Prospettive assistenziali, n. 76, ottobre - dicembre 1986

 

 

Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

L'ADOZIONE DI STEFANIA, I DIARI DI LICIO GELLI E LA CORTE COSTITUZIONALE

 

La procedura giudiziaria

Stefania, nata in Uruguay il 24.10.80, fu ceduta alla nascita, dalla «madre» naturale a una cop­pia di coniugi italiani, che la riconobbero come loro figlia davanti all'Ufficiale di stato civile uru­guaiano, commettendo il reato di alterazione di stato.

Dopo il rientro in Italia, gli apparenti genitori tennero con sé la bambina 11 mesi, cioè fino al momento in cui il Tribunale per i minorenni di Venezia - venuto a conoscenza dell'alterazione di stato civile di Stefania - dispose il suo al­lontanamento da loro e avviò la procedura di adottabilità, affidando in via provvisoria la mino­re ad un'altra coppia di coniugi disposta ad adottarla.

Contemporaneamente veniva instaurata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale l'azione civile conclusasi con una sentenza che accertava l'insussistenza del rapporto di filia­zione falsamente denunciato.

I primi affidatari sollecitarono il governo uru­guaiano ad intervenire. La Giunta militare, che in quel momento governava il Paese sudameri­cano, chiese in via diplomatica al Governo ita­liano la restituzione della bambina. La richiesta fu dal Governo italiano trasmessa al Tribunale per i minorenni, che la rifiutò perché contrastan­te con la normativa italiana sull'adozione.

Allora il Governo uruguaiano indusse la a ma­dre «naturale» proporre opposizione avverso la dichiarazione di adattabilità di Stefania.

L'opposizione era soprattutto motivata su di un presunto difetto di competenza giurisdizio­nale dell'autorità giudiziaria italiana nei confron­ti di una bambina di nazionalità straniera.

L'opposizione fu dichiarata inammissibile dal Tribunale per i minorenni con sentenza in data 14.4.83. Sull'impugnazione della «madre» natu­rale, la Corte d'appello di Venezia, con senten­za in data 24.6.83, annullò la sentenza del Tribu­nale, ritenendo che la dichiarazione di adottabi­lità poteva essere emessa dopo la audizione personale della madre (audizione omessa dal Tri­bunale perché all'epoca la bambina risultava nei registri di stato civile figlia di ignoti). Peraltro la Corte d'appello, come già il Tribunale, con­fermò la competenza giurisdizionale italiana an­che in base all'art. 37 della legge 4.5.83 n. 184, nel frattempo entrata in vigore, secondo il quale il minore straniero in stato di abbandono nel ter­ritorio italiano è soggetto al potere conferito alla autorità giudiziaria dalle norme sull'adozione.

La Corte di cassazione a sezioni unite, inve­stita della controversia, ha ritenuto che l'art. 37 non fosse applicabile ai minori stranieri abban­donati in Italia prima dell'entrata in vigore del­la nuova legge, perché l'art. 76 imponeva al giu­dice di applicare ai minori stranieri la vecchia normativa, che nulla disponeva in modo esplicito al riguardo.

Ravvisando in tale disposizione una disparità di trattamento tra minori stranieri in stato di ab­bandono e tra aspiranti all'adozione fondata su un elemento temporale (data di entrata in vigore della nuova legge), la Corte di cassazione ha sol­levato la questione di legittimità costituzionale.

Con sentenza n. 199 in data 18.7.86 la Corte costituzionale accogliendo l'opinione della Corte di cassazione, ha dichiarato illegittimo l'art. 76 «nella parte in cui preclude l'applicazione, dell'art. 37 alle procedure già iniziate nei confronti di minore straniero in stato di abbandono In Italia».

Ora dovrà pronunciarsi in via definitiva la Cor­te di cassazione, che quasi certamente confer­merà la sentenza della Corte d'appello. Succes­sivamente il Tribunale per i minorenni, che nel frattempo ha raccolto per via diplomatica in Uruguay le dichiarazioni della «madre» natura­le di Stefania, potrà nuovamente dar corso alla procedura di adottabilità.

La procedura dovrebbe concludersi rapidamen­te se, com'è sperabile, il nuovo Governo demo­cratico uruguaiano non contrasterà l'adozione della bambina da parte dei coniugi che l'hanno in affidamento da ben 5 anni.

 

La sentenza della Corte costituzionale

La Corte costituzionale, pur apprezzando la diffusa opinione secondo la quale l'autorità giu­diziaria italiana era competente ad intervenire nei confronti di minori di nazionalità straniera anche prima dell'entrata in vigore della legge n. 184/83, ha voluto rimuovere ogni incertezza interpretativa per affermare l'applicabilità dell'art. 37 anche a favore dei minori dichiarati in stato di adattabilità anche mentre era in vigore la legge precedente.

La Corte ha quindi stabilito l'importante prin­cipio della retroattività di una norma finalizzata alla migliore tutela del minore.

Poiché la mancata applicazione dell'art. 37 avrebbe comportato per Stefania (come per ogni altro minore in analoga situazione) la sua resti­tuzione ad una donna che, dopo averla partorita, l'aveva rifiutata e ceduta e l'interruzione di un valido affidamento familiare a fini adozionali, il favor minoris imponeva la scelta indicata dalla Corte di cassazione e accolta dalla Corte costi­tuzionale.

Tra i passi più significativi della sentenza del­la Corte costituzionale riteniamo degno di parti­colare considerazione il richiamo ai principi del­la Convenzione europea sull'adozione (ratificata dall'Italia con legge 22.5.74 n. 357) e della Co­stituzione (artt. 2, 3 e 30 primo e secondo com­ma), applicabili a favore di tutti i minori italiani e stranieri, principi in base ai quali ogni persona ha diritto di crescere in un ambiente familiare, cioè di godere di quelle cure parentali indispen­sabili per un equilibrata sviluppo della sua per­sonalità.

Le norme sull'adozione, sia quella previgente n. 431 del 1967 sia quella migliorativa n. 184 del 1983, sono secondo la Corte costituzionale la migliore risposta che la società ha potuto finora dare per soddisfare le esigenze dei minori in at­tuazione dei principi costituzionali.

 

L'atteggiamento del Governo italiano

La Giunta militare uruguaiana, assumendo di aver diritto alla consegna di una propria cittadi­na uscita illegalmente dal proprio territorio, at­tuò nei confronti dell'Italia una serie di ritorsio­ni. Dispose il rimpatrio del proprio ambasciato­re, rifiutò di portare a compimento accordi mi­gliorativi delle condizioni dei lavoratori italiani in Uruguay, rifiutò di consegnare al governo ita­liano documenti sequestrati ai capo della P2, Licio Gelli.

Dopo aver inutilmente esercitato pressioni nei confronti del Tribunale per i minorenni per un rimpatrio di Stefania in Uruguay, il Governo ita­liano ritenne opportuno di attuare un'iniziativa propria con un provvedimento di espulsione dall'Italia della bambina. Tale provvedimento, firma­to dal Presidente del consiglio Fanfani, dal Mini­stro dell'interno Rognoni e dal Ministro degli af­fari esteri Colombo, non ebbe attuazione perché poco dopo il Governo dovette dimettersi. Il nuo­vo Governo approntò un nuovo provvedimento, che fu firmato dal Presidente del consiglio Craxi e dal Ministro dell'interno Scalfaro. Mancava la firma del Ministro degli affari esteri Andreotti, quando notizie di stampa (primo di tutti il quoti­diano «La Repubblica») rivelarono le iniziative, fino a quel momento rimaste segrete, delle due compagini governative.

La stampa riferì anche che la restituzione della bambina al Governo uruguaiano era l'adem­pimento di un accordo tra i due governi avente ad oggetto il baratto di Stefania coi documenti di Gelli.

Il Governo in via ufficiosa smentì la notizia del baratto, ma i dubbi sono rimasti in quanto il Ministero degli affari esteri non ha mai risposto alle interrogazioni di numerosi parlamentari sulla specifica circostanza. Comunque il Governo non ha giustificato il provvedimento, non renden­dosi conto della crudeltà dell'azione diretta a privare la bambina di una famiglia dopo 3 anni di affidamento.

Inoltre «La Repubblica» del 16 marzo 1984 riferì di un intervento presso il Presidente del consiglio della Sen. Tina Anselmi, presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul­la loggia P2, che chiedeva l'attuazione del pro­gettato baratto.

In via ufficiosa si venne a conoscenza di ana­loghe pressioni da parte del ministro Spadolini. Una serie di iniziative dell'ANFAA (Associa­zione nazionale famiglie adottive e affidatarie) e del C.I.A.I. (Centro italiano per l'adozione inter­nazionale) indussero il governo a bloccare l'ini­ziativa (1). Il Ministro Andreotti, con la collabo­razione del suo sottosegretario Susanna Agnelli, comprese finalmente l'assurdità del provvedi­mento e, resistendo a tutte le contrarie pressio­ni, ne subordinò l'esecuzione alle decisioni dell'autorità giudiziaria.

Questi sono i fatti. Le valutazioni le lascio ai lettori.

EZIO ADAMI

 

 

(1) Cfr. «Stefania Bruna: una bambina al centro di una assurda contesa diplomatica», in Prospettive assistenziali, n. 66, aprile-giugno 1984.

 

 

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