Prospettive assistenziali, n. 61, gennaio - marzo 1983

 

 

L'ISTITUTO PRINOTTI RICONFERMA LA SUA FUNZIONE EMARGINANTE

FRANCESCO SANTANERA

 

 

Gli istituti di assistenza svolgono, come è noto, la funzione di allontanare dal contesto sociale le persone più deboli. Le «ragioni» addotte sono molte: la mancanza di una famiglia, la necessità di interventi specialistici, ecc. Quest'ultimo «mo­tivo» è quello avanzato da anni dall'Istituto Lo­renzo Prinotti di Torino per giustificare la propria esistenza (1).

Con l'istituzione della Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (dicembre 1962) ha inizio in Italia una dura lotta contro gli istituti di ricovero dei minori. Ed è proprio da questa lotta proseguita ed intensificata con la creazione della Unione per la lotta contro l'emarginazione socia­le (ULCES) (2) che ha inizio il processo di deisti­tuzionalizzazione e che la logica delle istituzioni totali viene smascherata e messa in discussione.

La parabola discendente del Prinotti (vedi tab. 1) comprova che gli interventi per gli audiolesi possono (e per molti devono) essere praticati senza allontanare il soggetto dalla sua fami­glia (3).

 

Tab. 1 - Alunni assistiti dal Prinotti (1964-1982)

 

Anno            Totale n. allievi         Convittori           Semiconvittori

1964                   138                       138                     -

1965                   134                       134                     -

1966                   118                       118                     -

1967                   129                       100                     29

1968                   136                       105                     31

1969                   151                       113                     38

1970                   164                       117                     47

1971                   167                       115                     52

1972                   163                       103                     60

1973                   155                       92                       63

1974                   157                       88                       69

1975                   157                       81                       76

1976                   124                       52                       72

1977                   117                       48                       69

1978                   103                       37                       66

1979                   103                       47                       66

1980                   94                         23                       71

1981-82               81                         16                       65

 

 

Fino al 1966 il Prinotti non praticava il semicon­vitto; oggi i semiconvittori superano di gran lun­ga il numero dei convittori. In secondo luogo, la tabella 1 indica un calo rilevante degli allievi: 138 nel 1964, 167 nel 1971, 81 nell'anno scolastico 1981-82. Tuttavia la battaglia dell'inserimento sco­lastico e sociale dei sordi è lungi dall'essere vinta.

Nella pubblicazione «1881-1981: i cento anni dell'Istituto Lorenzo Prinotti» (4), il presidente dell'ente, una istituzione pubblica di assistenza e beneficenza (IPAB), dopo aver affermato che «per i sordi gravi - ovvero quelli che assoluta­mente non sentono, o che possiedono solo mini­mi residui auditivi - non è possibile un corretto inserimento sociale se manca l'elementare ausi­lio delle forme di comunicazione», sostiene che «solo strutture speciali rieducative (come ad esempio la nostra) possano assolvere a questo compito».

Il problema dell'emarginazione viene dribbla­to dal presidente dell'IPAB sostenendo che «le strutture speciali non sono assolutamente sino­nimo di ghetto» (5).

Nella pubblicazione del centenario della fon­dazione, viene citata l'Unione per la lotta contro l'emarginazione quale organizzazione impegnata negli anni '70 «contro l'attività degli istituti e delle scuole speciali e per l'inserimento degli handicappati nelle scuole normali» (6).

Per poter convalidare la posizione del Prinotti, che continua ad essere un internato e un semiconvitto riservato esclusivamente alle minori sorde, Gabriella Serratrice, autrice del capitolo «Dall'assistenza alla didattica: i cento anni dell'istituto Lorenzo Prinotti di Torino», tenta di screditare la linea dell'ULCES con affermazioni artatamente imprecise.

Nel documento dell'ULCES citato dalla Serra­trice (7), era scritto: «Per questa Unione è fon­damentale la richiesta di misure preventive per la rimozione delle cause socio-ambientali emargi­nanti soprattutto nei seguenti settori: scuole, la­voro, urbanistica, servizi sociali, ecc. Tutto ciò postula una politica sociale che rispetti le esi­genze di tutti i cittadini e non solo di alcuni. Lo sviluppo economico dovrà essere al servizio di quello sociale e si dovranno riconoscere inoltre interventi prioritari e più consistenti ai cittadini con minori possibilità personali o famigliari».

Le affermazioni di cui sopra sono interpretate dall'autrice come segue: «l'Unione proponeva una lotta preventiva all'emarginazione che nei tempi lunghi doveva passare attraverso la subor­dinazione dello sviluppo economico a quello so­ciale».

L'autrice afferma inoltre che l'ULCES avrebbe sostenuto «il principio che non deve essere l'handicappato ad adattarsi alla società, ma la so­cietà ad esso».

Nel documento «Regioni, Comuni, Province: partecipazione e servizi socio-assistenziali e sa­nitari», si affermava invece quanto segue:

«Due sono essenzialmente le impostazioni nei riguardi dei problemi degli handicappati psichici, fisici, sensoriali (focomelici, spastici, ciechi, am­bliopici, sordi, sordastri, invalidi, deboli dell'in­telligenza, ecc.), dei disadattati (malati mentali, disadattati sociali, ecc.) e, in generale delle per­sone (minori e adulte) con qualche difficoltà (or­fani, minori in situazione di abbandono, figli di famiglie prive di risorse economiche, anziani, ecc.).

«La prima impostazione è diretta esclusiva­mente al recupero, al reinserimento o alla riedu­cazione dei soggetti.

«Questa impostazione dà per scontata una pre­cedente esclusione o una emarginazione, poiché evidentemente non si può reinserire chi è inse­rito.

«Da questa impostazione deriva inoltre, fra l'altro:

- la classificazione dei soggetti in "recupera­bili" e in "irrecuperabili", in "scolarizzabili" e "non scolarizzabili";

- la visione esclusivamente o prevalentemen­te tecnica del problema, in quanto occorre "re­cuperare" o "riabilitare" il soggetto;

- la separazione delle categorie (ciechi, sor­domuti, invalidi, spastici, orfani, nati fuori del matrimonio, ecc.) in quanto la maggior parte de­gli interventi differirebbe da un tipo di handicap all'altro;

- l'atteggiamento individuailistico-repressivo nei confronti delle persone i cui comportamenti non corrispondono ai modelli dominanti e la re­pressione di detti comportamenti mediante la se­gregazione o altre misure coercitive (sistema at­tualmente in vigore per la rieducazione dei mino­renni, ospedali psichiatrici, ecc.);

- la prevalenza di istituzioni a carattere di in­ternato ubicate spesso in località isolate e l'uti­lizzazione di edifici anche plurisecolari.

«Conseguenza di questa impostazione è l'at­tuale situazione. AI massimo, non modificando l'impostazione di fondo, si possono avere dei miglioramenti funzionali dei servizi.

«L'altra impostazione, che questa Unione con­divide, reclama la necessità che ogni persona non venga a trovarsi nelle condizioni negative che impediscono o condizionano la sua maturazione personale e la sua attiva partecipazione alla vita politica e sociale (art. 3 della Costituzione).

«Si tratta dunque di attuare tutti i necessari interventi diretti ad evitare l'emarginazione.

«Si parte cioè dal principio che tutte le perso­ne sono membri della società, indipendentemen­te dal fatto che siano o non siano handicappati o disadattati o con altre difficoltà, e indipenden­temente altresì dalla gravità del caso.

«Una particolare attenzione deve essere rivol­ta ai soggetti in età evolutiva. Conseguenza di questa impostazione è la creazione delle unità locali dei servizi.

«Un grave errore che si riscontra è la mancata visione della globalità della persona handicappa­ta o disadattata o con qualche difficoltà. Infatti il più delle volte gli interventi vengono incentrati solo sull'handicap senza tener conto delle com­ponenti personali, familiari e sociali che con­sentono lo sviluppo della persona umana ed evi­tano la sua emarginazione e che in definitiva con­tribuiscono in larga misura a risolvere o a com­pensare l'handicap, il disadattamento o le diffi­coltà.

«Sotto questo profilo, tutte le soluzioni che pure si sforzano di rimediare agli handicaps sen­za tener conto di tutti i fattori personali (specie affettivi), familiari, di integrazione nel contesto sociale sono superate.

«Il principio al quale ci si deve sempre ispi­rare nell'adozione delle soluzioni medico-psico-socio-pedagogiche e di altra natura è quello del MINIMO DI ISOLAMENTO E MASSIMO DI SOCIA­LIZZAZIONE.

«La separazione dall'ambiente familiare e so­ciale viene spesso giustificata dalla necessità di interventi specializzati. Ma proprio la visione glo­bale della personalità deve indurre a compiere ogni sforzo per conciliare le esigenze della spe­cializzazione e della socializzazione.

«Gli handicappati ed i disadattati (minori e adulti) non devono essere sottratti alle cure e all'azione stimolante della famiglia, quand'essa é idonea o quando un'azione di sostegno o di aiuto può renderla tale» (8).

Nel citato documento inoltre era sottolineato che: «Altro problema di fondo è la necessità dell'abolizione della legislazione settoriale e dei re­lativi enti pubblici di categoria (per orfani, per nati fuori del matrimonio, per legittimi, per cie­chi, per sordomuti, per spastici, per invalidi, ecc.)».

La Serratrice attribuisce all'ULCES una distorta elaborazione teorico della devianza. Questa ver­rebbe «vista come non adattamento o adattabi­lità alla cultura dominante: l'handicappato o il gruppo omogeneo di handicappati, erano visti co­me possessori di una propria cultura, inferiore a quella dei "normali" solo in quanto non domi­nante». Si tratta di una impostazione che mai l'ULCES ha prodotto o condiviso: il pensiero so­pra riportato è inventato di sana pianta dalla Serratrice.

Nel 1974 il Prinotti aprì nell'area dell'istituto una scuola materna per praticare l'inserimento alla rovescia e cioè per inserire dei bambini nor­mali in una struttura di emarginati.

L'ULCES reagì distribuendo volantini nel gior­no dell'inaugurazione. La Serratrice sostiene: «Il volantino che l'ULCES diffuse all'inaugurazione della scuola materna criticava però soprattutto il fatto che la soluzione di un problema vitale per l'audioleso come quello di un recupero precoce venisse avocato a sé da un ente privato».

Nel volantino distribuito, invece, non si fa cen­no alcuno a quanto dice la Serratrice. Il testo in­tegrale del volantino, dal titolo «L'Istituto Prinot­ti, centro di potere della DC, apre un nuovo ghet­to», è il seguente:

«Mentre nel convegno tenutosi a Torino mer­coledì scorso si è discusso dell'inserimento dei ciechi nelle comuni strutture prescolastiche e scolastiche (e positive esperienze sono state at­tuate a Genova, La Spezia; Bologna e in nume­rose altre città), l'istituto Prinotti apre un nuovo ghetto per isolare dal contesto normale i bambini sordi e sordastri.

«La fortissima diminuzione di "clienti" del Pri­notti verificatasi in questi ultimi anni avrebbe dovuto portare alla chiusura dell'istituto median­te l'inserimento dei pochi bambini e ragazzi che ancora lo frequentavano nelle comuni scuole e la creazione di comunità alloggio miste (sordi e non sordi) per coloro che non potevano ritornare in famiglia.

«L'Istituto Prinotti però non si è voluto muove­re sulla linea della non emarginazione, ma, con­tro l'interesse dei bambini e dei ragazzi, ha se­guito la logica dei centri di potere.

«Ha perciò chiesto ed ottenuto dalla Giunta della Regione Piemonte di poter estendere i pro­pri interventi emarginanti dai sordi a tutti i de­boli dell'udito.

«Che tutto ciò sia avvenuto per motivi di po­tere è dimostrato dal fatto che il Prinotti non ha tenuto in alcun conto le positive esperienze di inserimento dei sordi nelle comuni strutture pre­scolastiche attuate in molte parti d'Italia ed an­che nelle scuole materne e dell'obbligo di Torino ed ha agito alla chetichella non mettendo in di­scussione la sua iniziativa con nessuna forza sociale.

«Ai genitori dei bambini sordi e sordastri si vuol far credere che l'isolamento dei loro figli in strutture speciali è necessario per fornire i ne­cessari trattamenti specialistici, ma non si dice che questi stessi trattamenti possono essere for­niti nelle comuni strutture: asili nido (come pre­vede la legge della Regione Piemonte e il rego­lamento del Comune di Torino), scuole materne e dell'obbligo.

«Non si dice che ovunque sono state negative le conseguenze dell'isolamento in strutture riser­vate ai bambini sordi e sordastri (come per spa­stici, i ciechi, i subnormali).

«Ancora una volta la logica del potere DC vuol prevalere sugli interessi reali delle persone» (9).

Vi è da osservare, invece, che nulla viene det­to nella pubblicazione in merito al telegramma in­viato dall'Associazione bimbi sordi di Roma, che riportiamo integralmente:

«Prossima attivazione nido et scuola materna at Istituto sordomuti Prinotti di Torino est con­troproducente impiego risorse Stop Effettivo re­cupero bambini sordi esige urgente potenziamen­to et adeguamento strutture sociali sanitarie sco­lastiche normali non di quelle cosiddette specia­li quali Istituto Prinotti che la scienza respinge perché generatrici di handicap et la coscienza condanna perché generate dall'ingiustizia».

Nulla viene detto, inoltre, dall'autrice, sul fat­to che fra i genitori degli audiolesi vi è stata una spaccatura profonda: da un lato, è nata l'APA (As­sociazione per audiolesi) che ha sede presso il Prinotti e che ha le stesse posizioni dell'en­te (10); dall'altro, è sorta l'AGAP (Associazione genitori degli audiolesi piemontesi), che ha tra gli scopi statutari quello di stimolare l'inserimen­to dei bambini sordi nella scuola normale mater­na, elementare e media.

Le posizioni del Prinotti, sintetizzate nel volu­me che vuole celebrare i cento anni di vita dell'istituto, riconfermando così la sua funzione emarginante si pone in contrasto con le stesse elaborazioni degli uffici ministeriali. Aldo Zelioli, dirigente superiore per i servizi ispettivi - istru­zione elementare - Ministero della pubblica istru­zione, intervenendo all'incontro della Federazione italiana fra le Associazioni per la difesa dei dirit­ti degli audiolesi (FIADDA) (11), ha sostenuto: «Il recupero mediante l'integrazione è la via da seguire».

Per concludere va osservato che, essendo at­tualmente solo più 16 i convittori del Prinotti, ci sembra necessario che la Regione Piemonte, la Provincia e il Comune di Torino assumano le ini­ziative del caso per giungere nel più breve tem­po possibile allo scioglimento dell'istituto (ricor­diamo nuovamente che si tratta di una IPAB), ri­cercando ovviamente idonee soluzioni per il per­sonale ed i ragazzi (comunità alloggio, ecc.) e destinando l'istituto (oggi largamente sotto uti­lizzato) a sede di servizi socio-assistenziali.

 

 

 

(1) L'istituto Lorenzo Prinotti è presente a Torino dal 1881; ha sede in corso Francia, 73 e svolge oggi attività di scuola per audiolesi. Alcuni degli alunni frequentanti sono anche convittori.

(2) Alla costituzione la denominazione era «Unione ita­liana per la promozione dei diritti del minore».

(3) Numerose sono le esperienze di inserimento scola­stico di bambini audiolesi avviate in Italia. Cfr., a puro ti­tolo esemplificativo, S. Lagati, Bambini sordi in scuola nor­male, Trento, ed. Lagati, 1975 e O. Schindler, Il bambino sordo nella scuola di tutti, Stampatori, Torino, 1981. Cfr. an­che: S. Lagati, Bibliografia italiana sui disturbi dell'udito e del linguaggio, Vert editrice, vol. VI, Trento, 1982.

(4) AA.VV., 1881-1981: i cento anni dell'Istituto Lorenzo Prinotti, Torino, 1981, pp. XIII e segg.

(5) Va osservato che l'istituto Prinotti accoglie solo fem­mine (ai maschi è riservato un istituto sito a Pianezza, un Comune ad una quindicina di chilometri da Torino). Nello statuto del Prinotti, approvato nel 1974, è previsto che l'i­stituto può «ospitare, istruire ed educare le sordomute [...] appartenenti a qualsiasi provincia italiana». Inoltre è stata inserita nello statuto la seguente norma: «accoglie­re, in apposito reparto, sordomute adulte bisognose, da adibire a lavori interni dell'istituto» Quindi un ghetto nel ghetto.

(6) Cfr. AA.VV., 1881-1981: i cento anni dell'Istituto..., cit., pp. 66-67.

(7) Cfr. «Regioni, Comuni, Province: partecipazione e servizi socio-assistenziali e sanitari» in Prospettive assi­stenziali, Torino, n. 11-12, luglio-dicembre 1970, p. 5 e segg.

(8) Ibidem, p. 5 e segg.

(9) Nessun riferimento, dunque, al Prinotti come «ente privato», anche perché, trattandosi di una IPAB, è una isti­tuzione pubblica di assistenza e beneficenza.

(10) Nel novembre 1980, l'APA ha diramato agli organi di informazione piemontesi la seguente nota: «Il recupero della sordità infantile può essere attuato, per obiettiva e onesta conoscenza dei genitori di bambini audiolesi, con a) integrazione nella scuola pubblica [ ...]; b) frequenza sco­lastica a tempo pieno (anche scuola materna) con inse­gnanti elementari specializzate e rieducazione ortofonica durante tutto l'orario scolastico presso la scuola speciale "Prinotti" di Torino, in attuazione del diritto costituzionale della libertà di scelta e consacrata in norme legislative (legge 30 marzo 1971, n. 118, art. 28, comma 2; legge 4 ago­-sto 1977, n. 517, art. 10, comma 1 e 3; legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 26, comma 1, paragrafo 2). Quanto sopra, perché sono sempre più numerosi i genitori che si rivol­gono alla nostra Associazione dopo l'esperienza della strut­tura pubblica (non funzionante e preparata al recupero spe­cifico e particolare dell'handicap), per aver avuto una unica e unilaterale indicazione, per il recupero della sordità in­fantile, da funzionari di assessorati competenti».

(11) La FIADDA ha la sede nazionale in via Druso 7/17, Trento (telefono 0461/39595). Per il Piemonte, aderisce alla FIADDA, l'AGAP, con sede presso Nazzaro, via San Marti­no 16, Moncalieri (Torino). La frase di Zelioli è riferita dal verbale della riunione di Roma della FIADDA, del 14 mag­gio 1982.

 

 

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