Prospettive assistenziali, n. 70, aprile - giugno 1985

 

 

Notiziario dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale

 

 

UNA LETTERA SUGLI ANZIANI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI

 

Pubblichiamo il testo integrale della lettera in­viata in data 12 febbraio 1985 dal Presidente dell'ULCES al Direttore della rivista «Difesa socia­le» il quale ha risposto precisando che la rivista stessa «nel suo indirizzo programmatico, non può accogliere articoli che si riferiscono a valu­tazioni o giudizi sul contenuto degli articoli pub­blicati».

 

Testo della lettera dell'ULCES

 

Nell'articolo di Claudio Renzi e Roberto Pavan «Il centro per anziani, schema tipo e organizza­zione», apparso sul n. 5, 1984, della rivista da Lei diretta, ancora una volta viene avanzata la propo­sta di espellere decine di migliaia di anziani ma­lati dal settore sanitario per inserirli nelle cosid­dette case protette, che differiscono dai croni­cari solo per la diversa denominazione.

In esse, secondo gli Autori, dovrebbero infatti essere ricoverati gli anziani «allettati, cronici irrecuperabili, cronici recuperabili, lungoconvale­scenti, anziani da sottoporre a lunghe cure ria­bilitative».

Al riguardo questa Unione desidera osservare che da moltissimi anni l'assistenza sanitaria spetta senza limiti di durata ai pensionati colpiti da malattie croniche (Cfr. la legge 4 agosto 1955 n. 692).

L'anno successivo, il decreto 21 dicembre 1956 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale definisce le malattie specifiche della vecchiaia e ribadisce che: «le manifestazioni morbose di cui al precitato elenco sono assistibili senza limiti di durata, dopo l'età pensionabile purché siano suscettibili di cure ambulatoriali e domiciliari. Per tali forme morbose è analogamente concessa l'assistenza ospedaliera, quando gli accertamen­ti diagnostici, le cure mediche e chirurgiche non siano normalmente praticabili a domicilio, ma richiedono apprestamenti tecnici e scientifici ospedalieri».

La riforma ospedaliera del 1968 (legge 12 feb­braio 1968 n. 132) ribadisce questi diritti, pre­vedendo, all'art. 29: «Ciascuna Regione provve­de a programmare i propri interventi nel settore ospedaliero (...) e indica la previsione degli inter­venti regionali relativi all'impianto di nuovi ospe­dali, alla trasformazione, ammodernamento e sop­pressione degli ospedali esistenti in relazione al fabbisogno dei posti letto distinti per acuti, cro­nici, convalescenti, lungodegenti (...)».

Gli enti ospedalieri, quindi, sono tenuti ad ac­cogliere senza limiti di durata e gratuitamente tutti gli anziani cronici predisponendo i necessa­ri posti letto e le relative dotazioni in attrezzatu­re e personale.

Va aggiunto che, ai sensi dell'art. 41 della legge 132/1968, l'ammissione e la dimissione dei pazienti dagli ospedali deve ispirarsi al prin­cipio «della obbligatorietà del ricovero nel caso in cui ne sia accertata la necessità (...)».

L'innovativo concetto della necessità è chiari­to dalla sentenza del Tribunale di Savona del 31 maggio 1958: «Il ricovero deve essere necessa­rio soggettivamente e non oggettivamente (...) in quanto anche una malattia che normalmente può essere curata ambulatoriamente o in casa può rendere necessario, in un determinato stadio del suo decorso, il ricovero del malato in ospedale».

Il concetto di «necessità» deve quindi essere valutato in relazione alle condizioni reali esistenti in merito alla possibilità effettiva di poter prati­care le cure a domicilio o in ambulatorio. Inoltre, occorre tener conto che ogni malattia è sempre suscettibile di cure anche se si tratta di malattia inguaribile. Non esiste malattia di fronte alla quale non si possa prescrivere una terapia effi­cace, suscettibile cioè di provocare un effetto: l'efficacia terapeutica non va confusa con la gua­ribilità.

La legge di riforma sanitaria del 1978 non ha modificato i diritti acquisiti dagli anziani, preve­dendo anzi per tutti cure gratuite e senza limiti di durata.

Le leggi vigenti, quindi, danno agli anziani cro­nici il diritto ad essere curati a domicilio o in ospedale. Un diritto che non deve più essere calpestato.

Dunque, per la cura degli anziani cronici non devono e non possono intervenire il settore del­l'assistenza sociale, le case di riposo, i cronicari, le case protette, ma esclusivamente servizi, strutture e personale sanitario.

Perché questa posizione è importante? In pri­mo luogo perché gli ospedali scaricano sempre più sulle case di riposo anziani che, se curati e riabilitati, potrebbero vivere più a lungo ed ave­re livelli maggiori e migliori di autosufficienza. Se gli ospedali hanno la convenienza economica a scaricare gli anziani, se il carico di lavoro diminuisce allontanando i vecchi, allora gli ospe­dali saranno incentivati a cronicizzare.

In secondo luogo, se gli anziani malati cronici vengono inviati nelle case di riposo, allora sono a carico loro e dei parenti le rette che arrivano fino a 50-60 mila lire al giorno.

In terzo luogo, se si concentrano gli anziani nelle case di riposo, occorre, per la gestione, personale che dall'assunzione al pensionamento (cioè anche per 30 anni di seguito) lavori sui cronici. Quasi nessuno regge per tanti anni a questo tipo di lavoro. Se la cura degli anziani cronici è di competenza della sanità, allora è possibile prevedere la mobilità del personale dagli acuti e dai lungodegenti ai cronici.

Un motivo portato a giustificazione della espul­sione degli anziani cronici non autosufficienti, è quello della spesa eccessiva nel loro manteni­mento in ospedale e del costo inferiore in un cronicario.

La sistemazione ospedaliera costa di più? Ri­spondo di sì, se parliamo di una cura idonea con le opportune terapie, gli interventi di riabilitazio­ne e di mobilitazione, per consentire all'anziano il massimo di autonomia possibile. Certo, costa di più di un facile ricovero in istituto.

Invece, se si vuole far credere che, a parità di trattamento, il costo ospedaliero è superiore, allora - in buona o in cattiva fede - non si afferma il vero.

Il personale, il vitto, il riscaldamento, le pre­stazioni sanitarie e assistenziali costano nella stessa misura in un ospedale o in una casa di riposo. Anzi, in ospedale non ci sono i costi ag­giuntivi di impianto e di funzionamento delle at­trezzature specialistiche, necessarie per una con­duzione accettabile delle case di riposo che rice­veranno cronici.

Non è corretto, inoltre, prendere come riferi­mento la «retta» ospedaliera, per la cui deter­minazione si fa la media fra i costi, ad esempio delle medicine, con i reparti di alta specializza­zione (cardiochirurgia, trapianto dei reni, neuro­chirurgia, ecc.) e si mettono insieme le spese relative alle attività svolte ambulatoriamente dall'ospedale.

Il costo effettivo di ricovero in ospedale dei cronici non autosufficienti, deve essere calcolato in base alle spese sostenute e da sostenere per il personale, le strutture e le attrezzature, il vit­to e gli altri costi aggiuntivi: ad esempio, se ad un reparto di medicina generale con 60 posti letto se ne aggiungono 20 per cronici, il costo deve essere calcolato non sul totale delle spese dell'ospedale divise per il numero dei posti letto, ma sommando i costi aggiuntivi determinati dall'inserimento dei 20 posti letto; quindi in base ai medici, infermieri, terapisti, inservienti da as­sumere o mettere a disposizione; ai pasti in più da somministrare; al riscaldamento, pulizia, ma­nutenzione dei locali aggiuntivi e alle altre spese derivanti dall'inserimento di questi posti letto.

Inoltre vorrei far presente che non si può af­fermare che la «deprivazione di ruolo» riguardi tutti gli anziani. A mio avviso la deprivazione di ruolo riguarda i lavoratori dipendenti e non i pro­fessionisti, gli artigiani, i commercianti, i con­tadini.

Infatti, per gli appartenenti alle suddette cate­gorie, la pensione rappresenta un reddito aggiun­tivo rispetto a quello di lavoro. Dunque, salvo situazioni di sopraggiunta malattia o invalidità, il pensionamento rappresenta un aumento dei red­diti senza che ne sia modificata l'attività svolta e quindi senza che vi siano cambiamenti in nega­tivo del ruolo sociale.

Infine vorrei rilevare che la creazione di centri destinati esclusivamente agli anziani e l'accen­tramento in un unico edificio di alloggi protet­ti rappresentano una inaccettabile modalità di emarginazione. Gli anziani non sono esseri peri­colosi da cui difendersi, né sono portatori esclu­sivamente di esperienze e valori negativi. Non si comprende pertanto perché debbano essere previste strutture che li isolino dal resto della popolazione.

 

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