Prospettive assistenziali, n. 64, ottobre - dicembre 1983

 

 

Libri

 

 

AA.VV., La cooperazione nell'ambito dei servizi sociali, Fondazione Zancan, Padova, 1982, pp. 193, L. 10.000.

 

Da poco tempo la cooperazione ha fatto il suo ingresso nel campo dei servizi sociali, e in par­ticolare in quelli socio-assistenziali.

La Fondazione Zancan, con la tempestività che la contraddistingue, ha indetto sul problema un seminario di studio, svoltosi a Malosco dal 19 al 25 luglio 1981, la cui documentazione è raccolta nel volume in oggetto.

Da parte nostra ci sembra necessario precisare che le cooperative devono essere caratterizzate dalla partecipazione dei soci sia alla definizione degli indirizzi aziendali sia alla gestione delle at­tività.

Occorre quindi preliminarmente accertare se si tratti di cooperative vere e proprie o di coo­perative fasulle, come avviene quando i soci non svolgono alcuna attività operativa e si ricorre a personale dipendente. In questi casi non vi sono differenze sostanziali della «cooperativa» da una qualsiasi società con più soci.

Decidere le linee aziendali, organizzare il pro­prio lavoro e svolgerlo è e deve essere la carat­teristica essenziale delle cooperative.

Sì parla di «cooperazione di solidarietà socia­le» e G. Mattarelli della Confederazione coope­rative italiane, afferma che una delle caratteri­stiche «è la partecipazione e la istituzionalizza­zione del volontariato».

In questo modo il volontariato viene snaturato nella sua essenza, che è lo svolgimento di atti­vità con al massimo il solo rimborso delle spese vive.

Siamo inoltre del parere che le cooperative de­nominate «di solidarietà sociale», di cui alla proposta di legge n. 2828 presentata dai depu­tati DC Salvi, Maroli, Sabbadini e altri in data 16 settembre 1981 non abbiano alcuna possibilità concreta di corretta attuazione.

Si tratterebbe dì cooperative «che svolgono la propria attività allo scopo di soddisfare interessi morali, assistenziali, educativi sociali, culturali, sportivi e ricreativi anche di non soci» e la cui quota di utili «che non è assegnata a riserva deve essere destinata a fini di solidarietà sociale».

Si tratta dì una disposizione troppo facilmente eludibile, per cui è preferibile, a nostro avviso, che, anche nel campo dei servizi, sia riconosciu­to e valorizzato il carattere imprenditoriale delle cooperative, il che non vuol dire che la coopera­tiva deve avere carattere speculativo.

La negazione del carattere imprenditoriale può condurre a conseguenze pericolose. Nel campo dei servizi socio-assistenziali, infatti, si fa troppo spesso riferimento al buon cuore e scarsa atten­zione viene data alla professionalità.

Le cooperative possono svolgere importanti funzioni nell'ambito di una assistenza diversa (co­munità alloggio, ad esempio), ma non sono, né possono essere in grado di agire nel campo della prevenzione delle situazioni di bisogno.

Resta dunque fondamentale il ruolo delle isti­tuzioni nella lotta contro l'emarginazione.

FRANCESCO SANTANERA

 

 

AA.VV., L'handicappato e gli altri - Ciclo di confe­renze e dibattiti, Atti editi dall'ANFFAS di Bolo­gna, pagg. 139, L. 5.000.

 

All'interno di questo ciclo di conferenze-dibat­tito, sono stati trattati i temi che maggiormente vengono presentati all'Associazione da familiari e da operatori-educatori.

Una riflessione sulla vasta tematica affrontata all'interno del ciclo stesso, ci fa apparire chia­ramente come l'handicappato non debba essere considerato «un bambino che non crescerà mai», ma una persona con dei bisogni propri e con una possibilità di vita di relazione sua.

Il tema della sua sessualità, oltre a mettere in evidenza che «la sessualità ha bisogno di essere estratta da una situazione storico-culturale di tabù, di cosa nascosta», chiarisce l'importanza che ha per il ragazzo di vivere la propria sessua­lità non come vogliono gli altri, ma in termini di sviluppo e non di predeterminazione.

Il tema della famiglia, così come è stato af­frontato, mette in evidenza il significato che è opportuno dare all'osservazione di relazioni re­ciproche tra i comportamenti dei suoi membri.

Per quanto riguarda una valida comunicazione con l'handicappato psichico, c'è un chiaro invito a ragionare sul «come creare un intenso scam­bio di emozioni» per potere aiutare l'handicap­pato ad avvicinarsi alla realtà e per impadronir­sene sempre di più.

Si parla di un intenso scambio dì affetti, di in­tendimenti tali che in un rapporto adulto-bambino possano favorire una crescita sia sul piano socia­le-creativo che emotivo. Un rapporto teso poi a favorire la crescita di tutte e due le parti.

Per quanto riguarda il problema dei processi di scolarizzazione in relazione all'inserimento dell'handicappato, si affronta il tema dell'appren­dimento più che il tema della socializzazione. Si dà massima importanza al metodo cognitivo che, se positivamente impostato, dice il relatore «può permettere livelli di formazione, processi forma­tivi equipollenti per tutta l'utenza scolastica, a cominciare dal soggetto portatore di handicap».

 

 

AA.VV., Timore e carità - I poveri nell'Italia moder­na - Atti del convegno «Pauperismo e assistenza negli antichi stati italiani» (Cremona, 28-30 mar­zo 1980), Annali della Biblioteca statale e Libreria civica di Cremona, Cremona, 1982, pp. 510, Lire 40.000.

 

Presentare gli atti di un convegno che ha avuto come tema «Pauperismo e assistenza negli an­tichi stati italiani», tra il XV e il XIX sec., può sembrare a prima vista anacronistico.

In realtà crediamo che questa raccolta di saggi sia uno strumento di lavoro utile per tutti co­loro che, coinvolti in qualche misura nell'area dell'assistenza, intendano porsi in una prospetti­va di più ampio respiro, cercando proprio nelle radici della storia, il fondamento dell'attuale or­ganizzazione assistenziale. Allora è possibile ca­pire quali sono gli obiettivi di un sistema sociale così fondato e, conseguentemente, trovare i mez­zi per cambiarlo.

Un'ampia illustrazione di quale sia stata da sempre la motivazione che ha spinto gli organi dì governo, già nell'antichità, a preoccuparsi dei poveri è data dalla costruzione degli ospedali.

A partire dal sec. XVI pauperismo e vagabon­daggio costituiscono un problema di controllo sociale e necessitano di interventi capaci di con­tenere e limitare l'inurbamento di masse sempre più consistenti formate essenzialmente da con­tadini, vittime della disgregazione della società feudale, senza casa e senza terra.

Ecco così che nel secolo del grande interna­mento (che è appunto il '600) si vede il moltipli­carsi di istituzioni ospedaliere, in primo luogo, che originariamente accolgono per «assistere» i bisognosi, in realtà diventano un efficace mezzo di controllo ed elemento calmieratore di tale fe­nomeno sociale.

Inoltre, poco per volta, gli ospedali si trasfor­mano in fonte di reddito e, quindi, di potere: gli assistiti vengono fatti lavorare, í trovatelli (quei pochi che riusciranno a sopravvivere agli stenti e alle malattie che si contraevano in questi luo­ghi superaffollati) indirizzati nelle campagne o nelle botteghe. L'attenzione era pertanto volta non tanto alla risoluzione dei mali, che erano cau­sa di tante disgrazie, bensì al contenimento della loro potenziale forza sovversiva che si risolveva con l'internamento «per segregare, per togliere di torno questa crescita scomoda... oppure per sfruttare la mano d'opera».

Interessanti sono anche altri aspetti conside­rati dal convegno. Ad esempio lo svilupparsi di due gravi fenomeni come la pellagra (che diviene una malattia sociale delle classi contadine) e l'esposizione dei bambini, conseguenti entrambi ai mutamenti avvenuti nel modo di produzione e nelle strutture economiche, con l'industrializ­zazione.

L'apertura delle fabbriche vede lo smantella­mento della società contadina e soprattutto del nucleo familiare con l'ingresso sempre più forte di donne nel mondo del lavoro e l'altrettanto sem­pre più elevato abbandono dei bambini negli orfanotrofi o tramite la «ruota», istituita per evitare per lo meno l'abbandono dei neonati nelle strade, ma che non ne impediva comunque l'al­tissima mortalità.

Infine dal libro emerge chiaramente il fatto che l'ideologia dominante considera il povero tale per volontà sua, e tale ideologia ha avallato - e continua purtroppo ad avallare - leggi e prov­vedimenti inadeguati, tendenti tuttora a penaliz­zare da un lato la povertà, che la società stessa crea, e dall'altro a mantenere volutamente l'in­dividuo nello stato di bisogno e di necessità, sen­za offrirgli l'opportunità di appropriarsi degli stru­menti necessari per poter camminare decorosa­mente da solo.

MARIA GRAZIA BREDA

 

 

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