Prospettive assistenziali, n. 75, luglio - settembre 1986

 

 

LA POLITICA DI EMARGINAZIONE DELL'ENTE NAZIONALE DI ASSISTENZA MAGISTRALE

 

 

Riportiamo integralmente la lettera inviata da Piero Rollero in data 30 novembre 1985 alla Se­greteria nazionale del Sinascel-CISL, ai Presiden­ti nazionali dell'AIMC e dell'ENAM e, per cono­scenza, alla Direzione di «Scuola italiana moder­na» e all'Associazione nazionale famiglie adot­tive e affidatarie.

 

Mi rivolgo in primo luogo al Segretario Gene­rale del SINASCEL, quale direttore de «I mae­stri d'Italia», in merito alla nota ivi apparsa sul n. 32-33-34 dal titolo «Conoscere l'ENAM - Il convitto di Fano», nota per la quale sono rima­sto profondamente rattristato e allibito - per l'autore e per l'ospitalità concessa, quasi un avallo del giornale -: sia come vecchio iscritto e attivo collaboratore del SINASCEL, anche a livello nazionale, sia come modesto esperto in materia di assistenza all'infanzia, anche in qua­lità di giudice onorario da moltissimi anni presso la Corte d'Appello per i minorenni di Torino, ed iscritto a varie associazioni contro l'emarginazio­ne scolastica e sociale, quali l'Associazione na­zionale famiglie adottive e affidatarie.

Già ai primi di maggio, con infinito stupore e tristezza, durante un convegno dell'AIMC (Asso­ciazione italiana maestri cattolici) a Fano, co­nobbi l'esistenza di un convitto per bambini e ra­gazzi, figli di operatori della nostra categoria, provenienti nientemeno che da tutte le parti di Italia! Ne discutemmo a lungo con alcuni amici e con lo stesso presidente dell'AIMC, il quale rap­presentò negli stessi giorni al presidente del­l'ENAM (Ente nazionale assistenza magistrale) le critiche che suscita tale iniziativa, tanto più pesanti in un momento in cui la cultura e le iniziative concrete della «integrazione» e della «territorializzazione» dell'assistenza dovrebbero essere assunte anche dai residui enti nazionali (si ricordi, fra l'altro, il passaggio delle compe­tenze, ad es., dell'ONMI e dell'ENAOLI agli Enti locali e alle USL, con un significativo avanzamen­to verso forme più moderne di risposta ai bi­sogni).

Mi impegnai a Fano di stendere una relazione documentata e propositiva sul problema, da pre­sentare congiuntamente all'AIMC, all'ENAM, al SINASCEL; rimandai l'iniziativa di mese in mese, poiché giunse notizia dell'imminente decisione del Consiglio di Stato sull'ENAM, e mi sembrava opportuno di conoscere l'eventuale nuova strut­tura giuridica per avanzare proposte costruttive.

Ora riservandomi di inviare una più ampia re­lazione, su cui raccogliere anche le firme di altri esperti della scuola, non posso non fermarmi a esporre per intanto le reazioni personali, emoti­ve e culturali, suscitate da alcune gravissime, incredibili affermazioni contenute nell'articolo ci­tato (1).

Ma voglio premettere non mie considerazio­ni, ma quelle ben più autorevoli di una persona­lità di alto prestigio, competenza e spirito cri­stiano proprio nel campo della tutela dei minori, qual è il giudice Alfredo Carlo Moro; e precisa­mente vorrei citare da tre suoi libri altrettanti punti fondamentali sull'argomento: a) i danni pro­vocati dall'istituzionalizzazione; b) e in particola­re da quella che A.C. Moro non esita a definire «deportazione assistenziale»; c) e infine le pos­sibili e reali soluzioni alternative all'istituto: al­ternative che possono/debbono diventare impe­gni per un moderno ENAM, anche tramite un'azio­ne culturale e un appello alla ben nota sensibi­lità e intelligenza della classe magistrale, del tutto opposto all'appello sconcertante a «istitu­zionalizzare» i bambini con cui si chiude in pra­tica l'articolo allegato.

 

a) Da «AZIONE CATTOLICA ITALIANA, Una fa­miglia per ogni bambino, Atti del 1° seminario di studio sull'affido familiare con ALFREDO CARLO MORO, Ufficio Famiglia e Ufficio Promozione Umana di A.C., Ed. A.V.E., Roma, 1981, pp. 16-17»:

«I guai dell'istituto educativo - L'istituto edu­cativo - anche il migliore - non è infatti in grado, come hanno dimostrato molte ricerche psicologiche e sociologiche, di dare risposte ade­guate ai fondamentali bisogni del minore. Esso può certo appagare il bisogno del minore di pro­tezione dal caldo o dal freddo, il bisogno di otte­nere il nutrimento che gli è indispensabile per la sua crescita fisica, di avere quell'ambiente igienicamente adeguato che lo protegga dall'in­sorgere delle malattie, di essere istruito a li­vello scolastico. Ma non è in grado l'istituto di dare risposte esaustive a quello che è il bisogno primario di un soggetto in età evolutiva: di rea­lizzare cioè in modo compiuto un regolare pro­cesso di identificazione personale e di socializza­zione. Nell'anonimo ambiente dell'istituto infatti non potranno facilmente realizzarsi rapporti af­fettivi strutturanti e sicurizzanti; nella necessa­ria standardizzazione della vita che deve neces­sariamente essere fortemente organizzata non vi è sufficiente spazio per una educazione alla li­bertà creativa ed alla capacità critica per cui il ragazzo, a seconda delle sue caratteristiche di personalità, sarà portato o ad una passività preoccupante perché lo rende succube di chiun­que voglia manipolarlo o ad una aggressività tanto più pericolosa quanto più drasticamente repressa; nella conoscenza solo di persone adul­te aventi ruoli professionali ben definiti manche­rà al ragazzo la reale e strutturante esperienza di un dialogo interpersonale; nella inevitabile monotonia di una vita collegiale tutta scandita sulla base di regole predeterminate mancheranno stimoli a coltivare interessi essenziali per una adeguata crescita».

 

b) Da «Affidamento e adozione. Le famiglie nel territorio, Atti del 3° seminario di studio sull'af­fido dei minori e sull'adozione, Ufficio Famiglia e Ufficio Promozione umana di Azione Cattolica, Ed. A.V.E., Roma, 1983, pp. 76-77»:

«La legge recentemente approvata (4 maggio 1983, n. 184, Disciplina dell'adozione e dell'affida­mento dei minori) esprime in maniera più netta che la legge del 1967 il principio che il minore ha diritto ad essere mantenuto nella sua fami­glia di origine, congruamente aiutata per essere posta in grado di adempiere alla sua funzione educatrice. Non è senza significato che la legge si apra con un art. 1 in cui chiaramente si affer­ma: "il minore ha diritto di essere educato nell'ambito della propria famiglia" (...). Significativo è anche l'art. 2 che stabilisce una esatta, gra­duatoria delle soluzioni da adottare quando il mi­nore non possa permanere nell'ambito della pro­pria famiglia per difficoltà "temporanee" che in­sorgono (ed è da sottolineare l'uso di questo termine): è innanzi tutto, per il legislatore, da pri­vilegiare l'affidamento ad un'altra famiglia che possibilmente abbia già propri figli minori; solo quando ciò non sia possibile è opportuno ripiega­re sull'affidamento ad una persona singola o ad una comunità di tipo familiare.

"L'affidamento ad un istituto di assistenza pub­blica o privato costituisce solo l'extrema ratio, quando tutte le altre ipotesi non siano pratica­bili: l'esperienza ha dimostrato che l'istituto edu­cativo, anche il migliore, può appagare il bisogno del minore di essere fisicamente curato ed ac­cudito e di ottenere la necessaria istruzione, ma non è in grado di dare risposte esaustive a quel­lo che è un bisogno primario in un soggetto in età evolutiva e cioè di realizzare in modo com­piuto un regolare processa di sviluppo di per­sonalità" (...). Deve piuttosto notarsi con una certa preoccupazione - perché al di là delle in­tenzioni del legislatore la lettura della disposi­zione potrà essere tale da dilatare enormemente il fenomeno - che nel 2° comma dell'art. 2 si afferma che l'istituto assistenziale solo "di pre­ferenza" deve essere nell'ambito della regione di residenza del minore stesso. Deve riconoscer­si che in casi eccezionali (istituti particolar­mente specializzati per trattare particolari distur­bi di un minore) può essere indispensabile ri­correre ad istituti non collocati in regione: ma nella generalità dei casi è essenziale che l'isti­tuto assistenziale di ricovero sia nell'ambito del­la regione per evitare il triste fenomeno della deportazione assistenziale, oggi ancora partico­larmente diffuso, e per consentire la permanen­za di significativi rapporti con la famiglia di ori­gine».

 

c) Da «A.C. MORO, I diritti inattuati del mino­re, Ed. La Scuola, Brescia, 1983, pp. 134-135»:

«In realtà le motivazioni per i ricoveri in isti­tuto sano molto raramente legate ad un abban­dono affettivo; per lo più si tratta di malattia dei genitori che vengono con troppa facilità ricove­rati in ospedale o di mancanza di valido alloggio o di insufficienze economiche o di emigrazione o di lontananza dalla scuola o di insufficienze fisi­che del minore ricoverato. Da una indagine sulla istituzionalizzazione dei minori compiuta nella prima circoscrizione di Roma (v. Esperienze di rieducazione, n. 3, anno 1977, pag. 50) risulta che su 507 minori ricoverati nei vari istituti esistenti nel territorio esaminato 97 risultavano istituzio­nalizzati per motivi economici, 150 per motivi scolastici, 107 per disgregazioni familiari, 81 per cause di lavoro dei genitori, 57 per motivi fami­liari, mentre per 15 mancava l'indicazione del mo­tivo. Ma per molti di questi problemi potrebbe essere trovata una soluzione diversa da quella dell'istituzionalizzazione del minore attraverso una diversa politica della famiglia: assistenza domiciliare, politica della casa, concreti aiuti eco­nomici alla famiglia in difficoltà, ecc. E non può non rilevarsi come in molti casi di insufficienze pedagogiche o psicologiche del nucleo familiare la risposta attualmente data non è quella di un sostegno alla famiglia, perché sia resa più co­sciente delle proprie responsabilità, ma piutto­sto quello di ricorrere alla facile scorciatoia dell'internamento del minore in istituto. E manca del tutto una adeguata azione sulla famiglia perché sia resa consapevole dei danni che sui minori provoca la istituzionalizzazione: si deve anzi rile­vare come molto spesso sono i servizi che spin­gono la famiglia ad accettare la logica dell'istitu­zionalizzazione - ritenuta ottimale per risolve­re i problemi del minore - innescando così la perversa logica della deresponsabilizzazione del­la famiglia».

 

Che cosa si può aggiungere dopo queste esau­stive e convincenti argomentazioni e proposte? Può l'ENAM, come istituzione pubblica a carico di tutti gli operatori scolastici, disattendere nel­la sua politica attuale e futura i fondamenti mo­rali, sociali e pedagogici di una moderna impo­stazione dell'assistenza che non ignora il biso­gno, ma mette al primo posto la persona bisogno­sa - e in questo caso il delicatissimo bambino in bisogno -, e non le strutture a cui adeguare o strumentalizzare la persona bisognosa?

L'autore dell'articolo, a un certo punto, sem­bra avvicinarsi al problema centrale, quello del­la sofferenza delle persone bisognose, quando ammette che i bambini e i ragazzi nel convitto di Fano sono «lontani dagli affetti familiari» (e che dire delle gravi difficoltà per raggiungere da par­te dei parenti di moltissime parti d'Italia tale lo­calità, come io stesso ho sperimentato partendo e tornando a Torino), ma possono bastare le mi­gliorie saggiamente apportate all'«ambiente reso più idoneo» a compensare la lontananza e la scarsa frequenza degli affetti familiari?

In un altro passo, un tristissimo e indignato sussulto non può non prendere il lettore quando legge più avanti nell'articolo che all'autore quasi spiace la «scelta delle famiglie che danno la pre­ferenza a collegi più vicini al luogo di residenza». E che dire del finale con quell'infelice computo delle «vicende familiari di tanti colleghi» fatto presuntivamente sul forte numero totale degli insegnanti e delle persone a carico, e l'invito - non tanto implicito - a istituzionalizzare nei «posti ancora disponibili» figli o conoscenti esposti a quel bisogno che richiederebbe una sensibilità e un impegno di altro livello?

Ma vorrei concludere in modo positivo e pro­positivo con la seguente sintesi - frutto della collaborazione di altri amici impegnati nel set­tore dell'assistenza - che potrebbe essere la traccia di una riflessione comune anche in un apposito convegno in cui vengano discusse le problematiche esposte, e concordate le linee di una politica moderna:

«Le negative conseguenze del ricovero in isti­tuto sulla personalità del minore; le positive esperienze di sostegno alla famiglia di origine; di affidamento familiare a scopo educativo; la notevole riduzione del ricovero assistenziale an­che a seguito dell'adozione (212 mila nel 1961; 103 mila nel 1976; 80 mila nel 1981): pongono a tutte le istituzioni la necessità di un ripensamen­to in merito alla funzione dei tradizionali istituti.

Uno dei principi fondamentali in materia di as­sistenza ribadito dalla legge 184/1983 sulla di­sciplina dell'adozione e dell'affidamento familia­re: è che gli interventi siano forniti nella zona di appartenenza del minore e del suo nucleo familiare:

- favorendo la permanenza del minore nel suo stesso nucleo familiare;

- provvedendo alla adozione nei casi di ab­bandono;

- ricercando soluzioni non emarginanti (affida­mento, comunità alloggio);

- ricorrendo al ricovero in istituto solo nei casi in cui non siano possibili gli interventi di cui sopra e per il tempo strettamente necessario (art. 2 legge 184/83); il ricovero in istituto non dovrebbe determinare, perciò, salvo casi ecce­zionali, l'allontanamento del minore dal suo con­testo sociale, consentendogli in tal modo di con­tinuare ad avere rapporti con la famiglia, i pa­renti, la scuola, gli amici, ecc.».

Tale politica comporta certamente problemi assai seri di riconversione di strutture e - aspet­to per certi versi più delicato - riconversione del personale addetto. Ma nella ricca tradizione educativa, umana e sociale della categoria, l'as­sunzione di una tale politica può essere facili­tata con quell'appello, di cui già si è detto, alla categoria stessa, per continuare e migliorare quella corresponsabilizzazione e quella presa a carico delle persone bisognose nel loro stesso ambiente di vita e di relazione, in collaborazio­ne con le esperienze delle strutture pubbliche, ove avanzate, e con la pressione e lo stimolo sul­le strutture pubbliche ancora inadempienti nei loro compiti di legge.

 

 

(1) Testo integrale dell'articolo di Giuseppe Sandrini, «Conoscere l'ENAM - Il convitto di Fano», pubblicato sul n. 32-33-34, 2-9-16 settembre 1985 de «I maestri d'Italia».

L'inizio del nuovo anno scolastico riattiva una iniziativa dell'ENAM che, anche se modesta, merita la prima rifles­sione tra quelle che intenderei fare sull'attività dell'Ente Nazionale di Assistenza Magistrale, sulla sua situazione attuale e sulle sue prospettive anche in considerazione del fatto che, direttamente o indirettamente, convinti o meno dell'utilità di questo Ente, tutti siamo interessati a conoscere, capire e valutare ciò che viene realizzato con il denaro che ogni mese ci viene trattenuto dallo stipendio. Il discorso merita di avere un seguito e mi auguro che non manchi il contributo di esperienze e di suggerimenti di quanti avranno il tempo e la volontà di seguire queste brevi note.

Ho iniziato richiamando il nuovo anno scolastico: anche quest'anno l'ENAM riapre il Convitto di Fano. Da qualche anno 35/40 ragazzi e ragazze dai sei ai quindici anni ven­gono ospitati da settembre a giugno, vengono assistiti e seguiti negli studi, frequentano scuole elementari e medie statali di Fano e ricevono insieme quel completamento di educazione che è loro necessario. Certamente nella cate­goria la casa di Fano è molto più conosciuta per il sog­giorno estivo; pochi sanno che nello stesso edificio con­tinua a funzionare il Convitto «Vittoria Colonna».

Nel periodo di massima attività vi hanno trovato ospi­talità sino a 230 ragazze in camerate e con sistemazioni realizzate prima della seconda guerra mondiale. Ora la Casa è stata restaurata totalmente anche per i convittori e l'ambiente è più idoneo a creare un clima di serenità, e perché no, di signorilità che li fa sentire meno lontani dagli affetti familiari.

E a ciò contribuisce in maniera determinante l'orga­nizzazione della vita quotidiana curata dalla Rettrice e dal­le educatrici coadiuvate da tutto il personale della Casa. E certamente, questa, una delle più modeste e meno co­nosciute tra tutte le attività dell'ENAM ma ritengo non sia l'ultima se riferita a quel principio di solidarietà che sta alla base dell'esistenza stessa dell'ENAM.

Nata per assistere gli orfani dei maestri, la Casa di Fano ha visto negli anni diminuire le richieste anche per le scelte delle famiglie che davano la preferenza a col­legi più vicini al luogo di residenza. Per alcuni anni, il Convitto è rimasto chiuso, ritenendo il Consiglio di Ammi­nistrazione di allora che non vi fosse più necessità di un tale tipo di assistenza; la sua riapertura ha soddisfatto tutte le richieste anche in considerazione del fatto che ora possono ottenere posti in Convitto non solo gli orfani ma anche i figli degli iscritti. Un momento di concreta pre­senza poi il Convitto l'ha offerto in occasione degli eventi sismici del Friuli e dell'Irpinia.

Seguendo, per mandato della categoria, le vicende fa­miliari di tanti colleghi è facile rilevare come le situazioni che si vengono a creare in una categoria di 350.000 lavoratori che, con le persone a carico, diventano almeno 500.000, sono tali e varie che la realtà del convitto non solo risponde ad alcune richieste di oggi ma potrebbe sod­disfarne altre e più numerose, solo che fosse più cono­sciuta e valorizzata per il servizio, e i risultati, che rice­vono quanti ne usufruiscono.

Per l'anno appena iniziato ci sono ancora posti dispo­nibili. Anche se i termini sono scaduti è possibile otte­nere l'ammissione rivolgendosi alla sede Centrale del­l'ENAM tramite i Comitati provinciali.

 

 

www.fondazionepromozionesociale.it