Prospettive assistenziali, n. 61, gennaio - marzo 1983

 

 

Specchio nero

 

 

LA QUESTUA DELL'UNIONE ITALIANA CIECHI

 

Roberto Kervin, presidente nazionale dell'Unio­ne italiana ciechi ha inviato migliaia di copie del­la lettera che riproduciamo (1), per battere cassa. Un altro «appello» per le raccolte era stato lan­ciato all'inizio del 1982.

Osserva giustamente Giovanni Marcuccio, ani­matore di molte lotte per l'inserimento sociale dei ciechi: «Oggi il cieco non lo troviamo più sui gradini della chiesa a biascicare avemarie col piattino in mano, e non lo troviamo più neppure all'angolo della strada, la mano tesa e l'invettiva pronta contro il passante che non lo conforta col proprio obolo. Ma lo incontriamo nelle vesti di dirigente dell'associazione, seduto al tavolo di questo o di quel ministro, di questo o di quel sot­tosegretario, di questo o di quel capo-ufficio per pietire concessioni e agevolazioni di ogni genere in nome della cecità: la pensione anche per chi lavora, per chi è ricco, per i neonati; l'abbuono di ben dieci anni per i lavoratori dipendenti; il rico­noscimento di un terzo in più sul servizio presta­to nelle scuole speciali; strutture speciali a so­stegno dei bambini che frequentano le scuole co­muni; leggi speciali per l'assunzione obbligatoria al lavoro; tessera di circolazione gratuita sui mez­zi pubblici di trasporto; il telefono gratuito e chi più ne ha più ne metta! Dunque, è cambiato il modo, non la sostanza» (2).

Marcuccio prosegue osservando che «eserci­tando dappertutto, costantemente e in mille mo­di, un colossale accattonaggio in nome della ce­cità, e favorendo l'isolamento dei ciechi in strut­ture create su misura (associazione dei radioama­tori ciechi, degli scacchisti ciechi, degli esperan­tisti ciechi, dei donatori di sangue ciechi!, degli sportivi ciechi, case di vacanza per ciechi, case di riposo per ciechi, circoli ricreativi per cie­chi...!), l'Unione italiana ciechi ha provocato e provoca valanghe di pietismo e di compassione, di pregiudizi e di preconcetti che impediscono la effettiva integrazione sociale dei non vedenti. Certo i ciechi stanno meglio oggi: lavorano, frui­scono di pensione, se il reddito annuo personale non supera i cinque milioni e duecentomila lire (godono di pensione persino i neonati!), percepi­scono una indennità di accompagnamento. Ma che conta il maggiore benessere di oggi, se la considerazione di cui godono è ancora quella di ieri! Se, come ieri, per la gente i ciechi sono ancora i "poverini", quelli che hanno bisogno di tutto e di tutti?».

L'Unione italiana ciechi ha ricevuto dallo Stato (legge 27 aprile 1981 n. 190) 800 milioni per il 1980 e altrettanti per il 1981 (3).

Altre cifre similari sta per ricevere sempre dallo Stato. A ciò si devono aggiungere i contri­buti versati da Regioni, Province, Comuni, ban­che, ecc. (4).

L'Unione italiana ciechi non solo batte cassa a tutto spiano, ma cerca in tutti i modi di dare all'opinione pubblica una immagine distorta della realtà.

Kervin, nella lettera in oggetto, ad esempio af­ferma che solo l'U.I.C. affronta il problema della prevenzione della cecità.

Si legge invece nella relazione della Giunta esecutiva per il Consiglio nazionale del 17-18 di­cembre 1982, che, nel campo della prevenzione, l'U.I.C. ha solo organizzato alcune conferenze e tavole rotonde ed ha partecipato a qualche con­vegno.

Perché dunque prendere in giro la gente e non dire che la prevenzione può e deve essere attua­ta dai servizi sanitari, sociali, scolastici, ecc.? L'U.I.C. vuole forse la privatizzazione dei ser­vizi ed uno Stato che non fa nulla, decide nulla e paga a piè di lista ciò che i privati hanno voluto fare?

 

(1) Testo integrale:

«Gentile Signora, Egregio Signore,

sono Roberto Kervin, Presidente Nazionale dell'Unione Italiana dei Ciechi.

Mi rivolgo a Lei per invitarLa a contribuire concretamen­te alla battaglia che i 120.000 ciechi italiani combattono da più di sessant'anni per la propria concreta integrazione so­ciale.

L'Unione Italiana dei Ciechi è l'Associazione che dal 1920 rappresenta tutti i minorati della vista italiani. I suoi dirigenti sono eletti dalle assemblee provinciali e dal con­gresso nazionale e prestano la loro opera in favore della categoria volontariamente e gratuitamente.

Le spese che l'Unione deve sopportare sono tuttavia ingenti: esse sono rappresentate dagli interventi che l'U­nione Italiana dei Ciechi compie verso i propri soci, dalle spese per i propri collaboratori vedenti, dai costi delle molteplici attività che l'Associazione promuove affinché i non vedenti italiani possano vivere una vita migliore.

Nonostante le buone intenzioni manifestate dalle pub­bliche autorità, ancora oggi non è facile per un cieco stu­diare, lavorare, od essere aiutato da un sistema assisten­ziale pubblico che praticamente non esiste. Gli strumenti tecnici necessari per vincere parzialmente la cecità costa­no somme enormi. La prevenzione della cecità, sempre pro­messa da parte dello Stato, è in Italia inesistente e soltan­to l'Unione Italiana dei Ciechi la affronta con i propri scarsi mezzi.

Tutte queste spese dovrebbero essere sopportate dallo Stato e dalle sue strutture, ma lo Stato, le Regioni, le Pro­vince e i Comuni poco o nulla danno all'Unione Italiana dei Ciechi per aiutarla in questa meravigliosa battaglia per il progresso e la civiltà.

Noi dirigenti dell'Unione Italiana dei Ciechi potremo continuare a lavorare per i non vedenti italiani soltanto se i cittadini solidali come Lei offriranno all'Unione Italiana dei Ciechi un concreto aiuto economico.

Sono convinto che Lei risponderà positivamente a que­sto appello che avrei voluto non rivolgere. I tagli che il Parlamento sta apportando alla spesa pubblica, l'incompren­sione e l'insensibilità troppe volte dimostrata dalle ammi­nistrazioni centrali e locali, mi costringono a compiere questo passo rivolgendomi alle persone sensibili del no­stro Paese al fine di condurre assieme la battaglia per il raggiungimento della nostra completa, indiscussa e defini­tiva integrazione sociale.

Questo suo contributo inviato alla Presidenza Nazionale dell'Unione Italiana dei Ciechi servirà per le attività delle nostre Sezioni Provinciali alle quali il denaro raccolto ver­rà proporzionalmente distribuito.

La ringrazio a nome di tutti i ciechi italiani per l'atten­zione prestatami e soprattutto per il concreto segno di soli­darietà che vorrà inviarci.

La prego di inviare il suo contributo mediante l'allegato conto corrente postale intestato all'Unione Italiana dei Cie­chi - Consiglio Regionale Piemontese o versandolo nel con­to corrente bancario n. 200700 presso la Filiale di Torino della Banca Nazionale del Lavoro intestato all'Unione Ita­liana dei Ciechi».

(2) Cfr. G. Marcuccio, Segretario nazionale del MOLCES (Movimento operativo per la lotta contro l'emarginazione sociale), «I ciechi negli anni 80», ciclostilato.

(3) La legge prevedeva che le associazioni «a dimo­strazione del concreto perseguimento delle finalità istitu­zionali» dovevano trasmettere «annualmente una copia del rendiconto, nonché una relazione sull'attività svolta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri». L'Unione italiana ciechi ha adempiuto a questa dispo­sizione di legge?

(4) Va anche precisato che, su richiesta dell'Unione ita­liana ciechi, lo Stato ha sborsato 4.823 milioni (legge 27 aprile 1981 n. 161) per ripianare il disavanzo dell'Ente na­zionale di lavoro per i ciechi, ente inutile per eccellenza, fra l'altro nuovamente in grave crisi economica.

 

 

 

 

 

PATRIMONI E LICENZIAMENTI

 

L'Alfieri Carrù di Torino è una IPAB con un pa­trimonio di 10 miliardi circa. Da anni non svolge alcuna attività assistenziale; funziona come pen­sionato per i giovani di qualsiasi condizione eco­nomica che «abbiano impegni di studio o di la­voro». Pertanto, questa IPAB avrebbe dovuto già essere dichiarata estinta con trasferimento al Co­mune dei beni e del personale.

Temendo questa evenienza, il Consiglio di Am­ministrazione ha licenziato le quattro dipendenti laiche e stipulato una convenzione con le Suore del Sacro Cuore. In questo modo, venivano crea­te le condizioni per la privatizzazione dell'ente in quanto gestito da personale religioso (1).

Questa convenzione è stata stipulata nonostan­te che alla Caritas, alla Curia di Torino e alle Suo­re del Sacro Cuore fossero state fatte presenti più volte le gravi conseguenze negative dovute al licenziamento del personale (2).

In conclusione, anche per l'inerzia della Regio­ne Piemonte, continua a funzionare un'IPAB che da anni non svolge attività assistenziale; se verrà approvata la riforma dell'assistenza come vuole la DC, i 10 miliardi di patrimonio andranno ai privati.

 

 

(1) V. il testo di riforma dell'assistenza pubblicato in Prospettive assistenziali, n. 57.

(2) Dopo vari interventi del Comune di Torino, dei Sinda­cati e dell'ULCES i licenziamenti sono stati ridotti a due.

 

 

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