Prospettive assistenziali, n. 75, luglio - settembre 1986

 

 

Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

IL RUOLO DEGLI OPERATORI PSICHIATRICI PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEI FIGLI DEI PAZIENTI PSICHIATRICI (1)

 

Il tema di questo convegno ci sollecita ad in­tervenire per approfondire gli interventi che si possono realizzare nei confronti dei bambini, figli di persone malate di mente.

La legge 4 maggio 1983 n. 184 «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori», sanci­sce giustamente che il minore ha diritto innan­zitutto a crescere nella propria famiglia e prevede che siano predisposti - a livello politico, ammi­nistrativo e tecnico - tutti gli interventi neces­sari per favorire la sua permanenza nel nucleo (messa a disposizione dei servizi primari, aiuti economico-sociali, ecc.). Quando però i bambini non possono continuare a vivere coi loro fami­gliari, in quanto questi non sono in grado di as­sicurare loro le cure di cui necessitano, si do­vrebbe ricorrere - sempre in base alla stessa legge - all'affidamento ad un'altra famiglia, pro­prio per consentire ai genitori di recuperare le loro energie e riassumere così gradatamente il loro ruolo parentale. Le positive esperienze av­viate in questi anni confermano che l'affidamento familiare è un intervento a favore dei minori e della loro stessa famiglia, anche nei casi di figli di pazienti psichiatrici.

Diventa, quindi, determinante il ruolo che gli operatori dei servizi psichiatrici possono svolge­re per favorire gli affidamenti familiari ed evitare che i figli dei pazienti psichiatrici subiscano le conseguenze di una situazione familiare diventa­ta difficile per un peggioramento delle condizio­ni dei loro genitori, con cui hanno un rapporto significativo, che va tutelato e salvaguardato.

Allontanare i bambini, ricorrendo invece al ri­covero in istituto, sarebbe dannoso per le con­seguenze, anche irreparabili, che questo compor­ta sulla vita anche futura dei minori stessi.

Dobbiamo ancora precisare, però, che, quando la situazione è gravemente compromessa e i bambini subiscono violenze ed abusi gravi, al loro allontanamento tempestivo dal nucleo deve seguire la segnalazione della situazione al tribu­nale per i minorenni. Questo è anche espressa­mente previsto dalla legge 184/83 all'art. 9 che recita: «i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità debbono riferire al più presto al tribunale per i minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengono a conoscenza in ragione del proprio uf­ficio».

Vorremmo al riguardo precisare che la segna­lazione degli operatori non mette in moto da par­te del tribunale per i minorenni una indiscrimi­nata azione di tipo repressivo, ma provoca sem­plicemente gli accertamenti sulle condizioni per­sonali e familiari del minore, per procedere alla dichiarazione di adottabilità nel caso in cui questi risulti privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provve­dervi. Negli altri casi il tribunale, a seconda del­le situazioni, può decidere altri interventi.

Va riconosciuto che in questi anni molti ope­ratori hanno saputo agire tempestivamente e con la loro decisione hanno contribuito ad una valutazione rapida della situazione da parte del tribunale, salvaguardando il diritto del bambino ad una idonea vita familiare.

Non va dimenticato che siete proprio voi, ope­ratori sanitari e sociali, che nello svolgimento del vostro lavoro potete conoscere queste situazioni, e, quindi, intervenire.

Non ci sentiamo invece di condividere la posi­zione di alcuni operatori dei servizi psichiatrici che, anche di fronte a situazioni di evidente ab­bandono, tendono a lasciare comunque il bambi­no nella famiglia con la giustificazione che il suo allontanamento potrebbe favorire la regressione del genitore. In questo modo si finisce col teo­rizzare il bambino «terapeutico», dimenticando come queste esperienze segnino in maniera pe­sante e a volte irreversibile l'esistenza futura dei bambini.

Siamo disponibili ad approfondire con tutti gli interessati questi temi.

 

 

ABUSO PRATICATO DAL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI FIRENZE

 

Il Tribunale per i minorenni di Firenze ha re­centemente deciso di separare tre fratelli dichia­rati adottabili che erano sempre vissuti insieme per inserirli in tre diverse famiglie.

Di fronte alle richieste - scritte e telefoni­che - avanzate dalla sezione ANFAA fiorentina perché fosse tentata la ricerca di una famiglia disponibile ad accoglierli tutti, il giudice incari­cato dal Tribunale ha sostenuto che - in consi­derazione di precedenti fallimenti di adozioni di fratelli da parte degli stessi coniugi - avevano deciso di separarli per meglio favorire il loro in­serimento adottivo.

Al riguardo dobbiamo rilevare che è stato com­messo un grave abuso nei confronti di questi bambini, che erano legatissimi fra loro e che cer­tamente soffriranno per questa ingiusta decisio­ne; le conseguenze di questo trauma sulla loro vita futura sono difficilmente prevedibili. È as­surdo infatti pensare che i bambini «dimenti­chino» con l'inserimento nella famiglia adottiva la loro vita precedente (compresi i legami affet­tivi coi fratelli): questo possiamo affermarlo sul­la base delle nostre personali esperienze di ge­nitori adottivi: il passato dei nostri figli è parte di loro e non può (e non deve) essere «cancel­lato».

È evidente che quanto detto si riferisce a fratelli vissuti insieme, non a fratelli «anagra­fici» che sono nati dagli stessi genitori ma sono cresciuti in ambienti diversi, anche lontani (isti­tuti, comunità, ecc.).

La stessa legge 184/1983 ha giustamente pre­visto all'art. 22 che: «Non può essere disposto l'affidamento di uno solo di più fratelli, tutti in stato di adottabilità salvo che non sussistano gravi ragioni». Ci chiediamo quindi se non ci sia stata una grave violazione di legge da parte del Tribunale per i minorenni di Firenze che, ol­tretutto, ha anche «affrettato» i tempi dell'in­serimento familiare dei bambini.

I «fallimenti» di adozioni di fratelli (ma quan­ti?, visto che non sono stati forniti dati in me­rito?) che sono stati addotti dal giudice e dalle assistenti sociali per motivare la decisione an­drebbero verificati e approfonditi anche per valu­tare se i motivi dei «fallimenti» devono essere imputati ai rapporti esistenti fra i fratelli o ad altro (es. inadeguata preparazione-selezione degli adottanti).

Confidiamo che i Tribunali per i minorenni che sono chiamati ad operare «dalla parte dei bam­bini» tengano presente quanto sopra esposto e così pure gli Enti locali che, anche attraverso i loro operatori, sono chiamati a collaborare per realizzare le adozioni.

 

 

(1) Documento presentato dall'ANFAA in occasione del convegno di Trieste del 12-14 giugno 1986 «Un altro di­ritto per il malato di mente - Esperienze e soggetti della trasformazione».

 

 

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