Prospettive assistenziali, n. 77, gennaio-marzo 1987

 

 

Specchio nero

 

 

VADEMECUM PER I MEDICI: COME RISPEDIRE A CASA L'ANZIANO AMMALATO

 

I lettori conoscono quanto da anni andiamo sostenendo circa il diritto alle cure sanitarie complete e gratuite per i malati cronici non auto­sufficienti e in merito alle palesi violazioni delle leggi vigenti da parte del sistema sanitario na­zionale.

Ricorderanno, anche, quanto a più riprese è stato scritto circa il luogo comune (smentito da ricerche autorevoli), circa l'abbandono degli an­ziani in ospedale da parte dei familiari. A scanso di equivoci, è bene ribadire che noi non neghiamo che esistano casi del genere; ma l'esperienza e i dati ci dicono che essi non sono poi così nume­rosi come si vorrebbe far credere. Conosciamo, invece, il rovescio della medaglia: le migliaia e migliaia di coniugi, figli, parenti stretti e non, che sono costretti - senza alcun aiuto concreto da parte del servizio sanitario nazionale - ad occu­parsi 24 ore su 24 dei loro congiunti anziani ma­lati cronici non autosufficienti che, spesso, gli ospedali hanno dimesso quando avevano ancora bisogno di cure sanitarie non praticabili a domi­cilio o in ambulatorio.

A riprova della nostra tesi, si legga la lettera inviata (in data 17 luglio 1984, con protocol­lo n. 122) dal presidente dell'Unità sanitaria lo­cale di Roma 9, Renato Masini e dal dirigente del servizio di assistenza sanitaria dell'Usl stes­sa, professor S. Biancone, alla direzione sanita­ria del San Giovanni e dell'Addolorata:

 

«Con l'approvazione del Comitato di Gestione si dispone quanto segue:

« Ogni volta che si riscontrino difficoltà nel far rientrare presso i familiari un paziente posto in dimissione, il Servizio Sociale curerà quanto segue:

1) - In prima istanza, curerà che sia inviato ai familiari, a firma del Direttore Sanitario, un invito telegrafico a prendersi in casa il pa­ziente;

2) - Ove tale invito telegrafico non abbia esito alcuno, il giorno successivo sarà inviata ai familiari e per conoscenza al Sindaco, al presidente dell'USL di residenza ed al suo Medico di base una lettera raccomandata in cui sarà indicata la data e l'ora in cui il paziente sarà accompagnato a casa in am­bulanza insieme a un assistente sociale e ad un infermiere;

3) - Nel caso in cui tale tentativo fallisse, se ne darà comunicazione scritta al Direttore Sa­nitario, che interesserà a sua volta il Co­ordinatore Amministrativo per i necessari atti legali nei confronti dei familiari.

«Con l'occasione si prega voler ricordare ai Signori Primari che la denuncia di lungodegenza esclude di per sé fa possibilità di seguire la pras­si di cui sopra».

 

La nota dell'Usl di Roma 9 si commenta da sé. A scopo di documentazione, riportiamo comun­que la lettera inviata il 20 agosto 1986 al presi­dente ed al Dirigente del Servizio Sanitario dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti di Torino:

 

«Solo in questi giorni, questo Comitato ha avuto copia della sorprendente Vostra comunica­zione del 17 luglio 1984, prot. 122/S.A.S. Comu­nicazione sorprendente, in quanto assunta in spregio non solo dei diritti dei cittadini malati, ma anche del più elementare rispetto della perso­na umana.

«Questo Comitato gradirebbe moltissimo conoscere quali sono gli articoli di legge che ob­bligano i familiari (quali?) ad accogliere a casa loro un paziente “posto in dimissione” (punto 1 della Vostra comunicazione), le cui condizioni di salute sono però tali da richiedere che sia “ac­compagnato a casa in ambulanza insieme a un assistente sociale e ad un infermiere” (punto 2).

«Infine saremmo curiosi di sapere quali atti le­gali sono stati intentati ai familiari che non hanno accolto un parente «posto in dimissione» nelle condizioni sopra descritte.

«Da parte nostra riteniamo che, in base alle leggi vigenti, gli anziani e gli adulti cronici non autosufficienti abbiano diritto alle cure sanitarie, comprese quelle ospedaliere (...).

«Alleghiamo inoltre copia del libretto “Che cosa fare per evitare le dimissioni selvagge degli anziani”».

 

 

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