Prospettive assistenziali, n. 71 bis, luglio - settembre 1985

 

 

INTERVENTO DI SANTE BAJARDI (1)

 

 

Da parte mia esprimo innanzitutto il rammari­co, perché da quando, alcuni mesi fa, Gattini mi aveva parlato di questa iniziativa ero fermamen­te intenzionato a parteciparvi tutti i tre giorni, poi altre incombenze mi hanno tenuto fuori della città, sia giovedì che ieri. Ciononostante ho let­to attentamente quanto scritto e quanto è stato elaborato dai tre Gruppi di lavoro e stamattina ho notato che alcune questioni sono state ulte­riormente puntualizzate.

Devo dire che sono molto lieto che la nostra Regione abbia ospitato questa iniziativa, seppu­re più contenuta - lo spiegava prima Gattini. Morabito poco fa ricordava la precedente ini­ziativa sulle comunità-alloggio; certi temi inco­minciano a diventare oggetto di scambio di espe­rienze: ciò vuol dire che si cresce. La problema­tica della crescita è sempre molto complessa, e contiene delle contraddizioni; siamo in una fase di evoluzione.

Voglio subito all'inizio ringraziarvi per aver partecipato; voglio ringraziare i relatori e mi per­mettano anche i presenti un grazie agli organiz­zatori, in particolare a Gattini come Provincia, e al Comune di Torino; infatti le iniziative met­tono le gambe quando c'è qualcuno che ci crede.

Come Regione abbiamo aderito, senza contri­buire alle spese: non è mai troppo tardi, si pos­sono pubblicare, stampare gli atti, per esempio. Basta solo deciderlo. lo vi sono sinceramente grato di tutto ciò.

Nel merito: si è fatto il punto sulle esperien­ze compiute, sono state indicate anche delle linee di evoluzione nella consapevolezza dei pro­blemi, delle contraddizioni che sono insite in queste linee stesse.

I dati numerici mi pare siano stati letti prima: 125 Amministratori, i quali hanno il pregio e il difetto di essere stati presenti, ma non fino alla fine; 86 cooperatori, i quali, ovviamente molto più personalmente interessati, oltre che social­mente interessati, credo siano la prevalenza dei presenti! 243 persone di vario livello che si sono confrontate, mi pare sia, dal punto di vista della quantità, ma più ancora della qualità, un risul­tato importante.

Sono emersi dei problemi da risolvere; vorrei evitare di metterli al fondo.

Morabito ha concluso il suo intervento stama­ne riflettendo sulle cose che sono state presen­tate nel documento, ponendo due proposte con­crete: una, tra l'altro, era già contenuta in uno dei documenti, e l'altra aleggiava in tutti i do­cumenti.

Beh, io non ho imbarazzo: che storie sono, «le elezioni, dobbiamo rinviare a dopo queste que­stioni»! Per gli Amministratori, semmai, potran­no essere anche impegni a futura memoria ma a livello tecnico possono essere doverosamente attività elaborate e poste agli altri, perché, se nel nostro Paese anche noi soggiaciamo a que­sto ricatto che in ogni caso si collega ad un atto altamente democratico, si va a finire che l'atto altamente democratico diventa e si traduce in una conseguenza antidemocratica di freno e di blocco delle iniziative.

Semmai esiste il problema di chi sia coinvolto. In questo caso a livello regionale deve prevalere il ruolo dell'Assessorato al Lavoro, ma non solo dell'Assessorato al Lavoro, anche dell'Assesso­rato alla Sanità e Assistenza.

Raccolgo subito la proposta di lavoro, finaliz­zata ovviamente in primo luogo alla elaborazione di una convenzione-tipo, perché se non si lavora adesso, come si può pensare che per queste ri­sposte si possano attendere i tempi, i ritmi con­nessi alle vicende elettorali?

Credo che sia più che ragionevole andare mol­to in fretta: io vorrei proporre ai tre livelli - re­gionale, provinciale, comunale di Torino (che so­no stati il supporto tecnico dell'organizzazione di tutti i lavori) - che ci facciano rapidamente una proposta di organismo tecnico che incominci a lavorare e si ponga il problema, certamente non semplice, di una convenzione-tipo in un settore su cui in ogni caso non c'è un'antica tradizione. La tradizione delle convenzioni è contrastata da interpretazioni contingenti - Gattini lo ricorda­va poco fa in relazione ai vincoli dei vari Orga­nismi di controllo - credo che questo Gruppo di lavoro, a livello tecnico, ed anche a livello giu­ridico - come è espresso nel documento - sia una fase ugualmente necessaria e indispensabile.

E credo anche che si possa convenire sul crea­re una sede nella quale queste questioni possa­no essere viste non solo in relazione al docu­mento convenzionale-tipo, ma a tutta la tematica che vi sta dietro e alle evoluzioni che questa tematica, sul piano giuridico anche a livello na­zionale, potrà assumere.

A me viene in mente che i vari progetti di ri­forma dell'assistenza non contengono chiari ri­ferimenti a tutti i discorsi convenzionali e a questi aspetti, se non altro perché non c'è una tradizione di rapporti convenzionali quali invece c'era, presente, pregnante, in qualche regione d'Italia persino predominante, la tradizione di convenzioni con le strutture private, non igno­rando che la cooperazione si configura come una forma originale di privato comunque non di ge­stione diretta dei servizi.

La legge 833 della Sanità dà ampio spazio - persino troppo - a tutta la regolamentazione della molteplicità dei rapporti convenzionali co­me essi si sono costruiti nel tempo, e tutto som­mato, forse perché sono necessari anche ingenti capitali, non esiste presenza cooperativa nel set­tore sanitario.

La presenza e i rapporti convenzionali sono organizzati nel modo puro, privatistico, ma non so se in qualche parte d'Italia esiste qualche laboratorio in cooperativa; ad ogni modo, in quel caso, lo strumento convenzionale serve agli uni e agli altri; in quel caso il movimento coopera­tivo si presenta come un'impresa, nel senso stretto della parola. Come credo, sotto certi aspetti, si presenti anche in questo ambito.

In questo ambito però i rapporti convenzionali sono molto atipici, non sono in ogni caso, pre­valenti, e le presenze private sono un fenomeno molto recente, seppure con limiti di qualità e di quantità, mentre si configura, nel passato una forma di presenza pubblica, seppure attraverso enti, con elementi di autonomia che oggi rappre­sentano punti di forza ma anche di debolezza.

L'esigenza di ragionare su queste questioni a livello nazionale, anche in relazione alla legge di riforma dell'assistenza, mi pare che sia ineludi­bile, perché è lì che si metteranno i punti di rife­rimento per le successive evoluzioni, per le suc­cessive possibilità di presenza.

Non vorrei che noi ci trovassimo in queste sedi e si presentassero proposte organizzative, quali quelle a cui farò riferimento fra poco, e che poi in sede-quadro generale non si aprano quegli spazi che potrebbero invece essere legittima­mente creati.

Mi pare che in questo ambito non ci sian dub­bi, non vi è assolutamente nessuna ipotesi di appalto, anzi, dallo svolgimento della iniziativa emerge lo sforzo di responsabilizzazione da par­te del movimento cooperativo (questo tipo origi­nale di privato) verso il momento pubblico, che si faccia carico in modo più compiuto di tutta la popolazione che ha determinati bisogni, della or­ganizzazione di queste attività giocando un ruolo attivo, da protagonista, non solo nella erogazio­ne di quelle prestazioni, ma con una capacità di proposta che deriva in primo luogo dalla funzio­ne attiva che si esercita.

Questo appello credo che nella Regione Piemonte non cada in un terreno non coltivato, non arato - sentivo poco fa il collega, Assessore della Regione Autonoma del Trentino che ci ri­cordava le tradizioni cooperative del Trentino -. Ho avuto occasione di vedere quanto sia forte e capace di imprenditorialità in certi settori eco­nomici il movimento cooperativo; tant'è che cer­ti prodotti sono presenti in ogni angolo d'Italia. Ma lasciamo da parte questo, perché mi verreb­be immediatamente in mente di alzare la bandie­ra della primogenitura del movimento coopera­tivo in Piemonte nella città di Pinerolo che è la città in cui è sorta, più di 130 anni fa, la prima cooperativa, con una forma un po' più articolata, non solo di consumo (era dei calzolai), ma anche legata all'artigianato.

Nella nostra regione, comunque, sosteniamo il movimento cooperativo, non come scelta ideo­logica, ma come l'esigenza di una presenza e di un impegno che ha salde radici democratiche nel processo di gestione e quindi anche qualche ele­mento che garantisce al momento pubblico di essere in grado di rispondere ai bisogni colletti­vi in modo più ampio, rispetto a ciò che si basa

sugli interessi privati in senso stretto.

Sono anche consapevole - essendo torinese, e avendo la memoria storica - che il movimento cooperativo nella nostra città ha avuto lunghe gravi e perigliose vicende: basterebbe accenna­re alla Alleanza Cooperativa Torinese per dire delle cose, sulle quali, a distanza di anni, biso­gna pensare, cogliere anche da certi aspetti, da certi insuccessi, esperienze di riflessione.

Tutto ciò non ci deve portare ad avere delle riserve verso il movimento cooperativo, ma a considerarlo una delle forme originali di privato che di privato hanno i rapporti giuridici con gli enti con i quali si rapportano, mentre all'interno i discorsi sono profondamente diversi.

Non possiamo ignorare neppure che nella no­stra Regione stiamo tentando, in relazione a si­tuazioni di crisi economica, di usare anche lo strumento della organizzazione cooperativa dei lavoratori delle aziende dismesse dal privato - ovviamente non impostandole sul piano assi­stenziale, ma ponendole invece sul piano della capacità di reggere sul mercato e quindi di non essere un fenomeno transitorio, ma di giocare un proprio ruolo.

Né si può ignorare, per onestà di rapporti, quanto può essere stato alla base ieri della espansione del movimento cooperativo in questo determinato settore (è stato oggetto di discus­sione ed è inutile girarci attorno): i blocchi degli organici degli Enti locali sono stati aggirati an­che in questo modo; ma che cosa ne è uscito? Non lo possiamo dire. Si tratta di un qualcosa che cesserà nel momento in cui gli organici po­tranno essere liberamente definiti da tutti gli Enti locali? Perché molte volte si sa da che cosa si parte, ma non si sa dove si approda, e cammin facendo emergono e si scoprono realtà nuove, valenze, possibilità, potenzialítà che possono - secondo me - e debbono essere colte nella loro linea evolutiva.

Non posso dimenticare inoltre che oggi, in relazione alla presenza delle cooperative nel set­tore dei servizi sociali, abbiamo un fatto nuovo: la presentazione di una proposta di legge sulle cosiddette cooperative di solidarietà sociale e lo stesso parere favorevole espresso dalla Com­missione Centrale per le Cooperative del Mini­stero del Lavoro e della Previdenza Sociale.

Me lo sono letto attentamente: c'è l'invito ai Prefetti di considerare queste strutture come strutture che possono e debbono essere regi­strate, e quindi compatibili con l'attuale legisla­zione e assimilabili a tutte le altre.

Quanto questi inviti, queste raccomandazioni abbiano valore giuridico non sta a me stabilirlo, anche perché chi ha presentato la proposta di legge ha, credo, la profonda consapevolezza che ci sono dei grossi problemi di ordine giuridico da sciogliere.

Però, a me vengono in mente altre cose al di là degli aspetti giuridici: mi pare quanto mai necessario riflettere (seppure tangenzialmente la questione è emersa in questa discussione), sulla impostazione che tende a riportare il con­cetto di imprese cooperative da strutture che operano sul terreno economico e destinate a soddisfare in primo luogo finalità dei soci, fina­lità economiche, a strutture che, operando sem­pre nell'ambito e in rapporti economici, sono in­dirizzate a fini extra-economici.

Mi pare che si sia parlato di soddisfazione di interessi morali, assistenziali e sociali, cultu­rali, mettendo a disposizione reciproca e di ter­zi il lavoro, beni e servizi, ma anche prestazioni volontarie, con divieto di distribuzione di utili ai soci e creando un rapporto giuridico diverso da quello esistente nei confronti delle contribuzio­ni delle casse di previdenza, di pensione e via dicendo.

Mi pare che questa mescolanza di aspetti pas­sa essere estremamente pericolosa: è già emer­so nel corso di questa parte della discussione cui io ho partecipato, che un conto sono le coo­perative, un conto è il volontariato e che la me­scolanza di queste cose può portare a mistifi­cazione ed al sorgere di illusioni.

Dico questo perché nella Commissione Regio­nale del Volontariato è stata già posta questa questione, certamente da qualcuno che ha inte­ressi culturali più che rispettabili - né voglio mettere in dubbio quello che c'è dietro -. A me preme sottolineare - e sentivo anche Morabito della stessa opinione - che sono due cose di­verse, che tendono certamente a raggiungere anche obiettivi comuni, e in primo luogo l'esal­tazione del momento della solidarietà, al di là del fatto che vi sia rapporto di lavoro, o condi­zioni di post-lavoro o di volontariato, ma questo elemento comune, secondo me, non deve porta­re a confusioni. Aggiungo altri elementi ai ragio­namenti che ho sentito: per esempio un'attività di volontariato può cessare dall'oggi al domani ed ha proprio questa caratteristica. La esistenza invece di un rapporto formale, di tipo convenzio­nale fornisce l'elemento della continuità che è proprio del campo socio-assistenziale: ritornan­do ancora alla comparazione dei rapporti conven­zionali tra sanità e campo socio-assistenziale, grande elemento di diversità è che nel campo sa­nitario le prestazioni sono per brevi periodi e quindi, come tali, potrebbero anche non conside­rare essenziale l'elemento della continuità, per­ché si esprimono essenzialmente in attività di alta specializzazione, e cioè in linguaggio tecni­co, integrative delle funzioni di base la cui con­tinuità è garantita da altri operatori.

Nel campo socio-assistenziale si tratta di pre­stazioni che durano abbastanza a lungo, dove la continuità e professionalità, in un intreccio reci­proco, sono elementi che non possono essere lasciati alle decisioni del singolo volontario, ma atti doverosi che la società, in modo organizza­to, attraverso piani e programmi, deve erogare a tutti i propri cittadini.

Ho voluto avanzare queste riserve perché io sono profondamente convinto che, seppure in questo campo del sociale gli elementi di misura della efficacia e della efficienza sono molto labili e hanno come componente ineludibile il parere dei protagonisti, in senso lato, comprese le fami­glie che più di ogni altro sono interessate ad un alto livello di efficacia delle azioni svolte, molte volte l'utente fruisce di questi servizi a prescin­dere dall'efficacia e dall'efficienza degli stessi; perché, si prende, come si usa dire, «quello che passa il convento», si spera che sia buono, si spera che sia corrispondente ai bisogni.

Per questa labilità della valutazione dei risul­tati che si ottengono non tanto nelle prestazioni ma in relazione agli obiettivi che ci si pone (e non di una qualsiasi erogazione di custodia), bisogna avere consapevolezza della difficoltà di definire il valore di questi servizi, in altri cam­pi più facilmente realizzabile, ma nello stesso tempo dell'urgenza, della necessità in ogni caso che siano individuati il più presto possibile spe­cifici indicatori, in modo tale che ci possano ga­rantire, in termini comparati, la evoluzione della efficienza degli interventi.

Uno dei temi che è emerso in modo particola­re è quello dei rapporti tra gli Enti locali e questo tipo particolare di movimento cooperativo: bene, non credo che ci sia molto da inventare in questo campo; siamo cresciuti, chi ha la memoria stori­ca che deriva dai capelli bianchi si ricorda che cosa si diceva 40 anni fa della cooperazione.

Non posso che associarmi al cordoglio per la morte di Paolo Bonomi, ma non dimentico i ma­nifesti che aveva diffuso nel nostro Paese anni addietro, identificando la cooperazione come un ordinamento sociale; mi ricordo che c'erano de­gli slogans «Cooperativa oggi, Soviet ad otto­bre» - ce l'ho ancora qua, i miei occhi se li ricordano -.

Oggi tanta acqua è passata sotto i ponti, e si sa benissimo che la cooperazione è un qualcosa che vive in tutto il mondo nelle sue forme più evolute, nelle sue forme più semplici e via di­cendo. La cooperazione non è più oggetto di scontro ideologico, tant'è che il movimento coo­perativo fa riferimento a più orientamenti: giu­stamente, anche con l'evoluzione legislativa che è intervenuta nel nostro Paese - insufficiente, inadeguata, ricordavo poco fa l'assenza di una legge-quadro sull'assistenza che è un ostacolo non marginale alla soluzione corretta di questi problemi - quanta acqua è passata sotto i pon­ti! Fino alla 382, al 616 che riconoscono il diritto­dovere degli Enti locali di organizzare queste attività in termini compiuti e poi di trovare le soluzioni, nell'ambito della legislazione vigente con le risposte, e tipi di organizzazione che deb­bono essere dati.

Da questo punto di vista, proprio perché ar­rivo da due giornate di riflessione sulla program­mazione sanitaria e sociale tra tutte le Regioni italiane, non posso che rallegrarmi che ieri - al­le conclusioni del nostro convegno - si sia sot­tolineata la necessità che non si vada più ad una programmazione sanitaria, ma ad una program­mazione socio-sanitaria, che veda proprio le strette relazioni tra i due campi ed anche la solu­zione di quei problemi finanziari che non sono marginali all'espandersi delle attività socio-assi­stenziali, affinché non si pongano più problemi di illegittimità da parte dei Comuni - siano essi responsabili in modo diretto o responsabili in forma associata all'interno o all'esterno delle Unità Socio-Sanitarie Locali, per guardare al qua­dro nazionale, ma per la nostra Regione Piemonte nella forma singola o associata, all'interno delle Unità Socio-Sanitarie locali.

Ed è in questa direzione certamente che dei passi sono stati compiuti: essi sono importanti e creano in ogni caso - mi si permetta - per il movimento cooperativo piemontese un quadro di riferimento dal punto di vista giuridico, nor­mativo, programmatorio tale da dargli un inter­locutore autorevole che per una certa parte è ancora nei Comuni e che crescerà nell'applica­zione delle leggi regionali, del piano socio-sani­tario, crescerà, inevitabilmente, in un interven­to, in un coordinamento, in una visione program­mata all'interno delle USSL.

Non sta a me ricordare cose che ho visto pre­senti nei documenti: riprendendo alcune delle osservazioni che sono state fatte ai documenti, sottolineo l'esigenza dell'attività preventiva per il superamento dell'emarginazione e per rispon­dere ai bisogni sociali; il problema dell'autono­mizzazione massima dell'individuo e dei gruppi sociali; quello della creazione di una rete di servizi socio-assistenziali, da realizzare gradual­mente, quindi distribuita in modo perequato su tutto il territorio, integrata con i servizi sanitari e in grado di fornire prestazioni qualificate, con­tinuative non solo occasionali.

Altri temi che avete posto e che sono emersi nelle conclusioni, sono i caratteri di questo rap­porto, non burocratico, non formale, i caratteri di questa dialettica che mi pare possa essere considerata vitale per la crescita di una presen­za qualificata del movimento cooperativo in que­sto settore. Ben sapendo che altre forme di pri­vato in questo settore non si presentano, non ci sono, e in ogni caso sono prive di quelle mo­tivazioni di ordine morale e sociale che fanno sì che oggi non vi siano molte alternative, nell'uso di strutture private, oltre la cooperazione.

Io sono della opinione però - passatemela - che non esiste «privato buono» da individuare «tout court» in tutte le cooperative: e allora non è tanto il problema della singola coopera­tiva, dalla quale può venire un processo di ri­flessione, di ragionamento critico e autocritico, quanto invece quello delle centrali cooperative che, rappresentando un momento di sintesi, pos­sono aiutarci a far crescere un movimento e a dare dei giudizi su quello che è cresciuto nel corso degli anni.

Qualcuno mi ha ricordato che in questa rifles­sione ci sono dei campi in cui pare non ci pos­sano essere dubbi sui risultati ottenuti, sulla linea scelta, per esempio su quella delle comu­nità-alloggio per minori - si riecheggiano an­cora i lavori delle precedenti iniziative la cui va­lidità è stata ampiamente verificata - e per gli handicappati.

Si tratta di ragionare sul complesso delle ini­ziative e ritengo che da questo punto di vista il movimento in sé abbia la forza e la capacità di ragionare sulle proprie esperienze e di essere un valido interlocutore del sistema delle autono­mie in primo luogo, dei Comuni, perché sono essi - anche se organizzati all'interno delle USSL - i titolari e i responsabili primari di questa funzione.

Non so se con questo mio dire ho raccolto una serie di problemi, ho aggiunto alle conside­razioni che ci sono state altri elementi. Mi pre­meva esprimere la profonda consapevolezza dell'Amministrazione regionale che ha dato la sua adesione a questa iniziativa, non in modo forma­le, ma considerando la presenza delle coopera­tive nel comparto socio-assistenziale un elemen­to importantissimo. Essendo Assessore alla Sa­nità, oltre che all'Assistenza, mi premerebbe anche spezzare una lancia per la presenza del movimento cooperativo in altri campi del sani­tario, ben sapendo che il movimento coopera­tivo svolge già alcune attività marginali, a latere dello sviluppo dell'attività generale del compar­to sanitario.

Ho voluto infatti intervenire in questa discus­sione per esprimere la consapevolezza della im­portanza di queste questioni, per fare, per pren­dere posizione relativamente ad alcuni aspetti su cui mi sono soffermato, per riaffermare an­cora che se il movimento cooperativo vuole un solido spazio, e duraturo, deve avere la forza di fare i conti con se stesso e di considerarsi una struttura capace di reggere sul mercato: una impresa.

È difficile, parlando di socio-assistenziale, usa­re la parola «impresa», «economicità», ma non si sfugge da queste questioni. Certo, vanno usate con i limiti che già prima evidenziavo, nel valutare gli aspetti di efficacia e di efficienza, ma una qualsiasi attività nel campo socio-assistenziale non può essere svolta in qualsiasi con­dizione per qualsiasi obiettivo.

Il fatto che ci troviamo in presenza di forme collettive - sottolineo quell'elemento della in­terprofessionalità che è stato sottolineato che è anche garanzia di qualità nelle risposte in que­sto campo - è un elemento di grande rilievo che deve essere sottolineato e che non ci porta ad avere presente un rappresentante di un ente o di un organismo, ma un collettivo che si misu­ra al suo interno e che è capace di proposte; che non vuole erodere, anzi, che vuole esaltare il ruolo del sistema delle autonomie degli Enti locali nel farsi carico dei problemi, non vuole sottrargli competenze, ma vuole poi essere un interlocutore valido e che vuole partecipare, pro­prio per la sua professionalità, al processo di verifica delle prestazioni che avvengono.

In sostanza, un movimento cooperativo che è disponibile a coordinarsi con l'Ente locale per la elaborazione e la conduzione del progetto e per­mettere la verifica dei risultati ottenuti. È certa­mente un qualcosa di profondamente diverso da quello che sono le convenzioni con gli enti che operano all'interno del servizio sanitario, ben sapendo che in quel campo esistono discorsi di scienza e coscienza, e di indiscutibilità delle va­lutazioni che vengono enunciate e che sono uno sbarramento certamente non marginale.

Per fortuna in questo campo non vi sono le leggi che permettano di trincerarsi dietro la scienza e la coscienza ed esiste la consapevo­lezza che, essendo i problemi socio-assistenziali il riflesso di processi complessi e che esigono una partecipazione interprofessionale, un ruolo di molti per risolvere i problemi che molti han­no creato, non abbiamo quelle difficoltà, ma ne abbiamo certamente altre che sono connesse al fatto che stiamo vivendo una esperienza nuova, giovane che ha bisogno di fare i conti con se stessa con spregiudicatezza. Concludo ringra­ziandovi proprio per lo sforzo che è stato fatto di riflettere sulle proprie esperienze - qualcu­no potrebbe anche dire «le cooperative porta­no l'acqua al proprio mulino» - ma che c'è da scandalizzarsi? Io vorrei che molti imprenditori privati accettassero un discorso di ruolo e di impegno in certi ambiti, perché credo che allora molti equivoci che esistono ancora nel rapporto tra pubblico e privato sarebbero facilmente, mol­to più facilmente, risolti rispetto a oggi.

Vi ringrazio per la vostra presenza e ancora per il vostro contributo: mi assumo l'impegno di coordinare con la Provincia di Torino ed il Co­mune di Torino quelle due sedi di discussione di ordine più generale, permanente, su tutta la tematica e quel gruppo che deve lavorare ai fini della elaborazione della convenzione-tipo. Grazie.

 

 

 

(1) Assessore alla Sanità e Assistenza della Regione Piemonte. Intervento tratto dalla registrazione.

 

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