Prospettive assistenziali, n. 77, gennaio-marzo 1987

 

 

Notiziario del Centro italiano per l'adozione internazionale

 

 

ADOZIONE INTERNAZIONALE: CON LA LEGGE (E COL BAMBINO) NON SI SCHERZA

 

Il decreto del Tribunale per i minorenni di Trie­ste apparso sul n. 1-2, 1985, pp. 577 e segg. della rivista «Il diritto di famiglia e delle persone» non può non destare il massimo allarme in chi, come noi, si occupa da vent'anni di adozione interna­zionale, e deve pertanto trovare in questa sede una presa di posizione fermamente negativa, tan­to più doverosa in quanto la rivista sopra cita­ta - indubbiamente autorevole e solitamente ben fornita di validi collaboratori - si è stranamen­te limitata in questo caso a pubblicare tale pe­ricolosa decisione senza corredarla di alcuna nota esplicativa.

Il caso preso in esame dai giudici minorili di Trieste è tra i più semplici e scontati. Due co­niugi, dopo aver ottenuto all'estero un minore straniero e dopo averlo introdotto in Italia, de­cidono finalmente di farsi vivi presso il Tribu­nale per ottenere l'obbligatoria dichiarazione di idoneità all'adozione internazionale. Il Pubblico ministero si oppone, e chiede giustamente che la domanda sia respinta, ricordando ai suoi col­leghi del Tribunale che - a norma degli artt. 30 e 32 della legge 184/83 - tale dichiarazione avrebbe dovuto essere chiesta dagli aspiranti genitori adottivi e concessa dal Tribunale in via assolutamente prioritaria all'inizio di qualsiasi altra pratica adozionale e che, in ogni caso, avreb­be dovuto e deve sempre precedere sia il prov­vedimento straniero di affidamento che l'ingres­so del minore nel territorio italiano, così come d'altronde deve precedere (ovviamente) la stes­sa dichiarazione di efficacia in Italia del prov­vedimento straniero richiesta dall'art. 32 della legge 184/83.

Il Tribunale di Trieste ha, invece, letteralmen­te capovolto le sacrosante osservazioni del P.M., così ragionando: è vero, normalmente la valuta­zione circa l'idoneità della coppia all'adozione internazionale è fatta preventivamente, e cioè prima che sia individuato fisicamente un deter­minato minore, ma nulla vieta che essa venga invece fatta slittare successivamente allo svol­gimento delle pratiche all'estero ed all'arrivo del bambino in Italia. Anzi - si aggiunge - così fa­cendo si ottiene addirittura un vantaggio, in quan­to in tal modo c'è la possibilità di sindacare più approfonditamente i requisiti soggettivi della coppia con riferimento ad un minore determinato, sostituendo cioè una idoneità in concreto (e quin­di più tutelata) ad una mera idoneità in astratto (di per sé suscettibile di essere invalidata da eventuali controindicazioni negative insorte in un secondo tempo nei richiedenti).

Ma stiamo attenti alle facili lusinghe ed alle false suggestioni di questo (falso) ragionamen­to, per capire il quale basta del resto andare a verificare - scorrendo le prime e le ultime righe del provvedimento in discussione - con quali reali criteri i giudici triestini abbiano poi dato luogo a quella loro valutazione concreta. Ed infatti i nostri due coniugi sono stati appro­vati con due righe di motivazione: «Viste le in­formazioni del commissariato Polstato di Villa Opicina che dipingono i coniugi richiedenti come persone in condizioni personali ed economiche tali da reputarsi idonee all'adozione; vista la re­lazione del servizio sociale che attesta l'ambien­te familiare sereno e stimolante e la conforte­volezza della situazione abitativa».

E questo sarebbe lo strombazzato approfondi­mento in concreto dei requisiti della coppia, con riferimento a quel determinato minore (minore che quasi certamente né i giudici minorili né l'assistente sociale hanno nemmeno visto in fac­cia)? In realtà - molto più banalmente e (ahimè) gravemente - siamo di fronte ad un caso in cui (ci si passi il bisticcio) si adotta una giurispru­denza per adattare la legge ad un'emergenza spicciola e poco encomiabile, e cioè all'esigenza di «accontentare» una coppia che, ancora una volta, ha come prima cosa deciso di mettersi alla ricerca privata e captatoria di un bambino, ponendo quindi di fronte al fatto compiuto il Tri­bunale e confidando nella sua benevolenza (o, meglio, nella sua acritica e connivente arrende­volezza).

Un accomodante azzeccagarbugli in vena di spi­rito potrebbe commentare il tutto ricorrendo al motto: «Fatta la legge, trovato l'inganno». Ma noi affermiamo invece che con la legge (e col bambino) non si scherza. L'interpretazione lette­rale e sistematica delle norme sopra citate, e so­prattutto lo spirito dell'intera legge 184/83 (co­me ben hanno rilevato da tempo gli studiosi più sensibili ed avvertiti, come ad esempio A. e M. Finocchiaro, B. Poletti di Teodoro, M. Pavone, ai quali rinviamo per le dettagliate considerazioni specifiche), non consente, non può consentire ma­nipolazioni o accondiscendenze di sorta. Basti pensare che, con una giurisprudenza del genere, non soltanto non viene affatto perseguito quel favor minoris che a parole si sostiene di voler difendere, incorrendo viceversa nella gravissima stortura di avallare ad occhi chiusi la scelta di un minore fatta da una coppia nell'elusione di tutti i controlli istituzionali preventivi, ma si in­corre addirittura in un male ancora peggiore, poi­ché a questo punto l'illegalità finisce per creare di pari passo ed irresponsabilmente le premesse di un affidamento preadottivo quanto meno af­frettato e superficiale, con il rischio conseguen­te di dover poi esporre il minore alla procedura terribile (perché traumatica in sommo grado per ogni bambino) prevista obbligatoriamente da­gli artt. 33 e 37 della legge, comportante l'allon­tanamento del piccolo dalla coppia, con la riaper­tura della pratica di adozione e, al limite, l'even­tuale rimpatrio nel Paese d'origine! Ed allora sì che avrebbe ragione il pessimista Sacchetti, là dove osserva che «lo strumento dell'adozione è creato per i bambini di Paesi sottosviluppati, politicamente deboli e di fatto condiscendenti alla manipolazione dei propri provvedimenti»!

Per troncare ogni residuo dubbio in proposito, non si ricorderà mai abbastanza che gli Enti che - come il CIAI - sono autorizzati per legge (art. 38 legge 184/83 e D.M. 28-6-1985) allo svolgi­mento delle pratiche per l'adozione internazio­nale non prendono in alcuna considerazione le domande di assistenza pervenute da parte di cop­pie non in regola con la dichiarazione di idonei­tà dei Tribunali per i minorenni. Ed in senso per certi versi analogo si è anche pronunciato ultima­mente - nell'incontro organizzato a Roma dall'Ufficio per la giustizia minorile del Ministero di grazia e giustizia il 5 e 6 dicembre 1986 - il rappresentante del Ministero degli affari este­ri, il quale ha rilevato come molte coppie igno­rino le disposizioni dell'art. 31 legge 184/83 sull'ingresso dei minori in Italia a scopo di adozione internazionale, insistendo sulla necessità d'infor­marle dettagliatamente al riguardo, fin dal mo­mento della dichiarazione di idoneità.

 

 

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