Prospettive assistenziali, n. 79, luglio-settembre 1987

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

ASPETTI PSICOLOGICI DEL PERIODO ADOLESCENZIALE

 

Uno  dei fini   principali dell'adolescenza, nell'ambito dello sviluppo generale dell'individuo, è la conquista di uno stabile senso di sé.

In questa fase, con la modificazione dei rap­porti tra super-io, io ed es, tende a dissolversi il senso di identità; il soggetto viene posto in uno stato di incertezza profonda, dal quale potrà uscire solo dopo che avrà avuto la possibilità di «ricomporsi» cioè di acquisire un nuovo senso di identità, questa volta più stabile e duraturo.

In sostanza, il periodo adolescenziale è carat­terizzato dal manifestarsi, più o meno celatamen­te, di due forze contrarie -ed entrambe estrema­mente virulente: una che tende a mantenere il soggetto nel «mondo dell'infanzia» e quindi a consentirgli di adagiarsi nella gregarietà e ras­sicurazione del «contenimento genitoriale»; l'al­tra, che spinge verso il mondo esterno, verso «l'avventura», verso l'acquisizione di una propria immagine, di un proprio ruolo, che tende quindi verso una più sostanziale differenziazione dai ge­nitori e ad una maggiore autonomia individuale. Tutto ciò sviluppa degli evidenti conflitti, in quan­to è facile comprendere come non possano es­servi coerenza e stabilità in un momento in cui gli impulsi prodotti da entrambe le forze si sus­seguono, in modo confuso e disordinato, ed inve­stono il soggetto come onde violente che si ab­battono incontenibili sulla spiaggia, travolgendo tutto ciò che incontrano.

Ogni individuo affronta questa tempesta con gli strumenti che ha a disposizione e che non sono il risultato del caso e dell'improvvisazio­ne, bensì sono la conseguenza della qualità del processo di sviluppo precedente, dì come gli ele­menti innati e quelli acquisiti con la socialità si sono più o meno armonicamente integrati. Sia ben chiaro che il concetto di socialità non deve essere riferito unicamente ad una interazione completa con il mondo esterno, ma va riferito a tutti quei momenti in cui l'individuo entra in una relazione, di qualunque tipo e con qualunque linguaggio, comprendendo quindi anche la com­plessa rete di messaggi che madre e figlio si scambiano nel periodo prenatale.

L'assenza o la presenza di gravi carenze, di strappi psicologici e/o fisici, di disarmonie nel procedere lungo le fasi di sviluppo sono gli ele­menti fondamentali che determinano le modalità di risposta individuale alle già citate «tempeste adolescenziali».

In occasione delle assemblee annuali dei CIAI - Centro italiano per l'adozione internaziona­le - nel 1984 a Lido Adriano e nel 1985 a Marina Romea, si è avuta la possibilità di costituire un gruppo di adolescenti adottati, attualmente dai quattordici ai venti anni circa, che hanno fornito alcuni spunti di riflessione interessanti.

L'incontro di Lido Adriano ha probabilmente messo in luce la presenza di situazioni di disa­gio, più o meno accentuate, che alimentate dalla attivazione di un gruppo, eterogeneo al proprio interno ma estremamente omogeneo nella rela­zione con il mondo esterno, hanno trovato uno sbocco nel «problema razziale», in funzione di­fensiva rispetto ad altre tensioni, avvertite come ben più pericolose e difficili da affrontare.

Sia ben chiaro che il problema razziale esiste, non è possibile negare tale fenomeno, ma tanta esasperazione dell'argomento può essere spiega­ta solo in termini di spostamento difensivo delle ansie e delle frustrazioni, ma soprattutto dell'ag­gressività. In alcuni brevi momenti questa sorta di omertà si è parzialmente lacerata ed allora sono emersi dei quesiti legati all'esigenza di co­noscere i propri genitori naturali, utilizzando però modalità aggressive ed auto ed etero svalutative (... mi piacerebbe sapere chi è che ha avuto que­sta disgrazia di mettermi al mondo), (... andare a ritrovare i propri genitori per dargli due sber­le...). Da una attenta osservazione dei verbali si è notato che ci sono stati immediatamente inter­venti tendenti a riportare la discussione sulla accettazione razziale e solo nel finale dell'incon­tro vi è stato un altro accenno alle famiglie na­turali, inconsapevolmente mascherato con una razionalizzazione, che non ha però trovato eco (... mi interesserebbe sapere, scoprire la mia di­scendenza... soprattutto i miei avi... la prove­nienza della mia famiglia...).

Il rifiuto «dell'italianità» espresso da parte di alcuni, risente sicuramente, oltre che di elemen­ti obiettivi, quali piccole discriminazioni subite, eccesso di curiosità da parte degli altri, rifiuti veri e propri, anche di un'esigenza riparatoria ri­spetto ai genitori naturali, immancabilmente vis­suti come colpevoli (con relativa assunzione da parte del ragazzo del senso di colpa), sia perché effettivamente responsabili di un atto di abban­dono, ma anche per non entrare in conflitto con le aspettative sostitutive dei genitori adottivi che, al di là delle razionalizzazioni, spesso en­trano in competizione con il genitore naturale, sentito come onnipotente e pericoloso, trasmet­tendo inconsciamente le loro ansie al figlio adot­tivo.

C'è comunque la conferma di una identificazio­ne della propria terra di origine (e quindi della propria razza) con il fantasma materno, visto anche che i caratteri somatici diversi possano essere elementi di difficoltà per una corretta identificazione con le figure parentali adottive.

Elementi più significativi per una sommaria riflessione emergono dall'esperienza di Role­playing, nella quale la possibilità di assumere un atteggiamento recitativo, spesso comico e pa­radossale, ha consentito di esprimere maggior­mente i propri vissuti rispetto all'adozione.

Nella prima scena relativa alla prescrizione di simulare il primo incontro tra genitori e figlio adottivo, vi è stato subito un tentativo di distan­ziarsi dal problema, attraverso la decisione degli attori (o di uno di essi) di far arrivare una bam­bina dal Perù (nessuno dei presentì è sud-ame­ricano), ma lo sforzo non ha successo perché la fanno parlare in inglese (come in India o nella Corea del Sud) e questo è il segno di una pro­gressiva entrata nei personaggi, con una maggio­re possibilità di far esprimere il proprio mondo interno. La bambina, giunta in aeroporto, non vuole staccarsi dall'accompagnatrice e ciò, oltre che legato a racconti di aneddoti reali, potrebbe essere interpretato, unito ad un forte sarcasmo nei confronti della gioia dei genitori adottivi e ad una esasperata interpretazione di difendersi dall'ansia predatoria dei genitori. Non a caso il per­sonaggio che sblocca la situazione è il nonno, vissuto come «... colui che ha sapienza ...» e quindi non investe violentemente la bambina con le proprie tensioni.

Nella seconda scena (primi giorni in casa con la bambina), vi è, in modo evidente, un legame con fatti realmente accaduti, frammenti di ricordi uniti all'esigenza di dimostrare la percezione di piccole «discriminazioni familiari» a favore del figlio adottivo, ma in parte probabilmente vissu­te come gratificanti ma anche come ulteriore se­gno di differenziazione. Viene infatti rappresen­tata la difficoltà di adattamento alimentare (ma solo questo?) della nuova arrivata che, guardinga di fronte ad un piatto di spaghetti, viene invo­gliata con varie amorevolezze ad assaggiare la novità, mentre gli stessi genitori si rivolgono al figlio naturale dicendo «... mangia tu, altri­menti prendi due sberle».

È a questo punto che la «bambina peruviana» viene sollecitata a capire e a parlare l'inglese. La terza scena (rappresentazione dell'ambien­te scolastico) segna effettivamente una svolta: l'atteggiamento banalizzante tende ad attenuarsi e la recitazione assume dei toni più impegnati, sia nella forma che nel contenuto. C'è un accen­no agli istituti di assistenza al ricordo di quattro mura, allo stare in braccio a una suora. Quando il dialogo tra i compagni di scuola si fa più im­pegnativo (perché sei diverso da noi... perché i tuoi genitori sono diversi dai nostri... allora non è vero che siamo tutti uguali... ma dove sono i tuoi veri genitori...) scatta il meccanismo di fuga e terminano la recitazione introducendo la campana dell'intervallo scolastico, giunta quan­to mai provvidenziale.

Sicuramente il tempo a disposizione per que­sto primo incontro non ha consentito ampi mar­gini di discussioni e soprattutto il fatto che fosse la prima volta che si tentava una esperien­za dei genere (39 adolescenti dai 14 ai 20 anni quasi tutti adottati con la adozione internazio­nale) non ha permesso un approfondimento degli argomenti; certo è che il quadro emerso, sia pur confortante per la qualità e la quantità degli in­terventi, per l'apparente disinvoltura con la quale si sono espressi, per la capacità comunicativa a livello di forma e di contenuti, per la creatività e la simpatia utilizzate, ha suscitato alcune per­plessità rispetto al presente dei ragazzi.

Hanno spesso trasmesso un forte senso di sradicamento, come se non riuscissero a trova­re una collocazione né qui, né nel Paese di ori­gine, come se non riuscissero a terminare i pro­cessi identificatori nei genitori adottivi non po­tendo altresì attivarli compiutamente nei confron­ti dei genitori d'origine: una sorta di scissione che non consente l'esaurirsi di una fase per ini­ziarne un'altra.

(segue al prossimo numero)

 

MASSIMO CAMIOLO

Specialista in psicologia e Giudice onorario

del Tribunale per i minorenni di Milano

 

www.fondazionepromozionesociale.it