Prospettive assistenziali, n. 76, ottobre - dicembre 1986

 

 

LA LEGGE DELLA REGIONE LOMBARDIA SUI SERVIZI ASSISTENZIALI: UN PESSIMO ESEMPIO

DONATA MICUCCI

 

 

Sono incredibili le complicazioni create dalla Regione Lombardia con la legge 7 gennaio 1986 n. 1 «Riorganizzazione e programmazione dei ser­vizi socio-assistenziali della Regione Lombardia». Le complicazioni sono tali da renderla di difficile, se non impossibile applicazione.

Si tratta di un testo lunghissimo, comprenden­te ben 97 articoli, spesso chilometrici (1).

 

Gestione dei servizi

Caotica è l'attribuzione delle funzioni gestio­nali. Infatti la legge 1/1986 stabilisce all'art. 14 che nelle zone che comprendono il territorio di più Comuni:

«a) deve essere attribuita ai Comuni singoli la gestione dei servizi che non abbiano comples­sità tecnica e gestionale e il cui bacino di utenza sia compreso nell'ambito del Comune;

«b) deve essere riservata agli E.R. (2) la deci­sione relativa a ciascun tipo di intervento ad utenza sovracomunale, salve le attività informati­ve, istruttorie e di promozione che possono es­sere demandate ai singoli Comuni.

«c) devono essere assicurate in ogni Comune della zona adeguate possibilità di accesso ai tipi di prestazioni previste dal programma zonale di attività, in conformità agli standard fissati dal piano regionale socio-assistenziale, nonché a cri­teri di economicità;

«d) deve essere assicurata in ogni caso dal­l'E.R. l'integrazione delle attività svolte dai sin­goli Comuni con quelle svolte dall'ente medesi­mo, mediante la programmazione zonale dei ser­vizi e delle risorse finanziarie e di personale, la determinazione di indirizzi generali validi per l'in­tera zona con riguardo ai singoli tipi di presta­zioni, lo scambio di esperienze e la collaborazio­ne degli operatori, l'attuazione di forme di coor­dinamento dei metodi e dei criteri degli inter­venti, il collegamento operativo fra attività orga­nizzate nei singoli Comuni e attività organizzate a livello sovracomunale, sia distrettuale che zo­nale».

Ma non finisce qui, in quanto, sempre in base all'art. 14 della legge 1/1986, «con riferimento alla gestione dei singoli servizi, l'assemblea de­gli E.R. può deliberare che:

«a) attività attribuite agli E.R. possano essere svolte dai Comuni singoli, che abbiano i requi­siti di ampiezza demografica e capacità gestio­nale definiti dal piano regionale socio-assisten­ziale, a condizione che i Comuni stessi concor­dino con 1'E.R. medesimo le modalità per garan­tire l'eventuale accesso ai servizi anche ai citta­dini residenti negli altri Comuni della zona;

«b) servizi attribuiti al singoli Comuni possa­no essere svolti dall'E.R. qualora i Comuni stessi ne facciano richiesta in quanto non in grado di organizzarli in modo efficiente, e salvi comunque i criteri di organicità e di globalità; in tal caso l'assemblea dell'E.R. determina d'intesa coi Co­muni interessati le risorse finanziarie e di perso­nale da trasferirsi all'E.R. medesimo, fermo l'ob­bligo di destinare risorse non inferiori a quelle già impiegate a livello comunale per lo svolgi­mento degli stessi servizi».

È ovvio che la gestione dei servizi socio-assi­stenziali, essendo attribuita in parte ai Comuni e in parte alle Associazioni di Comuni o alle Co­munità montane, determinerà certamente - co­me insegna l'esperienza di altre Regioni - vuoti di intervento, sovrapposizioni, conflitti, disorien­tamento degli utenti, del personale e degli am­ministratori.

L'indeterminatezza dell'organo competente ad intervenire e la mancata definizione di precise priorità di intervento si ripercuoteranno negati­vamente soprattutto sui servizi alternativi al ri­covero, incrementando il ricorso all'istituzionaliz­zazione (convitti, case di riposo, strutture pro­tette) di minori, anziani, handicappati, e ciò in contrasto con quanto stabilito, ad esempio, dal­la legge nazionale 4 maggio 1983 n. 184 «Disci­plina dell'adozione e dell'affidamento dei mino­ri» che impone per i minori in situazione di gra­vi carenze familiari priorità ben precise, finaliz­zate a sostituire al più presto il ricovero in istituto. Inoltre, in tal modo, si favoriscono notevol­mente gli enti privati che gestiscono queste strut­ture e ciò grazie anche alle norme particolarmen­te favorevoli all'assistenza privata contenute nel­la legge 1/1986.

Invece di unificare le competenze nelle USSL, la Regione Lombarda complica ulteriormente le cose, creando un Comitato di coordinamento.

Stabilisce infatti l'art. 15 della legge 1/1986 quanto segue:

«Nelle zone che comprendono il territorio di più Comuni, al fine di assicurare il coordinamen­to tra le attività gestite dall'E.R. e quelle gestite da Comuni singoli, è istituito un comitato di coor­dinamento zonale, che può eventualmente arti­colarsi a livello di uno o più distretti, composto dai sindaci o dagli assessori competenti per ma­teria dei Comuni interessati.

«Il comitato di coordinamento:

«a) concorre, d'intesa col comitato di gestio­ne, all'elaborazione del programma zonale socio­assistenziale e di ogni atto di programmazione da proporre all'assemblea dell'E.R. in materia di assistenza sociale;

«b) esprime parere al comitato di gestione ai fini della predisposizione della proposta di cui al terzo comma dell'articolo precedente;

«c) formula proposte al comitato di gestione per la predisposizione dei piani operativi setto­riali e intersettoriali di intervento in materia so­ciale, ancorché integrati con l'attività sanitaria di competenza del comitato di gestione medesimo;

«d) esprime, per quanto attiene alle attività di tipo socio-assistenziale, parere preventivo su tut­ti gli atti di cui all'art. 24 della L.R. 5 aprile 1980, n. 35;

«Il comitato di coordinamento si riunisce perio­dicamente, su convocazione del presidente del comitato di gestione, in via ordinaria per l'esple­tamento delle proprie funzioni o, in via straordi­naria, su richiesta anche di un solo rappresentan­te dei Comuni.

«Fermo restando quanto previsto dal comma precedente, per la validità delle sedute e per la adozione degli atti di competenza del comitato di coordinamento si osservano, in quanto applica­bili, le disposizioni che disciplinano il funziona­mento dei consigli comunali.

«Le decisioni assunte ed i pareri espressi dal comitato di coordinamento sono verbalizzati e di essi è fatta espressa menzione negli atti delibe­rativi conseguenti dell'assemblea dell'E.R., del comitato di gestione o dei singoli Comuni, per quanto di rispettiva competenza».

In sostanza si tratta di un comitato di coordi­namento senza alcun potere reale di coordina­mento, visto che deve limitarsi ad esprimere pa­reri e proposte.

Al fine di soffocare in tutta la misura del pos­sibile l'autonomia degli Enti responsabili della gestione di servizi socio-assistenziali (Comuni, Associazioni di Comuni, Comunità montane), la legge 1/1986 non solo attribuisce, come vedre­mo, strapoteri alla Regione, in particolare alla Giunta regionale, ma definisce anche in modo pi­gnolesco e a volte ossessivo i vari tipi di inter­vento degli E.R. (assistenza economica, aiuto do­miciliare, affidamenti familiari, ecc.) e le moda­lità di erogazione dei servizi (3).

 

Funzioni delle Province

Come se non fosse sufficiente la confusione fra compiti dei Comuni singoli, delle USSL, del­le Comunità montane, dei Comitati di coordina­mento, la legge 1/86 prevede (art. 50) che l'auto­rizzazione a funzionare delle strutture assisten­ziali (asili nido e strutture similari, soggiorni di vacanza per minori, istituti per minori, centri diurni, centri socio-educativi, case albergo, case di soggiorno, case di riposa, strutture protette, centri residenziali per handicappati gravi) sia ri­lasciata (e revocata) dalle Province (4).

Inoltre le Province (art. 16):

«a) esprimono pareri alla Regione sulle deli­mitazioni degli ambiti territoriali per la gestione dei servizi sanitari e socio-assistenziali (...);

«b) esprimono pareri alla Regione sul coordina­mento dei piani zonali socio-assistenziali con la programmazione socio-economica provinciale;

«c) approvano i programmi di localizzazione dei presidi assistenziali».

È previsto invece - e il fatto è positivo - che «al fine di realizzare l'integrazione nel sistema dei servizi socio-assistenziali delle attività di as­sistenza tuttora loro spettanti in tal settore, ivi comprese quelle esercitate a seguito dello scio­glimento dell'ONMI, operato a norma della legge 23 dicembre 1975, n. 698, le Province stipulano con gli E.R. apposite convenzioni sulla base di uno schema-tipo approvato dalla Giunta regio­nale».

 

Trasferimento di competenze dalla sanità all'assistenza

Estremamente grave è quanto previsto dall'ar­ticolo 21, che trasferisce rilevanti funzioni dal settore sanitario (gratuito salvo ticket) a quello assistenziale (con contributi; spessa rilevanti a carico degli interessati e dei familiari), di cui ri­portiamo integralmente il testo: «1. I piani re­gionali socio-assistenziali ed i programmi di atti­vità delle U.S.S.L. indicano le modalità specifiche per l'integrazione dei servizi sanitari con quelli socio-assistenziali a livello distrettuale e zonale, con particolare riguardo alle seguenti attività so­cio-assistenziali le quali, ancorché svolte da per­sonale del ruolo sanitario regionale, dipendono dal Servizio di assistenza sociale:

a) risocializzazione dei dimessi dagli ospedali psichiatrici e dei malati di mente in genere;

b) prevenzione, cura e riabilitazione dei tossi­codipendenti;

c) assistenza e reinserimento familiare e so­ciale degli handicappati;

d) assistenza psico-sociale attinente alla ma­ternità, all'infanzia e all'età evolutiva, nonché at­tinente alle finalità psico-sociali e preventive di cui alla L.R. 6 settembre 1976, n. 44;

e) assistenza agli anziani non autosufficienti ricoverati in strutture protette.

2. I piani regionali sanitari e socio-assistenziali e i relativi progetti-obiettivo individuano le pre­stazioni di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali nell'ambito dei servizi e pre­sidi integrati, i cui oneri sono posti a carico del fondo sanitario regionale, nel rispetto delle di­sposizioni statali vigenti in materia.

3. L'integrazione si attua, fermo restando quan­to previsto dagli artt. 31 e 32 della L.R. 31 di­cembre 1980, n. 106 e dal secondo comma del­l'art. 6 della L.R. 11 aprile 1980, n. 39, mediante l'organizzazione e lo svolgimento unificati di atti­vità afferenti ad entrambi gli ambiti dei servizi, nonché mediante la unificazione dei servizi ge­nerali.

4. Sono inoltre organizzate e svolte in modo unificato le attività di informazione degli utenti, di assistenza amministrativa, di raccolta e gestione dei dati, di educazione e informazione sanitaria e sociale della popolazione».

 

Strapoteri della Regione

Evidentissimo è lo scopo della legge 1/1986 di stabilire per gli enti gestori dei servizi socio­assistenziali tutti i vincoli possibili, di modo che gli enti stessi siano costretti a fare tutto ciò che vuole la Regione.

Allo scopo di consentire ai lettori di sapere quali sono i poteri, o meglio gli strapoteri, della Regione, riportiamo tutte le relative disposizioni contenute nella legge 1/1986.

L'art. 13 prevede quanto segue:

«1. La Regione, ai fini dell'organizzazione e del­la programmazione del sistema dei servizi socio­assistenziali:

a) partecipa all'elaborazione degli strumenti di programmazione nazionale dei servizi di assi­stenza sociale, mantiene e coordina i rapporti con gli organi centrali cui spetta l'attività di indi­rizzo e coordinamento, con le competenti autori­tà giudiziarie e con gli altri organi pubblici che svolgono attività comunque connesse con quelle del sistema dei servizi sociali;

b) determina gli ambiti territoriali per la ge­stione dei servizi, coincidenti con quelli per la gestione dei servizi sanitari, e promuove la costi­tuzione delle associazioni intercomunali per i servizi, in conformità a quanto disposto dalla L.R. 5 aprile 1980, n. 35;

c) stabilisce gli indirizzi per l'organizzazione e l'attività del sistema dei servizi di assistenza sociale; a tal fine elabora e approva i1 piano re­gionale socio-assistenziale e ne verifica l'attua­zione in conformità a quanto disposto dal succes­sivo titolo V, parte I;

d) stabilisce i criteri per l'organizzazione dei servizi a livello zonale e distrettuale, in confor­mità a quanto disposto dalla L.R. 11 aprile 1980, n. 39 e dal successivo titolo III, parte I;

e) promuove la migliore utilizzazione del per­sonale addetto ai servizi, ne favorisce altresì la mobilità, la formazione e l'aggiornamento profes­sionale, in conformità a quanto disposto dai suc­cessivi titoli III e IV, parte I;

f) ripartisce tra gli E.R, il fondo regionale di cui al successivo art. 41 e promuove l'impiego coordinato di tutte le risorse finanziarie desti­nate a tali servizi, in conformità a quanto dispo­sto nel successivo titolo VI, parte I, e nei piani regionali socio-assistenziali;

g) disciplina, in conformità a quanto disposto nel successivo titolo VI, parte I, il riparto e l'impiego delle risorse finanziarie destinate agli investimenti;

h) attua in collaborazione con gli E.R. forme di controllo di gestione al fine di verificare l'ef­ficienza e l'efficacia dei servizi in conformità a quanto disposto nel successivo titolo V, parte I;

i) individua i presidi e i servizi che abbiano ca­rattere multizonale e ne disciplina le forme spe­ciali di gestione e finanziamento;

l) stabilisce i requisiti delle strutture, anche ai fini dell'autorizzazione al funzionamento e dell'attività di vigilanza di cui al successivo tito­lo VII, parte I;

m) provvede all'accertamento e alla dichiara­zione di idoneità al convenzionamento delle isti­tuzioni private ai sensi dell'art. 18, secondo com­ma, della L.R. 11 aprile 1980, n. 39, fissa i criteri per la stipulazione delle convenzioni, in attuazio­ne degli artt. 16, 17 e 18 della L.R. 11 aprile 1980, n. 39 e cura la tenuta del registro di cui al precedente art. 6;

n) cura la tenuta del registro regionale del vo­lontariato di cui al precedente art: 8 e assicura il sostegno tecnico ed economico alle organizza­zioni di volontariato;

o) organizza, in collaborazione con gli E.R., il sistema informativo sui servizi socio-assistenzia­li, promuovendo lo scambio di informazione tra gli E.R. medesimi;

p) promuove iniziative ed attività sperimentali ed innovative, con particolare riferimento allo sviluppo della cooperazione di servizi ed alla sperimentazione nelle attività di supporto ai ser­vizi di forme di autogestione da parte dell'utenza;

q) promuove lo svolgimento di studi, ricerche finalizzate; indagini conoscitive sul sistema dei servizi socio-assistenziali e di attività di informa­zione, mediante la realizzazione e la diffusione di pubblicazioni e la promozione di convegni, se­minari, corsi di aggiornamento e di riqualifica­zione;

r) provvede all'eventuale copertura assicurati­va degli utenti e degli operatori delle strutture socio-assistenziali, con particolare riguardo a quelle per handicappati, ad esclusione di coloro che sono già coperti da assicurazione ai sensi di altre Leggi Regionali.

2. Spetta altresì alla Regione la decisione delle controversie, tra Comuni singoli o associati o tra Comuni ed altri vari enti pubblici, per il rimborso degli oneri sostenuti per spese di soccorso e di assistenza, rese obbligatorie da particolari dispo­sizioni di Legge o statutarie: comprese quelle relative al mantenimento degli inabili di cui all'art. 154 del T.U. approvato con R.D. 19 giugno 1931, n. 773».

A sua volta l'art. 33 definisce come segue i contenuti del piano regionale socio-assistenziale:

«1. La Regione, in armonia con le linee ed i contenuti del programma regionale di sviluppo, determina gli obiettivi della programmazione di settore mediante la predisposizione del piano socio-assistenziale, coordinato e integrato con quello sanitario, ai sensi di quanto previsto dagli artt. 1, 2, 3, 4 e 5 della L.R. 20 agosto 1981, n. 49.

2. Il piano socio-assistenziale si articola in pro­getti-obiettivo e azioni programmatiche, oltre che in prescrizioni finalizzate al corretto svolgimento degli interventi normali e ricorrenti.

3. Nell'ambito del piano, sono individuati:

a) gli obiettivi da perseguire;

b) i criteri e le priorità di intervento;

c) l'ammontare delle risorse finanziarie e di personale disponibili, la loro provenienza e le modalità del loro utilizzo;

d) gli standard di realizzazione dei servizi e degli interventi in funzione del previsto livello di soddisfacimento di fabbisogni prioritari.

4. Inoltre il piano socio-assistenziale:

a) detta criteri per il riparto delle attribuzioni tra i diversi livelli, individuando comunque le funzioni che devono essere obbligatoriamente esercitate dagli EA;

b) specifica le attività di intervento diretto, di istruttoria e di proposta che devono o possono essere organizzate a livello distrettuale o inter­distrettuale;

c) indica criteri e modalità specifici per la inte­grazione dei servizi socio-assistenziali con quelli sanitari a livello distrettuale e zonale;

d) indica indirizzi e criteri per la localizzazione dei nuovi presidi assistenziali;

e) individua i presidi assistenziali cui è ricono­sciuto carattere multizonale;

f) stabilisce il livello di qualificazione profes­sionale degli operatori socio-assistenziali addetti a diverso titolo ai servizi e presidi, nonché i rap­porti numerici tra personale ed utenti;

g) stabilisce i criteri in base ai quali gli utenti sono tenuti a concorrere al costo dei servizi.

5. Per quanto attiene ai singoli servizi, il piano socio-assistenziale:

a) disciplina le procedure per il rilascio della autorizzazione al funzionamento di strutture so­cio-assistenziali, pubbliche e private, e ne deter­mina i requisiti strutturali ed organizzativi;

b) fissa gli standard edilizi e tecnico-organizza­tivi, sulla base dei quali possono essere conven­zionati i presidi socio-assistenziali gestiti da enti pubblici e i presidi socio-assistenziali gestiti da enti e organismi privati che possono ottenere la idoneità al convenzionamento;

c) stabilisce gli indirizzi a cui si devono uni­formare i regolamenti di zona dei servizi socio­assistenziali di cui ai successivo art. 60, con par­ticolare riguardo alle modalità ed ai criteri di accesso alle prestazioni e ai servizi.

6. Il piano socio-assistenziale fornisce indica­zioni in merito alle convenzioni ed ai programmi di collaborazione tra Regione ed E.R. con univer­sità, istituti scientifici, centri di ricerca, per la promozione di studi e ricerche, ai fini di una più adeguata conoscenza dei bisogni socio-assisten­ziali della popolazione lombarda, dell'attuale li­vello di interventi e di servizi, della loro even­tuale riconversione e della sperimentazione di nuove metodologie.

7. Il piano socio-assistenziale indica altresì i criteri per l'assegnazione ai Comuni e agli E.R. dei beni mobili ed immobili delle II.PP.AA.BB.. in­terregionali e degli enti nazionali soppressi ope­ranti in materia assistenziale, trasferiti alla Re­gione ai sensi del DPR 24 luglio 1977, n. 616 e del DPR 24 luglio 1977, n. 617».

In base all'art. 55: «le controversie in materia di rimborso delle spese di soccorso e assistenza di cui al secondo comma del precedente art. 13 sono decise in via amministrativa dal Presidente della Giunta regionale o dall'assessore compe­tente, se delegato; la decisione costituisce prov­vedimento definitivo».

Ricordiamo altresì le seguenti norme:

- l'iscrizione delle organizzazioni di volonta­riato in un apposito registro regionale (art. 8);

- la concessione da parte della Regione di contributi alle organizzazioni di volontariato iscritte nel registro di cui sopra (art. 8);

- «i piani regionali e socio-assistenziali spe­cificano le attività da organizzare in ciascun di­stretto, nonché lo standard minimo di personale riferito a ogni singola figura professionale neces­saria per lo svolgimento della predetta attività» (art. 17);

- «i piani regionali socio-assistenziali e i programmi di attività degli E.R, indicano:

a) le attività che devono o possono essere organizzate, a livello zonale ovvero a livello di due o più distretti di base;

b) l'articolazione del Servizio di assistenza sociale e di dipartimenti ai quali partecipano uni­tà operative di tale servizio» (art. 19);

- «i piani regionali sanitari e socio-assisten­ziali individuano i presidi di assistenza, diretta­mente gestiti o convenzionati, che erogano pre­stazioni assistenziali di elevata specializzazione e a favore della popolazione di più zone, ai quali è riconosciuto carattere multizonale» (art. 23);

- «La Regione, fermo restando l'obbligo di adeguamento alle disposizioni generali in mate­ria, cura anche avvalendosi dell'Istituto regionale lombardo di formazione per l'amministrazione pubblica (I.R.E.F.), sentite le organizzazioni sin­dacali maggiormente rappresentative (...) lo svol­gimento di adeguati corsi di formazione, riquali­ficazione e aggiornamento degli operatori dei ser­vizi socio-assistenziali, anche al fine di assicura­re la riqualificazione del personale in sede di pri­mo inquadramento» (art. 31);

- «La Giunta regionale, entro novanta giorni dal ricevimento dei programmi di zona, ne veri­fica la compatibilità con le direttive del piano re­gionale socio-assistenziale e, se del caso, li rinvia all'E.R. interessato con motivate osservazioni per l'adeguamento» (art. 36);

- «Al fine di consentire la conoscenza dello stato dei servizi e la loro evoluzione annuale, nonché di consentire, in particolare, una razionale assegnazione delle risorse regionali di parte cor­rente annualmente finalizzate sia al sostegno de­gli interventi in atto sia allo sviluppo dei servizi ai sensi del successivo art. 42, il comitato di ge­stione, sentito il comitato di coordinamento di cui al precedente art. 15, rassegna ogni anno alla Giunta regionale la relazione di zona, con an­nesse proposte di finanziamento, elaborata sulla base delle relazioni di distretto.

2. La relazione di zona deve contenere:

a) l'analisi dei caratteri specifici della patolo­gia sociale della zona e dei fattori di rischio che la determinano;

b) la valutazione dei servizi resi in rapporto ai bisogni individuati;

c) le modalità di utilizzo delle strutture, anche convenzionate;

d) le modalità di utilizzo del personale;

e) le indicazioni propositive in merito alle prio­rità degli interventi per cui si avanzano richieste di finanziamento di parte corrente ed alle even­tuali correzioni da apportare alle pratiche ope­rative;

f) le modalità di integrazione dei servizi socio­assistenziali con quelli sanitari;

g) lo stato di attuazione dei progetti-obiettivo regionali e delle azioni programmatiche previste nel programma di zona.

3. In particolare, devono venir indicati, sulla base degli schemi all'uopo predisposti dalla Giun­ta regionale, i dati conoscitivi attinenti alla ge­stione dei servizi realizzati nell'esercizio prece­dente, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nonché le previsioni finanziarie relative alla ge­stione dei servizi di prossimo sviluppo, anche in relazione alla possibile assegnazione di risorse integrative regionali.

4. Le relazioni annuali di zona vanno trasmesse alla Giunta regionale entro il 31 marzo di ogni anno.

5. Delle relazioni di zona si tiene conto al fini dell'aggiornamento del piano regionale socio-as­sistenziale in atto, nonché dell'elaborazione del piano successivo» (art. 38);

- «La Regione, per il conseguimento delle fi­nalità di cui alla presente legge, a decorrere dall'esercizio finanziario 1986, istituisce un fondo destinato al finanziamento dei servizi socio-assi­stenziali» (art. 41);

- «Il Consiglio regionale definisce con propria deliberazione; sulla base delle indicazioni gene­rali contenute nel piano regionale socio-assisten­ziale ed entro trenta giorni dall'approvazione del piano stesso, i criteri per il finanziamento delle spese di investimento» (art. 45);

- «I contributi per le spese di investimento sono concessi mediante programmi pluriennali approvati con una o più deliberazioni della Giun­ta regionale» (art. 47);

- «La Regione assicura il finanziamento delle spese operative relative alle funzioni socio-assi­stenziali delegate o subdelegate» (art. 48);

- «Fatto salvo quanto disposto dal successi­vo art. 55, sono delegate agli E.R. le seguenti funzioni amministrative (5):

a) la vigilanza sulle istituzioni pubbliche per l'assistenza di cui alla L. 17 luglio 1890, n. 6972; b) la vigilanza sulle strutture socio-assisten­ziali soggette all'autorizzazione al funzionamento di cui al precedente art. 50;

c) la vigilanza su tutte le istituzioni pubbliche e private per la protezione della maternità e dell'infanzia di cui alla L. 23 dicembre 1975, n. 698;

d) la vigilanza sulle organizzazioni di volonta­riato iscritte nel registro di cui al precedente art. 8, anche ai fini della verifica delle condizioni di permanenza dei requisiti che hanno dato luogo all'iscrizione.

2. Ai fini dell'esercizio delle funzioni di cui al precedente comma le Istituzioni pubbliche per la assistenza sono tenute ad inviare per conoscenza agli E.R., entro otto giorni dalla loro adozione, copia delle deliberazioni soggette a controllo di merito; ove dall'esame di dette deliberazioni si rilevi la necessità di adottare nei confronti degli organi di amministrazione i provvedimenti di cui al successivo art. 55, primo comma, lett. b), le deliberazioni stesse sono trasmesse alla Giunta regionale per gli adempimenti di competenza.

3. Le funzioni delegate ai sensi del presente articolo sono esercitate secondo i criteri e le di­rettive stabilite dal piano regionale socio-assi­stenziale e in conformità alle istruzioni eventual­mente impartite dalla Giunta regionale.

4. Qualora gli E.R. non esercitino le funzioni delegate e sub-delegate, la Giunta regionale, pre­via assegnazione di un congruo termine per prov­vedere, si sostituisce ad essi nelle attività non adempiute.

5. Nel caso di grave persistente violazione delle direttive o di inerzia continuata nell'eser­cizio delle attività delegate o sub-delegate, può essere disposta con Legge regionale la revoca delle funzioni delegate e sub-delegate anche nei confronti di un solo ente delegatario» (art. 54);

Restano di competenza regionale le funzioni amministrative relative a:

«a) l'erezione, il riconoscimento, 1a fusione, il raggruppamento, il consorzio, le modifiche sta­tutarie, le trasformazioni patrimoniali, la trasfor­mazione e l'estinzione delle I.P.A.B. operanti in ambito regionale;

b) la sospensione e lo scioglimento del Con­siglio di amministrazione delle I.P.A.B. e la no­mina del commissario straordinario su proposta dell'autorità di vigilanza o d'ufficio;

c) l'autorizzazione all'acquisto di beni immobili e all'accettazione di donazioni, eredità e legati da parte delle I.P.A.B, operanti in ambito regio­nale;

d) le autorizzazioni in deroga alle norme di salvaguardia di cui all'art. 2 della L.R. 28 dicem­bre 1981, n. 72» (art. 55);

Inoltre restano di competenza regionale «le funzioni in materia di persone giuridiche private, operanti nell'ambito assistenziale, delegate alla Regione ai sensi degli artt. 14 e 15 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616» (art. 55).

Inoltre restano di competenza regionale «le funzioni di controllo pubblico, previste dagli ar­ticoli 23 e 25 del codice civile, sull'amministra­zione delle persone giuridiche private discipli­nate dall'art. 12 del codice civile ed operanti in ambito regionale nelle materie di cui all'art. 22 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616» (art. 55).

Ricordiamo inoltre che la Giunta regionale è autorizzata a concedere deroghe al vincolo di destinazione a servizi di assistenza dei beni mo­bili e immobili trasferiti alla Regione a seguito dello scioglimento delle IPAB interregionali, de­gli enti nazionali e degli ECA (art. 56).

 

Conclusioni

Il nostro giudizio sulla legge della Regione Lombardia n. 1/1986 è decisamente negativo per­ché le norme non tengono assolutamente conto dell'esigenza prioritaria dell'utenza: avere un uni­co organismo (l'Unità socio-sanitaria locale) com­petente a fornire tutti i servizi necessari alle persone che non sono in grado di provvedere alle loro esigenze vitali autonomamente o con l'aiuto dei propri familiari.

Non riteniamo nemmeno accettabile che alle Unità socio-sanitarie locali sia sottratta ogni au­tonomia operativa e programmatoria e che, per­tanto, ad esse sia attribuito il ruolo di meri ese­cutori delle disposizioni impartite dalla Regione.

 

 

(1) La legge regionale dell'Umbria 31 maggio 1982 n. 29 «Norme ed indirizzi per il riordino delle funzioni ammini­strative e per la programmazione dei servizi in materia socio-assistenziale» è composta da 38 articoli; la legge 23 agosto 1982 n. 20 «Indirizzo e normative per il riordino dei servizi socio-assistenziali della Regione Piemonte» ne com­prende 40.

(2) Ai sensi della legge regionale lombarda 5 aprile 1980 n. 5, gli E.R. (Enti responsabili dei servizi di zona) sono:

«a) il comune, nelle zone Il cui ambito coincida con il territorio del comune medesimo o con una parte di esso;

b) la comunità montana, nelle zone il cui ambito coincida con la delimitazione della medesima;

c) l'associazione dei comuni, nelle zone comprendenti il territorio di più comuni e non coincidenti con il territorio di una comunità montana.

La struttura operativa dell'ente responsabile dei servizi è denominata unità socio-sanitaria locale (USSL)».

(3) Si vedano in particolare gli articoli da 57 a 89.

(4) Riteniamo molto grave che gli asili nido siano inclusi fra le attività socio-assistenziali e non in quelle relative al settore istruzione, anche per il fatto che viene di fatto osta­colata l'unificazione fra asili nido e le scuole materne.

Anche le attività di soggiorno di minori, anziani e handi­cappati, a nostro avviso, sarebbero più adeguatamente svolte dal settore tempo libero e senza la caratterizzazione emarginante propria del settore assistenziale.

(5) Sottolineamo che si tratta di funzioni delegate e non trasferite agli E.R. La Regione conserva pertanto i poteri di cui al punto 3 dell'art. 54.

 

 

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