Prospettive assistenziali, n. 78, aprile-giugno 1987

 

 

DIRITTI DEGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI E RUOLO DEL VOLONTARIATO

GIOVANNI NERVO (*)

 

 

Ringrazio la Regione Toscana di avermi invi­tato a questo convegno e di aver dato uno spazio di primo piano al volontariato.

Dopo il convegno nazionale di Salerno del maggio scorso nel quale ho riferito sullo stes­so tema, non sono intervenuti molti fatti nuovi né sul fronte degli anziani non autosufficienti, né su quello del volontariato.

Riproporrò perciò gli stessi contenuti aggior­nandoli con qualche elemento nuovo emerso in questi mesi.

Nella lettera di invita l'assessore Benigni fa­ceva riferimento alla proposta di Piano sanitario nazionale per il prossimo triennio che contiene anche un progetto per la «tutela della popola­zione anziana».

- Mi propongo di compiere una breve analisi su quanto il Piano sanitario nazionale dice sul volontariato;

- di dare qualche indicazione sulle presta­zioni che si possono richiedere al volontariato per gli anziani non autosufficienti partendo dall'esperienza;

- mi propongo poi di porre alcune domande come anziano;

- di proporre alcune precisazioni sul concetto stesso di volontariato;

- di fare un cenno sul volontariato degli an­ziani autosufficienti come prevenzione della non autosufficienza.

 

1. - Nella proposta di Piano sanitario nazionale 1986-87 si parla del volontariato in generale nel­la parte III sulle «Implicazioni di ordine orga­nizzativo» al punto e): «Integrare nelle attività sanitarie le attività di volontariato».

Vi si dicono sostanzialmente cinque cose:

a) si dà una definizione delle associazioni di volontariato che andrebbe discussa e in alcuni punti chiarita: «Sono espressioni organizzate di solidarietà sociale e di partecipazione, capaci di azioni autonome per l'individuazione e il soddi­sfacimento di bisogni sanitari non tutelati o non sufficientemente soddisfatti, operanti senza fine di lucro, le quali concorrono al conseguimento dei fini istituzionali del Servizio sanitario nazio­nale, perciò possono essere integrate funzional­mente nelle attività dei servizi pubblici, con com­piti di sostegno o di collaborazione anche sosti­tutiva».

È da notare che vengono prese in considera­zione le associazioni di volontariato e non singoli cittadini volontari, come invece si trova in una delle proposte di legge quadro sul volontariato e in alcune leggi regionali.

b) Si pongono alcuni requisiti generali:

- la volontarietà e gratuità dell'intervento;

- il possesso di sufficienti competenze tecni­co-professionali nella propria area di intervento;

- l'autonomia organizzativa dell'associazione.

c) Si estende la collaborazione con le associa­zioni di volontariato alla promozione dell'associa­zionismo volontario e all'educazione dei cittadi­ni alla donazione del sangue e degli organi.

d) Si prevede la collaborazione con le associa­zioni di volontariato nel campo della formazione e della qualificazione dei volontari, per la quale i1 servizio pubblico può contribuire direttamente con proprie iniziative o indirettamente stimolan­do e sostenendo con contributi finanziari le auto­nome iniziative delle associazioni.

e) Si prevedono alcune misure regolamentari, pur nel rispetto sostanziale dell'autonomia asso­ciativa. Cioè si prevede l'istituzione, a cura delle Regioni, di apposito registro da cui risulti:

- l'organizzazione statutaria delle associa­zioni;

- il numero dei volontari operanti e il rela­tivo campo di azione;

- la natura, l'entità e l'effettività delle pre­stazioni fornite;

- la consistenza patrimoniale (!);

- le procedure contabili amministrative (evi­dentemente gli estensori del Piano hanno in mente le grosse associazioni, le Pubbliche Assi­stenze e le Misericordie piuttosto che le piccole associazioni di servizio diffuse sul territorio na­zionale e che sono quelle che maggiormente si interessano in modo specifico degli anziani).

Il Piano prevede che entro 180 giorni dalla sua entrata in vigore siano fornite «linee di guida sui rapporti convenzionali da instaurare con le associazioni di volontariato e le modalità di con­trollo sull'attività e sui bilanci dei servizi di volontariato convenzionati».

 

2. - Il programma n. 11 «Tutelare la salute degli anziani» colloca il volontariato in rappor­to al terzo obiettivo: «La promozione dell'inte­grazione funzionale dei servizi socio-assistenziali incidenti sullo stato di salute degli anziani u e pone tra gli interventi idonei quello di «stimolare l'apporto del volontariato nell'azione socio-assi­stenziale dell'anziano».

È una espressione standardizzata che si trova tale e quale anche nei programmi n. 13 sugli handicappati e n. 14 sui tossicodipendenti. È si­gnificativo che si faccia menzione esplicita del volontariato quasi esclusivamente in questi tre programmi, oltre ad un cenno nel programma n. 3 sulle emergenze sanitarie in riferimento alla do­nazione di sangue, al programma n. 6 sulla pre­venzione delle malattie neoplastiche e al pro­gramma 15 su «Sanità amica». Forse è dovuto ad una concezione quasi esclusivamente assi­stenziale del volontariato.

 

3. - Se il Piano sanitario nazionale pone tra gli interventi idonei quello di «stimolare l'ap­porto del volontariato nell'azione socio-assisten­ziale dell'anziano» significa che fra le sei tipo­logie di strutture indicate dal piano (assistenza ospedaliera per acuti, assistenza ospedaliera di riabilitazione, assistenza sanitaria e sociale, as­sistenza sociale, alloggi protetti, alloggi perso­nali con assistenza domiciliare), a stretto rigore quella in cui prevede l'intervento del volontaria­to è la terza, «le residenze di assistenza sani­taria e sociale».

Nelle prime due infatti, nella logica del piano, non c'è spazio per un intervento socio-assisten­ziale perché sono strutture squisitamente sani­tarie.

Le altre tre non sono di competenza del Pia­no sanitario, ma degli Enti locali.

 

4. - Che cosa può fare praticamente il volon­tariato?

Io personalmente non ho una esperienza diret­ta di volontariato con gli anziani.

Perciò ho posto a miei amici volontari che la­vorano con gli anziani tre domande: che cosa fanno i volontari, di quale formazione hanno bi­sogno, che cosa non devono fare i volontari.

a) Alla prima domanda mi hanno risposto elen­cando tutta una lunga tipologia di interventi che si differenziano a seconda che si tratti di an­ziani autosufficienti o no, che si tratti di assi­stenza a domicilio o in istituto, che si tratti di volontari singoli o gruppi di volontariato.

Comunque, si va dall'animazione, al tener com­pagnia, all'imboccare, al trasporto, alle piccole commissioni, alle piccole opere di mantenimen­to della casa (1).

Un animatore di volontari che vive la sua vita in mezzo agli anziani e che ha una lunga esperien­za e di lavoro professionale come infermiere e di volontariato, mi faceva alcune osservazioni che mi sembrano interessanti.

La struttura, mi diceva, non è in grado di dare un servizio completo perché arriva con tanti in­terventi particolari, affidati a professionisti di­versi: ciascuno di essi prende un pezzo dell'an­ziano. Ma nessuno assume l'anziano, nella sua globalità.

Ciò rende meno efficaci i servizi perché non riescono a dare all'anziano la sicurezza in se stesso, a renderlo gestore di se stesso, a dargli fa voglia di vivere.

Le cure stesse servono molto meno perché gli anziani non reagiscono. Inoltre i servizi profes­sionali hanno tempi fissi che non sempre coinci­dono con quelli fisici e fisiologici dell'anziano; i servizi della struttura riempiono certi tempi: e tutto il resto? L'inerzia dei tempi morti riduce l'efficacia della cura.

D'altra parte la struttura, a suo parere, non potrà mai adattarsi in modo flessibile ai tempi di ciascun anziano, né riempire in modo attivo tutto il loro tempo perché sarebbe troppo co­stosa. E mi portava l'esempio del tempo neces­sario per insegnare all'anziano semiparalizzato a parlare o a scrivere con la sinistra.

Secondo questo «testimone» il volontariato ha il ruolo di ricomporre l'unità della persona e di integrare gli interventi della struttura sia tenendo conto dei tempi personali, fisici e psico­logici dell'anziano, sia riempiendo i tempi morti. Lui è convinto che questo si può fare se c'è un gruppo che collabora con la struttura, più che un singolo volontario. L'anziano così, coinvolto dall'amicizia e dall'amore, reagisce con più im­pegno, si lascia coinvolgere nella gestione della sua vita e del suo tempo, riprende la voglia di mangiare da solo, rivive.

I volontari mi hanno anche prospettato l'esi­genza e la possibilità di coinvolgere maggior­mente la famiglia.

b) Alla seconda domanda sulla formazione tutti erano concordi sulla necessità di una formazio­ne psicologica per capire l'anziano e sapersi rap­portare con lui in modo corretto e costruttivo.

c) Alla terza domanda: che cosa non devono fare i volontari? Tutti erano d'accordo sulla ne­cessità di non mettersi in concorrenza o in con­flitto con la struttura e di non pensare di fare programmi e interventi autonomi. Se l'anziano è seguito da un servizio, questo, se opera profes­sionalmente, ha un piano di intervento: i volon­tari devono sapersi inserire in questo piano per dargli un supporto.

Su questo punto però è emerso un problema: e se la struttura opera male, non rispetta l'an­ziano, o viola diritti fondamentali dell'anziano?

Mi portavano l'esempio di anziani che vengo­no lasciati a compiere i bisogni naturali a letto perché il personale fa meno fatica a cambiare la biancheria, che a farli alzare, anche se, aiu­tati, potrebbero farlo; di anziani che vengono la­sciati agonizzare per giorni in mezza a tutti gli altri; di anziani che vengono maltrattati moral­mente e fisicamente.

Che cosa fanno i volontari che vedono tutto questo?

Se parlano, vengono messi alla porta, perché non hanno nessun potere. Se tacciono diventano conniventi e fanno da copertura a comportamenti disumani.

C'è chi ritiene che nella maggior parte dei casi il volontariato dentro le istituzioni finisce col diventare esso stesso strumento di emargi­nazione, se queste sono, emarginanti.

Molte volte Santanera mi ha detto: «Io non ho mai sentito che dei volontari abbiano denunciato violazione dei diritti umani fondamentali dei mi­nori, degli anziani, degli handicappati». Io non sono completamente di questo parere, ma devo dire che mi ha sorpreso la scarsa reazione che hanno avuto nell'assemblea e nelle commissioni del convegno di Lucca dello scorso maggio, le forti stimolazioni che il prof. Palmonari ed io ave­vamo posto nelle due relazioni fondamentali sul tema del convegno «Promozione e formazione del volontariato per cambiare la società e le isti­tuzioni».

Nello scambio che ho avuto con i miei amici la formula che era apparsa più idonea era quella di cominciare a trattare delle situazioni concrete e documentate degli anziani che vivono nelle isti­tuzioni e a casa, in pubbliche assemblee corre­sponsabilizzando tutta la comunità e le forze po­litiche, religiose, culturali, sindacali. E le associa­zioni di volontariato questa possono farlo in col­laborazione con le associazioni impegnate in azio­ni contro l'emarginazione.

 

5. - Ora però vi presento alcuni interrogativi che mi sono posto io, come volontario che si occupa dei problemi della società e fra questi dei problemi degli anziani.

a) Primo interrogativo: è certamente un crite­rio giusto, oltre che economico, quello che ispi­ra il Piano sanitario nazionale di tenere la gente in ospedale tutto il tempo necessario per curar­la bene, ma non di più. Però nel caso degli an­ziani quali garanzie hanno essi di veder realizzato pienamente il diritto alla salute, affermato e ga­rantito dalla Costituzione per tutte le fasi della vita, nelle «residenze di assistenza sanitaria e sociale (che) dovranno essere caratterizzate am­bientalmente in modo tale da consentire l'assi­stenza alla patologia prevalente soprattutto nel­l'età senile, ed in particolare ai casi definiti "psi­cogeriatrici", nonché alle condizioni terminali di malattia»?

Al di là delle belle parole non c'è il pericolo che dietro a questa soluzione organizzativa, scel­ta per motivi di risparmio, che rischia di discri­minare i cittadini nel diritto alla salute, ci sia una concezione della vita e della società secondo la quale l'uomo vale se produce e fino a che pro­duce? Non perché è uomo, ma perché produce?

È vero che al n. 34 della III parte si dice: «Non va mai dimenticato... che il fine del Servizio sa­nitario nazionale è la tutela della salute dei cit­tadini e che le esigenze di compatibilità econo­mica sono un limite da rispettare non una finali­tà, un limite necessario ma dal quale deve scatu­rire un impegno ancora più serrato a utilizzare le risorse disponibili per elevare la qualità del­l'assistenza sanitaria ai cittadini». Ma a tutti i cittadini, anche agli anziani?

Non c'è il pericolo che le residenze di assi­stenza sanitaria e sociale assumano in modo ancor più evidente di molti cronicari attuali il carattere di anticamera della morte, almeno fino a quando, in fondo applicando la medesima lo­gica, non si arriverà ad abbreviare i tempi dì at­tesa con interventi più decisivi?

b) Secondo interrogativo: quali garanzie ci sono che gli anziani non autosufficienti nelle residen­ze sanitarie e sociali, invece di mantenere con la riabilitazione una almeno parziale autonomia, peggiorino rapidamente, se questo avviene già oggi negli ospedali?

c) Terzo interrogativo: è praticabile senza dan­no per l'anziano questa netta distinzione fra in­terventi sanitari e sociali? Il prof. Fabris in un suo scritto afferma che «in età senile... sempre più indistinti si fanno i confini tra "stato" sani­tario e sociale, le loro interconnessioni essendo la regola e la verità, i tentativi di scissione netta l'arbitrario ed anche l'irrazionale». Perciò auspi­ca che «l'integrazione prevista dei servizi socio­sanitari per l'anziano consenta il superamento di una controversia sostanzialmente artificiosa».

Ma le scelte del Piano sanitario nazionale che rispecchiano e traducono in atto il decreto del Presidente del Consiglio dell'8.8.85, vanno in di­rezione della integrazione, oppure della «scissio­ne arbitraria e irrazionale»?

d) Quarto interrogativo: le spese per il mante­nimento alberghiero a carico dei pazienti malati cronici nelle residenze di assistenza sanitaria e sociale non costituiscono un'altra forma di discri­minazione dei cittadini più deboli?

c) Quinto interrogativo: le residenze di assi­stenza sociale per anziani autosufficienti non in­crementano la istituzionalizzazione degli anziani al posto dell'assistenza domiciliare che potrebbe favorire in molti casi la loro permanenza nella propria famiglia, o nella propria abitazione o co­munque nel proprio contesto sociale, con costi umani ed economici inferiori?

Comprendo che potrebbe essere rivolto a me un altro interrogativo: tutto questo che cosa c'entra con il volontariato?

Io credo che il volontariato non è chiamato sol­tanto a dare una collaborazione «alle attività dei servizi pubblici, con compiti di sostegno o anche di sostituzione» come è detto nel Piano sani­tario nazionale; credo abbia anche una funzione culturale e politica. Anzi credo che questa sia la sua funzione più importante, insieme alla funzio­ne anticipatrice e profetica. Perciò è proprio in nome del volontariato che pongo questi interro­gativi.

Dicevo all'inizio che la definizione di volonta­riato proposta dal Piano sanitario nazionale do­vrebbe essere discussa e precisata su alcuni punti: l'ampiezza e l'articolata e differenziata configurazione del volontariato; bisognerà distin­guere nell'ambito del privato sociale ciò che è e ciò che non è volontariato; i compiti e le re­sponsabilità che si intende affidare o riconoscere al volontariato, con i conseguenti riflessi anche economici; bisognerà pure precisare il tipo di rapporto che si instaura fra le varie forme del privato sociale con la pubblica amministrazione.

Se non si è chiari sul piano concettuale e or­ganizzativo su questi punti si creano confusioni che finiscono col far degradare ancor di più i ser­vizi e con il compromettere sempre di più ì di­ritti dei cittadini, in particolare nel nostro caso degli anziani.

 

6. - Ne pongo anche un altro, pure in senso critico.

Il tema: «l'anziano e il volontariato» può es­sere letto anche nel senso dell'anziano prota­gonista di volontariato, cioè del volontariato del­l'anziano.

È un tema che ritengo molto importante e che mi sembra non sia stato finora affrontato adegua­tamente.

Alcune esperienze di enti pubblici che hanno ingaggiato degli anziani con uno stipendio sim­bolico per alcuni servizi molto semplici: fare at­traversare la strada ai bambini vicino alle scuole, pulire i parchi, ecc., sono espressioni di buona volontà, ma non mi sembra che affrontino il pro­blema nella sostanza.

A una persona che non ha mai pensato di fare il volontario, non si può rispettosamente propor­re i1 volontariato soltanto perché è anziano.

È un modo un po' goffo di camuffare l'inca­pacità della famiglia e della società di riconosce­re ancora un ruolo reale alla persona anziana.

Però è vero che gli anziani autosufficienti pos­sono costituire una miniera di risorse, di ener­gie, di esperienza, di competenza che attualmen­te la nostra società stupidamente butta.

Man mano che si svilupperà il volontariato nei giovani, negli adulti, nelle famiglie aperte, si maturerà anche una cultura di solidarietà che sfocerà naturalmente in scelte autentiche di vo­lontariato.

Dicevo giorni fa ad un convegno sull'A.V.S.: perché una persona che ha completato i suoi impegni non può scegliere di dare un anno della sua vita in servizio gratuito agli altri così come fanno le giovani a vent'anni.

Però occorrono alcune condizioni:

- che gli anziani possano disporre di pensioni adeguate che li rendano autosufficienti;

- che possano scegliere fra un lavoro part­-time pagato e un impegno volontario;

- che trovino nelle associazioni di volontariato e nelle istituzioni pubbliche e private programmi adeguati in cui inserirsi e impiegare in modo realmente proficuo la loro competenza e il loro tempo.

Uno può dire: «Ma che cosa c'entra il volon­tariato degli anziani» con il tema del convegno «Come affrontare la non autosufficienza dell'an­ziano»?

Mi sembra possa collocarsi benissimo nel se­condo obiettivo del progetto del Piano sanitario nazionale «Tutela della salute degli anziani»: «Il potenziamento delle attività di prevenzione delle malattie geriatriche e delle loro compli­canze».

Mi dispiace di aver posto più interrogativi che indicazioni operative: spero che queste possano emergere anche dal contributo dei partecipanti.

 

 

 

(*) Relazione tenuta al convegno «Anziani e qualità della vita: come affrontare la non autosufficienza», svol­tosi a Firenze il 17-18 dicembre 1986, organizzato dalla Giunta della Regione Toscana. Monsignor Giovanni Nervo è responsabile dell'Ufficio «Rapporti Chiesa-Territorio» della Conferenza Episcopale Italiana.

(1) La presenza del volontariato è particolarmente si­gnificativa nell'assistenza domiciliare e dovrebbe essere prioritaria.

 

 

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