Prospettive assistenziali, n. 70, aprile - giugno 1985
Editoriale
PERCHÉ DICIAMO NO ALLA
PRIVATIZZAZIONE DELLE IPAB
Il Cottolengo (la Piccola
casa della Divina Provvidenza, quella città nella città dietro a Torino -
Porta Palazzo, «l'impero della misericordia» con istituti in Kenia, India, Stati Uniti, Svizzera, Francia;
duemila ricoverati a Torino, quattromila in tutta Italia), figura nel lungo
elenco di risparmiatori-speculatori
che hanno affidato il loro denaro all'istituto Fiduciario Lombardo (IFL) di
Vincenzo Cultrera, l'ex amministratore delegato poi
inseguito da un mandato di cattura (1).
La «Piccola casa della Divina Provvidenza» aggiunge
il suo nome a quello di almeno 80 mila italiani «vittime» del crack dei cosidetti «titoli atipici». Ma le cifre in ballo, riferite
dai giornali, fanno ritenere che l'istituzione assistenziale
piemontese fosse il cliente più importante dell'IFL, con investimenti di forte
entità concentrati in particolare su una operazione avente per oggetto alcuni
grandi hotel ad Ischia. Si parla di decine di miliardi (trenta? quaranta?).
Nessuna smentita è venuta dai responsabili del Cottolengo, i quali non hanno ritenuto di emettere nemmeno
un comunicato-stampa.
Delle vicende dell'IFL e della destinazione dei grand-hotel se ne occuperà la
magistratura.
Può essere interessante, invece, vedere quale lezione
può venire da questa esperienza che ha coinvolto in
modo pesante una istituzione privata di ricovero e quali considerazioni si
possono trarre, per farne frutto in relazione al necessario riordino del
sistema assistenziale italiano.
Il Cottolengo è una istituzione atipica nel panorama assistenziale del
nostro Paese. Non è una IPAB (Istituzione pubblica di
assistenza e beneficenza, anche se, secondo alcuni, il non inquadramento fra
le IPAB è ingiustificato); non deve rendere conto del suo operato e della
gestione del patrimonio né alla Stato, né agli enti
locali, né alla autorità ecclesiastica. Nessuno è in grado di valutare la forza
finanziaria di questo «impero della Provvidenza», costituito - si dice - sulle
elemosine e sulle donazioni. Si è scritto che, per gestire il suo apparato
(cento case in tutto il mondo, due ospedali), spenda circa tre miliardi e mezzo
al mese (poco più di quaranta miliardi all'anno).
Ma quali siano le sue
entrate è impossibile dirlo.
È ancora più difficile sapere come vengono gestite
le somme eccedenti le spese correnti: per investimenti
a favore degli assistiti o in altre operazioni?
Sul problema crediamo sia doverosa una prima
osservazione: se, come alcune forze insistono da anni, buona parte delle IPAB di oggi esistenti in Italia (9 mila enti, 114 mila
assistiti, 35 mila operatori, patrimoni per almeno 30 mila miliardi) venisse
privatizzata, cadrebbe automaticamente tutta quella serie di norme oggi
esistenti a garanzia degli assistiti e dei patrimoni.
La situazione è oggi ancora più problematica a
seguito della approvazione da parte del Parlamento
del disegno di legge n. 2337 «Disposizione sugli enti e beni ecclesiastici in
Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi»
(2).
La storia si ripete
Pur senza tentare generalizzazioni - che, in assenza
di una rigorosa e completa indagine nazionale non possono essere suffragate
dai dati - si ha ragione di ritenere che le proprietà di molte IPAB, specie
quelle immobiliari, siano solo in minima parte
utilizzate direttamente per attività assistenziali (3).
Molto spesso, la costruzione di un istituto di assistenza è stato strumento per una operazione
speculativa sulle aree, per renderle fabbricabili. In un lato dell'area, nel
luogo opportuno, spesso il meno idoneo, viene
edificato l'istituto, magari utilizzando i contributi dello Stato, delle Regioni,
di altri enti. Quindi, si ottiene la costruzione di strade di
accesso, l'allacciamento degli impianti di acqua potabile, della luce,
del gas, del telefono, e, se è possibile, anche il prolungamento di una linea
della rete autotranviaria. A questo punto, tutta
l'area subisce un notevole incremento di valore ed il gioco è fatto.
Un altro aspetto è quello relativo
agli immensi patrimoni immobiliari di certi enti assistenziali, che
non vengono quasi mai messi direttamente a disposizione degli assistiti. È
noto, ad esempio, come la carenza di alloggi ad equo
canone sia una delle cause principali della istituzionalizzazione degli
anziani. E, mentre - salvo rare eccezioni - non si ha notizia di alloggi assegnati ad assistiti, le proprietà immobiliari
hanno consentito, in alcuni casi, operazioni clientelari anche consistenti
(4).
Altri casi. A Venezia, i Padri armeni
dell'Isola di San Lazzaro hanno dovuto rivolgersi al Vaticano
e alla Congregazione per le Sacre chiese orientali perché una società che
avrebbe dovuto far fruttare il loro patrimonio immobiliare ha condotto,
invece, al sequestro dei beni residui dei Padri, a cominciare da una preziosa
mummia e da un dipinto del Tiepolo.
Superfluo, poi, citare il dissesto del vecchio Banco
Ambrosiano, che oltre a coinvolgere l'istituto per le opere di religione del
Vaticano, inflisse un duro colpo alle finanze di decine di istituzioni
religiose, fra cui la stessa Fabbrica del Duomo di Milano (5).
C'è un filo comune in queste vicende? Ognuna fa
storia a sé, ma c'è una caratteristica che avvicina alcuni enti assistenziali: quando c'è da investire del denaro,
abbastanza spesso si riscontra una vistosa inadeguatezza della struttura che deve
fronteggiare un mercato finanziario sempre più insidioso.
Una inadeguatezza che, unita ad ingenuità e buona fede
(ma queste istituzioni sono poi sempre «vittime»?) finisce nel migliore dei
casi a lasciare spazio a finanzieri «disinvolti».
Uno strumento di sottogoverno
L'attuale organizzazione del sistema assistenziale -
del quale le IPAB rappresentano uno dei cardini principali - finisce dunque con
l'essere, al di là della buona fede di molti che
operano nelle istituzioni, un notevole strumento di sottogoverno. In
particolare:
- un forte
strumento di emarginazione delle fasce più deboli
della popolazione;
- uno strumento
di potere economico, come risulta dall'uso dei
patrimoni delle IPAB, spesso imponenti, come testimonia il recente caso Cottolengo - Cultrera;
- uno strumento
per raccogliere voti, come risulta dall'esame dei
seggi elettorali interni agli istituti (compresi quelli del Cottolengo)
(6);
- un freno alle
riforme della casa, della scuola, della sanità,
della organizzazione del lavoro, ecc.
Ecco perché è importante che il legislatore metta
finalmente mano ad una riforma dell'assistenza, che
faccia perno sugli enti locali, unificando a questo livello tutte le
competenze e tutte le risorse, già pubbliche, oggi disponibili, evitando i
rischi di una qualsiasi privatizzazione delle IPAB. I fatti di questi anni
dimostrano come percorrere la strada della privatizzazione si
ripercuota negativamente sugli assistiti, sia perché finisce col disperdere i
patrimoni «dei poveri», sia perché si rafforzano gli alibi per l'autoconservazione delle strutture emarginanti.
Patrimoni dispersi in pochi anni
La privatizzazione delle IPAB - hanno sempre
sostenuto le forze che lavorano per la conservazione del potere assistenziale - è una strada per evitare la dispersione dei
patrimoni nel «mare magnum» degli enti locali e
continuare ad assicurare all'ente le risorse necessarie a perseguire le
finalità indicate da «tavole di fondazione» e statuti.
Il caso Cottolengo - Cultrera ben illustra come ciò non sia
vero. Infatti, se le IPAB diventano enti morali con personalità giuridica di
diritto privato, non sono più soggette praticamente ad
alcun controllo. Solo le vendite dei beni devono essere preventivamente
autorizzate, autorizzazione che, in pratica, è una
pura formalità.
Inoltre, agli enti morali è
concesso, a differenza di quanto prevede la legge del 1890 sulle IPAB, che gli
introiti derivanti dal realizzo di patrimoni possano essere utilizzati per le
spese di gestione. Infine non vi
è alcuna garanzia che l'attività si mantenga nel campo
dell'assistenza. Strutture e patrimoni possono essere utilizzati per fini che
nulla hanno a che fare con l'assistenza. Pertanto, vi è da prevedere che in
pochi anni, se le IPAB venissero privatizzate, molti
patrimoni verrebbero dispersi.
Questo discorso, ovviamente, sarebbe incompleto se
non sottolineassimo la necessità di un controllo
rigoroso - anche da parte dei gruppi di base - sull'utilizzo reale delle
strutture assistenziali e dei patrimoni a fini extra-assistenziali.
Tuttavia, è importante comprendere la differenza sostanziale che vi è fra le
due diverse situazioni. Nel caso della conferma della natura pubblica delle
IPAB, la normativa dovrebbe continuare a recepire gli
articoli della legge Crispi e del successivo
regolamento di attuazione che riguardano la tutela dei patrimoni e la
vigilanza sulla loro destinazione in caso di trasformazione, incorporamento,
estinzione degli enti. Nel caso di una privatizzazione delle IPAB, si
lascerebbe - come abbiamo visto - via libera ad ogni tipo di utilizzo
delle risorse.
Resta preferibile, a nostro avviso, il trasferimento
delle IPAB agli enti locali, col vincolo della destinazione dei patrimoni e del
personale ai servizi di assistenza sociale.
Un alibi per l'autoconservazione
L'esperienza insegna che chi gestisce le strutture
di ricovero non è, di norma, favorevole alla deistituzionalizzazione.
Lo dimostra il fatto che - in questi anni di riforme -
gran parte degli istituti non ha puntato alla istituzione di servizi
alternativi. Ha cercato, invece, una mera riconversione dei ricoveri verso le
fasce di popolazione meno protette, passando dai
minori agli handicappati, dagli handicappati agli invalidi più gravi, dagli
anziani ai cronici, garantendosi così, comunque, le rette necessarie alla autoconservazione.
Ancora l'esperienza dimostra che rarissimi sono gli
enti privati che hanno chiuso gli istituti di ricovero e aperto
servizi alternativi.
Superare l'emarginazione
Sarebbe porre un falso obiettivo, comunque,
indicare solo nel superamento delle IPAB il vero risultato da raggiungere.
Il nodo reale da sciogliere è il superamento della istituzionalizzazione, sia pubblica che privata. Il
trasferimento delle IPAB agli enti locali è condizione necessaria
ma non sufficiente: può assicurare le risorse e le energie professionali
necessarie, ma occorre riconvertire le strutture per garantire i nuovi servizi
non emarginanti. Per raggiungere questo obiettivo, è
auspicabile anche la partecipazione degli enti privati, purché non abbiano
finalità speculative. Occorre perciò definire in modo inequivocabile che cosa si intende per «ente privato senza fine di lucro», e quali
siano le forme e le modalità di controllo.
Sotto questo punto di vista, dunque, l'attenzione prioritaria del legislatore, delle forze politiche,
sindacali e sociali, delle associazioni di tutela di minori, handicappati,
anziani, deve essere posta al dovere di garantire a tutti i cittadini il pieno
e libero sviluppo della personalità e la loro partecipazione alla vita del
paese. Una attenzione prioritaria alle reali esigenze
della fascia più debole della popolazione, e non alle strutture, ai tentativi
di sopravvivenza delle istituzioni, alle polemiche dove l'oggetto del contendere
è ridotto al solo «sì» o «no» nei riguardi della presunta autonomia di certi
enti.
A quando la ripresa del dibattito parlamentare sui
progetti di riforma dell'assistenza? A quando,
finalmente il varo della nuova legge-quadro?
(1) Cfr. i quotidiani italiani del 23, 24, 25 aprile 1985. La
notizia, data per prima dal Corriere
della Sera, è stata ripresa da tutta la stampa nazionale nei giorni
seguenti. Cfr. in
particolare: La Repubblica, 24 e 25
aprile 1985.
(2) Vedi, in questo numero, l'articolo
di M. DOGLIOTTI, «Il "pasticcio" degli enti ecclesiastici e il
destino delle IPAB».
(3) Cfr. M. TORTELLO, F. SANTANERA, L'assistenza espropriata, Nuova Guaraldi Editrice, Firenze, 1982, pp. 69 e segg. Cfr. inoltre, P. GRIMALDI,
R. GRIMALDI, Il potere della beneficenza,
Franco Angeli, Milano, 1983.
(4) Cfr. M.
TORTELLO, F. SANTANERA, cit., pp. 76 e segg.
(5) I due esempi sono citati da M.
TEDESCHIN, «Anche il Cottolengo di
Torino "vittima" del crack Cultrera», in Corriere della Sera, 23 aprile 1984, p.
1.
(6) Cfr. G.
LATTES - F. TONIZZO, Istituti di assistenza e dati elettorali,
in Prospettive assistenziali, n. 23,
luglio-settembre 1973.
www.fondazionepromozionesociale.it