Prospettive assistenziali, n. 70, aprile - giugno 1985

 

 

Notiziario dell'Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie

 

 

STORIA DI UN AFFIDAMENTO FAMILIARE A TARANTO

 

Pubblichiamo integralmente la lettera che i coniugi A.T. e G.P. hanno inviato in data 5 marzo 1985 al Presidente del Tribunale per i minorenni di Lecce e al Procuratore della Repubblica pres­so il Tribunale suddetto, al Consigliere dirigente della Pretura unificata di Taranto, al Sindaco del­la stessa città, all'Assessore alla sicurezza so­ciale e al Coordinamento dei Servizi sociali, al Gruppo coordinamento «Affidamento familiare» e al Centro studi «Problematiche minorili».

La legge 4 maggio 1983 n. 184 «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori» pre­vede interventi adeguati alle esigenze dei mi­nori. È però necessario - com'è ovvio - che coloro che sono chiamati ad interpretarla non agiscano in modo sconsiderato.

 

 

Testo della lettera

 

È la storia di Angela B., 12 mesi, data in affi­damento temporaneo, secondo le disposizioni contemplate nella legge n. 184 del 4.5.1983, ad una coppia di Taranto, gli stessi relatori di que­sta nota, i signori P.G. e T.A.

La legge è, a nostro avviso, un segno tangibile di progresso civile ed umano, ma, alla luce della esperienza fatta personalmente sulla nostra pel­le e su quella meno «coriacea» della piccola protagonista, ci sembra di poter affermare, sen­za esitazione alcuna, che l'applicabilità della leg­ge è ben lontana dal potersi realizzare.

L'esposizione dei fatti è molto semplice. Nel mese di gennaio del 1984, al Servizio sociale del quartiere Tamburi, veniva formulata richiesta, da parte di una donna di 23 anni, di affidamento familiare momentaneo della minore dei suoi tre figli, Angela di 12 mesi, ad idonea famiglia, es­sendo presenti all'interno del nucleo familiare di appartenenza, gravi problemi che compromette­vano il normale sviluppo psico-fisico della bam­bina.

La richiesta veniva accolta dal Servizio sociale competente il quale procedeva ad individuare nella realtà, le cause che avevano indotto la giovane ad elaborare una scelta tanto impe­gnativa.

Quanto riferito dal Servizio sociale, trovava poi successiva conferma nella reciproca cono­scenza; ossia nel nucleo familiare in argomento esisteva un generale disagio economico (la don­na viveva sola, senza reddito, con i suoi tre figli di cui due avuti da un precedente matrimonio terminato con il divorzio e Angela, nata in se­guito ad una breve convivenza con un giovane, resosi irreperibile a distanza di pochi mesi dalla nascita della figlia) e una sorta di «complicità» di natura psicologica nei confronti della minore «illegittima», da parte di tutti i parenti della ragazza i quali non avevano mai accettato la «il­lecita» convivenza né la sua diretta appendice, unanimemente considerata come segno di degra­do morale per l'intera famiglia.

Sembra assurdo ai nostri tempi, ma in questo contesto familiare è stata usata più volte la pa­rola «bastarda» per indicare la piccola Angela.

Troncato ogni rapporto con la propria famiglia di origine, priva di ogni sostegno, morale e ma­teriale, per sé ed i suoi figli, oberata di debiti, preso atto della definitiva scomparsa del convi­vente, la signora si rivolgeva al Servizio sociale di quartiere, proponendo la soluzione più conge­niale ai suoi problemi, nell'intento di poter acqui­sire una maggiore autonomia da impegnare in un'attività lavorativa da cui trarre sostentamento.

L'affidamento di Angela, il membro della fami­glia più vulnerabile e maggiormente esposto ai pericoli di una situazione così «comprometten­te» per il suo normale sviluppo, vide come primi momenti operativi, il susseguirsi di frequenti in­contri tra le parti coinvolte, al fine di facilitare un «trapianto» assai delicato e assicurare il pieno rispetto delle esigenze di tutti i protago­nisti e principalmente, di quelle addebitabili al­la minore.

Il progetto, stilato dal Servizio sociale di zona, veniva reso esecutivo dall'autorità giudiziaria competente e la durata del provvedimento era fissata in mesi dodici.

Le condizioni fisiche della bambina, subito do­po la immissione nella nostra famiglia, secondo il referto rilasciato dal medico curante, erano le seguenti: peso corporeo Kg. 7, presenza di evi­denti segni di rachitismo, fontanella cranica no­tevolmente pervia, dentizione pressoché assen­te, dissenteria cronica da alimentazione insuffi­ciente ed iniqua, distrofia di secondo grado con aspetto vecchieggiante, mancanza di difese im­munitarie (non aveva praticato alcuna vaccina­zione).

Il quadro è ancora più complesso ma, per fa­cilità di lettura, ci limiteremo ad affermare che veniva affrontato immediatamente un discorso serio ed impegnativo relativo ad esami medici e a terapia intensiva a base di calcio e di vitamine, il tutto preceduto da una prima fase di terapia antidissinterica, coadiuvata da dieta appropriata e controlli medici periodici.

Il senso di responsabilità che ci ha coinvolto, in qualità di affidatari, non ha avuto un attimo di tregua per i primi cinque mesi successivi alla data di esecutorietà del provvedimento.

Gli eventi succedutisi nel periodo di conviven­za con la piccola, sono stati, in linea di massima, positivi.

I rapporti periodici con i genitori (il padre è ricomparso quasi subito reclamando i suoi diritti e ottenendo rispondenza immediata) sono stati improntati nel rispetto della massima collabora­zione e nel rigetto del più sensibile o involon­tario atteggiamento che avesse potuto creare ri­valità o sopraffazione.

Il compito non è stato facile e gli errori non sono certamente mancati, avendo come unico sostegno e guida, la nostra preparazione umana (che non è cultura) e il nostro «vissuto di cop­pia», intriso di apertura al sociale, altruismo e rispetto verso ogni forma di vita.

Il trascorrere dei mesi, offriva la possibilità di constatare i progressi compiuti dalla piccola: il miglioramento delle generali condizioni fisiche, il progressivo appropriarsi dell'ambiente che la circondava, attraverso anche l'acquisizione della deambulazione eretta, le prime parole, il suo amore per la natura, gli animali (ne possediamo di varie specie) ed il crescere della sua affetti­vità e della sua socialità, favorito enormemente dall'amore di tutti, parenti ed amici, che hanno sostenuto la nostra iniziativa e contribuito affin­ché il progetto si realizzasse nella maniera più congeniale alla piccola ospite.

Non riteniamo doverci dilungare oltre sui ri­svolti umani di questa vicenda in quanto non è nei nostri intenti fare del puro «sentimentali­smo»; al contrario, desideriamo che questa sto­ria venga conosciuta e considerata alla pari di una vera «denunzia», a tutela di altre e succes­sive forme di violenza che potrebbero perpetuar­si nei confronti di innocenti ed indifese cavie, così come è accaduto nella fattispecie.

Il termine previsto per la conclusione del prov­vedimento si avvicinava; nell'ultimo incontro, al­la presenza degli scriventi, dei genitori e del Servizio sociale, si concordava sulla inderogabile necessità di proroga del provvedimento di affida­mento familiare per un periodo presumibile di due anni, al fine di consentire il completamento della prima fase di sviluppo psico-fisico della mi­nore (passaggio dall'età neonatale a quella in­fantile), fase in cui, la strutturazione del linguag­gio, della socialità, dell'affettività, è garantita positivamente nella misura in cui vengono assi­curati al bambino punti di riferimento stabili ed affettivamente validi e stimolanti.

A tutti, è sembrato quasi naturale programma­re il rientro in famiglia della bambina in coinci­denza con l'inizio delle prime, vere, esperienze di gruppo, realizzabili con il raggiungimento dell'età scolare (tre anni); l'inserimento della mino­re nella scuola materna avrebbe consentito l'am­pliamento della percezione riguardante la sfera del sociale (ristretta al momento alle figure che quotidianamente la circondavano); essa sarebbe stata in grado di collocare con maggiore chiarez­za le «vere» figure genitoriali ed avrebbe altresì focalizzato nella maniera più spontanea possibile (ed in questo avevamo garantito tutta la nostra collaborazione, per il tempo che sarebbe stato necessario) la natura della esperienza da lei vissuta.

I punti salienti del progetto, sommariamente esposto, trovavano concordi i genitori (coloro che per primi avevano l'obbligo di esprimere il consenso), i quali si dichiaravano disponibili ver­so ogni soluzione che avesse protetto la loro pic­cola da eventuali ed inutili traumi.

Il giorno stabilito della convocazione innanzi al Giudice Tutelare, esattamente una settimana dopo aver concordato quanto sopra, ci siamo im­battuti in una realtà allucinante.

Abbiamo trovato «quella madre», di cui ave­vamo conosciuto ed apprezzato certe qualità, in preda ad una nevrotica agitazione, sostenuta o fomentata da due figure femminili non meglio identificate, che reclamava la restituzione imme­diata della sua creatura, un padre «assente» o «frastornato» dall'improvviso cambiamento, noi tramortiti da un risvolto imprevedibile ma fidu­ciosi che l'intervento del Giudice e del Servizio sociale avrebbe ricomposto le gravi falle che la situazione presentava.

Di lì a pochi secondi le nostre speranze anda­vano ferocemente calpestate; la bambina veniva riconsegnata immediatamente, come un pacco postale, alla genitrice, né sono stati recepiti i nostri sforzi per far sì che le venisse accordato almeno un ragionevole lasso di tempo utile ad un riadattamento graduale al suo ambiente; anzi, per fedeltà di cronaca, c'è stato un tentativo «tragicomico» da parte del Giudice, di protrar­re per due giorni (ripetiamo, 2 giorni!!!) il sog­giorno della minore in «bilico» tra il nostro do­micilio e quello di origine, al fine di consentire una frequenza più assidua della madre e quindi l'eventuale ricomposizione del «modus vivendi» lasciato dodici mesi prima. Tuttavia, di fronte alla irremovibilità della genitrice, il «potere giu­diziario» ha decretato lo «sfratto», per scaden­za dei termini.

La nostra esperienza, così serena e ricca di insegnamenti, assumeva di colpo i connotati di una somma aritmetica in cui, cambiando l'ordine degli addendi, il prodotto rimane invariato.

Non ci resta che esprimere dal più profondo, la nostra delusione per la mancanza di profes­sionalità rivelatasi nella «conduzione» del caso in esame, in quanto, se è vero che la legge sull'affidamento familiare attecchirà solo quando si raggiungerà una maggiore coscienza civile e so­ciale, è altrettanto inappellabile che molti errori potevano essere evitati, sin da oggi, qualora fos­sero state «tecnicamente rispettate» le dispo­sizioni contemplate nella legge in trattazione.

A nostro avviso le inadempienze alla legge so­no state grossolane e non certamente involon­tarie:

1) è stata omessa ogni «oggettiva» ed «im­parziale» valutazione in merito alle contingenti condizioni economiche, sociali ed ambientali di­mostratesi determinanti per l'avvio del provve­dimento e rimaste pressoché invariate rispetto alla indagine espletata dodici mesi prima dal Ser­vizio sociale di base, ne consegue:

2) una trasgressione circa la tutela degli inte­ressi maturati dalla minore, in relazione al prov­vedimento adottato, anche, in suo favore;

3) l'Autorità giudiziaria non ha minimamente rispettato le valutazioni espresse dal Servizio sociale di zona, sostituendosi completamente ad esso e annientando le competenze spettanti per legge, al medesimo, né lo stesso Servizio sociale ha fatto valere le proprie attribuzioni o confer­mando la validità e la necessità di continuazione della misura, o segnalando, poi successivamente il caso al competente Tribunale per i minorenni;

4) infine, in assenza del consenso dei genito­ri, circa la prosecuzione della misura proposta dal Servizio sociale, il Giudice tutelare avrebbe do­vuto dichiarare la propria incompetenza, rimet­tendo gli atti al Tribunale per i minorenni compe­tente per distretto.

In ogni caso, ove lo stesso Giudice tutelare avesse ravvisato nella situazione della minore, aspetti «poco chiari» tali da far supporre un disagio sofferto dalla stessa, avrebbe dovuto, comunque, segnalare il caso al Tribunale per i minorenni competente.

In pratica, secondo i1 Giudice tutelare che ha «chiuso» l'affidamento, il caso è «archiviato»; vale a dire che, a suo giudizio, la minore avrebbe trovato l'ambiente adatto a lei e sarebbero state superate, in positivo (???), le motivazioni che avevano determinato l'adozione del provvedi­mento.

La nostra unica angoscia è oggi quella che de­riva dalla consapevolezza di aver fatto del «male atroce» ad una persona a cui volevamo invece dare solo amore, un amore avulso dai vincoli effimeri di tempo o di spazio, desideroso soltan­to di collocarsi, con discrezione, insieme agli affetti che la nostra piccola amica aveva acqui­sito per nascita.

 

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