Prospettive assistenziali, n. 75, luglio - settembre 1986

 

 

CONSIDERAZIONI SUI PROBLEMI PENITENZIARI

MICHELE TEDESCO (*)

 

 

Nel 1975 venne promulgato il nuovo «Ordi­namento penitenziario» (legge 354) che, ricono­scendo una serie di diritti al detenuto, allineava l'Italia ai paesi civili del mondo - almeno sulla carta - perché a tutt'ora la 354 viene applicata solo in minima parte.

In quell'occasione venne completamente di­menticato chi quella riforma doveva contribuire ad attuare e cioè il personale di custodia, che era ed è rimasto soggetto ad un regolamento che risale al 1937.

Ancora oggi gli agenti di custodia non godono di alcuni diritti fondamentali acquisiti da tutti gli altri lavoratori negli ultimi 50 anni. L'organico at­tuale di circa 22 mila unità costringe gli agenti a turni massacranti che vanno dalle 9 alle 11 ore al giorno e vede sistematicamente ignorato il diritto al riposo settimanale ed alle licenze.

Ci sembra opportuno riferire che le ore di pre­stazione straordinarie - obbligatoriamente pre­state - vengono retribuite con lire 2.250 orarie lorde. Di fronte a questo sfruttamento ogni altra categoria di lavoratori potrebbe protestare; agli agenti non rimane che l'autoconsegna, perché in qualità di militari non possono mettere in atto nessuna forma di protesta.

Anche la preparazione professionale non tiene conto dei compiti che la 354 li chiama ad ese­guire, non considera che sono gli operatori mag­giormente a contatto con i detenuti e perciò quel­li che hanno maggiori possibilità di contribuire alla «rieducazione» o comunque al miglioramen­to dei rapporti reciproci nelle strutture e quindi all'instaurazione di una atmosfera più vivibile all'interno. Gli agenti vengono reclutati con la sola licenza elementare, il corso di formazione a cui vengono avviati è limitato ad un periodo che va dai tre ai sei mesi, in scuole di tipo militare dove apprendono a marciare ed a dire signorsì.

Finalmente nel 1985 il Governo ha approntato un progetto di riforma che prevede la smilita­rizzazione del corpo e la costituzione di un cor­po di «polizia penitenziaria» in tutto simile a quello della polizia giudiziaria. Il progetto pre­vede anche la soppressione del ruolo delle vi­gilatrici penitenziarie (art. 2) ed il loro arruola­mento nel costituendo «nuovo corpo», ignoran­do il fatto che, come tutto il personale civile del­lo Stato, a tutt'oggi le vigilatrici godono dei di­ritti sindacali e civili, sanciti dalla Costituzione, e non sono soggette ad un «regolamento» spe­ciale come quello che prevede la riforma, bensì alle disposizioni previste dal Testo Unico dei di­pendenti civili dello Stato.

Il progetto all'art. 16 prevede inoltre la possi­bilità di «associazione sindacale» ma solo al «sindacato di polizia penitenziaria».

Dal tutto si evince che anche con la riforma prospettata i componenti continueranno ad es­sere lavoratori diversi dagli altri, continueranno ad essere cittadini per i quali alcuni diritti non sono validi e le vigilatrici, per le quali il Parla­mento con la promulgazione dei profili professio­nali ha previsto un ruolo civile, verranno inca­strate in un corpo di polizia penitenziaria.

È ovvio che gli organismi sindacali non posso­no accettare queste limitazioni e che quindi con­tinueranno a pretendere la modifica degli articoli indicati e l'estensione delle norme che regolano il rapporto dei lavoratori civili, anche ai compo­nenti del futuro corpo di «polizia penitenziaria».

Altra macroscopica carenza è rappresentata dal fatto che il progetto riguarda solo il personale di custodia ignorando tutti gli altri operatori del settore.

Un progetto armonico - come lo vedono i sin­dacati -, avrebbe dovuto prendere in considera­zione le qualifiche professionali dal personale di custodia a quello direttivo, da quello dell'area am­ministrativa a quello psico-pedagogico e sociale, il tutto inserito in un programma contemplante in toto il settore penitenziario e quindi anche quello relativo ai detenuti.

Infatti i problemi del settore, ovvero di un polo (custodi), si ripercuotono immancabilmente sull'altro (custoditi). L'organico degli agenti di cu­stodia non è cresciuto proporzionalmente alla po­polazione carceraria, che è arrivata in questi ul­timi tempi, intorno alle 45 mila unità, ristretta in carceri che all'origine potevano contenere solo 25-26 mila detenuti.

Quest'enorme sperequazione ha origine anche in altre cause, quali la disfunzione della giustizia, l'inadeguatezza dei nostri codici ecc.

Dei 45 mila detenuti in carcere, circa il 70% è in attesa della conclusione dell'iter proces­suale.

Le statistiche riportano che alla definizione del giudizio, il 50% di questi imputati tornerà in li­bertà. Ciò sta a significare che se la giustizia fosse messa in condizione di funzionare meglio, se i tempi della conclusione di un giudizio fos­sero più brevi (ecco la necessità di una riforma dei codici!), ci sarebbero meno detenuti all'inter­no delle strutture carcerarie, con conseguenti riflessi positivi nei settori che ci riguardano. Avremmo inoltre una riduzione di spesa, una possibilità di lavoro più accettabile da parte del personale, un recupero sociale più apprezzabile, con una ripercussione positiva tanto sul perso­nale quanto sui detenuti.

Queste considerazioni ci portano ad eviden­ziare il secondo polo del problema, quello rela­tivo ai detenuti. La legge 354, ancora non com­pletamente applicata per carenze di personale, di volontà politica e di strutture, andrebbe rifor­mata in considerazione del principio costituzio­nale che vuole le condanne e quindi le pene non semplicemente applicate dal punto di vista retri­butivo-afflittivo, ma da quello rieducativo e, per­tanto, si dovrebbe tendere a ridurre l'incidenza della pena detentiva a favore di sanzioni alterna­tive e sostitutive.

Nel mondo occidentale, l'Italia è uno dei paesi in cui l'incidenza delle condanne alla carcerazio­ne è una delle più alte.

In base a queste considerazioni alcuni istituti della 354 andrebbero modificati e il sindacato, per completezza, porta avanti anche questo di­scorso. Solo per fare degli esempi, sarebbe ne­cessario modificare l'istituto dei permessi, dell'affidamento in prova al servizio sociale, della liberazione anticipata ecc.

L'istituto dei permessi, dal 1977 ha subito del­le restrizioni; dovrebbe essere ripreso, modifica­to per diventare uno degli elementi più validi del trattamento rieducativo, permettendo al detenuto meritevole di coltivare interessi umani, profes­sionali, oltre che consentire una vita di relazione che contribuisca a favorire il corretto reinseri­mento sociale. Darebbe inoltre un contributo al­la soluzione del rilevante problema sessuale all'interno delle strutture carcerarie.

L'affidamento in prova al Servizio sociale, per la cui applicazione oggi è richiesto un periodo di osservazione, dovrebbe poter essere applicato di­rettamente dal magistrato durante il dibattito, nei casi di reati di scarsa rilevanza sociale.

La semilibertà, che costituisce un valido mo­mento del reinserimento, per il livello di control­lo che consente, andrebbe raccordata all'affida­mento in prova e potenziata mediante parziale sottrazione delle restrizioni attuali.

Per queste due misure dovrebbe essere pre­vista una forma di controllo-aiuto, affidato al Ser­vizio sociale che naturalmente dovrebbe essere messo in condizione di operare con la necessaria professionalità e non ridursi - come si verifica oggi - ad una forma di semplice controllo dell'osservanza delle prescrizioni.

Infine, sarebbe necessario ampliare l'istituto della libertà anticipata, con possibilità che il periodo (giorni di liberazione calcolati a seme­stre), possa essere utilizzato allo scadere di ogni semestre e non a fine pena, il tutto naturalmente in relazione alla collaborazione dell'utente al pro­gramma di rieducazione-trattamento; il periodo trascorso ogni sei mesi in libertà, favorirebbe il graduale reinserimento sociale del soggetto.

 

 

(*) Coordinatore CISL, settore penitenziario, per la re­gione Piemonte.

 

 

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