Prospettive assistenziali, n. 70, aprile - giugno 1985

 

 

PRECISAZIONE DI LUCIANO ONIDA

 

 

Riceviamo e pubblichiamo.

 

Ho letto sul n. 69 (gennaio-marzo 1985) di co­desta Rivista l'articolo «La Morante, Bacchelli e gli altri; a quando un appello per i vecchi non illustri?» che condivido nelle sue linee generali. Rilevo poi di essere stato ampiamente citato a proposito del mio articolo su «La Granda» n. 2-3/1984 e di ciò Vi ringrazio. Devo tuttavia stigmatizzare la frase introduttiva alla mia cita­zione (p. 3) dove si dice che «Anche il dott. Luciano Onida... ha modificato la sua posizione», perché non è affatto vero che io abbia cambiato le mie idee a proposito.

Fin dal mio primo intervento su «Prospettive sociali e sanitarie» (n. 21/1982) affermavo che non si poteva pensare di risolvere il problema degli anziani cronici semplicemente richiedendo che gli ospedali (senza specificazioni ulteriori) fornissero a questo tipo di utenti un'assistenza gratuita e senza limiti di tempo, per il semplice motivo che, dato il sempre maggior numero di anziani e/o di cronici, si sarebbe giunti ad una rapida saturazione dei posti-letto, con trasforma­zione in breve tempo degli ospedali per acuti in istituti per lungodegenti, fornendo oltretutto una assistenza costosa e non delle migliori anche sul piano umano. Io suggerivo la realizzazione di strutture specifiche, non intendendo con questo termine dei cronicari e dei gerontocomi di infau­sta memoria, ma semplicemente istituti o reparti appositamente previsti ed adeguati allo scopo, inseriti o meno in ospedali generali. Tutti i miei successivi interventi in materia non hanno fatto che ribadire questo concetto, ed anche l'articolo su «La Granda» (ripreso poi da «Iniziativa Ospedaliera», n. 5-6, 25 marzo 1985) analizza maggiormente il problema ma non modifica il contenuto dei miei precedenti articoli.

Vi prego pertanto di voler rettificare l'afferma­zione di un mio ripensamento o di un riconosci­mento da parte mia di precedenti mie opinioni errate.

LUCIANO ONIDA

 

 

Rispondiamo riportando integralmente l'artico­lo di L. Onida, apparso su Prospettive sociali e sanitarie, n. 29, 1° dicembre 1982.

 

Su «Prospettive Sociali e Sanitarie» n. 16/ 1982, Francesco Santanera sostiene che gli an­ziani hanno diritto ad una assistenza ospedaliera gratuita e senza limiti di tempo.

Questa ultima affermazione rappresenta una tesi veramente sorprendente. Sono pienamente d'accordo sul fatto che l'età non deve costituire un criterio di ammissione o di esclusione al ri­covero ospedaliero, il quale deve essere possi­bile ogni volta che esso rappresenti un vantaggio reale per il paziente. Attenersi a questo ovvio e ragionevole criterio significa che un paziente an­che ultraottantenne ha diritto ad essere ricove­rato se presenta, ad esempio, problemi infettivi, cardiologici, respiratori, chirurgici, ortopedici e via discorrendo che possono essere affrontati e curati in ospedale e solo in ospedale; per con­verso, una persona anche giovane non dovrebbe essere ricoverata se necessita di esami diagno­stici o di terapie facilmente e più economicamen­te effettuabili ambulatoria] mente o mediante day­hospital. È altrettanto ovvio, però, che l'età può costituire alle volte un criterio discriminante se esiste un problema, per esempio, oncologico; procedere a complessi iter diagnostici in ospe­dale per una esatta precisazione istologica di un tumore o ricoverare casi di metastasi diffuse di neoplasie note, ha significato se si tratta di un soggetto che potrà alla fine essere operato o sot­toposto a polichemioterapia curativa o palliativa, in funzione delle sue condizioni cardiache, respi­ratorie, metaboliche ecc.; qui ovviamente l'età è un fattore critico perché nessun chirurgo od on­cologo sottoporrebbe un ottantenne ad interventi demolitori o a terapie notoriamente tossiche che non farebbero che accorciare la vita del paziente. Ed allora, a che servono lunghi esami, magari fa­stidiosi e costosi, e di conseguenza lunghe de­genze, per concludere alla fine che comunque non c'è niente da fare di radicale e che l'unica terapia possibile è quella sintomatica, per lo più attuabile a domicilio?

Ancora un'altra considerazione. Il ricovero in ospedale generale per acuti deve avere scopi dia­gnostici e terapeutici e non esclusivamente assi­stenziali, tanto è vero che l'ospedale è definito un istituto di diagnosi e cura. Se un ospedale ge­nerale tenesse ricoverati tutti gli anziani e i cro­nici che ne facessero richiesta, ben presto satu­rerebbe i suoi letti e si bloccherebbe l'attività per la quale è specificamente previsto, non sa­rebbe cioè più in grado di ricoverare chi neces­sita, come dicevo prima, di esami diagnostici o di terapie complesse. Se poi questo ipotetico ospedale possiede un Pronto Soccorso al quale affluiscono, come avviene a Milano per i quattro grandi ospedali dotati appunto di Pronto Soc­corso, non meno di 50-60 o più pazienti al giorno, come farebbe a gestire tutta questa massa di pa­zienti se le sue capacità recettive fossero annul­late da degenze interminabili?

A mio parere l'assistenza del cronico, anziano o meno, che non può essere seguito a domicilio, deve essere organizzata e realizzata in strutture specifiche, comunque vengano chiamate, che non possono non costare di meno di un ospedale ge­nerale. Santanera contesta questa affermazione perché, scrive, i costi fissi di un ospedale sono uguali a quelli di una casa di riposo, senza i costi aggiuntivi di impianto e funzionamento delle at­trezzature specialistiche. Questo sarebbe vero se gli ospedali fossero semivuoti o facilmente ampliabili; ma, posto che la maggior parte degli ospedali, almeno nelle città, sono strapieni e non riescono a rispondere in tempi ragionevoli nem­meno alla domanda di ricovero specifico, i casi sono due:

a) gli ospedali esistenti saturano le loro capa­cità ricettive con i pazienti cronici giungendo ben presto ad una paralisi funzionale ed ad un assurdo stravolgimento delle loro finalità; oppure

b) si creano nuovi ospedali per rispondere alle aumentate esigenze, con costi costruttivi e ge­stionali sicuramente superiori a quelli necessari per un buon istituto per cronici, che deve svol­gere prevalentemente compiti assistenziali e che non necessita di apparecchiature diagnostiche costosissime, di laboratori attivi 24 ore su 24 e di personale altamente specializzato.

Se infine la proposta di Santanera è quella di istituire reparti di lungodegenza, o geriatrici inseriti in ogni ospedale, allora è solo questione di termini, perché, indipendenti o collegati ad un ospedale, si tratta sempre di sezioni specificamente addette alle cure dei cronici.

LUCIANO ONIDA

 

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