Infine, i genitori separati, al contatto con la famiglia affidataria, sono stimolati ad una ve­rifìca delle proprie posizioni in senso emulativo.

Esponiamo brevemente qui di seguito uno dei nostri 22 casi che ci sembra esemplifichi un an­damento globalmente positivo da tener presente.

 

Dalla scheda del caso di affidamento familiare di Antonio

È nato a Milano nel novembre del 1977. È un bel bambino, molto intelligente, ma affetto da disagio psichico grave, con comportamenti biz­zarri (fiutare, abbaiare, leccare). In collegio, ha ingerito 3 pastiglie di barbiturici, imitando il ge­sto più volte fatto dalla madre. È in psicotera­pia dal 1984.

Il suo status giuridico è quello di figlio legit­timo di genitori sposati e separati: molto più gio­vane il padre e piuttosto infantile, più anziana la madre, malata psichiatrica.

AI momento dell'affido, Antonio ha 8 anni e mezzo e frequenta la 311 elementare con scarso profitto: legge abbastanza bene, ma non sa prati­camente scrivere.

È stato coinvolto, fin da piccolissimo, nei litigi dei genitori ed ha assistito alle loro violenze verbali e fisiche. La madre ha tentato più volte il suicidio, l'ultima volta coinvolgendo il bambino e facendo ingoiare anche a lui pastiglie di barbi­turici. A seguito di questo episodio, il bimbo è stato ricoverato in istituto (all'età di 7 anni) e vi è rimasto sino al collocamento in affido familia­re, avvenuto nel giugno del 1986.

Antonio, quindi, é stato in istituto un anno e mezzo ed è in affido familiare da 11 mesi.

Il Tribunale per i minorenni di Milano ha emes­so due decreti, affidando il bimbo al comune di origine «per il più idoneo collocamento» nell'84 e «per il collocamento in idonea famiglia affidata­ria» nell'86.

Il CAM, su richiesta del comune di origine, propone una famiglia affidataria a lui ben nota, perché ha già fatto un ottimo servizio di affido con un adolescente che è da poco rientrato nella famiglia d'origine.

Gli affidatari vivono nell'hinterland milanese molto vicino al comune di Antonio, in una villet­ta a schiera. Hanno 48 e 47 anni e due figlie stu­dentesse di 20 e 18 anni.

Essi avevano, a suo tempo, risposto ad un ap­pello su «Famiglia cristiana», dichiarandosi di­sponibili per l'accoglienza ad un maschio anche grandicello. Oltre alle motivazioni sociali e re­ligiose della coppia, inespressa, ma abbastanza chiara era quella di avere esperienza di un figlio maschio in casa, dopo aver avuto due figlie fem­mine.

Si prevede un affido per la durata dell'anno scolastico 1986-87 con l'impegno per la famiglia affidataria, di mantenere intensi i rapporti fra il minore e i genitori.

La madre trascorrerà ogni giovedì pomeriggio con Antonio in casa degli affidatari e il padre andrà a prenderlo ogni sabato a scuola, ripor­tandolo la domenica sera presso gli affidatari.

Inoltre la affidataria dovrà accompagnare il bambino due volte alla settimana presso la psi­coterapeuta nella città più vicina.

La preparazione del bambino all'affido viene fatta dall'assistente sociale, dalla psicoterapeu­ta e dalla stessa madre.

Il comportamento di Antonio all'inizio è esa­sperante: abbaia, annusa, miagola, mette tutto in rima, registra le sgridate sul registratore, si annusa, dice: «mi annuso perché se mi perdo, mi riconosco e mi ritrovo».

Incolpa i genitori di essere separati; ha un riso isterico.

È, però, molto avanti per la sua età e dice frasi come: «Io sono preoccupato per il mio fu­turo...», «Mi piacerebbe andare alla "settimana bianca" ma non posso, perché devo riunire i miei genitori»; poi aggiunge: «Il problema è che i miei genitori bisticciano» e ancora «La vita non è in­teressante, vorrei tirar fuori tutte le lacrime che ho cacciato dentro».

A scuola rifiuta di fare il tema intitolato «Odo­ri di casa mia» e giustifica: «È che io non ho una casa, ho tre posti dove sto».

Però quando, avvicinandosi la scadenza dell'af­fido, l'affidatario gli dice: «Tu tornerai o dal papà o dalla mamma e se hai bisogno di noi ci tele­foni, eccoti il numero di casa nostra», Antonio senza esitazione dice: «Sì va bene, ma dammi an­che quella del tuo studio!».

Nel corso dell'affido Antonio fa degli enormi miglioramenti, anche a scuola. Dice: «Mi sembra di diventare un po' più ambizioso» (ciò vuol dire che ora è più contento di se stesso). Non an­nusa, non abbaia, non miagola più, è meno irre­quieto; ma ancora quando torna da casa sua, gli affidatari se lo trovano fuori della porta di ca­mera loro, seduto per terra che dice: «Ho lo sti­molo, ma non riesco a dormire, perché sono le lacrime che ho sempre cacciato dentro, che tor­nano fuori ...», «I miei genitori bisticciano, e io devo fare da arbitro» e poi: «Ma io, da chi devo prendere esempio?».

Gli affidatari partecipano ai gruppi di sostegno del CAM. I rapporti tra le due famiglie non po­trebbero essere migliori, ma il bambino si sente troppo responsabile degli adulti e gli affidatari in­vocano un regime di visite che lasci al bambino più spazio per essere bambino.

I frequenti colloqui dei genitori di Antonio con gli psicoterapeuti del consultorio familiare della USSL locale e il contatto settimanale con i coniu­gi affidatari sono stati un'importante spinta verso un miglioramento del rapporto dei coniugi fra loro, anche se non appare alcun segno concreto per una ricostruzione di un focolare domestico.

La madre si è trovata un alloggio, e, sia pur precariamente, un lavoro; il padre, dopo la sepa­razione, ha reso agibile il retrobottega del suo negozio di articoli casalinghi, creando uno spazio di circa 30 mq. in cui è previsto un angolo di cottura e uno di soggiorno dove ospitare Antonio.

Tuttavia, nessuno dei due genitori risulta, allo scadere dell'anno di affido, disponibile a riacco­gliere Antonio: non la madre ancor fragile, che già lo aveva delegato all'istituto e che si sente più tranquilla sapendolo dagli affidatari; non il padre che ha lasciato intendere che lo potrebbe riaccogliere meglio alla fine della scuola dell'ob­bligo, quando Antonio fosse in età di aiutarlo in negozio.

Oggi, ad un anno quasi scaduto, il giudizio de­gli affidatari sull'affido è severo: hanno l'impres­sione di curare i genitori attraverso e a spese del bambino.

Non si sentono disponibili a prolungare l'affi­do, a meno che sia dato loro maggiore spazio per decidere circa le visite, gli impegni e gli sva­ghi di Antonio: lamentano che Antonio stia con loro solo nei giorni di studio, di doveri e di pa­ternali. Dicono agli operatori: «Il nostro è un par­cheggio per i soli giorni di fatica». Gli operatori del territorio invece, dicono: «L'affido è perfet­tamente riuscito; i genitori sono maturati; il bam­bino sta molto meglio». La terapeuta dice: «Voi non ve ne accorgete, ma il bambino è irricono­scibile. Un rientro in famiglia oggi è impensabi­le. Un rientro in istituto sarebbe tragico per la salute di Antonio. Vi chiediamo di rinnovare la vostra disponibilità e siamo a vostra disposizio­ne per trattare le condizioni. La prospettiva è di un affido protratto fino alla fine della scuola dell'obbligo: forse allora sarà davvero possibile col­locare un Antonio cresciuto e fortificata presso il padre, con frequenti rapporti anche con la madre».

Proprio in questi giorni, gli affidatari hanno sciolto la riserva e accettato il prolungarsi dell'affido con un notevole cambiamento del pro­gramma, nel senso da loro auspicato.

Riflettendo su tutto questo, la prima tentazio­ne è quella di dire: «Bella forza: bambino intelli­gente, genitori bonaccioni e docili, affidatari ec­cezionali, servizio sociale sollecito e duttile. ... si fa presto a fare riuscire un affido; questa è una eccezione bella e buona!».

Ma non é così: questa situazione non aveva nulla di eccezionale, come dimostra il tenore del più recente dei due decreti del Tribunale per i minorenni: «Considerato che il minore si trova in comunità da più di un anno; che la situazione personale dei genitori del minore (che nel frat­tempo si sono separati) non garantisce ancora la possibilità di un rientro in famiglia né con l'uno né con l'altro di loro; ritenuto, pertanto, opportu­no che il minore sia temporaneamente inserito in un nucleo familiare affidatario che possa aiutarlo a superare i suoi problemi, mantenendo i rappor­ti con i genitori; rilevato, altresì, che il minore presenta una situazione psicologica preoccupan­te che richiede un intervento psicoterapetetico; visto il parere del P.M.; visti gli artt. 333 c.c., 2 e 4 legge 4.5.83 n. 184; dispone:

1) che il minore Antonio sia collocato in idonea famiglia affidataria a cura del Comune di XY e dell'USSL per la durata dell'anno scolastico 1986-87;

2) che i servizi sociali dell'USSL regolamen­tino i rapporti del minore con i genitori;

3) che il minore sia sottoposto ad una oppor­tuna psicoterapia;

si notifichi ai genitori, al Comune di XY, al­l'USSL.

Milano, 17.4.86                                                         Il Presidente»

Un decreto come tanti altri, in cui il tribunale, sulla scorta delle notizie raccolte e in ossequio all'art. 2 della legge n. 184/1983, dichiara espli­citamente di preferire l'intervento-affido rispetto all'intervento-istituto.

L'eccezionalità sta, forse, nella risposta dei servizi sociali; come abbiamo visto, solo 22 bam­bini su 490, cioè solo il 4,5% di figli di separati trova, per ora, accoglienza in famiglie affidatarie, mentre la norma degli interventi, a conti fatti, è ancora i1 collocamento in istituto, più costoso per 1e Amministrazioni locali in termini di dena­ro, ma molto più sbrigativo in termini di investi­mento sociale e operativo.

Nel caso sopra esposto, il lavoro è stato tanto, ma ben condotto e, quindi, soddisfacente; i fre­quenti contatti iniziali tra le due famiglie hanno un po' stressato la famiglia affidataria, ma molto rassicurato quella d'origine, che, all'inizio, era tutt'altro che collaborante ed aveva fatto slittare, con manovre varie, tutta l'operazione di ben sei mesi. Forse si potevano diluire le visite dei ge­nitori naturali il primo anno o abbreviarne i tem­pi: comunque i genitori sono maturati.

In affido, il bambino ha fruito di una osservazio­ne attenta, quotidiana, affettuosa, utile sia sui piano diagnostico, sia su quello terapeutico: da un lato, Antonio ha potuto sfogare la sua ango­scia ed il suo lutto, dall'altro, ha avuto l'espe­rienza nuovissima di una famiglia dove anche le sgridate danno sicurezza e dove genitori e figli vanno d'accordo, anche senza regali e smancerie, nel disbrigo dei quotidiani doveri.

I servizi del territorio della famiglia d'origine hanno puntato correttamente i loro sforzi sul lato terapeutico oltre che su quello puramente socio­assistenziale; e non hanno mai perso d'occhio l'obiettivo di responsabilizzare la coppia dei ge­nitori portandola a capire il bene del bambino s a posporre il proprio.

Non è dunque vero che gli affidi di figli di se­parati vadano bene solo se le varie componenti siano tutte eccezionali; basta che lavorino con disponibilità più simile a quella di un medico di guardia in ospedale o di un giudice di turno in tribunale per i minorenni (con reperibilità telefo­nica anche il sabato e sto per dire anche la do­menica) piuttosto che simile a quella di un nor­male nostro ufficio burocratico, e che non si sot­tovaluti il volontariato che sta alla base dell'in­tera operazione attraverso quei cardine dell'ope­razione stessa che è la famiglia affidataria e la sua capacità di ispirare fiducia alla famiglia di origine.

Famiglia in difficoltà e tutela del bambino ci sembra meritino questo grosso sforzo.

 

 

*  *  *

 

 

ANNO 1986

Minori osservati in:

64 su 110 istituti di Milano e dintorni (mancano 46 istituti con circa 1028 mi­nori) perché non ancora inviate le sche­de in aprile 1987 . . . . . .

1399

55 comunità di Milano e dintorni . .

356

53 affidi familiari tramite CAM . .

53

Totale

1808

 

 

Figli di genitori separati:

 

in istituto

398

in comunità

70

in affido

22

Totale

490

 

 

Separazioni legali

74

Separazioni di fatto

346

Manca informazione sulle separazioni

dalle comunità

70

Totale

490

 

 

 

 

(1) Relazione presentata al Convegno «Famiglie in dif­ficoltà e tutela del bambino», Sirmione, 28-29-30-31 mag­gio 1987.

(2) CAM - Centro Ausiliario Minorile.

 

 

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