Prospettive assistenziali, n. 79, luglio-settembre 1987

 

 

INIZIATIVE A LIVELLO NAZIONALE PER L'ELIMINAZIONE DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE

MARIA TERESA PONZIO

 

 

Nel corso degli ultimi anni il panorama legisla­tivo relativo a provvedimenti di vario ordine per il superamento delle barriere architettoniche si è arricchito di una quantità di indicazioni, in mini­ma parte a livello nazionale, per lo più a livello locale. Infatti grazie alla facoltà, prevista dalla nostra Costituzione, di emanare norme e regola­menti da parte di Regioni, Province e Comuni, molteplici sono i richiami, le integrazioni o le vere e proprie leggi proposte, adottate, in corso di verifica o formulazione relativamente al tema delle barriere architettoniche.

Questo fatto costituisce un elemento positivo poiché testimonia un interesse, una volontà, una richiesta anche, di intervenire in favore dell'inse­rimento delle persone disabili nel normale conte­sto urbano e abitativo. Tali indicazioni tuttavia ri­sultano piuttosto frammentarie, varie, assai diffe­renti da Regione a Regione, da Comune a Comu­ne e spesso addirittura contraddittorie tra loro o rispetto ad altre normative vigenti; si affastel­lano e si moltiplicano in modo quasi casuale, non del tutto controllabile e per lo più senza una strategia unitaria di fondo, senza obiettivi pre­cisi e completi, pur all'interno della stessa real­tà territoriale. Ciò è dovuto anche alla ancora molto carente normativa nazionale, che non costi­tuisce certo un quadro di riferimento esauriente né indica in modo sufficientemente chiaro le linee da seguire né gli ambiti entro cui gli Enti locali debbano muoversi.

A livello nazionale il riferimento principale è tuttora costituito dagli artt. 27 e 28 della legge n. 118/1971 e dal relativo D.P.R. 384/78 (1). In particolare la legge 118 definisce come campo di applicazione «gli edifici pubblici o aperti al pub­blico e le istituzioni scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale... i servizi di trasporto pub­blici... i luoghi ove si svolgono pubbliche manife­stazioni o spettacoli...», mentre il D.P.R. 384 de­finisce modalità e norme di attuazione della leg­ge 118. Può essere utile al proposito aprire una parentesi per notare che in realtà il decreto nell'indicare le strutture cui si riferisce, cita sola­mente quelle «pubbliche con particolare riguar­do a quelle di carattere collettivo-sociale», escludendo dunque le strutture private. Ciò tut­tavia risulta arbitrario e non legittimo poiché ri­duce il campo di efficacia della legge, mentre un regolamento attuativo non può variare il con­tenuto normativo della legge cui si riferisce, ma solo precisare le regole per l'attuazione della legge stessa. Tale osservazione è confermata dal «parere in merito alla discordanza tra il D.P.R. di attuazione dell'art. 27 della legge 30 marzo 1971 n. 118 e l'art. 27 medesimo», espresso nell'ottobre 1979 da parte dell'ufficio legislativo del­la presidenza della Giunta regionale del Lazio, in cui si afferma: «... tra i due testi normativi prevale quello della legge». E ancora: «Si deve pertanto concludere che eventuali disposizioni regionali emanate in conformità alla legge, anzi­ché al regolamento, non potranno essere inficiate da vizi di legittimità».

Quanto al contenuto tecnico del D.P.R., inve­ce, va ricordato che esso pur ispirandosi alla precedente circolare ministeriale n. 4809/68 (2) (citata quale riferimento preciso nel testo della 118 stessa) ed in certi casi approfondendola, non ne riprende però tutti gli aspetti, cosa per la quale pare giusto ipotizzare un non completo su­peramento della circolare ministeriale stessa, che per alcuni passi dunque può essere ancora richiamata quale unico riferimento (ad esempio per quanto riguarda i locali di ufficio aperti al pubblico).

Al D.P.R. 384 rimanda e si ispira gran parte della successiva normativa nazionale e locale no­nostante i suoi grandi limiti, spesso già citati, di genericità, difficile applicabilità, ecc., che derivano per lo più dal tentativo di definire con un'unica normativa tutti i particolari costruttivi di tutte le possibili tipologie al fine di prevenire o eliminare tutte le eventuali barriere architettoniche! È ov­vio che una tale impostazione non possa certo dare buoni frutti, poiché il risultato è ancora quel­lo di una normativa «speciale», che si pone quasi come correttivo a lato della «normale» prassi progettuale e che inoltre risulta inevitabilmente formulata in modo assai impreciso, incompleto, o a volte troppo dettagliato... sempre difficil­mente rispondente a una situazione reale.

Sarebbe più opportuno perciò prevedere una legge che imponesse l'accessibilità di tutte le strutture s definisse con chiarezza gli obiettivi e il significato di tale accessibilità (3), lasciando che siano poi le norme tecniche specifiche dei vari settori (casa, scuola, locali di spettacolo, vari trasporti, ...) ad inserire al proprio interno precise indicazioni relative alle barriere architet­toniche, in modo che esse risultino mirate e an­che coordinate con gli altri requisiti di qualità (sicurezza, igiene, economicità, ...) richiesti al prodotto finale. In questa direzione possono già essere considerate le sia pur minime indicazioni contenute nel decreto ministeriale 18 dicembre 1975 «Norme tecniche aggiornate relative all'edi­lizia scolastica...» (4).

Costituiscono invece ancora norme «partico­lari», pur se riferite in modo esplicito ad un'uni­ca tipologia costruttiva:

- le circolari ministeriali relative alla circola­zione e sosta dei veicoli degli invalidi (5);

- il decreto ministeriale contenente istruzioni relative alle caratteristiche delle cabine telefo­niche stradali e dei posti telefonici pubblici (6). Possiamo infine citare:

- per quanto riguarda l'edilizia residenziale pubblica, la circolare ministeriale del 20 gennaio 1967 n. 425 «Standards residenziali» e la legge del 5 aprile 1985 n. 118 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 1985 n. 12 recante misure finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa...»;

- per gli impianti sportivi, il decreto-legge 31 gennaio 1987 n. 2 e la legge di conversione 6 mar­zo 1987 n. 65 «Misure urgenti per la costruzione o l'ammodernamento di impianti sportivi, per la realizzazione o completamento di strutture spor­tive di base e per l'utilizzazione dei finanziamenti aggiuntivi a favore delle attività di interesse tu­ristico». Tali norme, inerenti uno specifico cam­po di intervento edilizio, comprendono indicazioni circa l'eliminazione delle barriere architettoniche, ma non prescrivono modalità tecniche di attua­zione, che rimangono quelle del D.P.R. 384.

In particolare per quanto riguarda le due nor­mative citate a proposito di edilizia residenziale pubblica, occorre sottolineare che quella della circolare 425 costituisce il primo - forse in as­soluto, nel nostro paese - richiamo ufficiale al problema delle barriere architettoniche. Questa circolare infatti sollecitava, pur se con indicazio­ni non vincolanti né tecniche, la considerazione dell'accessibilità quale importante aspetto a fian­co degli altri requisiti di qualità dell'abitazione, ma sottolineandolo in modo particolare data la novità che esso costituiva.

Quanto alla legge 118/1985 (7), essa, in riferi­mento ai Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti, obbliga Comuni e IACP a desti­nare una quota (2%) degli interventi di edilizia sovvenzionata alla costruzione e ristrutturazione di abitazioni accessibili nel biennio 1986/87, ma ancora non specifica quali caratteristiche costrut­tive debbano avere.

Il recente decreto riguardante gli impianti spor­tivi definisce «soggetti, procedure e modalità di finanziamento per la realizzazione di programmi straordinari di interventi per l'impiantistica spor­tiva, finalizzati alla costruzione, all'ampliamento, al riattamento, alla ristrutturazione, al comple­tamento, al miglioramento, alla sistemazione del­le aree di parcheggio e servizio e all'adeguamen­to alle norme di sicurezza degli impianti sportivi, ivi comprese le attrezzature fisse e l'acquisizione delle aree...». In esso si indica esplicitamente che «agli impianti di cui al presente decreto si applicano le disposizioni in materia di barriere architettoniche di cui all'art. 32 della legge 28 febbraio 1986, n. 41» (8). Tale specificazione ri­sulta assai importante poiché evidenzia la neces­sità (come vedremo) che anche gli impianti spor­tivi siano accessibili ai disabili, sia a livello ago­nistico, competitivo (olimpiadi, campionati), ma sia anche in rapporto ad un uso individuale per il puro esercizio di attività sportiva di qualsiasi genere. Tuttavia ancora una volta, a livello tecni­co, il riferimento ultimo è costituito dal DPR 384 (con i limiti già citati, ma resi anche più eviden­ti in questo caso dal fatto che in esso non si trat­ta, in specifico, di impianti sportivi).

Il citato art. 32 della legge 41/1986 (legge fi­nanziaria '86) infatti richiama l'obbligo di rispet­tare il DPR 384 nei progetti di costruzione e ri­strutturazione di opere pubbliche, vincolando a ciò anche l'erogazione di contributi o agevolazio­ni da parte di Enti pubblici. Esso prevede inoltre l'obbligo, per le amministrazioni competenti, di adottare piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche già esistenti negli edifici pubbli­ci (tale obbligo doveva essere assolto entro il febbraio '87 mentre ci risulta che per lo più non sia stato rispettato).

Le norme della legge finanziaria possono esse­re lette in modi assai diversi: da un lato l'espli­cita denuncia di abusi, omissioni di atti di uf­ficio e inadempienza da parte di tutti gli organi preposti alla progettazione, approvazione, con­trollo, verifica, attuazione,... di progetti che avrebbero dovuto comunque rispettare il decre­to del 1978 (se non già quello relativo alle scuo­le; del 1975, o alla legge 118 del 1971, o alla circolare ministeriale del '68!). Si tratta in pratica di una presa d'atto ufficiale della mancata appli­cazione delle precedenti normative e della anco­ra scarsissima volontà e capacità di affrontare sistematicamente il problema della eliminazione delle barriere architettoniche; da un altro lato la non ancora chiara dizione utilizzata di «edifi­ci pubblici», che risulta ambigua e nuovamente limitativa rispetto alla legge 118 da cui prendono origine alcune discordanti interpretazioni circa la prevista formulazione dei piani per l'elimina­zione di barriere architettoniche Non risulta in­fatti chiaro se vi debbano rientrare anche gli edi­fici di proprietà privata, ma utilizzati a vario tito­lo da enti pubblici o che siano comunque sede di servizi aperti al pubblico. E nel caso, più pro­babile, che ciò non fosse previsto ci si doman­da perché non si prendano provvedimenti anche nei confronti di tali inadempienze, con opportuni strumenti legislativi;

- per contro costituisce elemento positivo il fat­to che finalmente il problema dell'accessibilità venga richiamato all'interno di una legge non ri­guardante specifiche agevolazioni per disabili e che venga in qualche modo creata una sanzione al riguardo, vincolando i finanziamenti pubblici al rispetto del DPR 384. Ciò risulta certo logico ed opportuno, assai più che il «monetizzare» il non rispetto della norma con (sempre blande ed aggirabili) pene pecuniarie o simili;

- ulteriore considerazione riguarda infine, anco­ra una volta, lo scarso riferimento tecnico costi­tuito, anche in questo caso, dal solo DPR 384!

Per completare il quadro delle normative na­zionali in materia, è opportuno ricordare due ini­ziative: quella per la definizione di una «legge­-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e la tutela dei diritti dei cittadini portatori di handicap», da parte di un comitato ristretto del Parlamento; quella per la formulazione delle nor­me tecniche nazionali per l'edilizia residenziale pubblica, previste dall'art. 42 della legge 457/78 «Norme per l'edilizia residenziale».

Nel primo caso si tratta di una normativa che si propone di toccare tutti gli ambiti e i problemi relativi a una categoria considerata «debole», ancora svantaggiata rispetto al resto della popo­lazione e di sollecitarne il completo inserimento nel normale contesto sociale con provvedimenti atti a tutelarne i diritti e promuoverne il pieno sviluppo personale e il raggiungimento della mas­sima autonomia. All'interno di tale norma-qua­dro sono contenute, tra l'altro, anche indicazioni per la rimozione di barriere architettoniche, la realizzazione di strutture pienamente accessibili e la dotazione di idonee attrezzature, sia per quanto riguarda interventi di cura e riabilitazione, che per l'inserimento e l'integrazione sociale (abitazioni, edifici pubblici, posti di lavoro, mezzi di trasporto, luoghi aperti al pubblico, centri re­sidenziali diurni, comunità alloggio, scuole, cen­tri di orientamento professionale, ... ). Questo ti­po di normativa solleva non poche perplessità. Se infatti va riconosciuto il valore degli obietti­vi proposti e l'aver sollevato questa problemati­ca può costituire stimolo per ulteriori interventi a tutti i livelli (edilizio, economico, sanitario,...), tuttavia non è giustificato nell'attuale momento storico un tipo di normativa categoriale, che pa­re sottolineare ancora con forza la «diversità» di un certo tipo di persone rispetto ad una mag­gioranza «normale», contraddicendo in pratica i suoi stessi obiettivi. Sembrerebbe quasi che si volesse ora beneficiare anche questi individui dei diritti umani, quasi che questi non fossero già loro di diritto e non già garantiti dalla nostra Co­stituzione. Il rischio è dunque quello di sancire, anziché scongiurare, una separazione tra catego­rie umane, quasi tra razze diverse, riconoscendo la necessità di interventi speciali, non integrati nei normali provvedimenti sociali e tecnici. Non resta che concludere al riguardo che, se una tal legge è ancora necessaria per rammentare alla nostra società l'uguaglianza di diritti, doveri e dignità di tutti gli uomini, significa che siamo ancora ben lontani dal poterci considerare una società civile. E allora ben vengano richiami di questo genere. Dovremmo però prevedere in que­sto caso anche leggi che affermino i diritti degli anziani, dei bambini, degli stranieri, e via via di tutte quelle «categorie» di persone che le leggi più che formularle devono subirle e le cui esigenze sono regolarmente ignorate nel conte­sto delle «normali» normative di settore (casa, scuola, lavoro, ...).

Per contro può essere interessante segnalare l'attività di studio del Comitato per l'edilizia resi­denziale (CER) per la definizione della normati­va tecnica nazionale relativa all'edilizia residen­ziale pubblica, nell'ambito del quale troviamo ad esempio il contributo elaborato dall'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) «Norme pre­stazionali per l'edilizia residenziale» del novem­bre '85. In questo documento vengono considera­ti al pari tra loro e richiesti quali requisiti fon­damentali quelli di sicurezza, benessere, fruibili­tà ed economia: ciò risulta assai significativo poiché permette di affrontare anche i problemi fisici dell'utenza tutta già in fase progettuale, ma prima ancora nella formulazione delle norme ge­nerali (non speciali) relative all'edilizia residen­ziale pubblica. È questa la strada giusta, a mio avviso, per conseguire gli auspicati traguardi di lotta all'emarginazione. Inoltre, proponendo un compendio ragionato (e ragionevole) tra le diver­se normative (di igiene, sicurezza, stabilità, ac­cessibilità, ...) che oggi regolano il settore e si sovrappongono per lo più le une alle altre in modo contraddittorio (insinuando necessità di de­roghe o di scelte prioritarie, a scapito di alcune esigenze), una normativa quale quella proposta può costituire certo un valido strumento per i progettisti al fine di ottenere migliori risultati e minor spreco. Da sottolineare infine la scelta opportuna di una normativa di tipo prestazionale, volta a individuare gli obiettivi da conseguire, più che illustrarne le soluzioni, che di fatto risul­tano sempre poco rispondenti alla situazione con­tingente (pensiamo ad esempio alle grandi diffe­renze riscontrabili tra nuovi interventi e ristrut­turazioni) oltre che rigide, mentre sappiamo che le barriere architettoniche risultano quasi sem­pre nella dinamica dell'azione (pensiamo per esempio alla posizione di un interruttore: la sua raggiungibilità non dipende solo dall'altezza alla quale è posto, ma anche dalla presenza o meno di arredi o altri elementi sporgenti sottostanti, che possono impedirne o limitarne l'avvicina­mento, ecc.). Ci si augura che la normativa tec­nica conseguente questi studi non smentisca le aspettative e che una tale impostazione possa venire ripresa nella regolamentazione tecnica di tutti gli altri settori di intervento edilizio ed urba­nistico, a cominciare dall'edilizia residenziale pri­vata e i luoghi di lavoro, ambiti particolarmente tralasciati sin qui da tutte le indicazioni tecniche relative alle barriere architettoniche.

La Costituzione italiana riconosce anche alle Regioni (art. 117) il potere di emanare norme legislative, mentre agli Enti territoriali minori è dato solo potere di regolamentare, in conformità alla legge. In particolare, poi, a Regioni e Comu­ni è demandato il compito di programmare e ge­stire l'uso del territorio dal punto di vista urba­nistico e disciplinarne l'attività edilizia, predispo­nendo strumenti urbanistici di carattere generale ed esecutivi.

Di fatto negli ultimi anni (come già indicato in precedenza) numerose sono state leggi e regola­menti a carattere locale che hanno in qualche modo affrontato anche i problemi delle strutture architettoniche in rapporto a utenza disabile.

Possiamo riconoscere in tali provvedimenti di­verse linee di tendenza, dai confini sfumati, per­ciò non sempre ben distinguibili tra loro, ma che possono essere ricondotte principalmente a tre modi di affrontare il problema:

- il perpetuare o riproporre una segregazio­ne spesso camuffata con presunta specializzazio­ne degli interventi;

- l'integrazione intesa come attivazione di servizi o strutture «particolari» a fianco di strut­ture «normali», ma ancora con connotazione di diversità e separatezza (rientrano in questa cate­goria anche gli interventi di edilizia residenziale nei quali si destina a persone disabili un solo piano, una sola scala, un solo edificio «tra gli altri»);

- l'inserimento nelle normali strutture attra­verso quegli accorgimenti, quelle modifiche ne­cessarie (sia a livello strutturale che gestionale) perché le stesse strutture possano accogliere tutti «alla pari», consentendo a ciascuno di utilizzarle nella massima autonomia possibile.

Tralasciando le disposizioni a carattere pret­tamente emarginante (contributi a enti particola­ri, istituzione di servizi speciali, ...) possiamo raggruppare le norme a carattere locale come segue:

- richiami alla normativa nazionale, cioè alla applicazione del D.P.R. 384;

- predisposizione e riserva di alloggi idonei per particolari categorie di richiedenti;

- incentivi e finanziamenti per la rimozione di barriere architettoniche o la predisposizione di strutture accessibili;

- normative complete e regolamenti relativi alla eliminazione e prevenzione di barriere archi­tettoniche in tutte le strutture di uso pubblico (compresa l'edilizia residenziale);

- normative e regolamenti per l'eliminazione di barriere architettoniche in specifici settori di intervento (es.: edilizia residenziale);

- indicazioni precise, per l'accessibilità delle strutture, introdotte nell'ambito di più ampie norme tecniche di settore.

Va sottolineato che, nella suddivisione sopra riportata non si inseriscono rigidamente le varie Regioni; infatti in molte sono state emanate in questi anni vari tipi di norme con diverse conno­tazioni (indicazioni tecniche, erogazione di con­tributi, ...).

Per concludere mi paiono opportune alcune considerazioni di carattere generale circa l'effi­cacia delle norme e la loro applicazione.

Si è visto e si sa che da norme anche molto «calibrate» possono derivare soluzioni proget­tuali di scarsa qualità quando non addirittura in netto contrasto con gli obiettivi stessi che la legge si prefiggeva, pur nel suo formale rispet­to. Per contro, anche in presenza di leggi insuffi­cienti, possono nascere progetti validi. È quindi opportuno che, al di là di possibili miglioramenti sul piano legislativo, vi sia un impegno per il rag­giungimento degli obiettivi di totale accessibilità, ricordando che la legge indica spesso dei minimi inderogabili, ma non esclude mai la possibilità di soluzioni migliori!

 

 

 

(1) Per un'analisi di queste normative si veda M.T. PON­ZIO, Barriere architettoniche, Rosenberg & Sellier, Torino, 1985, pp. 21-27.

(2) Ibidem.

(3) L'OMS definisce «accessibile» un servizio che sia logisticamente, economicamente, culturalmente e funzio­nalmente alla portata della intera comunità.

(4) M.T. PONZIO, Barriere..., cit.

(5) Ibidem.

(6) Ibidem.

(7) Da non confondere con la più conosciuta legge 118 del 1981, già citata.

(8) Cfr. «Importantissime norme per l'eliminazione del­le barriere architettoniche», in Prospettive assistenziali, n. 74, aprile-giugno 1986, p. 53.

 

 

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