Prospettive assistenziali, n. 63, luglio - settembre 1983

 

 

SENTENZA DI CONDANNA PER MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA

 

 

Pubblichiamo la sentenza pronunciata dal Tri­bunale di Torino nei confronti dei coniugi Del­I'Utri, accusati di maltrattamenti dei figli adottivi Milton e Hugo.

Il testo non ha bisogno di commenti, perché, purtroppo, parla da solo e ognuno può trarne le debite conclusioni.

Ci preme, invece, sottolineare alcuni aspetti sconcertanti, non descritti nella sentenza ma che appaiono dalla relazione della Croce rossa italia­na (presentata dalla responsabile del Servizio sociale, dott. Luisa Alpi Cervi), nella quale do­vrebbero (perché di fatto non figurano) essere presentate le capacità educative e affettive dei coniugi, valutate e definite in base a colloqui pre­ventivi ed allo studio della personalità di en­trambi.

In realtà, dalla lettura delle poche pagine di cui si compone tale relazione, emerge solo un'at­tenta osservazione del curriculum scolastico e lavorativo, della situazione patrimoniale (più che ottima) e degli hobbies costosissimi dei due co­niugi: uno colleziona treni e automobili giocatto­lo, l'altra bambole e gingilli vari da tutto il mondo. Probabilmente sarà proprio questa attività «lu­dica» ad aver così benevolmente influenzato l'e­sperta della C.R.I. sulle potenzialità di donazio­ne di affetto e amore da parte dei Dell'Utri: in nessun'altra parte del testo sono presentati fatti o situazioni, che possano far dedurre le qualità dei coniugi tanto mirabilmente elencate.

È deplorevole che il tecnico della C.R.I. abbia ritenuto di poter assumere come garanzia di per­sonalità matura, disponibile, capace di accollarsi i problemi di una adozione internazionale, non tanto una analisi delle esperienze relazionali pas­sate dalle quali sarebbe fra l'altro emerso un pre­cedente divorzio (la relazione dell'ex marito met­te tra l'altro in risalto una forte tendenza della signora Dell'Utri ad assumere comportamenti spropositati rispetto ai fatti) o le dinamiche psi­cologiche, quanto l'appartenenza ad una certa classe sociale, il possesso di una villa a tre pia­ni con custode, una collezione avente notevole valore commerciale.

È facile allora comprendere come possano suc­cedere ancor oggi fatti come quelli riportati nel­la sentenza, se alle spalle di una adozione si ha un metodo di lavoro superficiale, privo di serie­tà e coscienza professionale e, soprattutto, lon­tanissimo dal salvaguardare l'interesse del bam­bino.

Noi speriamo quindi che la sentenza sia atten­tamente meditata da tutti coloro che operano nel settore delle adozioni di bambini italiani e stra­nieri.

Poca cura e scarsa coscienza della gravità del­la situazione è stata manifestata anche dal per­sonale della scuola, che non ha saputo interveni­re, rivolgendosi agli organi competenti, nel mo­mento in cui aveva registrato il sospetto che qualcosa non funzionasse.

Anche qui, però, si ha la sensazione di una sot­tomissione socio-culturale: in fondo «una fami­glia così per bene, come può sbagliare? Sanno sicuramente come si educa un bambino».

Non possiamo tacere di essere molto perples­si e preoccupati per il fatto che il Tribunale per i minorenni e la Corte di appello di Torino hanno lasciato ai Dell'Utri le due bambine piccole da essi adottate insieme a Milton ed a Hugo. Ai Del­I'Utri è stata tolta la potestà parentale sui due maschi; sono forse essi genitori idonei per le due femmine? La condanna penale della moglie, che l'ha accettata non avendo presentato ricor­so, la conoscenza dei maltrattamenti da parte del marito, non sono elementi sufficienti per l'allon­tanamento delle bambine?

Infine ricordiamo che il Comune di Torino, co­stituendosi parte civile, ha giustamente difeso i diritti di Milton e Hugo.

 

 

TESTO DELLA SENTENZA

 

La 6ª Sezione penale del Tribunale di Torino composta da Aragona Filoreto, Presidente; De Rosa Federico, Giudice; Marini Luigi, Giudice; ha pronunciato la seguente sentenza nella causa penale contro Arone Anna, nata a Torino il 29.10. 1943, ivi residente ma domiciliata elettivamente presso lo studio degli avv. Gianaria e Mittone, libera presente e Dell'Utri Armando, nato a To­rino l'8.2.1937, ivi residente ma domiciliato pres­so lo studio degli avv. Gianaria e Mittone, libero presente, imputati del reato di cui agli artt. 110, 572 C.P., perché in Torino, dal luglio 1980 al 20 giugno 1981, in concorso tra di loro, maltrattava­no i figli adottivi Dell'Utri Milton, all'epoca di anni 4 e Dell'Utri Hugo, all'epoca di anni 8, per­cuotendoli e punendoli in modo disumano (e cioè, lasciandoli senza cibo per diversi giorni, rinchiu­dendoli nel box della doccia oppure lasciandoli nel giardino di casa anche in stagione invernale ed in ore notturne, percuotendoli con schiaffi, colpi di battipanni, cinghiate, imponendo loro per castigo restrizioni alimentari), e facendoli vivere in stato di continua paura e tensione psicologica.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con rapporto del 28 giugno 1981, la Polizia ri­feriva al Procuratore della Repubblica che due giorni prima, sabato 20 giugno, presso l'Ospeda­le Regina Margherita era stato ricoverato un bambino che presentava lesioni varie, quali frat­ture al gomito e alle costole, con prognosi di gg. 20. Poiché il bambino aveva affermato che tali lesioni gli erano state procurate dalla madre, gli agenti di P.S. avevano svolto indagini presso il personale ospedaliero, nonché presso cono­scenti e vicini di casa dei Dell'Utri, genitori adot­tivi del piccolo, ed erano emersi episodi di mal­trattamenti e privazioni alimentari in danno dei minori adottati (Milton e Hugo). Per questo, ap­parse scarsamente attendibili le dichiarazioni dei Dell'Utri, la Arone era stata tratta in arresto.

Nella stessa data del 22.6.1981, i Carabinieri di Torino, avuta conoscenza dell'arresto della Arone e dei motivi che lo avevano determinato, riferivano al Procuratore della Repubblica che verso le ore 22 del 4 gennaio 1981 essi erano in­tervenuti, su chiamata telefonica dì tale Schiozzi Lino, perché era stata segnalata la presenza nel giardino dei Dell'Utri del minore Hugo quasi nudo e piangente. Nell'immediatezza del fatto, poiché all'atto del loro intervento il minore era stato già riportato in casa, i Carabinieri nulla avevano riferito, avendo ritenuto i fatti privi di penale rilevanza.

Interrogata dal Procuratore della Repubblica, la Arone contestava ogni addebito, assumendo che la frattura al gomito e quella ad una falange di una mano di Milton erano state conseguenza di accidentali cadute, rispettivamente, nella cu­cina e nel bagno, e che il bambino aveva un equilibrio instabile e per tale ragione sì procu­rava continuamente ecchimosi e piccole lesioni. Adduceva, ancora, di non avere mai avuto il minimo sentore che Milton avesse anche delle fratture costali. L'arresto veniva convalidato.

L'istruttoria veniva formalizzata lo stesso 22 giugno, con la richiesta di contestazione alla Aro­ne dei reati dì maltrattamenti e di lesioni perso­nali aggravate.

Durante la formale istruzione venivano sentiti numerosi testimoni, tra cui gli stessi Milton e Hugo. Veniva effettuato sopralluogo presso la villa dei Dell'Utri, venivano effettuate perizie medico-legali, una sulle condizioni di tutti i mi­nori adottati (oltre a Milton e Hugo, anche le piccole Maritza e Anna Karina), ed una psichiatri­ca e psicologica con riguardo sia ai minori Milton e Hugo sia alla Arone.

Peraltro, i coniugi Dell'Utri ammettevano di avere fatto uso di punizioni corporali nei confron­ti dei due bambini, consistite in sculaccioni e schiaffi, in restrizioni alimentari, nell'uso, talvol­ta, di colpi di cinghia o di battipanni sul sedere. Sulla base di ciò l'incriminazione veniva estesa al Dell'Utri.

Una indagine parallela veniva svolta dal Tribu­nale per i minorenni di Torino e i relativi atti ve­nivano acquisiti al processo. In data 27.6.1981 quel Tribunale disponeva l'affidamento di Milton e Hugo al Comune di Torino, ai sensi dell'art. 333 C.C. e il relativo provvedimento veniva confer­mato dalla Corte d'appello. Quindi, con provvedi­mento del 12.1.1982, lo stesso Tribunale pronun­ciava la decadenza dei coniugi Dell'Utri dalla patria potestà su Milton e Hugo.

In data 7.7.1981 veniva concessa alla Arone la libertà provvisoria.

In esito all'istruttoria, il Giudice istruttore, con sentenza-ordinanza del 7.9.1982, dichiarava non doversi procedere per il reato di lesioni volonta­rie perché estinto per amnistia e rinviava a giu­dizio gli imputati davanti a questo Tribunale per il reato di maltrattamenti.

Il dibattimento, iniziato all'udienza del 25 gen­naio, si è concluso all'odierna udienza. Gli im­putati si sono protestati innocenti confermando sostanzialmente le dichiarazioni rese in prece­denza, confermando, cioè, di avere usato le pu­nizioni corporali solo sporadicamente e in casi estremi, mai, comunque, con effetti lesivi.

Il Comune di Torino si è costituito parte ci­vile. Sono stati sentiti i testi escussi in istrutto­ria e numerosi altri indicati dalla difesa, dalla parte civile e dal P.M. Sono stati sentiti a chiari­mento, e in contraddittorio con i consulenti di parte, tutti i periti d'ufficio. Infine è stata disposta d'ufficio una indagine medico-legale sulla attuale condizione dei minori Milton e Hugo.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

È stato osservato che il presente processo si caratterizza per la sua delicatezza, e ciò non sol­tanto per il genere di reato contestato (quello di maltrattamenti in famiglia, sempre di non facile accertamento), ma anche e soprattutto perché il caso specifico ha avuto una immediata e vasta risonanza presso l'opinione pubblica, attraverso tutti i mezzi d'informazione, tale da creare una situazione favorevole a possibili suggestioni in tutti coloro che, a qualunque titolo, ne venissero interessati. Da qui l'affermazione della difesa che testimonianze, valutazioni tecniche o persino in­dagini istruttorie possano essere state influenzate dalla prima immagine sfavorevole che dei co­niugi Dell'Utri venne data; da qui, inoltre, l'in­sinuazione degli imputati che il processo stesso sia stato il frutto di una mostruosa macchinazio­ne ai loro danni - col fine ultimo di colpire il fenomeno delle così dette adozioni internazio­nali - sin dal momento in cui il piccolo Milton venne visto al Pronto Soccorso dell'Ospedale in­fantile «Regina Margherita», quel 20 giugno.

Che il processo sia delicato è affermazione che si può condividere, non potendosi escludere che, per la vasta eco avuta dalla vicenda sui mezzi d'informazione, i testi possano essere stati in qualche modo influenzati e reso, per conseguen­za, testimonianze non pienamente attendibili. Ma questo, se da un lato può valere a rafforzare il consueto impegno del Tribunale nella ricerca del­la verità, attraverso il doveroso vaglio critico di tutte le risultanze processuali, sì da scartare tut­to ciò che non abbia rispondenza in riscontri obiettivi o in ricostruzioni rigorosamente logiche, non vale d'altro lato ad avvalorare minimamente la tesi difensiva della macchinazione persecu­toria a danno degli imputati. Tesi che, anzi, si rivelerà del tutto arbitraria, alla luce dei fatti co­me qui appresso ricostruiti.

Il primo dato obiettivo - quello che poi ha dato origine al processo - è costituito dalla im­magine e dalle condizioni fisiche di Milton al momento in cui venne portato dal padre adottivo al Pronto Soccorso del Regina Margherita, il 20 giugno 1981. I sanitari ebbero di fronte un bam­bino dall'aspetto molto sofferente, con fratture ad un gomito, ecchimosi varie, ciocche di capelli strappate, stato febbrile. Essi quindi ritennero necessario, quanto doveroso, procedere ad una indagine più approfondita, anche ai fini di un eventuale ricovero del minore. Tale indagine, con­dotta in vari reparti di specifica competenza, evi­denziò quanto segue, sotto il profilo obiettivo. «Condizioni generali scadenti - stato di nutrizio­ne mediocre - sanguificazione discreta - facies sofferente - cute: ecchimosi diffuse, distrofia cutanea al volto e agli arti - temperatura ascel­lare 38 - lingua arida - addome teso, poco tratta­bile, dolente - frattura del tratto anteriore della VII costa, ascellare della VIII e IX, dell'arco po­steriore della X, XI e XII a sinistra - presenza di callo osseo di tenue densità di circa 20 giorni - gomito destro: infrazione a livello del processo olecranico del gomito destro - frattura della base della falange prossimale del IV dito mano sini­stra, segni iniziali di callo osseo - la cute è rico­perta da cicatrici di varia età - al dorso del piede sinistro lesioni crostose ed ematoma - ecchimosi non recenti anche alle ginocchia - cicatrici allo scroto - alla parete addominale a destra una le­sione circolare con soffusione emorragica e cir­condata da escoriazione rotonda - all'orecchio si­nistro escoriazione - alla base del collo, anterior­mente, linea più pigmentata e croste a distanza regolare - analogamente sotto il mento - al cuoio capelluto ancora lesioni crostose - ecchimosi allo zigomo sinistro - unghia dell'indice della mano destra sollevata - sotto l'unghia del dito medio della mano destra soffusione emorragica recente - ritardo nella crescita» (v. cart. clin. e rel. perizia p. 38 segg.). Sulla base di tutti questi dati obiettivi, la diagnosi dei sanitari fu quella di «sindrome del bambino battuto».

Che tale diagnosi fosse rispondente alla appa­renza di quanto era stato evidenziato sul corpo di Milton, è fuori dubbio, ed è ingiusta quanto gratuita l'accusa che i sanitari l'abbiano formu­lata con leggerezza o, addirittura, con scarsa conoscenza del loro mestiere. Il quadro che si presentò ai loro occhi era, infatti, impressionante e, almeno nell'immediato, ben poteva apparire fuori dalla realtà - stando a quella imponente mole di dati obiettivi - l'ipotesi che tutte le lesioni presenti o pregresse e lo stato di decadi­mento fisico di Milton fossero da attribuire a cause accidentali, così come aveva asserito Del­l'Utri Armando la sera del 20 giugno. Il tutto, a prescindere dalle prime dichiarazioni dello stes­so minore, accusatorie nei confronti della ma­dre. Alla luce dì questi dati, poi, la tesi difensiva della suggestione o della macchinazione si rivela persino puerile, atteso che al momento della os­servazione del piccolo Milton nessuno ancora conosceva il caso dei Dell'Utri e dei loro figli adottivi. Il caso esplode subito dopo il ricovero del bambino, e pone all'opinione pubblica, ma soprattutto agli organi inquirenti, il quesito se il piccolo equatoriano sia stato o no maltrattato dai suoi genitori adottivi.

Pertanto, va detto che non solo l'opera dei sa­nitari era pienamente corretta sotto il profilo pro­fessionale, ma che i dati da essi raccolti sulle condizioni di Milton in quel momento costituisco­no un dato probatorio di fondamentale importan­za. Su di esso, infatti, si basa la successiva inda­gine testimoniale e medico-legale, tesa ad accer­tare essenzialmente, da un lato, se le lesioni pa­tite da Milton e le sue scadenti condizioni gene­rali fossero da attribuire ad azione dei genitori, e, dall'altro e più in generale, quale fosse il trat­tamento usato dai coniugi Dell'Utri nei confronti di tutti i figli adottivi.

«era il predetto a palesare dette circostanze tanto per dire che non rispondeva a monosillabi né ripeteva meccanicamente la domanda che gli veniva posta» (f. 63 e verb. dibatt.).

Il 25 giugno Milton viene interrogato dal G.I.

Il relativo verbale porta quanto segue (f. 24): n Si dà atto che il piccolo, che è ricoverato e disteso su un lettino dell'ospedale Regina Margherita, inizialmente si mostra restio a rispondere alle domande che il G.I. gli rivolge con l'ausilio della segretaria e quindi con il sopporto dei modi che si addicono ai bambini. Le domande rivolte sono "come ti chiami?", "quanti anni hai?", "chi ti ha fatto male?", "come ti sei fatto la bua?", "in quale stanza ti sei fatto male?". Non a tutte le domande viene data una risposta. Il bambino af­ferma però di essere caduto mentre correva a piedi nudi senza scarpe e senza calze in cucina in cui vi era acqua per terra versata dalla sua sorellina. Aggiunge ancora (con risposte non in successione cronologica, ma intervallate da altre divagazioni) che la madre lo ha picchiato più di una volta sul sedere. Addirittura accompagna la risposta con un gesto. Dice ancora che ciò face­va con la cinghia di papà. Quanto a quest'ultimo afferma di non essere stato mai da lui picchiato. Quanto ai fratellini dice che "si portano bene" e quindi la mamma non li picchiava. Alla domanda se volesse bene più alla mamma oppure al papà risponde: "alla mamma!" ».

In sostanza, anche nel suo interrogatorio (se così si può chiamare), Milton conferma di essere stato picchiato dalla madre, anche se ha detto molto di meno di quello che aveva detto al per­sonale dell'ospedale e al comm. Bonsignore. Del resto, gli stessi imputati hanno sempre ammesso di avere inferto a Milton (oltre che ad Hugo) punizioni corporali, non solo con le mani ma anche con mezzi di offesa come una cinghia o il battipanni, o altri castighi particolarmente af­flittivi, come l'isolamento nel bagno o nel box della doccia.

Con riserva di tornare su questo (e in parti­colare sull'isolamento nella doccia), va poi rile­vato che dell'uso di punizioni corporali sui due maschietti rimaneva solitamente traccia sul cor­po degli stessi, come emerge dalle testimonianze rese da persone della scuola dai due frequentata, l'istituto Adoration di Viale Curreno.

La suora Chessa Battistina, maestra di Milton, ha fra l'altro dichiarato di avere avuto modo di notare che Milton «presentava lividi sul sederino un po' diffusi dappertutto» e a sua domanda il piccolo rispondeva «sono stato disubbidiente e la mamma mi ha picchiato». «Ho visto detti lividi» - dice la suora - «per diverse volte, esattamente dalla primavera in avanti». E anco­ra: «I lividi di Milton sono stati personalmente visti da me durante l'operazione di aiuto datagli nei bisogni fisiologici».

Da quanto precede si può dunque trarre, in­tanto, un preciso convincimento, ossia che Milton veniva sottoposto a punizioni corporali che la­sciavano tracce vistose sul suo corpo. E, sotto questo profilo, ha scarsa rilevanza il fatto che a tali tracce se ne possano essere aggiunte altre derivanti da fatti accidentali o dal suo essere un po' maldestro. La verità è che agli accidenti si aggiungevano le severe punizioni della signora Arone Dell'Utri.

È appena il caso di rilevare, a tale proposito, che i testi indotti dalla difesa sono da ritenersi poco attendibili, quando affermano di non avere mai visto lividi su Milton, dal momento che gli stessi imputati hanno sempre detto e ripetuto che il bambino, maldestro e dall'equilibrio insta­bile, era solito procurarsi delle lesioni, più o me­no vistose (è significativo che Milton era stato portato allo stesso pronto soccorso ben altre tre volte in precedenza).

Dunque è certo che Milton è stato picchiato, e, malgrado il parere espresso dai periti psichiatri­co-psicologici circa una presunta inattendibilità del bambino per come si è andata formando la sua personalità a causa delle sue pregresse (equatoriane) esperienze, egli, almeno su questo punto, si è dimostrato pienamente attendibile, non fosse altro che per le stesse ammissioni de­gli imputati sull'uso di punizioni corporali e sulle tracce di queste rilevate da attendibili testimoni. Appare, peraltro, decisiva, in proposito, una con­statazione: il primo a parlare di quel genere di punizioni è stato proprio Milton e, con una pre­cisione difficilmente riscontrabile, le sue parole (le sue poche parole) sono state puntualmente confermate dagli stessi imputati: gli sculaccioni, la cinghia, il battipanni, la doccia, le restrizioni alimentari e quant'altro. Egli ha detto il vero e questo è un punto fondamentale nell'indagine.

Procedendo nell'esame della fattispecie, si os­serva che, in relazione all'imputazione contesta­ta, occorre verificare: a) se le lesioni riscontrate su Milton siano in tutto o in parte ascrivibili o meno alla Arone e al Dell'Utri o ad uno dei due; b) se, a prescindere da fatti lesivi dell'integrità fisica, il trattamento di Milton da parte dei suoi genitori adottivi sia riconducibile, o meno, alla nozione di maltrattamenti o a quella di altri reati.

L'indagine, quindi, procederà su queste due direttrici e inizierà dalla prima: le lesioni.

Il problema più serio che si è presentato ai pe­riti è stato quello relativo alle lesioni costali, in quanto per le altre lesioni, come quella al gomi­to, si è accertato pacificamente che esse furono dovute a caduta accidentale (come ha riferito lo stesso Milton), oppure probabilmente ad altri fatti connessi alla vivacità del piccolo. Problema­tica è anche la frattura ad una falange di un dito di una mano. Problematica, infine, è la diagnosi globale di «bambino maltrattato», formulata dai sanitari dell'ospedale infantile. Occorre esamina­re partitamente tali problemi.

Fratture costali. Sul dato obiettivo non sorgono questioni di rilievo: si tratta, come si è detto, della frattura di sei costole nella parte sinistra, verificatasi circa venti giorni prima del ricovero di Milton. II problema, che ha fatto discutere a lungo periti d'ufficio e di parte, concerne i mezzi di produzione di tali fratture.

Secondo i periti d'ufficio, proff. Gatti, De Sanc­tis, e Pizzetti, «le multiple fratture costali dell'emitorace di sinistra sono state determinate dalla compressione dell'emitorace stesso, da par­te di un organo di offesa naturale dell'uomo, non essendo possibile tuttavia la sua identificazione. L'organo di offesa naturale in questione - mano o piede - ha compresso l'emitorace sinistro di Milton mentre questo si trovava a terra in posi­zione supina con lieve rotazione del tronco verso destra» (v. rel. p. 170).

Tale parere i periti d'ufficio hanno formulato sulla base di varie considerazioni e sulla base della più autorevole letteratura medica (Gui, Ma­rino-Zuco, Bohler, Lusena).

Le lesioni costali, che - a parere di Gui - rappresentano circa il 10% sul totale delle frat­ture, sono eccezionali nell'infanzia, rare nell'a­dolescenza e più frequenti nell'età matura e nel­la vecchiaia, cioè in rapporto diretto con la dimi­nuzione dell'elasticità della gabbia toracica.

Quanto ai meccanismi di produzione di tali fratture, essi possono essere o diretti, quando la forza esterna agisce sulla convessità costale e tende a raddrizzare la curva (nel qual caso cede prima la corticale interna rispetto a quella ester­na); oppure indiretti, quando la forza agisce in direzione sagittale sulla gabbia toracica e tende ad avvicinare le due estremità della costa, au­mentandone la curvatura (nel qual caso si frat­tura prima la corticale esterna rispetto a quella interna). A tale riguardo, si dice anche che il meccanismo produttore della frattura costale è dovuto a traumatismi che agiscono sia in senso laterale (trauma diretto), sia in senso antero-po­steriore (trauma indiretto). Cause dirette posso­no essere, ad esempio, una caduta su un oggetto duro oppure un colpo da parte di una violenza più o meno circoscritta. Cause indirette sono i meccanismi di compressione del torace, che pro­ducono la frattura non nel punto in cui è avvenuto l'urto violento, ma in corrispondenza della massi­ma convessità in prossimità della spina dorsale.

Ciò premesso, per quanto riguarda il caso di Milton, tenuto conto della molteplicità delle frat­ture, della loro dislocazione e dell'età del sog­getto (età in cui quel tipo di fratture sono rite­nute, per es. dal Gui, eccezionali), i periti d'uffi­cio hanno formulato l'ipotesi che tali lesioni sia­no state prodotte da un meccanismo non di vio­lenza diretta, bensì di pressione dell'emitorace sinistro. I periti aggiungono che la compressione è stata provocata «da parte di un organo di offe­sa naturale dell'uomo, non essendo tuttavia pos­sibile la sua identificazione (una mano o un pie­de)». Il mezzo lesivo ha dovuto agire, per deter­minare le fratture accertate radiologicamente nel Milton, con lo stesso situato per terra in posizio­ne supina, con lieve rotazione sul tronco verso destra. «Qualunque altra posizione del bambino non avrebbe consentito il determinarsi delle le­sioni fratturative in questione, secondo che ab­biamo potuto constatare utilizzando all'uopo uno scheletro di plastica» (v. rel. p. 120).

A tale conclusione i periti sono pervenuti me­diante un raffronto dei dati obiettivi (il tipo di lesioni patite da Milton) con le risultanze proces­suali, procedendo per esclusione. Tenuto conto che le fratture hanno interessato anche le c.d. coste fluttuanti (la XI e la XII), le quali sfuggono abitualmente all'azione del trauma, fatti lesivi di quel tipo, potrebbero verificarsi: a) per investi­mento; b) per un urto diretto da caduta da altez­za ragguardevole (non inferiore ai 2-3 metri); c) per schiacciamento in senso antero-posteriore.

Scartata la prima ipotesi, essendo pacifico che Milton mai fu vittima dì incidenti di quel genere, i periti hanno scartato anche la seconda come «poco probabile» «trattandosi nella specie di fratture interessanti anche le coste fluttuanti e quindi maggiormente elastiche». I periti hanno precisato che «un trauma diretto avrebbe potuto interessare le coste fluttuanti ma solo queste od eventualmente anche le coste sovrastanti ma sempre a livello grosso modo paravertebrale»; ed inoltre «un trauma diretto di tale entità non avrebbe potuto determinare anche lesioni cuta­nee che non avrebbero potuto passare inosserva­te» (v. rel. p. 115 segg.). Così, vengono esclusi i meccanismi lesivi come una caduta nel bagno o nel giardino o in casa, per la piccola statura del bambino, o urti contro asperità durante la corsa per l'incompatibilità di tale ipotesi con il numero delle fratture e la elasticità della gabbia toracica e la sede delle lesioni. Lo stesso dicasi per l'ipotesi di caduta da uno scivolo.

I periti, invece, ritengono che si sia verificata, come si è detto, la terza ipotesi (schiacciamento in senso antero-posteriore): «uno schiacciamen­to che provochi le lesioni fratturative riscontrate nel piccolo Milton, può essere determinato dalla compressione del torace o conseguente alla ca­duta sullo stesso di un greve di non indifferente volume, quale potrebbe essere un mobile, o con­seguente all'azione esercitata sul torace da orga­ni di offesa naturali dell'uomo, quali mani, piedi, ginocchia, ecc. Escludiamo il mobile o il greve in senso lato in quanto una tale circostanza non emerge dagli atti e d'altra parte non avrebbe po­tuto passare inosservata in quanto, data la com­plessione fisica del piccolo, sarebbe stato indi­spensabile l'intervento di una terza persona per rimuovere il greve stesso. Per quanto concerne la compressione che i genitori ed il sig. Consulen­te tecnico affermano possa essere stata determi­nata da un compagno che sia "rovinato" addosso a Milton nel gioco dello scivolo, facciamo pre­sente che una evenienza del genere, pur teori­camente possibile, in pratica è estremamente difficile, per non dire impossibile. Per la sua rea­lizzazione; infatti, sarebbe stato necessario in pri­mo luogo che Milton al termine dello scivolo (lungo solo cm. 270, e quindi tale da non con­sentire al minore di acquistare una velocità ele­vata, ed il cui bordo terminale è situato ad appe­na 15 cm. dal piano terra) fosse caduto a terra rimanendo fermo in posizione supina anziché nel­la posizione "seduta" che sarebbe stata quella logica, data l'altezza dello scivolo (altra evenien­za sarebbe stata quella che facendo leva con i piedi contro il suolo fosse ribaltato a distanza dallo scivolo rimanendo però in posizione prona); in secondo luogo che il compagno, che avrebbe dovuto avere una costituzione fisica ed un peso notevolmente maggiori rispetto a quelli di Milton, fosse anch'egli caduto e terminato con entrambi i piedi o con la regione glutea esattamente sull'emitorace sinistro del nostro soggetto senza "toccare" altri distretti corporei!» (p. 118 seg.).

Ad avviso del Tribunale l'impostazione dei peri­ti d'ufficio è convincente, perché sorretta da una logica ricostruzione del meccanismo fratturativo in rapporto e alle risultanze di fatto e (ma so­prattutto) ai dati di ordine strettamente tecnico.

I consulenti di parte hanno tentato di incri­narne la validità, sia prospettando, come si è vi­sto, altre ipotesi di traumatismo, che sono state escluse dai periti d'ufficio con argomentazioni, che, per la loro serietà e logicità, il Tribunale condivide, sia ipotizzando un traumatismo diret­to (e non per compressione), sulla base di rilievi, che, pur nella loro apprezzabilità (v. Osservazio­ni tecniche del prof. Baima Bollone, p. 7 segg.), non valgono ad incrinare la bontà del parere pe­ritale.

Invero, l'illustre Consulente tecnico imposta la sua critica da due diversi punti di vista: a) se si accettasse la tesi della lesione per compres­sione (quella dei periti d'ufficio), «ciò rappre­senterebbe una preclusione di ordine assoluto a riferire l'evento traumatico ad ogni azione lesiva esercitata dalla madre con il meccanismo indi­cato dai periti» (p. 11 segg.); b) non si può asso­lutamente escludere che dette lesioni siano sta­te causate da trauma diretto (p. 16 segg.).

Sotto il primo profilo, il Consulente cita una recentissima pubblicazione dell'Università di To­rino sulle violenze ai bimbi (autori: Mussa, Bona e Silvestro, Il bambino maltrattato, 1982) e con­divide l'opinione ivi esposta secondo cui, in caso di maltrattamenti «tre tipi di fratture sono sem­pre consecutive ad un traumatismo diretto: le fratture del cranio... le fratture delle coste... le fratture delle ossa proprie del naso, della carti­lagine del setto nasale». Parrebbe che il prof. Baima tenda ad escludere che meccanismi indi­retti, come quello indicato dai periti, possano provocare lesioni costali, che, in caso di maltrat­tamenti, potrebbero essere conseguenza solo di trauma diretto.

Senonché, mentre in linea di principio non con­vince la tesi che una dinamica di compressione con una mano, con un piede o con un ginocchio non sia idonea a provocare lesioni costali dì quel tipo, e ciò perché secondo tutta la letteratura medica (peraltro accettata dallo stesso consulen­te), le fratture costali possono essere sempre provocate o da traumi diretti o da traumi indiret­ti; si osserva, con riferimento al caso di specie, che la tesi del trauma diretto appare in palese contrasto con l'altra, secondo cui, potendo es­sersi trattato nel caso di Milton di frattura diret­ta, si dovrebbe escludere che esse possano es­sere state provocate da una azione della madre. Infatti, se si accedesse alla tesi esposta in quel lavoro di Mussa e altri, poiché i consulenti degli imputati sostengono che probabilmente si trattò di trauma diretto, se ne dovrebbe trarre la logica conclusione che autori di tali lesioni possano ben essere stati o la madre o il padre.

Si sostiene, ancora, che se si dovesse identi­ficare il mezzo lesivo in un qualche organo di offesa naturale dell'uomo, sarebbe assai dubbio che «una donna della taglia della Arone sia in grado dì ottenere un effetto del genere». Tale dubbio, però, non ha - ad avviso del Tribunale - alcuna ragion d'essere, se si considera che l'ido­neità dì un mezzo lesivo a provocare una deter­minata lesione non può essere valutata in asso­luto, ma solo in senso relativo. Rapportando le complessioni fisiche del bambino (di anni 4 circa, ma di sviluppo, allora, di 2 anni e mezzo) e della Arone (donna di statura e complessione norma­le), non si vede come possa essere formulato un dubbio del genere.

Sotto il secondo profilo, si sostiene, in sostan­za, che i rilievi dei periti per l'esclusione di un traumatismo diretto, non possono considerarsi decisivi. I periti, come si è visto, sostengono che per la produzione di quelle fratture, che hanno interessato anche le coste fluttuanti, era neces­sario un meccanismo diretto di tale intensità che avrebbe comportato anche «lesioni cutanee che non avrebbero potuto passare inosservate». Dice il Consulente che, come risulta dalla letteratura «le ecchimosi cutanee sono presenti soltanto nel 41% delle fratture costali mentre le ferite nel 35%. Ciò perché il torace è per lo più rive­stito da indumenti e spesso anche una sottile maglietta può ottenere una attenuazione degli effetti lesivi tegumentari». Tale osservazione nulla toglie alla coerenza della tesi dei periti, perché verosimilmente quella statistica compren­de tutte le lesioni costali (dirette ed indirette) ed era già noto che non tutte provocano anche lesioni cutanee, come avviene, per l'appunto, nel­le lesioni per compressione.

Per il resto, le critiche, sul punto, del Consu­lente sono critiche di metodo (si poteva fare an­che una scintigrafia, che poteva risultare utile per stabilire l'epoca delle lesioni) o di merito circa l'epoca del fatto lesivo.

Pertanto, rimane pienamente valido il parere espresso dai periti circa il meccanismo di pro­duzione delle lesioni costali.

Un altro aspetto di grande importanza valutato dai periti d'ufficio è quello sulle condizioni gene­rali sia di Milton che di Hugo e le conclusioni sono nel senso che, mentre per quanto riguarda Nugo «i mezzi di correzione e di disciplina adot­tati» nei suoi confronti «hanno comportato il pericolo di una malattia nel corpo o nella men­te», per quanto riguarda, invece, Milton gli stes­si mezzi di correzione e di disciplina hanno de­terminato una «sindrome del bambino maltrat­tato».

Prendendo, intanto, in considerazione il caso di Milton si osserva che quella di «sindrome del bambino maltrattato» è una nozione da lungo tempo individuata e descritta dalla scienza me­dico-legale, anche se con l'andar del tempo la «sindrome» è stata via via arricchita di nuove osservazioni, tratte dalla casistica. Sull'argomen­to, si è avuto al dibattimento un interessante confronto dialettico tra i periti, da un lato, e il prof. Baima Bollone, dall'altro, che ha dedicato parte delle sue osservazioni scritte a questo ar­gomento.

Omettendo qui le citazioni della letteratura me­dica (v. Relaz. p. 131 segg. e Osservazioni p. 22 segg.), si rileva che i periti definiscono la «sin­drome del bambino maltrattato» come una vera e propria malattia pediatrica, presente in bambini vittime di brutalità, sevizie o negligenze gravi. «Essa è caratterizzata nella sua forma più cla­morosa» - affermano i periti - «da lesioni cutanee e dei tessuti molli di natura traumatica o fisica, associate a lesioni scheletriche e del sistema nervoso centrale. Oltre a ciò, si devono comprendere, in questa entità nosologica, anche quei casi di minori che, senza essere sottoposti a violenze propriamente dette, vengono privati delle cure materiali e morali indispensabili per un adeguato accrescimento e sviluppo psicofisi­co» (p. 132 segg.). I periti espongono poi vari dati statistici e proseguono osservando, tra l'al­tro, che «alcune categorie di bambini appaiono particolarmente "predisposti" a subire le violen­ze di chi li ha in custodia: i prematuri, i porta­tori di malformazioni congenite, i deboli mentali, gli enuretici, i soggetti affetti da deficit motorio o sensoriale. E poi ancora gli adottivi, i figliastri, i figli nati prima del matrimonio, quelli non de­siderati, i bambini messi a balia e quelli rientrati in famiglia dopo assenza per ricovero prolungato e ripetuto». E ancora: «La maggior parte (90%) dei genitori che maltrattano i figli non sono clas­sificabili tra i malati di mente e non devono per­tanto essere considerati come "incapaci di inten­dere e di volere". Essi infieriscono sul bambino in un momento di rabbia incontrollabile, causata da vari elementi esterni o anche dal comporta­mento particolare del bambino stesso» (p. 137).

Quindi, i periti passano a descrivere la «sin­drome» come insorta in epoche diverse. «In circa un terzo dei casi di maltrattamento, alle lesioni della cute e dei tessuti molli, si associa­no traumatismi scheletrici: fratture in genere multiple, ma talora anche isolate, specie a ca­rico delle ossa lunghe, delle coste, delle clavi­cole, del cranio: distacchi epifisari conseguenti a traumatismi in torsione, allungamento o com­pressione a livello delle articolazioni».

Altre lesioni riscontrate nella figura del bambi­no maltrattato sono: l'ematoma subdurale con o senza frattura del cranio, alterazioni oculari, le­sioni viscerali come conseguenza di traumi ad­dominali o toracici (es. lesioni al fegato o alla milza).

«Talvolta si può riscontrare deficit staturo­-ponderale, associato o no a ritardo psicomotorio. Autori americani descrivono, sotto la denomina­zione "failure to thrive", casi di ipotrofia con ritardo dell'accrescimento staturale di origine mi­sconosciuta, in cui si osserva una caduta della curva di accrescimento staturo-ponderale senza una motivazione clinica o biologica. Oltre a que­sto fanno parte delle ripercussioni sullo stato ge­nerale di salute del bambino, l'anemia ferro­priva, l'ipoprotidemia, il rachitismo carenziale di riscontro abbastanza frequente».

E ancora rilevano i periti che «a suffragio del­la certezza diagnostica emerge un altro elemento caratteristico della sindrome: la guarigione delle lesioni superficiali e senza ricadute, nei bambi­ni allontanati dalla famiglia, ed il miglioramento rapidissimo dello stato di nutrizione, della mo­tricità, della capacità di socializzazione del bam­bino ricoverato in ospedale, in antitesi di quanto di solito avviene per il bambino "normale" allon­tanato, pur se temporaneamente, dall'affetto dei familiari».

È utile, a tale proposito, riportare per esteso la parte di relazione relativa a tale argomento.

«Il quadro clinico della sindrome è vario: il bambino maltrattato non deve necessariamente presentarsi in uno stato di trascuratezza o in condizioni di nutrizione scadente, anche se, ta­lora, è proprio questo aspetto che colpisce mag­giormente; altre volte invece l'aspetto può esse­re quello di un bambino in condizioni normali di nutrizione, pulito, ben curato, per nulla trascu­rato. Per contro può accadere che l'aspetto tra­scurato di certi bambini non sia altro che il testi­mone delle difficoltà socio-economiche della fa­miglia e che nulla abbia a che fare con il mal­trattamento. Il comportamento del bambino spes­so attira l'attenzione: a volte è apatico, non sor­ride né piange, a volte geme, non reagisce a stimoli di vario genere o si ritrae in atteggiamen­to di difesa se un individuo, a lui vicino, accenna ad alzare le mani o a compiere altri movimenti, pur con intenzioni non malevoli».

«Il bambino seviziato presenta lesioni abba­stanza caratteristiche. Costanti sono le lesioni a carico delle parti molli e della cute: contusio­ni, ecchimosi, soffusioni emorragiche, ematomi, abrasioni ed escoriazioni, morsicature che carat­teristicamente, hanno un effetto contundente e schiacciante a differenza di quelle dei cani che provocano lacerazioni della cute; cicatrici lineari o curve, segni circolari intorno alle braccia, ca­viglie, al collo o alla vita qualora il piccolo sia stato legato ad un oggetto fisso. Abbastanza fre­quenti e spesso caratteristiche le ustioni. Altre peculiarità di queste lesioni è quella di essere associate o multiple e riconoscibili».

Ciò premesso, si osserva che i periti hanno convincentemente riscontrato su Milton più se­gni caratteristici della sindrome del bambino maltrattato. Innanzitutto, il suo stato generale decisamente scadente al momento del ricovero: peso Kg. 12, con un aumento di circa un chilo in un anno, cioè dal 20.5.1980 quando Milton fu visitato dal dott. Nelson Davila Castillo di Quito, senza alcuna giustificazione di tipo patologico specifico (malattie come la lambiasi erano da vari mesi scomparse); statura cm. 90, con au­mento nello stesso periodo di 9 cm., di cui - pe­rò - cinque dal 20.5 al 12.10.1980, due da tale data al 6.4.1981 e due da tale data al 20.6.1981, con un evidente rallentamento nel 1981; forte anemia ferropriva, perché dai 4.300.000 globuli rossi del 20.5.1980 e dai 4.680.000 del 1° ottobre 1980 il bambino era sceso a 2.970.000 g.r. al mo­mento del ricovero (su tutti questi dati cfr. re­laz. p. 145 segg.).

In secondo luogo, l'abituale uso di mezzi di punizione violenti, come schiaffi, colpi di batti­panni, cinghiate, afferramenti per i capelli e re­strizioni alimentari. A tale proposito, va rilevato che gli stessi imputati hanno ammesso l'uso di tali mezzi «educativi», uso che - malgrado i tentativi dei Dell'Utri di fare apparire come spo­radico - fu certamente molto frequente e in­staurato sin dall'inizio come abituale risposta ad ogni «mancanza» dei minori Hugo e Milton. Vi era, probabilmente, una sorta di graduazione «edittale» del ricorso all'una o all'altra punizio­ne: infrazione veniale = niente frutta; infrazio­ne più o meno grave = scelta caso per caso tra schiaffi, cinghiate, colpi di battipanni, ecc. Non può mancarsi di notare, in merito a ciò, che l'uso della cinghia risale al luglio o all'agosto 1980, per ammissione degli stessi imputati, allorché i detti minori fecero i loro bisogni non nel luogo a ciò destinato ma in soggiorno o in cucina. Epi­sodio, questo estremamente sintomatico di una precisa impostazione di rigorismo aprioristico, che non teneva alcun conto delle recentissime esperienze equatoriane dei due e quindi della ne­cessità di una gradualità nell'inserimento di essi in un «altro mondo», di cui i minori non avevano neppure la più lontana idea.

Dell'uso abituale di mezzi violenti di correzione è, poi, spia fedele la ricorrenza con la quale ve­nivano notate sul corpo dei minori evidenti tracce di botte in varie parti del corpo. Del resto, lo stesso Milton, all'atto del ricovero, presentò un quadro talmente allarmante, che ne venne subito disposto il ricovero: ecchimosi in varie parti del corpo, cicatrici, ciocche di capelli mancanti (data la sua alopecia, bastava anche un leggero strap­po!), nonché lesioni che, a parte quella dell'ole­crano giustificata da una caduta accidentale, non hanno alcuna spiegazione, se non quella di una azione violenta della madre. La frattura della fa­lange prossimale del IV dito della mano destra, ma soprattutto la frattura di ben sei coste, sono spiegabili soltanto ipotizzando, nel primo caso una violenta torsione del dito, e nel secondo una forte pressione col piede da parte della Arone, in occasione di uno dei tanti capricci di Milton, quando era solito gettarsi per terra ed ivi rima­nere, malgrado anche energici richiami (v. deposizione della madre della Arone in istruttoria e dichiarazioni dell'imputata).

Senonché, anche a prescindere da questi ulti­mi rilievi, sta di fatto che Milton ebbe, fin da pochi giorni dopo il ricovero un netto e progres­sivo miglioramento delle condizioni generali fisi­che e psichiche, come attestano l'«aumento di circa 3 Kg. dall'atto del ricovero ospedaliero a quello dell'ultima nostra visita (80 giorni) contro l'aumento di un chilo circa nell'arco dell'anno pre­cedente» e la «spiccata vivacità e tono affettivo gaio e sorridente» (p. 154). Sta di fatto, ancora, che oggi - come attestato dagli stessi periti non­ché dai periti psichiatrico-psicologici - Milton è in condizioni tutto sommato soddisfacenti, avendo il peso adatto alla sua età, avendo ricu­perato nella crescita staturale (il prof. De Sanctis ha parlato, appunto, di crescita di ricupero, che si verifica dopo un periodo di stasi dovuto o a particolari malattie o a maltrattamenti: v. gra­fico prodotto dal perito), avendo iniziato a «ri­marginare» quelle profonde ferite, che le deso­lanti esperienze equatoriane gli avevano procu­rato nell'animo. La verità è che, da quando è finita la sua esperienza in casa Dell'Utri, Milton (ma la stessa cosa vale per Hugo, secondo tutti i periti) ha iniziato una vita normale, la cui nota dominante è costituita dall'amore, anche nelle immancabili cadute, e non, come in precedenza, dal sinistro spauracchio dì una gelida disciplina, sovrana dominatrice di uomini e cose.

Infine, non si può tacere, trattando di questo argomento, dell'uso del vano della doccia, come mezzo di isolamento per fini punitivi (un simbo­lico carcere). Siccome i minori ne parlarono, an­che su questo argomento gli imputati sono stati interrogati. Al dibattimento, la Arone ha dichia­rato che effettivamente uno dei bambini, chiusosi in un improvviso mutismo, si isolò per circa quat­tro giorni nel vano della doccia. Questo però sarebbe da riferire non a Milton (a cui mai sareb­bero accaduti fatti del genere), ma ad Hugo. Se­nonché, sia nel suo interrogatorio al P.M. (f. 17), sia nel suo interrogatorio al G.I. (f. 68), l'imputata riferisce ripetutamente l'episodio, e in modo ine­quivocabile (perché in entrambi i casi parla di­stintamente e quasi contrapponendone compa­rativamente i comportamenti dei due minori), lo attribuisce a Milton. È facile argomento difensivo dire - oggi - che si trattò di un errore: nel primo interrogatorio forse questo poteva essere possibile, per il turbamento psichico conseguen­te allo stato di arresto, ma non nel secondo, quan­do l'imputata aveva avuto tutto il tempo di riflet­tere su quanto andava esponendo.

Ma v'è di più. Nelle dichiarazioni rese al Giu­dice minorile, nella parallela inchiesta avviata da quel Tribunale, la Arone continuò a riferire quell'episodio a Milton (v. atti Trib. Min. f. 10). Chi lo riferì ad Hugo fu invece il Dell'Utri, sem­pre in quella sede, e ciò, tuttavia, dopo avere det­to che uno dei castighi consisteva, appunto, nell'isolamento nel bagno: «qualche volta "vai nel bagno e sta lì": ciò se le infrazioni sono grosse» (f. 29).

Non c'è alcun dubbio, dunque, che l'isolamen­to nella doccia o nel bagno fosse una delle puni­zioni applicate ai minori, e ciò si può affermare con certezza, anche ammettendo che sia vero l'episodio di Hugo che per quattro giorni si isola nella doccia senza mangiare né bere e colà dor­mendo anche la notte. Episodio che, unitamente alla dichiarazione del Dell'Utri, conferma ancora che il vano della doccia venne usato come luogo di punizione. Infatti, sia dalle dichiarazioni di te­sti, sia dalle dichiarazioni degli stessi imputati anche al dibattimento è emerso un dato assai il­luminante sullo stato d'animo dei minori e sul clima che doveva regnare in quella casa: co­stantemente i minori si sentivano in difetto e ripetevano di avere fatto arrabbiare la mamma e di meritare quindi una punizione. A volte essi stessi suggerivano il tipo di punizione, come quando la Arone cominciò - a suo dire - ad usare la cinghia per suggerimento dello stesso Hugo, dopo una delle tante presunte «mancan­ze». A volte, poi, o per ragioni imperscrutabili o per infliggersi una punizione (autopunizione) i bambini si isolavano o appartavano, per cui ri­sulta agevole spiegare i motivi di quell'atteggia­mento. Una conferma di ciò si ha nella testimo­nianza dibattimentale della Ruzzante, maestra di Hugo, la quale riferisce che, dopo vari giorni di assoluto mutismo a scuola, un bel mattino Hugo entrò in classe sorridente e gaio e, a sua do­manda, rispose che aveva fatto la pace con la mamma o qualcosa del genere.

Si può affermare, dunque, che il clima che si era instaurato nei rapporti tra madre e figli era tale da far generare nell'animo (già per altro de­vastato) dei minori un senso profondo di colpa, sicché, quando per una qualunque ragione essi vedevano che la mamma era preoccupata o di­spiaciuta, ne attribuivano a se stessi la colpa (v. anche relazione perizia psicologica) e, in mancanza di altra punizione, giungevano (specie Hugo, più grande) ad autopunirsi. Nella scelta della punizione, non potevano, ovviamente, che limitarsi all'autoisolamento, ad imitazione di un tipo di punizione già loro inferto. E forse anche in questa chiave è spiegabile la «fuga» di Hugo in giardino in una gelida sera del gennaio 1981, episodio sul quale molto si è detto, ma che, in tutto il complesso dei fatti, ha una importanza decisamente marginale.

Per concludere su questo argomento, va notata un'altra circostanza che, seppur non decisiva, vale comunque a porre un suggello insospettabi­le alla prova che la Arone usava spesso e vo­lentieri mezzi violenti dì correzione, che allarma­vano persino il marito. Riferisce Ruzzante Mari­lena (maestra di Hugo: f. 193): «Ho tentato di avere un colloquio con la signora, ma ella si mostrò chiusa nel senso dì essere restia ad una reciproca collaborazione per considerare gli at­teggiamenti di Hugo... Viceversa il marito: ebbi un colloquio anzi più d'uno con lui ed egli era molto più propenso al dialogo. Voglio riferire una frase detta a me dopo l'episodio della gamba e della mano» (lesioni alla mano e alla gamba con zoppia di Hugo, di cui la teste aveva in pre­cedenza parlato): «Sto vivendo nel terrore che possa succedere una disgrazia, perché mia mo­glie quando mette le mani addosso ad Hugo per­de la testa». Il Dell'Utri, da parte sua, ha cercato (comprensibilmente) di sostenere che non era quello il senso della frase, ma la teste, sulla cui piena attendibilità non è lecito sollevare alcun dubbio, ha puntualmente confermato che la frase del Dell'Utri fu quella, anche se con parole forse diverse.

Ogni commento a ciò appare superfluo. Piut­tosto occorre esaminare le critiche avanzate dal prof. Baìma Bollone al parere espresso dai periti sulla sindrome da bambino maltrattato, riscontra­ta su Milton.

Le critiche si sostanziano, tutto sommato, in una affermazione, ossia nel dire che nell'elabora­to peritale non trovano «soddisfazione tutti gli aspetti che la letteratura indica come patogno­monici o anche soltanto nel loro complesso rife­ribili alla sindrome di maltrattamento». Il che si­gnifica, come si desume dalla interessante di­squisizione del consulente, che di tutti i segni caratteristici che la letteratura ha via via indi­viduato come tali nella sindrome detta, in Milton ne sono stati riscontrati solo una parte. Ma, come giustamente ha fatto osservare il prof. De Sanctis (illustre pediatra) nell'udienza, non è detto che per aversi la diagnosi di una determinata sindro­me morbosa debbano ricorrere tutti quelli che sono stati nella casistica individuati come sin­tomi della malattia. Anzi, normalmente si riscon­trano solo una parte dei sintomi. L'importante è che si tratti dì sintomi caratteristici di quella affezione e che sia da escludere la sussistenza di altra malattia. Il prof. Baima ha riconosciuto l'esattezza degli elementi indicati dai periti d'uf­ficio (p. 27), rilevando, in fin dei conti che in altri casi se ne sono riscontrati degli altri o in aggiun­ta o in alternativa.

Sicché, rimane confermata l'esattezza del pa­rere espresso dai periti, nonché di quella diagno­si che fecero i sanitari dell'Ospedale infantile nell'osservare Milton all'atto del ricovero.

Tutto ciò premesso, appare evidente come nel caso di specie sussistano gli estremi del delitto di maltrattamenti contestato e non di altri reati, in particolare di quello previsto dall'art. 571 C.P. (abuso di mezzi di correzione e di disciplina). Non c'è dubbio, infatti, che Milton venne sottoposto, non solo ad un regime di vita che, come si è ac­cennato, era del tutto inadatto al suo essere, ma anche a veri e propri maltrattamenti, come ha reso evidente la sua sindrome, sintesi di una se­rie di violenze, trascuratezze, paure.

Il bambino era proveniente da una devastante esperienza psicologica, come l'abbandono da parte della madre naturale, con la quale, bene o male, era vissuto fino a pochi mesi prima dell'adozione. Appare superfluo illustrare qui i det­tagli di tale sconquasso, di cui hanno parlato suf­ficientemente i periti psicologi. Quello che va sottolineato e posto nella massima evidenza è che il bambino aveva bisogno di una madre com­pletamente diversa dalla Arone, come i fatti han­no dimostrato con l'esperienza successiva a quel­la presso la famiglia Dell'Utri (v. in proposito le dichiarazioni rese dai periti psicologi nell'ultima udienza di istruttoria dibattimentale).

La Arone, donna dalla personalità rigida, iper­aderente ad un modello di educazione mutuato direttamente dall'educazione ricevuta, tanto da non avere mai avuto dubbi di sorta circa la bon­tà dei propri metodi pedagogici, incapace di slan­ci affettivi, «per timore di esprimere i propri sentimenti sia positivi che negativi, perché vis­suti come potenzialmente incontrollabili o come qualcosa di cui ci si debba vergognare, dall'ag­gressività profondamente rimossa e controllata che viene razionalizzata sotto forma di "punizio­ni esemplari", ha tenuto nei confronti dei bam­bini un trattamento educativo e disciplinare im­prontato a perfezionismo e rigidità, quali emer­gono dalla lettura degli atti e dai colloqui clinici e dagli esami psicometrici» (v. per. p. 44 segg.). In tutto questo quadro si nota la carenza di un solo elemento, ma fondamentale, il quale da solo potrebbe sopperire alla mancanza di qualunque altra dote educativa: l'amore, la capacità di do­narsi con slancio e senza timori, un impulso di generosità che spesso sta in antitesi con qua­lunque disegno razionale, ma che è capace di ot­tenere miracoli educativi impensabili in termini di logica.

Forse il metodo educativo della Arone avrebbe potuto adattarsi a bambini allevati fin dalla più tenera età, certo non a bambini di quattro o di otto anni, come Milton e Hugo, dalla personalità già impostata attraverso le più mortificanti espe­rienze infantili. Il disegno di fare di Hugo e Milton dei soldatini era profondamente errato, perlo­meno quanto la sicumera con la quale la Arone ha sempre vantato e difeso il proprio metodo educativo.

I risultati, pertanto, di quel tipo di educazione, che contemplava come dato primario o forse uni­co la disciplina ad ogni costo e individuava in un implacabile sistema punitivo per ogni sorta di «mancanze» - anche le più insignificanti, come quella di lavarsi le mani alle scadenze sta­bilite - l'unico metodo di correzione, non poteva che dare, come diede, risultati, non solo falli­mentari, ma anche molto dannosi e al corpo e allo spirito dei due sfortunati bambini equato­riani.

Inquadrata in quest'ambito, la situazione dei due bambini, ma specialmente quella di Milton fu praticamente solo negativa. E ciò va detto anche riconoscendo che - come ha tenuto a sottolineare il Dell'Utri - l'anno di vita trascorso con genitori adottivi ha avuto anche momenti fe­lici per Hugo e Milton. Molto probabilmente i due bambini avevano un rapporto di tipo diverso con il padre, che, anche se non periziato come la Arone, è apparso tuttavia come persona ben altrimenti dotata di calore umano, sicché i pic­coli, anche se talvolta da lui stesso puniti, forse non lo sentirono mai come individuo a loro con­trapposto ed estraneo. Ma su questo si tornerà.

Va avvertito, peraltro, che non si è voluto qui sottoporre a critica un metodo educativo sic et simpliciter, bensì sottolineare che fu in quella realtà che ebbe a maturarsi il reato di maltrat­tamenti, per lo meno in danno di Milton. I pre­supposti c'erano in quel tipo di sistema educa­tivo, qualificabile come si vuole, ma sicuramente inadatto a quei minori. Il dato scatenante, però, fu ben altro.

Importa poco sapere i motivi per i quali i co­niugi Dell'Utri presero ad un certo punto la deci­sione di adottare, non un bambino, secondo il parere espresso dalla CRI, ma ben quattro. Fu certamente, come ha detto il Dell'Utri, una de­cisione assai travagliata, sofferta, per una serie di ragioni, delle quali non ultima la complessità dei compiti gravosi che essi si andavano ad assu­mere. Ma fu anche una decisione a dir poco in­cauta, specie a causa della mentalità della Aro­ne, non solo rigida e perfezionistica, come si è visto, ma anche tendente ad abbracciare da sola e senza aiuto di alcuno qualunque compito, per gravoso e snervante che fosse. Essa forse sen­tiva come motivo di orgoglio e di vanto il dovere di fare da sola, e questo, ancora una volta, era frutto di una presunzione facilistica, come quella di ritenere il proprio l'unico modello educativo valido. «Mi sono resa ben conto - dice la Arone ai periti (p. 22) - che dovevo affrontare grosse difficoltà. Mi prospettavo le difficoltà, ma mi sentivo di potercela fare».

Senonché, le difficoltà non furono «grosse», furono enormi, e questo, ferma restando l'osti­nazione della Arone di arrivare a tutto, e parimen­ti la constatazione che non di un mare si trattava ma di un oceano, produsse certo in lei un logora­mento di nervi. Da qui al cedimento nei punti in cui si poteva cedere, il passo è breve.

Dei quattro adottati, quelli che abbisognavano di cure e assistenza maggiori erano le due femmi­nucce, Anna Karina e Maritza, entrambe in non buone condizioni di salute (la prima affetta, tra l'altro, da stridore laringeo, per cui subirà in se­guito una tracheotomia). Hugo aveva anche i suoi problemi di scuola e aveva le sue ricorrenti crisi di mutismo. L'unico che era molto vivace, spes­so fastidioso perché affetto da forte gelosia quan­do la madre - il che accadeva spesso, per forza di cose - si dedicava alle sorelline, era Milton. È interessante su questo leggere quanto dicono i periti sulla gelosia di Milton e sulle sue reazio­ni, tutte volte ad attirare l'attenzione su di sé. In sede di anamnesi, i periti rilevano, fra l'altro: «Milton inizialmente non sembrava avere grossi problemi di ambientamento. Le difficoltà di rap­porto sembrano essersi progressivamente pre­sentate ed accresciute, in rapporto ad un com­portamento definito di "gelosia" e caratterizza­to» da strani comportamenti, come il restare immobile per delle ore, oppure buttarsi a terra a corpo morto, in rapporto a frustrazioni anche minime o a banali osservazioni sul suo comporta­mento. Ama fare giochi ripetitivi (scontri di mac­chine ecc.) di movimento, richiede dagli altri un'attenzione esclusiva e possessiva. Negli ul­timi tempi Milton si mostrava particolarmente geloso delle attenzioni che la mamma riservava alle sorelline soprattutto a proposito dei cibi (che infatti ultimamente cercava di preparare uguali per lui) e di Hugo che veniva aiutato a fare i compiti. Milton tendeva a dominare su Hugo, mentre subiva in genere le aggressività delle sorelline, pur picchiandole qualche volta (p. 46 segg.).

Si delinea così una situazione in cui, da un lato, stanno le sorelline ed Hugo, che, o per la tenera età o per il carattere chiuso ed introverso, non esprimono particolari esigenze ed appaiono, quin­di, come quelli a cui vanno prodigate le cure maggiori; dall'altro, Milton, che appare come quello che non ha bisogno di attenzioni parti­colari, perché è lui stesso a richiederle, ma in più crea fastidi e «grane», un po' facendosi male, un po' assumendo quei comportamenti di­spettosi nelle crisi di gelosia.

Appare chiaro, quindi, come la Arone, vuoi per la sua stessa mentalità rigida e punitiva, vuoi perché sicuramente logorata di fisico e di nervi, come si è accennato, abbia potuto avere, dalla primavera in avanti reazioni particolarmente vio­lente nei confronti di Milton, il capriccioso e piantagrane, così come a lei appariva.

E a tale proposito, si rileva come vi sia una perfetta coincidenza tra le reazioni della Arone su Milton dalla primavera in poi, e le condizioni fisiche e psichiche di Milton, quali in quel periodo apparse a testimoni, e quali - del resto - corri­spondenti alla realtà, come attestato dalla peri­zia medica.

In particolare, Chessa Battistina (suor Maria Celina), maestra di Milton, riferisce, fra l'altro, di avere visto «detti lividi per diverse volte, esattamente dalla primavera in avanti» (f. 112), e al dibattimento aggiunge che Milton negli ulti­mi tempi le sembrò debole e senza energia. Ed analoghe affermazioni sullo stato di abbattimento di Milton durante una gita scolastica effettuata il 4 giugno 1981, hanno reso Rotundo Maffei Luisa, Gili Mariangela, Cravero Antonietta, Vedovato Anna, escusse al dibattimento.

Tutto ciò premesso, osserva il Tribunale che nel caso di specie esiste non solo - come si è dimostrato - la materialità, ma anche l'elemento soggettivo del delitto di maltrattamenti contesta­to. Se, infatti, il c.d. «animus corrigendi», che caratterizza il reato di abuso di mezzi ecc. (art. 571 C.P.), può essere stato l'elemento ispiratore della condotta tenuta dalla Arone anteriormente (e non occorre qui ripetere quanto si è detto in merito al metodo educativo dell'imputata), dalla primavera in poi essa agì sicuramente, nei con­fronti di Milton, con «animus ledendi», ossia per puro nervosismo, nell'istintivo sfogo della tensione nervosa e dell'ira, che in quella situa­zione familiare assai pesante e stressante, le cau­savano i comportamenti, ritenuti assurdi e incom­prensibili, di Milton. Dirà Hugo (f. 28) al G.I.: «Milton è quello dei fratellini che fa arrabbiare di più la mamma, perché si butta per terra. Tal­volta è stato preso a schiaffi. Quando ha disub­bidito, è stato picchiato con la cinghia dei pan­taloni di papà deposta tra i giornali di uno scaf­fale della cucina. Ora non c'è più perché i miei l'hanno gettata via nell'immondizia. Qualche vol­ta la mamma ci tirava per i capelli e qualche volta questi le rimanevano in mano. Più frequentemen­te a Milton. Saltuariamente Milton si lamentava di dolori anche all'addome e al torace; ciò nel­l'ultimo mese, nonché tosse, per cui la mamma gli dava uno sciroppo di color bianco». E dirà in seguito, quando era tenuto in osservazione pres­so la famiglia a cui i minori erano stati affidati dal Comune di Torino: «La mamma non è buona picchia anche me con il bastone. Voleva che noi la perdonassimo quando ci picchiava, altrimenti si arrabbiava e ci picchiava più forte. Il papà non ci picchiava ed era molto triste quando la mamma ci picchiava. Ho anch'io paura come Milton di tornare a casa».

Ora, pur prendendo tutte queste affermazioni di Hugo con beneficio d'inventario, trattandosi di bambino che, a dire dei periti psicologi, sarebbe inattendibile, colpisce comunque una frase, cioè quella riferita al padre che si rattristava quando la mamma picchiava. Cosa che ha una perfetta corrispondenza con quanto riferito dalla teste Ruzzante, circa il «terrore» del Dell'Utri quando la moglie aveva quelle che si potrebbero definire «crisi di violenza».

Appare fin troppo chiaro, dunque, che la Aro­ne, a parte l'uso di mezzi di correzione crudeli (cinghìa, doccia, privazioni alimentari ad ogni piè sospinto a bambini che prima di venire in Italia erano cresciuti nella privazione alimentare, strap­pamento di capelli e quant'altro), sfogò anche le sue ire represse specialmente su Milton, che era quello dei fratellini che faceva più arrabbiare la mamma, il tutto con lo sconsolante risultato, che i sanitari dell'Ospedale infantile ebbero modo di vedere il 20 giugno 1981.

In tutto questo, di qualunque cosa si può par­lare tranne che di «animus corrigendi». La vo­lontà della Arone fu solo quella di far sentire sul corpo e nell'animo di Milton il dolore che i suoi presunti capricci immancabilmente si attirava e si sarebbe attirato, per avere fatto «arrabbiare la mamma», nella perfetta coscienza della parti­colare afflittività delle c.d. punizioni, ma che, più acconciamente, sarebbero da definire sevizie. Milton fa arrabbiare la mamma e perciò viene pestato. Ed a proposito delle lesioni costali, non si può omettere di registrare le parole di Milton, riferite nella relazione dell'assistente sociale sul­la vita dei bambini presso la nuova famiglia: «Mi ha dato dei calci, prima ero in piedi poi ero caduto e lei mi pestava». Milton a questo punto pesta la pancia di Lia con un piede, dicen­do: «Faceva così. lo sono rimasto lì. Lei è andata a vedere la televisione. Poi quando ha finito mi ha messo sul letto con ghiaccio sulla pancia e poi quando Hugo è andato a scuola io sono ri­masto a casa». Sarà che il bambino è inatten­dibile, però non può mancarsi di rilevare che qua­si sempre le sue parole hanno avuto una puntuale conferma o dagli stessi imputati (circa l'uso di determinati mezzi punitivi) o dalle risultanze pro­cessuali (come la non spiegabilità di quelle lesio­ni costali, se non ipotizzando un meccanismo di schiacciamento, trovandosi il bambino in posi­zione supina con lieve rotazione del tronco sulla destra).

Pertanto va affermata la penale responsabilità della Arone in ordine al reato ascrittole, quanto meno riguardo a Milton.

Per quanto riguarda Hugo, il discorso è in par­te diverso, anche se egli ha avuto lo stesso trat­tamento «educativo» di Milton. Intanto, egli era in condizioni fisiche diverse e migliori di quelle dì Milton nel giugno 1981 (v. perizia medica), e non portava segni plurimi di battiture. Tuttavia anche per lui il dato staturale era carente, dopo un primo momento (al suo arrivo in Italia) di crescita normale. Anch'egli, dopo l'allontanamen­to dalla casa dei Dell'Utri ebbe una crescita di recupero, ed oggi si può considerare normale sotto questo profilo. Egli è migliorato anche sot­to il profilo psicologico, e tiene a casa e a scuola un comportamento pressoché normale (v. dichia­razione periti psicologi al dibattimento).

Da questi dati è ricavabile il convincimento che anche per Hugo il soggiorno presso i Dell'Utri si tradusse in una esperienza negativa. Però rimane dubbio se il comportamento della Arone nei suoi confronti sia stato ispirato a intenti esclusivamente educativi e correttivi, sia pure in quel modo distorto, oppure si sia spinto oltre, come per Milton, sino alle sevizie e quindi ai mal­trattamenti in senso giuridico. Del resto anche gli stessi periti medici hanno espresso il parere che nei confronti di Hugo si sarebbe in presenza dì un caso di abuso di mezzi di correzione e disci­plina. Onde, appare conforme alle risultanze as­solvere in questo caso con la formula dubitativa.

Va esaminata adesso la posizione del Dell'Utri. Questi è stato rinviato a giudizio, come si legge nella relativa ordinanza, in quanto « ai sensi del­l'art. 40 C.P., su di lui, quale persona esercente la potestà parentale sui minori, gravava l'obbligo giuridico di impedire il verificarsi degli eventi che in concreto si sono verificati. Il non opporsi e, anzi, il servirsi consapevolmente, dell'azione po­sta in essere dalla moglie e gravemente com­promissiva della salute dei figli minori affidati anche a lui, rappresenta pertanto elemento suffi­ciente per giustificare, anche per lui, una solu­zione di rinvio a giudizio in ordine al reato di mal­trattamenti ». Peraltro, lo stesso G.I, aveva nota­to che «tutta l'istruttoria ha evidenziato come lo stesso abbia per lo più agito non già di sua ini­ziativa, ma per aderire ai concetti educativi della moglie».

In verità, anche in sede dibattimentale, il Dell'Utri ha mostrato, non tanto di aderire ai concetti educativi della moglie, ma di volere piuttosto condividere la sorte della Arone. Indubbiamente egli ama molto sua moglie (cfr. in proposito la perizia psicologica nella parte dedicata alla Aro­ne) e perciò, parlando dei fatti della causa, ha usato sempre il plurale, anche quando le accuse erano rivolte perlopiù alla moglie. Ritenere con ciò che si possa configurare una sorta di confes­sione, non sembra esatto. Più di una confessione si è trattato di un mettersi avanti quasi a far da scudo alla persona amata, da lui ritenuta, quasi certamente in buona fede, ingiustamente accu­sata.

Da altro punto di vista, si può dire che l'avere il Dell'Utri accettato il metodo educativo della moglie, non significa ancora che egli debba ugual­mente essere ritenuto responsabile del reato di maltrattamenti: forse potrebbe esserlo, per ciò solo, del reato di cui all'art. 571 C.P. Senonché rimane un grosso dubbio, e cioè se egli, pur agendo a malincuore e non con la convinta deci­sione della moglie, abbia concorso a cagionare a Milton taluna di quelle gravi lesioni, visto che egli ammette di avere talvolta fatto uso di cin­ghia o di battipanni o di schiaffi. È ben vero che i minori, specie Hugo, lo hanno sostanzialmente scagionato sotto questo aspetto. Ma è da dire che nell'animo dei minori il Dell'Utri non ha la­sciato un cattivo ricordo, probabilmente perché, a differenza della moglie, egli mostra di avere dei palpiti di vita nell'animo, che gli hanno consenti­to, malgrado tutto, di instaurare un qualche po­sitivo rapporto coi figli adottivi. Ed è in questa chiave che vanno letti quelli che il Dell'Utri ha definito con foga i tanti momenti felici trascorsi con Hugo e Milton. È assai verosimile che con lui i bambini abbiano avuto quei momenti felici. Però, d'altro canto, non può farsi a meno di rile­vare che egli trascorreva grandissima parte della giornata fuori casa e comunque non in compagnia dei figli. Sicché, se l'affermazione è vera dal suo punto di vista, può esserlo ugualmente per i figli, ma limitatamente ai momenti trascorsi con il padre.

Questo dato suscita peraltro il dubbio che le dichiarazioni a lui favorevoli dei figli possano essere stato frutto di quel buon rapporto che egli aveva con loro saputo instaurare, e quindi mar­catamente influenzare in suo favore: il tutto, be­ninteso, in piena buona fede, giacché del padre Hugo e Milton ricordavano più le cose buone (le poche cose buone avute nella loro vita) che quel­le meno buone o cattive.

Per tutte queste considerazioni, appare confor­me alle risultanze processuali assolvere il Dell'Utri dall'imputazione ascrittagli per insufficien­za di prove, piuttosto che ritenerlo responsabile del meno grave reato di cui all'art. 571 C.P., con conseguente applicazione dell'amnistia, come ri­chiesto dal P.M.

A questo punto può essere irrogata la pena al­la Arone. Ritiene questo Tribunale che si possano concedere le attenuanti generiche, essendo inval­sa una prassi costante di concessione di tali at­tenuanti agli imputati che, come la Arone, siano incensurati. Pertanto, pena adeguata è da ri­tenersi quella di mesi dieci di reclusione, con pena base di anni uno e mesi due e diminuzione di quattro mesi.

In conseguenza della condanna, l'imputata va condannata al risarcimento dei danni in favore della parte civile, rimettendo la relativa liquida­zione, come espressamente richiesto, in sede se­parata, nonché al pagamento delle spese proces­suali e di quelle di costituzione e rappresentanza di parte civile, che si possono liquidare nella somma di L. 1.500.000.

Infine, non opponendovisi alcuna condizione di legge, possono essere concessi alla Arone i be­nefici di cui agli artt. 163 e 175 C.P.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 483 e 488 c.p.p. dichiara Arone Anna colpevole del reato di maltrattamenti in danno di Dell'Utri Milton e, concesse le attenuan­ti generiche, la condanna alla pena di mesi dieci di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali. Condanna l'imputata al risarcimen­to dei danni in favore della parte civile, da liqui­darsi in separata sede, nonché al pagamento del­le spese di costituzione e rappresentanza di p.c., che liquida in lire 1.500.000. Concede alla Arone i benefici di cui agli artt. 163 e 175 c.p.

Visto l'art. 479 c.p.p. assolve Dell'Utri Arman­do dal reato ascrittogli per insufficienza di prove. Assolve la Arone dal delitto di maltrattamenti in danno di Dell'Utri Hugo per insufficienza di prove.

 

Torino, 11.2.1983

 

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