Prospettive assistenziali, n. 63, luglio - settembre 1983

 

 

BLOCCATE ALL'ORFANOTROFIO «LE STELLINE» DI MILANO LE ESPERIENZE INNOVATIVE

 

 

Riproduciamo la lettera che i responsabili del­la gestione pedagogica dell'istituto «Le Stelli­ne» di Milano hanno inviato nell'ottobre 1982 al Presidente ed ai Consiglieri del COPAT, Con­siglio degli Orfanotrofi e del Pio Albergo Tri­vulzio.

L'Orfanotrofio femminile di Milano detto «del­la Stella» (oggi «Le Stelline») trae la sua origi­ne dall'Ospedale eretto nell'anno 1575 da S. Car­lo Borromeo per il ricovero dei mendicanti di ogni età e d'ambo i sessi. All'inizio del 17° secolo fu trasformato in ospizio per fanciulli abban­donati.

Più tardi maschi e femmine vennero ospitati in edifici differenti e si ebbero l'Istituto dei «Mar­tinitti» e quello delle Stelline. L'ospizio per gli anziani divenne il Pio Albergo Trivulzio (popo­larmente «Baggina»).

L'orfanotrofio femminile fu eretto in Ente mo­rale con regio decreto 30.8.1865; è una IPAB am­ministrata, insieme all'Orfanotrofio maschile e agli ospizi per anziani da un unico Consiglio di Amministrazione (COPAT), composto da membri eletti dal Consiglio comunale di Milano. Di fatto la composizione del COPAT rispetta la compo­sizione politica della Giunta comunale per quanto riguarda la maggioranza dei suoi membri, essen­do peraltro garantita una rappresentanza della minoranza. L'attuale maggioranza del Consiglio è composta da membri designati dal PSI e dal PCI cittadini.

Tutto il personale dei vari istituti da qualche anno è inquadrato nel contratto ospedaliero. At­tualmente l’Istituto delle Stelline ospita, secondo il criterio del minimo isolamento sociale, un gruppo convittuale a tempo pieno di ragazze e tre gruppi semiconvittuali per un totale di circa 30 minori (maschi e femmine). È il risultato di una trasformazione iniziata quindici anni fa, quando 1'istituto ospitava circa 250 femmine dai 6 ai 18 anni nel vecchio palazzo di corso Magenta, se­condo tutte le tipiche modalità dell'istituzione totale emarginante.

 

 

TESTO DELLA LETTERA

 

Nella nostra veste di responsabili, a vario ti­tolo, della gestione pedagogica dell'istituto «Le Stelline» riteniamo nostro preciso obbligo mo­rale comunicare ai responsabili della gestione po­litico-amministrativa dell'istituto le sempre più gravi difficoltà in cui ci troviamo a svolgere le nostre funzioni senza venir meno alla correttezza professionale ed ai principi ideali in cui ferma­mente crediamo ed ai quali abbiamo sempre ispi­rato la nostra attività nei confronti delle persone che ci sono state affidate.

Ciò deriva dal fatto che da qualche tempo nell'ambito dell'istituzione in cui operiamo, si sono venute affermando, in maniera spesso striscian­te ma in alcuni momenti anche in modo clamo­roso e prepotente, scelte di politica assistenziale e prassi decisionali che limitano o addirittura impediscono un'organizzazione dinamica del la­voro in funzione prioritariamente dei bisogni for­mativi o rieducativi o di risocializzazione degli utenti.

Ci sembra importante sottolineare che la va­lutazione appena espressa è frutto di lunga, ap­profondita, sofferta e responsabile riflessione da parte di tutti noi, cui preme al di sopra di tutto la ricerca della verità, senza chiusure preconcette nei confronti di alcuno e senza integralismi ideo­logici di sorta.

Su cosa si fonda il nostro contributo critico sull'attuale situazione?

Per quanto riguarda le scelte di politica assi­stenziale rileviamo che:

1) è ormai diventato pressoché totale il disin­teresse degli operatori di base, delle organizza­zioni sindacali e degli amministratori per l'espe­rienza innovativa che l'istituto «Le Stelline» ha iniziato nel 1969.

Essa doveva condurre gradualmente alla tra­sformazione da istituto educativo-assistenziale a centro polivalente di servizi alternativi all'isti­tuzionalizzazione totale, cioè un servizio capace di fornire ai minori in difficoltà risposte non emarginanti (= servizio di zona per i bisogni del­la zona); risposte risolutive al bisogno (= ridare ad ogni minore la possibilità di una regolare vita in famiglia); interventi di prevenzione (= coope­rare con il territorio per rimuovere le cause che perpetuano l'insorgere dei bisogni). La realtà è che l'evoluzione dell'istituto è ormai ferma da circa tre anni, né si intravede la volontà di ri­prenderla in considerazione, nemmeno a livello di dibattito interno;

2) parallelamente l'istituzione si è segnalata negli ultimi anni per la sua non partecipazione alla progettazione e all'attuazione della riforma dei servizi socio-assistenziali, in faticosa gesta­zione sul nostro territorio comunale, come nel resto del paese, riforma di cui condividiamo lo spirito e gli obiettivi (senza presunzione possia­mo dire che il nostro istituto è stato per molto tempo una esperienza pilota nella linea politica poi recepita dalla legislazione nazionale e regio­nale) e alla quale riteniamo doveroso fornire un contributo sostanziale e coerente (a proposito di coerenza: che pensare del tentativo di sottrarre l'istituto al trasferimento all'Ente locale addu­cendo il pretesto che si tratta di un «Istituto edu­cativo-religioso»?);

3) sotto la tendenza a razionalizzare l'organiz­zazione dell'istituto si fa luce sempre più esplici­tamente il progetto di concentrare le prestazioni in un unico complesso, compiendo così un cla­moroso regresso verso la «macro-istituzione» avente come bacino di utenza tutto il territorio metropolitano: soluzione spersonalizzante dal punto di vista sociale (nessuna possibilità di significativi rapporti con il territorio di prove­nienza dell'utenza). E tutto ciò proprio mentre esperti e politici si muovono finalmente all'uni­sono indicando come uniche soluzioni corrette al problema dei minori in difficoltà quelle dei «microservizi» (comunità alloggio, servizi di zo­na polivalenti, ecc.) dimensionati in funzione dei bisogni emergenti da un'area territoriale corri­spondente alle zone del decentramento comuna­le (100/150 mila abitanti). Sembra che la razio­nalizzazione dell'organizzazione, sotto la vernice della modernizzazione, abbia come unico scopo l'adeguamento delle entrate economiche (= ret­te) alle spese, come se si trattasse di un'azien­da commerciale anziché di un servizio sociale in funzione dei bisogni di bambini e ragazzi in difficoltà;

4) infine non condividiamo i frequenti e tal­volta abnormi cedimenti nei confronti di richieste inquinate da interessi corporativi formulate a get­to continuo da alcuni gruppi di operatori, cedi­menti che mettono in luce o una scarsa sensibi­lità verso gli interessi degli utenti o un eccessivo timore di perdere il favore dei lavoratori (che da quando sono stati inquadrati nel contratto degli ospedalieri non si possono certo definire prole­tari sfruttati dal padrone).

Per quanto riguarda le prassi decisionali venu­te in uso da qualche tempo rileviamo che:

A) è stato dato negli ultimi anni uno spazio sempre più ampio alla partecipazione degli ope­ratori di base o dei loro rappresentanti sindacali alla gestione dell'istituzione: ciò non può certo dispiacere a chi, come noi, è convinto difensore del metodo democratico nella gestione della cosa pubblica; ma proprio per questo non possiamo condividere una prassi che è solo parzialmente democratica dal momento che nel gioco dialetti­co che conduce alle scelte e alle decisioni manca sistematicamente una parte: gli utenti del ser­vizio o i loro rappresentanti. Né vale sostenere che ognuna delle parti interessate è un portavoce anche delle esigenze degli utenti: infatti nessuna delle parti ha ricevuto una delega né formale né informale in tal senso, e chi afferma il contrario è vittima di atteggiamenti autoritari che mal si accordano con il compito educativo.

È sufficiente un grossolano esame dei docu­menti sugli incontri avvenuti tra amministratori e lavoratori per rendersi conto di quanto poco spazio abbia la voce degli utenti, e di come il tutto si limiti ad un gioco tra due parti soltanto, gioco talvolta dialettico talaltra con i toni della rissa senza esclusione di colpi;

B) il contributo degli esperti incaricati di for­nire corretti orientamenti e metodologie all'azio­ne educativa è venuto progressivamente per­dendo di significato: ogni volta che il contributo tecnico entra in conflitto con gli interessi degli operatori di base, anziché dar luogo ad un dibat­tito e ad una ricerca seria e responsabile di solu­zioni che salvaguardano i diritti di tutte le parti in causa, viene senza troppe esitazioni spazzato via (con mezzi talvolta gravemente scorretti qua­li: attacchi alle capacità professionali del tec­nico senza avere la competenza necessaria per un giudizio; diffamazione proditoria che non con­sente un confronto, ecc.).

Non siamo mai stati difensori di una conduzio­ne tecnocratica dell'istituto né ci meraviglia che possano esserci conflitti tra differenti interessi di operatori di un'istituzione, ma quel che non com­prendiamo è perché l'Amministrazione paghi dei tecnici per non servirsene;

C) il ruolo assegnato alla figura del Direttore dell'istituto è divenuto gravemente equivoco: da un lato è stato svuotato di fatto di ogni funzione inerente alla supervisione e all'orientamento del­la attività pedagogica svolta dal personale dell'istituto (programmazione, metodologie e prassi di lavoro, esigenze di servizio, sono sempre più disinvoltamente discusse e decise tra rappresen­tanti sindacali e amministratori) riducendosi così ad un ruolo sostanzialmente burocratico; tutta­via avendo conservato formalmente le funzioni di responsabile, davanti all'Amministrazione e al­la Legge, dell'attività svolta dall'istituto finisce per essere il capro espiatorio delle scelte altrui quando per gli altri diventa poco vantaggioso as­sumersi le proprie responsabilità.

Così stando le cose dobbiamo prendere atto:

- che la gestione pedagogica dell'istituto «Le Stelline» è passata di fatto in altre mani, anche se la responsabilità rimane formalmente a cari­co della Direzione;

- che non condividiamo le linee orientative dei responsabili politici dell'istituzione (non si va verso un inserimento nella riforma dei ser­vizi socio-sanitari, ma verso una razionalizzazio­ne del tradizionale sistema basato sull'assisten­zialismo);

- che i bisogni degli utenti non sono il prio­ritario parametro cui ci si riferisce per l'orga­nizzazione del lavoro e l'evoluzione dell'istituto, ma altri interessi hanno preso il sopravvento e che questo contrasta con la nostra deontologia professionale;

- che i tentativi fatti per incontrare su questi temi gli amministratori hanno prodotto risultati scarsi se non deprimenti.

Dovere di chiarezza e di lealtà ci spinge in­nanzitutto a rendere note anche con una certa crudezza le nostre opinioni, nella speranza che possano essere utili a chi si occupa con passione e buona volontà dei problemi dei minori in diffi­coltà e contemporaneamente ci impone di ri­nunciare alla nostra presenza, che sarebbe solo equivoca e contraddittoria, all'interno di una or­ganizzazione di cui non condividiamo più obiet­tivi e metodi di conduzione.

Pertanto, per coerenza, i sottoscritti hanno preso la decisione chi di chiedere il colloca­mento in pensione e chi di dimettersi dall'inca­rico che svolgono da anni all'istituto, entro il corrente anno scolastico.

Marinella Pagura - Direttrice

Gianna Rosa Pasquali - Vice-Direttrice

Don Ermanno Alemani - Assistente spirituale

Guido Cattabeni - Consulente psicologo

Donatella Salvadè - Assistente sociale

 

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