Prospettive assistenziali, n. 64, ottobre - dicembre 1983

 

 

IL RUOLO DEL VOLONTARIATO NEL CAMPO DELLE ALTERNATIVE AL RICOVERO IN ISTITUTO

MARIO TORTELLO - FRANCESCO SANTANERA (*)

 

 

In questi ultimi anni vi è stato uno sviluppo notevole delle iniziative che avevano lo scopo di creare spazi conoscitivi ed operativi per il volon­tariato: convegni, dibattiti, articoli ...

Occorre chiedersi, innanzitutto, come mai, no­nostante che in Italia il volontariato abbia espres­sioni antiche (si pensi, ad esempio, al volonta­riato di vicinato che è sempre esistito), solo in­torno alla metà degli Anni '70 questo fenomeno abbia assunto, di fronte alla opinione pubblica, una dimensione «sociale».

Certo, è vero che il volontariato italiano è cresciuto negli ultimi tempi sia dal punto di vista numerico che qualitativo. Tuttavia, c'è da chie­dersi, ancora, come mai si ponga frequentemente l'accento solo sul volontariato in campo assisten­ziale e, in particolare, sulle attività di assistenza diretta.

Alcuni milioni di italiani sono impegnati oggi nelle forme più diverse: dal soccorso alpino ai donatori di sangue, dall'ecologia all'associazioni­smo in difesa dei beni culturali; ma questo «ve­stito di Arlecchino» - almeno quando la comuni­tà nazionale non è colpita da tragedie - viene presentato ed identificato in gran parte solo con i panni del volontariato che opera nel campo dell'assistenza diretta. Il volontariato in settori di­versi da quello assistenziale viene presentato più come un dato episodico e rimane una realtà sommersa.

Perché? E che rapporto c'è tra due fatti che si sono sviluppati contestualmente nel tempo: questo fermento di iniziative sul «nuovo volon­tariato» e l'emergere delle spinte controrifor­matrici?

Non intendiamo, per mancanza di tempo, en­trare nel merito della crisi o non crisi dello «Sta­to sociale». Basti ricordare che, dati Censis alla mano, la spesa per l'assistenza è scesa dall'1,6 per cento del prodotto interno lordo del 1975, all'1,4 per cento del 1981. E ciò, mentre il crescente battage pubblicitario vuol far credere ai cittadini che tutti i mali discendono dalla esasperata espansione degli interventi pubblici, dai costi ec­cessivi dei servizi, dalla loro scarsa efficacia ed efficienza.

In altre parole, si tenta di far credere alla gen­te che certi diritti (alla casa, alla salute, alla non emarginazione) non possono per adesso e chissà per quanto altro tempo essere soddisfatti. E, gio­coforza, che bisogna accontentarsi di quel che vorranno fare i servizi privati ed il volontariato.

Intanto, restano insoddisfatti numerosi e fon­damentali bisogni. La povertà è in espansione: la miseria economica colpisce migliaia di persone, famiglie, bambini. Mancano servizi essenziali per minori privi di sostegno familiare, per handicap­pati adulti, per non autosufficienti.

In molte zone del nostro paese l'assistenza con­tinua ad essere utilizzata come il settore in cui si emarginano le persone rifiutate dalla sanità (si veda quanto avviene per gli anziani cronici non autosufficienti), dalla scuola (si pensi agli handicappati soprattutto se psichici) e in cui van­no a finire coloro che non hanno lavoro o rice­vono pensioni di fame, oppure non dispongono di una casa idonea.

A nostro avviso, in questo quadro - certa­mente molto problematico per la fascia più de­bole della popolazione - è indispensabile un rilancio della lotta contro l'emarginazione; lotta i cui risultati sarebbero certamente migliori se vi fosse una alleanza o almeno una saldatura fra le componenti che intendono perseguire questa linea: amministratori, operatori, sindacati, asso­ciazioni, movimenti di base, cittadini.

È in questo contesto che, a nostro parere, va inserito un discorso nuovo sul volontariato. Vo­lontariato che deve avere come obiettivo priori­tario quello della lotta alla emarginazione, quello di favorire la massima autonomia possibile delle famiglie e delle singole persone.

Ma, per una efficace battaglia contro l'emargi­nazione, occorre intervenire contemporaneamen­te su due fronti:

- promuovere attività dirette alla prevenzio­ne del bisogno assistenziale;

- intraprendere azioni per ottenere che le condizioni di vita degli assistiti siano le migliori possibili.

 

Due impegni per il volontariato

 

Schematizzando, possiamo dunque identificare due tipi di volontariato: quello che svolge com­piti esclusivamente o prevalentemente promo­zionali, quello che provvede ad assistere diret­tamente persone o famiglie in difficoltà.

Ci riferiamo, ovviamente, al volontariato che opera direttamente nel settore assistenziale. Non bisogna, però, dimenticare quanti lavorano come volontari nei sindacati, nei partiti, nelle organiz­zazioni religiose, culturali, sportive, ricreative e di altro genere e che possono contribuire allo sviluppo della società e perciò anche a ridurre l'area dell'emarginazione ed a migliorare le con­dizioni di vita degli assistiti.

Il volontariato promozionale. È quello che - as­sunti i problemi politici dell'emarginazione ed operativi dell'assistenza - sollecita, attraverso iniziative di vario genere, gli enti tenuti ad inter­venire (Parlamento, governo, Regioni, Province, Comuni, Comunità montane, Unità locali) ad adempiere ai loro compiti.

Il volontariato di assistenza diretta. È quello co­stituito da gruppi organizzati o spontanei o da singoli cittadini che provvedono autonomamente, in accordo o meno con gli enti pubblici, ad assi­stere direttamente persone o famiglie.

Due forme di volontariato tutt'altro che incom­patibili fra di loro; anche se, l'obiettivo vero non deve essere quello di assistere tante persone e bene, ma di lavorare prioritariamente a livello di prevenzione, per ridurre l'emarginazione e fare in modo che vi siano pochi da assistere e da assistere bene. In altre parole, «il volontariato, se lo si concepisce non come area, separata e antagonista alle istituzioni, ma come forza cui si riconosce un'autonomia di intervento nell'ambita delle scelte programmatiche del potere pubblico, può rappresentare un allargamento effettivo della partecipazione, sul terreno del rinnovamento del­le istituzioni democratiche» (1).

 

Primo, prevenire l'emarginazione

 

Per una prevenzione effettiva occorre, dunque, che il volontariato promozionale agisca affinché, innanzitutto, i vari servizi sociali, cioè di uso col­lettivo, siano veramente aperti e usufruibili da parte di tutta la popolazione. Ad esempio, è ne­cessario rivendicare che:

- le strutture formative (dall'asilo nido all'uni­versità) siano messe in grado di accogliere anche gli handicappati, i cosiddetti disadattati, i bam­bini dì famiglie problematiche; la scuola dell'ob­bligo abbia finalità soprattutto di formazione del­la personalità degli allievi e venga bandita ogni caratterizzazione di tipo selettivo e ogni forma di espulsione dei più deboli;

- i servizi sanitari non estromettano, come avviene da alcuni anni con sempre maggior in­tensità, gli anziani definiti cronici non autosuffi­cienti;

- i servizi sanitari intervengano tempestiva­mente per la prevenzione, la diagnosi, la cura, la riabilitazione, attività che debbono essere attua­te senza rinchiudere in istituto gli utenti, soprat­tutto se si tratta di bambini e fanciulli;

- la casa sia un servizio a disposizione di tutti ì cittadini e cessino gli abusi e le violenze che costringono i genitori a chiedere il ricovero in istituto dei figli, non disponendo di un alloggio idoneo.

Inoltre, per una reale prevenzione dei bisogno assistenziale non è sufficiente la volontà politica di chi governa il paese o amministra gli enti lo­cali; è indispensabile che quanti hanno dei privi­legi vi rinuncino o siano costretti a rinunciarvi. Ad esempio, la piena occupazione è un'altra fon­damentale esigenza. Ma oggi, da 3 a 6 milioni di persone praticano il doppio lavoro, con la conse­guenza di danneggiare disoccupati e sottoccupati, senza che nessuno alzi un dito. O, ancora: si pen­si alle pensioni con importi da fame, mentre ai baby-pensionati di 30-40 anni sono destinati cen­tinaia di miliardi dello Stato.

Infine, per quanto riguarda gli interventi pro­priamente assistenziali, occorre sollecitare con­crete alternative al ricovero in istituto di bambi­ni, di anziani, di giovani e adulti handicappati. L'assistenza economica, l'aiuto domiciliare, le co­munità alloggio, l'adozione, l'affidamento familia­re a scopo educativo - ove praticato - dimo­strano che è realmente possibile ridurre e, al li­mite, eliminare l'emarginazione in istituto.

Ma, è chiaro che, per ottenere una prevenzione reale e servizi assistenziali aperti, le difficoltà sono enormi. E non si tratta solo di difficoltà im­putabili al potere politico o a problemi economici; sono dovute, in buona parte, anche al fatto che in una società in cui le spinte corporative sono for­ti, gli assistiti - senza forza contrattuale - sono i cittadini che stanno peggio.

I bambini, gli anziani cronici non autosufficien­ti, gli handicappati psichici gravi e gravissimi non avranno mai alcuna forza contrattuale. Le loro condizioni di vita dipendono da come ali altri cittadini vorranno che siano trattati.

 

Silenzi e memorie corte

 

Dunque, l'impegno promozionale del volonta­riato non solo è necessario, ma è una condizione sine qua non per superare l'emarginazione. È un campo d'azione di primaria importanza, del quale tuttavia si è parlato poco o affatto nei numerosi convegni sinora organizzati.

Perché questo silenzio? Perché il riferimento al volontariato promozionale non è sistematico? Perché il volontariato che non gestisce soltanto, ma che lotta per una corretta gestione da parte del settore pubblico e di quello privato non è sostenuto a livello culturale, non è aiutato sul piano promozionale, non è sorretto economica­mente?

Perché resta prevalente il concetto secondo cui è inevitabile ricorrere all'assistenza e non ci sono spazi per cambiare le cose: si pensi, ad esempio, a quanti anni sono occorsi per arrivare all'inserimento scolastico di handicappati fisici con piene capacità intellettive.

Inoltre, vi è purtroppo ancora chi nei fatti agi­sce perché vi sia una più o meno netta separazio­ne fra forti e deboli. Ecco i motivi per cui valoriz­zare il solo volontariato che gestisce. Occorre lasciare stare le cose come sono, non fare pre­venzione, non inserire í bambini problematici nel­le normali scuole materne e dell'obbligo, non ri­vendicare una casa adeguata per anziani, handi­cappati, famiglie numerose; è sufficiente fare una «buona assistenza».

Non bisogna premere sulla fabbrica perché al genitore con un figlio piccolo venga adeguato l'o­rario di lavoro: è sufficiente che l'istituto sia «bello».

Ecco, dunque, l'invito pressante ai volontari di non fare lavoro politico, volantinaggi, documenti. In poche parole, non fare nulla contro chi non previene il bisogno assistenziale e non istituisce servizi assistenziali aperti.

I volontari devono lavorare, sporcarsi le mani. I bisogni di oggi sono impellenti e non importa se domani ci saranno ancora più assistiti.

E, purtroppo, l'appello, anche di parte della nostra «intellighentia», è quello di fare, fare, fare per assistere meglio. Per evidenziare le esi­genze promozionali non si spreca una parola, un sollecito, uno stimolo.

Eppure, molte delle conquiste degli ultimi ven­ti anni nel campo della lotta contro l'emarginazio­ne trovano origine proprio nel lavoro promozio­nale svolto da gruppi e associazioni, non a van­taggio dei propri membri, dei propri soci, ma per tutta la comunità ed, in particolare, per í più de­boli. Dalla riforma della legge sulla adozione, al­la proposta dell'affidamento familiare; dall'inse­rimento degli alunni handicappati nella scuola di tutti, alla più generale battaglia contro il ricovero in istituto.

Ma, delle esperienze positive come l'inseri­mento in famiglia di oltre 30 mila bambini dopo l'entrata in vigore della legge sulla adozione spe­ciale del 1967, non se ne parla mai come risulta­to ottenuto anche dal volontariato promozionale. E così dicasi per il calo dal 20 al 2 per cento dei bambini ritenuti handicappati, prima emarginati nelle classi speciali e differenziali, oggi inseriti con ì coetanei normali. O, ancora, sulla riduzione di oltre 100 mila unità in 15 anni dei minori rico­verati in istituto.

Si è detto «anche del volontariato promozio­nale», perché - in questi anni - unitamente ai movimenti di base si sono impegnati su questa linea i magistrati, gli amministratori, gli opera­tori più sensibili.

Frequentemente, invece, nel leggere le relazio­ni di amministratori pure sensibili a questi pro­blemi ed impegnati a superare l'emarginazione, non si scorgono riferimenti alla partecipazione, all'intenso lavoro svolto dal volontariato promo­zionale.

Va registrato, tuttavia, che spesso gli enti lo­cali non conoscono l'ampiezza del fenomeno del volontariato nel suo complesso. Anzi, molti non dispongono nemmeno di un indirizzario.

Le energie sono così lasciate abbandonate a se stesse, mentre le attività di volontariato do­vrebbero essere favorite sul piano culturale e appoggiate concretamente. Anzi, occorre solleci­tarle, per coprire gli spazi che l'ente pubblico non è in grado - nella situazione attuale e nei prossi­mi anni - di raggiungere, oppure non è possibile né opportuno che lo faccia.

Ad esempio, l'adozione, gli affidamenti educa­tivi di minori, gli inserimenti di handicappati adul­ti e di anziani presso famiglie, persone e nuclei parafamiliari sono e saranno interventi non ge­stibili direttamente dagli operatori degli enti pub­blici. Si pensi, ancora, all'importante ruolo svolto dai gruppi di famiglie adottive e affidatarie, là dove sono istituiti.

 

Non servirà a ridurre i costi

 

Per non essere fraintesi, comunque, è bene mettere in evidenza un grosso rischio, sempre presente quando si parla di volontariato: alcuni lo intendono come occasione per ridurre i costi per i servizi sociali. Ad esempio, nella presenta­zione di uno studio della Fondazione Giovanni Agnelli sui temi della deistituzionalizzazione e del volontariato (2), si sostiene che «negli anni prossimi il nostro paese non avrà più risorse ag­giuntive da spendere» per i servizi sociali e che la possibilità di scelta dei cittadini dovrà eserci­tarsi «all'interno dì una quantità limitata di risor­se disponibili».

Noi crediamo, invece, concordando con Giovanni Nervo, che sia «illusorio ritenere che i gruppi di volontariato possano ridurre sostanzialmente il costo dei servizi. Anzi, è da supporre che, se sono attivi, critici, consapevoli della loro funzio­ne di stimolo e di promozione, porteranno ad au­mentare i costi, sia perché faranno emergere bi­sogni nuovi di cui l'opinione pubblica non ha con­sapevolezza, sia perché avvieranno servizi anti­cipatori che poi dovranno essere assunti dalla spesa pubblica» (3).

 

Una normativa per il volontariato

 

Un ultimo punto che richiede di essere affron­tato e sul quale - a nostro avviso - occorre sol­lecitare una maggiore attenzione da parte del Par­lamento, delle Regioni, degli enti locali: occorre una normativa specifica per il volontariato che prenda in esame anche l'importante contributo delle persone singole e dei nuclei familiari.

Ovviamente, al volontariato promozionale o all'impegno promozionale dei volontari deve essere riconosciuta l'assoluta autonomia dagli enti pub­blici. Crediamo, invece, sia necessaria una nor­mativa nazionale, regionale e locale che definisca le caratteristiche del volontariato gestionale. E ciò, per stabilire un rapporto corretto con i pro­blemi reali e per una esigenza di chiarezza nei confronti degli enti pubblici. Tale normativa, tut­tavia, non deve avere lo scopo di comprimere il volontariato (che, anzi, va incoraggiato e ricer­cato), ma di definire i ruoli e gli spazi operativi.

A nostro avviso, le caratteristiche irrinunciabili del volontariato debbono essere le seguenti (4):

a) disponibilità personale dei singoli, dei com­ponenti di nuclei familiari, dei gruppi spontanei e delle associazioni;

b) prestazioni fornite direttamente dai volonta­ri: non bisogna confondere, infatti, il volontariato con l'intervento di privati in campo assistenziale; la normativa, quindi, deve distinguere fra inter­venti di volontariato e iniziative di enti e organiz­zazioni private, cooperative comprese;

c) gratuità delle prestazioni: deve essere pre­visto il solo rimborso delle spese vive sostenute dai volontari, purché preventivamente concordate con l'ente pubblico; dal rimborso delle spese vi­ve, dovrebbero perciò essere escluse le somme eventualmente pagate dalla organizzazione di vo­lontari per stipendi al proprio personale;

d) nessuna configurazione di dipendenza con­trattuale dei volontari con l'ente pubblico;

e) nessun riconoscimento di titoli ai volontari: il volontariato non dovrebbe dar diritto al ricono­scimento di titoli, nemmeno preferenziali, per la partecipazione a concorsi pubblici e ad assun­zioni temporanee da parte di enti pubblici.

La normativa dovrebbe, inoltre, prevedere che i Comuni, le associazioni dì Comuni e le comu­nità montane possano avvalersi del volontariato, a condizione che:

- resti di esclusiva competenza dell'ente pub­blico la valutazione del diritto dei cittadini alle prestazioni;

- non sia violato, o condizionato, o limitato il diritto dei cittadini a ricevere le prestazioni di competenza degli enti pubblici;

- le attività di volontariato, comunque sovven­zionate e sostenute dagli enti pubblici con con­tributi economici, rientrino nei programmi deli­berati dall'ente pubblico stesso;

- l'apporto del volontariato non sia sostitutivo delle attività assegnate o da assegnare alla ge­stione diretta dell'ente pubblico;

- l'ente pubblico accerti preventivamente la idoneità dei volontari nei casi in cui ciò sia ne­cessario per la particolare delicatezza dei rappor­ti con l'utente (si pensi, ad esempio, ai casi di affidamenti familiari a scopo educativo);

- i finanziamenti ai gruppi spontanei e alle associazioni di volontariato siano erogati in base a progetti che devono precisare le attività previ­ste, i costi e il personale impiegato; dovrebbe es­sere obbligatorio, inoltre, la presentazione dei bilanci consuntivi.

 

La formazione dei volontari

 

Infine, l'ente pubblico deve fornire ai volontari il sostegno tecnico dei propri servizi, momenti di formazione e aggiornamento professionale, in­formazioni e strumenti di verifica necessari per lo svolgimento corretto delle attività.

La formazione dei volontari è una esigenza. Come sottolinea ancora Giovanni Nervo, «il vo­lontariato non è di per sé una qualificazione pro­fessionale; non un modo di porsi; perché uno è volontario non significa che sa fare un lavoro, vuol dire solo che è motivato e disponibile ad effettuare gratuitamente un servizio. [I volontari] hanno bisogno di conoscere l'ambiente in cui do­vranno lavorare; di essere aiutati ad individuare gli spazi marginali ed integrativi che devono oc­cupare; di sapere bene non solo quello che deb­bono fare, ma anche quello che non devono fare; di imparare a lavorare sotto la guida di professio­nisti responsabili; in sintesi, saper far uso delle proprie capacità umane e delle risorse delle per­sone cui prestano il proprio servizio» (5).

 

  

 

(*) Relazione presentata al convegno nazionale «L'attua­zione della nuova legge sull'adozione e l'affidamento fami­liare. Proposte a confronto fra magistrati, amministratori di Regioni e di Enti locali, operatori e movimenti di base», promosso da Anfaa, Ciai e Prospettive assistenziali, Torino, 11-12 novembre 1983.

(1) R. SERRI, «Volontariato, una nuova alleanza», in Rinascita, n. 19, 21 maggio 1982, pp. 10-11.

(2) Cfr. AA.VV., Servizi sociali: autonomie locali e volon­tariato, Fondazione G. Agnelli, Torino, 1978, presentazione.

(3) Cfr. G. NERVO, «Autonomie locali e volontariato», in Animazione sociale, n. 28, Milano, ottobre-dicembre 1978, pp. 121-122.

(4) Le presenti proposte sono state, in parte, già formu­late in: M. PAVONE, F. SANTANERA, Anziani e interventi assistenziali, Nuova Italia Scientifica, Firenze, 1982. Cfr., in particolare le pagg. 95-108.

(5) Cfr. AA.VV., La riforma dell'assistenza, Atti del con­vegno di Milano del 29-30 ottobre 1982, Nuova Guaraldi Editrice, Firenze, 1983, pp. 177 e segg.

 

 

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