Prospettive assistenziali, n. 71, luglio - settembre 1985

 

 

Notizie

 

 

RICONOSCIUTO IL DIRITTO AL LAVORO DEGLI INVALIDI TOTALI E DEGLI HANDICAPPATI PSICHICI

 

Riportiamo il testo integrale della circolare n. 15 emanata dall'Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione di Torino in data 13 marzo 1985.

 

«Essendo insorti dubbi ed interpretazioni di­vergenti sulle normative di cui agli artt. 1 e 5 della legge 2.4.68 n. 482, con la presente si chia­risce l'interpretazione e l'applicazione che lo scrivente Ufficio dà ai precetti contenuti nella legge.

L'art. 1, come noto, esclude dal diritto di usu­fruire delle disposizioni sul collocamento obbli­gatorio quei soggetti, tra gli altri, che abbiano perduto qualsiasi capacità lavorativa.

È sorta, conseguentemente, questione circa la iscrivibilità negli elenchi di cui all'art. 19 degli invalidi civili o del lavoro riconosciuti con per­centuale di riduzione della capacità lavorativa pari al 100%.

Su conforme parere del Ministero del Lavoro, il quesito deve essere risolto nel senso di con­sentire ai soggetti di cui sopra di usufruire dei benefici concessi dalla legge, a condizione che risulti da certificazione rilasciata da un Ufficiale Sanitario o del Servizio di Medicina Legale delle UU.SS.LL., che l'invalido possegga una residua capacità lavorativa.

In ordine all'art. 5 della legge, che individua i soggetti beneficiari esclusivamente negli af­fetti da invalidità fisica, escludendo, pertanto, gli invalidi psichici, la circolare ministeriale n, 101/80 ne aveva previsto la iscrivibilità negli elenchi di cui all'art. 19, nonché il conseguente beneficio dell'avviamento al lavoro.

La Magistratura si è quasi costantemente espressa in senso contrario e, da ultimo, la Corte Costituzionale ha sancito la conformità alla Co­stituzione del precetto normativo, invitando il legislatore a rivedere la suddetta norma. Stante la attuale descritta situazione di contrasto tra l'orientamento ministeriale e quello giurispru­denziale, nella considerazione del grave proble­ma sociale dei portatori di invalidità di natura psichica, nonché i numerosi interventi da parte di Organismi ed Enti pubblici e privati tendenti all'inserimento di tali soggetti nel mondo del lavoro, si dispone quanto segue:

1) qualora dalla certificazione di invalidità risulti in modo evidente ed inequivocabile che trattasi di invalidità di natura psichica, l'invalido verrà ugualmente iscritto nelle liste ma inserito in apposito elenco di non disponibili. Nei suoi confronti non potrà disporsi avviamento obbli­gatorio.

2) Qualora, invece, insorgano dubbi sulla na­tura dello stato invalidante, verrà invitato a sot­toporsi a visita presso l'U.S.L. competente, affin­ché certifichi la natura esclusivamente o par­zialmente psichica dell'invalidità.

3) Dell'elenco, con relativa apposita gradua­toria degli invalidi civili di natura psichica si terrà conto esclusivamente in occasione di ri­chieste, numeriche o nominative, che dovessero pervenire in loro favore da parte di aziende pri­vate o Enti Pubblici.

L'eventuale dichiarazione risultante dalla do­cumentazione prodotta dall'interessato, da cui si evince che l'invalido, per la natura e il grado della sua invalidità, può risultare di pregiudizio alla sicurezza degli impianti o alla incolumità dei compagni di lavoro, esclude; di per sé, e in­dipendentemente dalla natura dell'invalidità, la iscrivibilità del soggetto negli elenchi di cui all'art. 19 della legge in questione».

 

 

L'IMPORTANZA DELLA VISTA PER CHI NON SENTE

 

Organizzato dall'istituto per sordi di Sint Mi­chielsgestel in Olanda, si è svolto nei giorni 27 e 28 aprile 1985, un seminario sulla sindrome di Usher.

Vi hanno partecipato le seguenti nazioni: Bel­gio (con 2 rappresentanti), Danimarca (1), Fran­cia (3), Germania Occ. (1), Gran Bretagna (1), Irlanda (1), Italia (2), Olanda (1), Norvegia (1), Svezia (1), Svizzera (1). Per l'Italia, oltre al sottoscritto, ha partecipato la dr. P. Ceccarani di Osimo.

 

Cos'è la sindrome di Usher?

È la combinazione di due gravi minorazioni: sordità congenita e retinite pigmentosa. La reti­nite pigmentosa può aggravarsi con gli anni fino a ridurre il campo visivo a pochi gradi e in qualche caso può anche portare alla cecità. L'interesse degli educatori per questi argo­menti è relativamente recente. Infatti fra le 11 nazioni europee partecipanti a questo seminario, solo poche hanno già fatto qualcosa di concreto per aiutare chi ha questa sindrome: la Gran Bre­tagna, le nazioni scandinave, l'Olanda e il Belgio. Le altre sono allo stadio iniziale. Il che vuol dire che generalmente non si sa neanche in che cosa consiste la sindrome di Usher e quindi di conse­guenza quante sono le persone affette da questa sindrome e cosa si può fare per loro.

 

Le cifre

In questo seminario si è parlato di cifre. Più di un relatore ha detto che la percentuale di sordi congeniti che hanno la sindrome di Usher si aggira fra il 3 e il 6 per cento. Ciò vuol dire che se in Italia vi sono 70.000 sordi congeniti, si può calcolare che vi siano dalle 2.000 alle 4.000 persone affette da sindrome di Usher; cioè sordi gravi congeniti, che hanno la retinite pigmentosa. Queste percentuali erano già state fornite alla Conferenza mondiale di New York dell'agosto del 1984.

 

I sintomi

Quali sono i sintomi della retinite pigmento­sa? Chi soffre di questa malattia della retina: a) all'imbrunire non vede più; b) ha un campo visivo (progressivamente) ristretto; c) può ar­rivare ad avere una vista tubolare, cioè un campo visivo di pochi gradi (10 gradi ad esempio, in­vece dei 180 gradi normali).

La retinite pigmentosa è ereditaria. Si mani­festa raramente alla nascita, ma dai 4-5 anni in poi e in particolare nel periodo della pubertà e della menopausa, si hanno sintomi evidenti.

 

La diagnosi

In che consiste la diagnosi della retinite? In quattro esami: esame del fondo oculare, misura­zione del campo visivo, prove di adattamento al buio, elettroretinogramma (E.R.G.). Ovviamen­te la diagnosi è della massima importanza, ma spesso è di difficile realizzazione: sono pochi gli ospedali dove è possibile fare queste prove e si ha ancora poca esperienza.

 

Cose da fare

Le cose più urgenti da fare:

- diffondere fra tutti coloro che si occupano di persone sorde (centri diagnostici ospedalie­ri, centri educativi, genitori, ecc.) una corretta informazione sulla sindrome di Usher. Di mate­riale su questo argomento, ne abbiamo già pa­recchio;

- curare il lato psicologico sia di chi è affetto da questa sindrome, che dei suoi familiari. Alle volte la mamma di un ragazzo sordo, a cui è sta­ta diagnosticata la retinite pigmentosa, si sente dire: «Signora, suo figlio ha la retinite pigmen­tosa, cominci a fargli studiare il braille». Una frase così, oltre a non essere scientificamente corretta (infatti non è detto che la retinite pig­mentosa debba in tutti i casi portare alla cecità assoluta), dal punto di vista psicologico e umano è terribile. Bisogna invece avere molto tempo a disposizione per dedicarlo a discutere i vari aspetti della retinite in soggetti sordi congeniti.

Chi può fare queste cose? Il medico oculista per la parte diagnostica e poi un educatore ag­giornato su questi problemi, per la parte socia­le e pratica.

L'olandese signora Lieke de Leuw, che è stata l'organizzatrice di questo seminario, ha preparato diverso materiale per aiutare chi ha la sindrome di Usher, materiale che è stato dato a tutti i partecipanti.

 

Gruppo di studio

Questo seminario è risultato della massima importanza per il fatto che ha permesso a un ristretto numero di persone, 15, di scambiarsi le proprie esperienze. È stato deciso di riveder­ci ogni anno, come Gruppo di studio europeo sulla sindrome di Usher. Verrà diffuso anche un «Notiziario» semestrale per informare tutti gli interessati, professionisti, genitori e affetti da sindrome di Usher, su quanto viene fatto in tut­to il mondo in questo campo.

SALVATORE LAGATI

(Servizio di consulenza - Via Druso 7 - Trento)

 

 

LETTERA APERTA AGLI ORGANIZZATORI ED AI PARTECIPANTI DEL CONVEGNO «L'ASSISTENTE SOCIALE: CULTURA E IDENTITÀ DELLA PROFESSIONE - PROGETTO DI FORMAZIONE» (1)

 

Riceviamo e pubblichiamo:

 

«Il Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base esprime le più vive preoccu­pazioni in merito ad alcuni gravissimi episodi, i quali dimostrano che i rapporti degli operatori con gli assistiti non sono sempre fondati sulle esigenze di questi ultimi.

Mentre numerosi sono gli addetti ai servizi sanitari e assistenziali che intervengono in mo­do corretta, vi sono alcune situazioni allarmanti. Ad esempio, vi sono assistenti sociali ospeda­lieri che svolgono, spesso con zelo degno di miglior causa, una funzione di "buttafuori" di anziani cronici non autosufficienti. Senza infor­mare i parenti circa i diritti degli anziani alle cu­re sanitarie, comprese quelle ospedaliere, stabi­lite da leggi in vigore, sovente vengono compiute pressioni anche pesanti per le dimissioni dagli ospedali di persone che abbisognano ancora di cure e/o di riabilitazione.

A volte i parenti sono consigliati ad accettare il trasferimento in strutture situate molto lon­tano da Torino (Bagnolo Piemonte, S. Dalmazzo, ecc.), per cui viene resa praticamente impossi­bile la continuazione dell'assistenza familiare al malato.

Ricordiamo inoltre la sentenza di condanna (sei mesi di reclusione, pagamento delle spese processuali, interdizione dai pubblici uffici per un anno, concessione della condizionale) pronun­ciata il 28 marzo 1984 dalla IV Sezione penale del Tribunale di Torino nei confronti di una assi­stente sociale e di un ispettore sanitario dell'Ospedale Molinette. L'imputazione era la se­guente: "Aver abbandonato N.S. (il quale non era in grado di provvedere a se stesso sia per vecchiaia sia in relazione alla particolare situa­zione di tempo e di luogo in cui avvenne il fatto: aveva 94 anni, era appena giunto dall'Ospedale di Pietra Ligure dopo una lunga degenza, era un giorno assai freddo del mese di febbraio, in ora tarda e buia ed essendo il N. vestito del solo pi­giama e della vestaglia) non consegnandolo al momento della dimissione a familiari o a perso­ne da loro indicate, ma facendolo trasportare da solo a bordo di un taxi nelle vicinanze di un numero civico in cui era sito un alloggio abitato da persone le quali avevano le chiavi di quello del N.".

Dobbiamo inoltre ricordare le condanne inflit­te dal Tribunale di Torino:

- a tre operatori per aver cagionato "per colpa, cioè per negligenza, imprudenza, imperi­zia ed inosservazione di leggi, regolamenti e di­scipline, la morte di TI., ricoverato presso l'isti­tuto per la vecchiaia di Torino", (sentenza del 24.3.1983);

- a due educatori dipendenti dalla Provincia di Torino "e come tali incaricati di pubblico ser­vizio" poiché "indebitamente rifiutavano di assi­stere il minore handicappato Z.R. nonostante l'or­dine di servizio disposto dal superiore gerarchi­co" (sentenza del 7.4.1983).

A causa della gravità dei fatti citati (e di molti altri segnalati al Comitato per la difesa dei di­ritti degli assistiti), il CSA propone all'Associa­zione assistenti sociali l'organizzazione di con­fronti, in modo da ricercare le possibili urgenti soluzioni a tutela dei diritti degli assistiti.

 

Formazione di base e permanente degli assistenti sociali

Il CSA ritiene che la formazione di base debba essere organizzata in modo da tener con­to del suo inscindibile collegamento sia con la programmazione e gestione dei servizi sia con le iniziative di aggiornamento professionale.

Ne deriva che la formazione di base degli as­sistenti sociali non dovrebbe essere di compe­tenza dell'Università, ma delle Regioni e delle Unità socio-sanitarie locali (non tutte, ma solo alcune) sulla base di indicazioni generali definite a livello nazionale.

Il titolo rilasciato dalle USSL dovrebbe essere equiparato alla laurea a tutti gli effetti».

 

 

 

(1) Il convegno ha avuto luogo a Torino il 3 maggio 1985.

 

www.fondazionepromozionesociale.it