Prospettive assistenziali, n. 64, ottobre - dicembre 1983

Editoriale

I NULLA

 Politici, amministratori ed operatori negli anni precedenti la contestazione hanno fatto ampio e spesso esclusivo ricorso al ricovero in istituto delle fasce più deboli della popolazione. Ma ciò si è rivelato, a distanza, un «grave errore», an­che dal cinico punto di vista di chi mira sola­mente ad un mero «controllo sociale».

Rinchiudendo negli istituti persone che, du­rante l'internamento e alla sua conclusione, han­no potuto informare l'opinione pubblica sulla vita nelle strutture chiuse (manicomi; case di riposo; istituti per insufficienti mentali, per sordi, per ciechi; case di rieducazione; ecc.), hanno indiret­tamente favorito le iniziative condotte dai movi­menti di base per mettere in crisi la linea politica diretta alfa segregazione.

Nel contempo, i «minori normali» (1) - fino a 10-15 anni fa costretti a consumare la propria esistenza in istituti, spesso squallidi e dove in certi casi venivano sottoposti a violenze inaudi­te (2) - hanno incominciato ad essere oggetto di richieste, sempre più numerose e pressanti, di adozione. Le domande, prima provenienti dal­l'estero, Stati Uniti e Francia soprattutto (3), si sono poi estese a tutte le zone del nostro paese.

Nei mesi scorsi (4), un bambino in buone con­dizioni di salute e con un aspetto gradevole, po­teva essere pagato al «mercato nero» fino a 20-30 milioni; una femminuccia di pochi mesi, bionda e con gli occhi azzurri, poteva valere an­che 50 milioni.

Dalla adozione all'estero di bambini italiani (co­me avveniva negli anni '50-'60), siamo passati - dopo l'entrata in vigore della legge 5 giugno 1967, n. 431 istitutiva dell'adozione speciale - alla caccia, a volte addirittura frenetica, di bam­bini stranieri da adottare: ricerca perseguita so­prattutto da coppie italiane spesso già giudicate inidonee alla adozione, o da singoli privi di prole.

Nello stesso tempo, a seguito della campagna contro il ricovero in istituto - fino agli anni '70 praticato da amministratori ed operatori con una leggerezza incredibile - e dei processi avve­nuti a seguito di denunce penali presentate dal­I'ULCES (5), venne posto un certo freno alla isti­tuzionalizzazione dei bambini e dei fanciulli.

Parallelamente, la possibilità che i minori in situazione di abbandono venissero dichiarati in stato di adottabilità, rendeva i genitori e gli ope­ratori meno inclini al ricovero.

Si comprendono pertanto i motivi per cui i mi­nori normali ricoverati in istituto sono diminuiti dai 209.249 del 1960 ai 106.166 del 1976 (6).

 

Nuovi utenti dell'emarginazione

 

I minorenni (almeno quelli di una certa età), i ciechi, gli handicappati fisici, gli anziani auto­sufficienti possono anche non accettare supina­mente le nefaste conseguenze del ricovero; pos­sono informare l'opinione pubblica circa i negati­vi trattamenti subiti, ribellarsi. In sostanza, è un insieme di persone di cui i gestori dell'emargi­nazione - pubblica o privata - non si fidano più. Occorre una soluzione diversa, soluzione che - ovviamente - non deve comportare la perdita della «clientela»: gli affari sono affari. Può sembrare cinismo; ma la realtà conferma e giustifica l'analisi.

Ed il problema viene «risolto» ricoverando in istituto soprattutto quanti non sono e non saran­no mai in grado di protestare, di comunicare le loro drammatiche esperienze, di innescare la pro­testa della parte più sensibile della popolazione. La nuova utenza viene quindi ricercata nei mino­ri e adulti colpiti da insufficienza mentale grave e soprattutto negli anziani cronici non autosuffi­cienti.

I ricoveri di questi ultimi soggetti possono presentare «vantaggi» non indifferenti per chi intende speculare sulla emarginazione dei più deboli:

- gli assistiti hanno una pensione e quindi c'è del denaro che può essere spillato;

- posseggono beni mobili (arredi, risparmi, ecc.) e spesso anche proprietà immobiliari (allog­gi, negozi, terreni);

- muoiono in genere pochi mesi, al massi­mo pochi anni dopo il ricovero, consentendo di trasferire le attenzioni speculative dell'Istituto su un altro soggetto;

- abbastanza sovente i vecchi non hanno pa­renti.

In materia di ricovero di anziani, vi è il più ampio spazio di azione. Non è richiesta alcuna autorizzazione preventiva al funzionamento degli istituti; non vi sono norme riguardanti il perso­nale (al punto che tutti gli addetti, compresi i dirigenti, possono essere analfabeti); non esi­stono leggi nazionali o regionali che definiscano i requisiti minimi delle case di riposo (ubicazio­ne e utilizzo dei servizi sociali e sanitari della zona, capienza, numero massimo dei posti letto per camera, tipo e dislocazione dei servizi, metri quadrati di aperture esterne rispetto alla cubatu­ra dei locali, ecc.).

Purtroppo, oggi, le case di riposo sono gene­ralmente autorizzate a funzionare in base alle norme sugli alberghi. Va tenuto presente che, quando un locale ha servizi scadenti, può essere aperto come locanda. Per questo motivo, moltis­sime sono le case di riposo di infimo livello che funzionano come tali, pur essendo classificate fra le locande. Rarissime sono le case di riposo in regola con le norme concernenti la prevenzione ed estinzione degli incendi; le disposizioni antinfortunistiche sono violate in piena tranquillità.

Inoltre, molte inadempienze vengono praticate da anni senza che nessuno intervenga: basti pen­sare alle pensioni incassate da istituti in base a «deleghe» sottoscritte da anziani assolutamen­te incapaci di rendersi conto di ciò che fanno. Nessuno si preoccupa di chiedere alla magistra­tura la nomina di tutori e curatori; anche le Re­gioni, gli Enti locali ed i giudici si disinteressano totalmente di questo problema.

Con queste premesse, si comprendono i mo­tivi per cui vi sia stato, ad esempio, un fiorire di istituti privati per anziani: molti di essi si camuf­fano come pensioni, al fine di sfuggire ai controlli che gli enti pubblici (Regioni, Comuni singoli e associati) dovrebbero svolgere (7).

 

Troppi «Ponzio Pilato»

 

La speculazione, fortemente redditizia, di mol­ti istituti pubblici e privati sulla fascia più debo­le della popolazione è favorita soprattutto dal fat­to che quasi a nessuno (soprattutto fra i partiti, ma purtroppo anche fra i sindacati, associazioni e gruppi di base) interessa la sorte di coloro che non sono in grado di difendersi: ci riferiamo, so­prattutto, agli anziani malati cronici non auto­sufficienti ed agli handicappati mentali non ca­paci di autogestirsi.

Va anche osservato che su questo problema, vi è una posizione sostanzialmente identica dei vari partiti: dal PCI alla DC, dal PSI al PRI, dal PSI al PLI (8); anche se le accentuazioni possono essere anche molto diverse. La linea dei partiti è molto semplice: rinchiudere le persone non autosufficienti in appositi ricoveri chiamati ora «strutture di lungodegenza» o «case protette». Ma, in realtà, si tratta di ricoveri praticati senza alcuna garanzia per l'utente sia per quanto ri­guarda le condizioni di ammissione, sia il tratta­mento fornito.

In sostanza «case protette» e cronicari sono destinati - a nostro avviso - a sostituire i vec­chi manicomi, incrementando notevolmente il nu­mero dei reclusi (9); non fornendo ad essi nem­meno le misere garanzie formali della legge ma­nicomiale del 1904 e dando agli speculatori pri­vati ampie possibilità di far quattrini.

Per internare i vecchi nelle case protette non si va per il sottile: si violano spesso le leggi che prevedono, da anni, cure sanitarie, comprese quelle ospedaliere, gratuite e senza limiti di du­rata (10).

L'unica preoccupazione di amministratori e me­dici - alla base dei fatti - è la creazione di cronicari di modo che i vecchi non autosufficien­ti possano lasciare liberi i posti letto ospeda­lieri (11).

 

Provenienza degli utenti

 

Interessante è l'analisi della provenienza dei nuovi utenti dell'assistenza; cioè, dei nuovi emar­ginati. Pur non esistendo ricerche al riguardo, si può ritenere che la maggior parte degli anziani cronici non autosufficienti provenga dal ceto ope­raio o impiegatizio, o da piccoli commercianti e artigiani.

Frequentando istituti per anziani non autosuffi­cienti è possibile incontrare, anche insegnanti, contadini, infermieri.

Sono colpiti soprattutto coloro che non hanno parenti o amici e che hanno familiari e cono­scenti, i quali non vogliono o non sanno prendere le difese dei loro cari.

Per quanto riguarda i genitori degli insufficienti mentali e dei pluriminorati (ad esempio ciechi­-sordi) non autosufficienti, il problema riguarda tutte le classi sociali; anche se - come è ov­vio - le persone con minori mezzi economici incontrano difficoltà maggiori.

Visite di specialisti, attività di riabilitazione, personale di aiuto domestico, comportano l'esbor­so di somme non indifferenti. Chi ha bassi redditi è spesso costretto, per la carenza di servizi, a portare sulle spalle tutto il peso determinato dal­la presenza di un figlio handicappato.

 

Cronicizzazione

 

La ricerca condotta presso l'Istituto Carlo Al­berto di Torino (12) dimostra in modo incontro­vertibile che è in atto, soprattutto da parte degli ospedali, un grave processo di cronicizzazione: questo consiste essenzialmente, nel non fornire tempestivi ed idonei interventi curativi e riabili­tativi agli anziani e nel certificare con molta leg­gerezza le situazioni di cronicità. Va anche anno­tato, inoltre, che la cronicità significa irreversi­bilità delle condizioni di ridotta o inesistente autonomia dei soggetti.

 

Conclusioni

 

È puerile ritenere che la situazione si norma­lizzerà da sola, in seguito ad una presa di co­scienza degli amministratori pubblici o di un rav­vedimento dei servizi privati.

Non è nemmeno pensabile che questi problemi possano essere risolti dalla magistratura, anche se è necessario che i giudici colpiscano le vio­lazioni dei diritti delle persone. Per forza di cose, la giustizia interviene solo dopo che il reato è stato consumato: il problema di fondo non è quel­lo di punire il colpevole, ma quello di assicurare ai cittadini gli interventi a cui hanno diritto.

Ancora una volta o i cittadini si organizzeranno per la loro tutela o dovranno giocoforza subire sulla loro pelle le carenze della loro stessa indif­ferenza. Ciascuno di noi può diventare cronico non autosufficiente; dovrebbe essere curato nel modo più adeguato possibile, senza sopportare sofferenze inutili. Quando - per qualsiasi moti­vo - uno di noi non è più in grado di provvedere a se stesso (per malattia, infortunio, arterioscle­rosi, ecc.) e dipende interamente da altri, vorreb­be avere la certezza di essere curato (e, se pos­sibile, riabilitato).

Siamo, invece, in balia di un sistema che ogni anno caccia decine di migliaia di anziani dagli ospedali e che, non solo nega ad essi le presta­zioni sanitarie previste da precise leggi dello Stato, ma rende cronici molti tra coloro che po­trebbero essere autosufficienti in tutto o in parte.

Ognuno di noi non ha nemmeno la sicurezza che - quando sarà incapace di difendersi - i propri familiari, se ci sono, vogliano e siano in grado di tutelare i nostri interessi. Va anche detto che la non autosufficienza può durare moltissimi anni; gravissime possono essere le sofferenze.

Quale soluzione può essere tentata? Una pro­posta: la costituzione di «gruppi di autodifesa», composti da 10-20 persone che si impegnino fra loro se e quando i diritti di uno dei membri sono violati e l'interessato stesso (ed i suoi familiari) non è in grado di chiedere l'attuazione dei diritti stessi.

Si tratta, in sostanza di una versione attualiz­zata della società di mutuo soccorso del secolo scorso.

Oggi non è più necessario organizzarsi per for­nire ai soci i servizi: tutti hanno diritto - sulla carta - alle cure sanitarie. Oggi occorre trovare gli strumenti per ottenere che siano effettivamen­te assicurate le prestazioni previste dalle leggi vigenti.

Quanto succede oggi a migliaia di anziani e anche di adulti (pensiamo a coloro che sono col­piti da gravi lesioni cerebrali), dimostra, invece, che è possibile trovarsi abbandonato a se stesso senza sapere il perché. Forse l'istituzione e l'e­stensione di «gruppi di autodifesa» potrà far crescere la consapevolezza dei diritti delle per­sone incapaci di difendersi, persone che oggi - molto spesso - vivono in condizioni disuma­ne, anche per anni.

  

(1) Questa è la definizione dell'ISTAT.

(2) Cfr. B. GUIDETTI SERRA e F. SANTANERA, Il paese dei celestini - Istituti sotto processo, Einaudi, 1973.

(3) Cfr. L. INCORONATO, Compriamo bambini, Sugar Editore, Milano, 1963.

(4) Prima dell'entrata in vigore della legge 4 maggio 1983 n. 184 «Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori», in Prospettive assistenziali, n. 62, aprile-giugno 1983.

(5) Cfr. «Sentenza del processo penale contro Gotelli, Gueli, Cini di Portocannone» in Prospettive assistenziali n. 17, gennaio-marzo 1972; «Sentenza del Pretore di Ron­ciglione», ibidem, n. 20, ottobre-dicembre 1972; «Senten­za penale contro dirigenti dell'ONMI, della prefettura, di istituti di assistenza di Venezia», ibidem, n. 21, gennaio-­marzo 1973.

(6) Sono gli ultimi dati ufficiali disponibili dell'ISTAT.

(7) Ne deriva, anche, il mancato rilevamento dei dati statistici da parte dell'ISTAT.

(8) Cfr. Proposta di legge n. 3182 presentata alla Camera dei Deputati il 19 febbraio 1982 dall'On. Olcese e da altri parlamentari del PRI; proposta di legge n. 3222 presentata alla Camera dei Deputati dall'On. Pomicino e da altri parla­mentari della DC; disegno di legge presentato il 30 aprile 1982 al Consiglio dei Ministri dall'On. Altissimo; legge della Regione Emilia-Romagna 1° settembre 1979 n. 30; legge della Regione Toscana 27 marzo 1980 n. 20; legge della Regione Piemonte, 10 marzo 1982 n. 7; legge della Regione Veneto 21 giugno 1979 n. 45.

(9) Con una stima prudente si può ritenere che nel giro di qualche anno la nuova utenza sarà almeno tre-quattro volte superiore a quella esistente nei manicomi prima della legge 180.

(10) Cfr. Prospettive assistenziali, n. 44, ottobre-dicem­bre 1978, editoriale.

(11) Cfr. L. Onida, «Il ricovero degli anziani» in Pro­spettive sociali e sanitarie, n. 21, 1° dicembre 1982 e «L'as­sistenza agli anziani tra utopia e realtà», ibidem, n. 9, 15 maggio 1983.

(12) Cfr. «Gli anziani cronici non autosufficienti»: euta­nasia da abbandono - Una ricerca in una casa di riposo, in Prospettive assistenziali, n. 59, luglio-settembre 1982.

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