Prospettive assistenziali, n. 68, ottobre - dicembre 1984

 

 

UN'ESPERIENZA DI VOLONTARIATO CON HANDICAPPATI PSICHICI

GIOVANNI AMIDEI, AMALIA POGGI, NANDA PONTE

 

 

L'esperienza è cominciata alla fine dell'82, per iniziativa di due persone volontarie, in un pic­colo paese (circa 5000 abitanti) alla periferia di Ivrea.

Qui, fin dai tempi in cui si iniziò a parlare di integrazione scolastica, si manifestò una volontà precisa di attuare l'integrazione di tutti i porta­tori di handicap nelle locali scuole dell'obbligo, materna, elementare, media.

Varie forze del territorio, istituzionali e di ba­se, concorsero alla realizzazione di questo obiet­tivo con un impegno - è il caso di dirlo - ec­cezionale rispetto a molte altre zone.

Col passar degli anni però i ragazzi inseriti a scuola diventarono grandi e per loro, dopo la scuola non c'era nulla. I servizi pubblici che si sarebbero dovuti attuare sul territorio avevano difficoltà a decollare: continui conflitti di com­petenze, mancanza ora di fondi, ora di struttu­re, ora di personale parevano rendere insupe­rabili le difficoltà.

Intanto nella scuola media del paese alcune ragazze con handicap psichico avevano superato da un pezzo l'età scolare; la scuola non poteva offrire loro più nulla e vi rimanevano, diciamo pure «posteggiate», in attesa che si aprisse qualche sbocco. Gli sbocchi tardavano a venire per cui due persone del paese, che conoscevano bene e da tempo la situazione, avanzarono una proposta di intervento a livello volontaristico all'USSL e al Comune, nel tentativo di dare una risposta anche minima al problema.

Si era alla fine dell'81: fu preparato un pro­getto di lavoro che prevedeva l'utilizzo di alcuni locali del Centro aperto del paese: due volontari vi avrebbero avviato alcune semplici attività con 2-3 ragazze per trascorrere almeno la mattinata fuori casa, in un ambiente aperto e disposto ad accoglierle.

Il progetto fu ignorato dall'USSL e le ragazze rimasero a scuola un altro anno ancora. La si­tuazione era sempre peggiore: le ragazze aveva­no più di 20 anni e la scuola le accettava «per pietà», perché «tanto non si sapeva dove met­terle». L'USSL non aveva avviato nulla che po­tesse rispondere alle loro esigenze, nonostante innumerevoli sollecitazioni sia da parte dei geni­tori che di alcune organizzazioni di base; il Cen­tro diurno della Provincia era al completo e non erano possibili altri inserimenti.

In questa situazione di immobilismo totale, i volontari - nell'ottobre '82 - ripresentarono il progetto all'USSL; nel frattempo si contattò la responsabile del Centro diurno della Provincia che dichiarò la propria disponibilità a collabo­rare per la sua realizzazione.

L'esperienza fu avviata, in via sperimentale, con scadenza programmata a giugno '83, in at­tesa dei futuri sviluppi dei servizi pubblici.

I risultati furono molto positivi ed apprezzati sia dagli utenti sia dalla stessa USSL e nell'otto­bre '83 l'esperienza fu riavviata, con l'inserimen­to parziale di una quarta ragazza. Si erano nel frattempo aperte alcune prospettive nei servizi pubblici (Centri socio-terapeutici) (1) per cui si riformularono gli obiettivi dell'iniziativa.

Qui di seguito evidenziamo i punti fondamen­tali caratterizzanti l'esperienza del primo anno di attività (ottobre '82 - giugno '83), obiettivi e con­tenuti del progetto di lavoro ed alcune annota­zioni sui risultati conseguiti.

Citiamo dal progetto presentato all'USSL nell'ottobre '82:

L'obiettivo è di offrire uno spazio di socia­lizzazione a tre ragazze, mantenendo i livelli di conoscenza acquisiti e stimolando ulteriormente le potenzialità individuali attraverso adeguate at­tività. L'esperienza è limitata nel tempo (scaden­za giugno '83) ed ha termine nel momento in cui si aprano sbocchi migliori a livello USSL.

Orario, calendario, strutture - Le attività si ar­ticolano su 5 giorni la settimana - 2 ore e mezza al giorno - Calendario scolastico. Le attività si svolgono in parte presso il Centro aperto del Co­mune, in parte presso i locali della Comunità alloggio dell'USSL.

Operatori: 2 operatori volontari, 1 operatore della Comunità alloggio per 4 ore la settimana. La responsabile del Centro diurno della Provincia ha il compito di aiutare gli operatori nella defi­nizione del piano di attività, verificando periodi­camente con gli stessi l'andamento del progetto.

Attività: le attività programmate mirano a mi­gliorare la socializzazione e l'autonomia perso­nale delle ragazze, favorendo la conoscenza dell'ambiente, stimolando capacità espressive e ma­nuali, mantenendo, ove necessario, l'uso della lettura, scrittura, calcolo.

Questo in sintesi il progetto del primo anno. Le attività si sono concluse con una dettagliata relazione di valutazione sulle attività stesse, al­cune annotazioni sui miglioramenti conseguiti da ciascuna ragazza e una serie di considerazioni sull'esperienza. Queste ultime si soffermano so­prattutto sul tentativo di operare in strutture non definite in partenza «per handicappati»: si tratta di una valutazione empirica stesa da chi crede in questa possibilità e quindi «di parte», che si sofferma solamente sugli aspetti positivi, non riuscendo a cogliere gli eventuali aspetti ne­gativi.

Citiamo dalla relazione di fine anno '83:

Aspetti positivi riscontrati nell'esperienza:

- gli ambienti usati sono ambienti «normali»; le occasioni di scambio cogli altri sono insite nelle strutture stesse, contrariamente a quanto accade nelle strutture speciali, dove le occasioni normali devono essere cercate;

- il gruppo molto piccolo è stato ben accolto da parte delle persone frequentanti il Centro aperto. Conoscere ogni singola ragazza personal­mente ha facilitato un rapporto «tra persone» e non «con handicappate»;

- il gruppo è formato da ragazze con proble­mi diversi: ciò ha reso possibile l'integrazione di capacità diverse; una delle ragazze, se le attività si fossero svolte in un centro per handicappati, non avrebbe frequentato, con danno suo e per le altre;

- i volontari, conosciuti nel paese, hanno re­so più semplice l'instaurarsi di rapporti con di­verse persone.

Nell'elencare questi che riteniamo aspetti po­sitivi, stiamo pensando a molte realtà di piccoli paesi che in passato spesso hanno saputo offrire spazi di solidarietà al «diverso»; diciamo questo non per mitizzare una realtà che deve essere su­perata, cioè la realtà del disinteresse dell'ente pubblico e la realtà del falso pietismo, ma per porre l'attenzione sull'importanza, per tutti, di rapporti costruiti sulla solidarietà.

Sulla base di queste riflessioni, nonostante i mutamenti nel frattempo avvenuti nei servizi pub­blici (apertura del nuovo C.S.T. della Provincia) si è deciso, in accordo con la USSL e la respon­sabile del C.S.T. di protrarre l'esperienza. Ab­biamo iniziato ai primi di ottobre '83 e termine­remo a giugno '84.

Citiamo dal progetto di lavoro presentato nel settembre '83:

motivazioni al proseguimento dell'esperienza:

- continuare un lavoro che è stato molto po­sitivo per i partecipanti;

- mantenere alle ragazze un aggancio col pae­se di residenza.

Perché questo secondo punto? Il nostro C.S.T. è situato in Ivrea e i ragazzi dei paesi vengono raccolti la mattina col pulmino e rientrano a casa nel pomeriggio inoltrato; se da un lato è stato istituito un servizio indispensabile, dall'altro - ci pare - i nostri ragazzi finiscono per non aver più nessuno che li conosca in paese. È l'inizio del disinteresse da parte dei cittadini: il proble­ma viene considerato risolto, c'è già qualcuno che ci pensa... Ed è quanto a noi pare necessario superare.

Per questo motivo il nostro lavoro - in que­sto secondo anno di attività - ha trovato modo di integrarsi con quello del C.S.T. Per ogni ragaz­za sono stati concordati orari e programmi di attività tali da rispondere al meglio alle perso­nali esigenze di ciascuna.

Abbiamo mantenuto il calendario scolastico che avevamo scelto in funzione delle esigenze dei volontari anche perché, dopo un anno di espe­rienza, ci è sembrato positivo, «un elemento di movimento» rispetto alla continuità del C.S.T.; interrompere e riprendere dopo un certo tempo un'attività può anche servire a ricreare nelle ra­gazze interesse e voglia di fare.

Tutto sommato ci pare che l'esperienza da noi realizzata, anche se minima e parziale, si ponga nella linea di un «miglioramento» del servizio pubblico, nel senso di, legare sempre più le ri­sposte alle singole persone e al loro ambiente di vita. Nel nostro caso poi il tipo di handicap presentato dalle ragazze ha potuto trarre reale vantaggio dall'inserimento in un ambiente che è stato capace di rispondere positivamente alle sollecitazioni poste.

Forse l'esperienza non è ripetibile negli stessi termini poiché ogni realtà ha le proprie specifi­cità, ogni persona le proprie esigenze; quello che però ci sembra importante sottolineare è che i vari C.S.T. che si stanno realizzando in Piemonte non si limitino ad offrire un servizio tecnicamen­te perfetto, ma tentino la maggior apertura pos­sibile, coinvolgendo e cercando la corresponsa­bilità di Amministratori comunali e cittadini.

Prima di terminare vogliamo ancora accennare ad un episodio: all'inizio di quest'anno - per due mesi circa - si è aggiunta al nostro gruppo una ragazza cui in quel momento nessuna struttura pubblica poteva dare una risposta: non era «han­dicappata», non era «drogata», non era «paz­za»... aveva solo bisogno di trovare appoggio per superare un momento di crisi. Questo episodio è stato possibile per questo tipo particolare di esperienza e per l'ambiente in cui si svolge; for­se in una struttura più istituzionalizzata e più grande avrebbe avuto maggiori difficoltà.

Cerchiamo ara di sintetizzare il tipo di colla­borazione instaurato con l'Ente pubblico:

- il Comune ha messo a disposizione un lo­cale + servizi, già utilizzati in orari diversi da un gruppo abbastanza nutrito di anziani ed una cifra una tantum (per il primo anno di attività) per il materiale di consumo;

- la Provincia, attraverso la disponibilità della responsabile del C.S.T., ha seguito fin dal suo nascere l'esperienza, fornendo una consulenza tecnica indispensabile per la realizzazione del progetto. È da tener presente che i volontari (at­tualmente tre) non hanno titoli specifici, anche se precedentemente avevano già affrontato il te­ma handicap;

- l'USSL ha messo a disposizione la cucina della Comunità alloggio, incoraggiando anche for­malmente il proseguimento dell'esperienza; solo recentemente è sorta qualche difficoltà - che crediamo peraltro facilmente superabile - nel soddisfare alcune richieste dei volontari (assi­curazione, rimborso spese vive, finanziamento per acquisto materiali di consumo).

Nel complesso la nostra esperienza ci confer­ma che è possibile una collaborazione con l'Ente pubblico, non troppo burocratizzata, sufficiente­mente elastica per rispondere in modo corretto e più efficace alle mutevoli esigenze del terri­torio.

 

 

(1) I C.S.T. sono centri diurni in cui sono accolti insuffi­cienti mentali ultraquattordicenni, i quali, a causa delle loro condizioni psichiche, sono nell'assoluta e definitiva impossibilità di essere inseriti nel mondo del lavoro (nota redazionale).

 

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