Prospettive assistenziali, n. 58, aprile - giugno 1982

 

 

CONVENZIONE EUROPEA SULLO STATO GIURIDICO DEI FANCIULLI NATI FUORI DEL MATRIMONIO

 

COMMENTO DI GIORGIO BATTISTACCI

 

Il 9 febbraio 1982 il Ministro degli esteri ha presentato in Parlamento un disegno di legge per la ratifica della Convenzione europea stipulata nel 1977 sullo status giuridico dei minori nati fuori del matrimonio.

La Convenzione è rivolta a realizzare una legi­slazione unitaria per i minori nati fuori del ma­trimonio: tale esigenza è molto viva in materia come pure in altri settori riguardanti i minori (si pensi a quelli della potestà genitoriale e della tutela) dove le diversità legislative tra i diversi paesi ostacolano o rendono difficile una efficace protezione dei figli minori.

Ci sembra che la Convenzione intenda perse­guire due obiettivi e cioè quello che i genitori naturali non riescano a sfuggire alle loro respon­sabilità e ai loro doveri verso il figlio che hanno concepito e quello di equiparare nei loro diritti i figli nati fuori del matrimonio a quelli nati nel matrimonio.

Vi è subito da rilevare che il nuovo diritto di famiglia italiano si pone su questo piano all'avan­guardia avendo già accolto sostanzialmente i principi contenuti nella Convenzione, anzi con opportuni accorgimenti che tutelano ulteriormen­te i figli nati fuori del matrimonio.

Innanzitutto la Convenzione regola con i primi tre articoli il riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio: così stabilisce che la filiazione da parte della madre deriva dal solo fatto della nascita, che la filiazione da parte del padre può derivare o dal riconoscimento volontario o da una decisione giurisdizionale e che il riconoscimento volontario di paternità non può essere oggetto di opposizione o di contestazione che nel caso in cui la persona che vuol riconoscere o ha ricono­sciuto il figlio non ne sia il padre biologico.

Può osservar-si quanto al riconoscimento ma­terno che il principio posto dalla Convenzione sembra ricalcare il 3° comma dell'art. 269 del co­dice civile italiano nel quale si afferma che la maternità è dimostrata, in materia di dichiarazio­ne giudiziale di maternità, provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna che si pretende essere madre, cioè dando rilevanza ai fini del riconosci­mento al fatto del parto. È innegabile che vi è una differenza tra la madre e il padre ai fini della dimostrazione della nascita del figlio e quindi del suo riconoscimento, però il testo della Conven­zione può prestarsi a ripetere differenziazioni che la legge italiana ha superato e può ingenerare il dubbio che si voglia introdurre il principio della obbligatorietà del riconoscimento materno. Ora una norma che fosse rivolta a tale fine, se può sembrare vantaggiosa per il figlio, risulta in so­stanza pericolosa per lui perché rivolta ad attri­buirgli sì la madre naturale, cioè la donna che lo ha effettivamente generato, ma anche una madre che potrebbe non avere alcuna intenzione ed in­teresse a prendersi cura di lui, il che contrasta con tutto il fondato orientamento culturale, psi­cologico, giuridico per cui un bambino ha biso­gno dei genitori «degli affetti» più che di quelli «del sangue», a volte pure dannosi per il suo sviluppo psicofisico e per il suo processo edu­cativo.

Quanto poi al riconoscimento sia paterno che materno, se è da sottolineare con favore il prin­cipio, già contenuto nel nuovo diritto di famiglia italiano, della ampia liberalizzazione nella ricer­ca della paternità e della maternità che sembra sottostare anche alla Convenzione, devesi rileva­re come appaia troppo limitativo l'art. 4 della Con­venzione stessa che ammette la possibilità di una opposizione o di una contestazione della pater­nità solo nel caso in cui colui che vuol riconosce­re o ha già riconosciuto il figlio non ne sia il ge­nitore biologico. Nel diritto italiano sono state introdotte norme che tutelano maggiormente l'in­teresse del minore ad avere anche qui un padre che non sia solo un genitore biologico ma anche un genitore che si prenda cura effettiva di lui.

Così in tema di riconoscimento volontario l'art. 250 del codice civile stabilisce che il riconosci­mento del figlio ultrasedicenne non può aver luo­go senza il suo consenso e che il riconoscimento del figlio infrasedicenne non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che abbia già ri­conosciuto il figlio (generalmente la madre); in caso di rifiuto di tale consenso, rifiuto che po­trebbe essere interessato, sarà il tribunale per i minorenni a decidere nell'interesse del figlio.

Inoltre, se tutto il nuovo diritto di famiglia ita­liano sembra ispirarsi non più, come in passato, al principio del «favor legittimitatis» ma a quello del «favor veritatis», esso appare sempre rivol­to a garantire l'interesse del figlio ad avere, da un lato, il genitore che lo ha generato effettiva­mente ma, dall'altro, anche un genitore che si prenda cura di lui e ad assicurare che il ricono­scimento, comunque avvenuto, non rimanga una pura affermazione di principio. Vi è da augurarsi pertanto che il legislatore italiano, nel ratificare la Convenzione, non si dimentichi di tali principi contenuti nella legislazione nazionale, avvalen­dosi dell'art. 14 della Convenzione che prevede la formulazione di riserve in sede di ratifica.

Molto importante ci sembra l'art. 5 della Con­venzione che afferma il principio che nelle azioni relative al riconoscimento paterno devono essere ammesse le prove scientifiche suscettibili sia di stabilire che di escludere la paternità. È noto co­me nel nostro paese le prove scientifiche, in par­ticolare le indagini ematologiche, siano ritenute ammissibili e tali da fornire la certezza della esclusione della paternità e in questo senso è l'orientamento prevalente della giurisprudenza: recentemente si è fatto strada nella giurispru­denza l'orientamento che le indagini ematologi­che possono fornire la prova anche affermativa della paternità.

Il principio contenuto nella Convenzione po­trà costituire uno stimolo per tale orientamento nonché per approfondire le problematiche relati­ve anche in sede medico-scientifica.

Da sottolineare con favore è il principio posto dall'art. 6 della Convenzione per cui i genitori na­turali hanno nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio gli stessi obblighi che su di loro in­combono per i figli nati nel matrimonio. Si ag­giunge anche che, quando l'obbligo di manteni­mento di un figlio nato nel matrimonio incombe su alcuni membri della famiglia del padre o della madre, il bambino nato fuori del matrimonio be­neficerà ugualmente di tale obbligo.

Si stabilisce così una perfetta parità tra i figli nati fuori del matrimonio con quelli nati nel matri­monio superando quella concezione che ha tar­dato molto a morire, e che ancora sopravvive in alcuni ambienti, per cui i figli nati fuori del ma­trimonio erano di serie B, quasi che la loro na­scita non legittima dovesse costituire per loro una colpa e una diminuzione dei loro diritti.

Il principio di parità contenuto nella nostra Costituzione (art. 30) ha trovato attuazione nel nuovo diritto di famiglia (art. 261 C.C.). Così, in base al nuovo testo dell'art. 431 C.C., insieme all'abrogazione del successivo art. 435 C.C., é stabilito in materia alimentare che gli ascendenti prossimi anche naturali sono tenuti a prestare gli alimenti nei confronti dei figli naturali.

Il nuovo diritto di famiglia ha stabilito anche una sostanziale equiparazione sul piano succes­sorio tra figli legittimi e naturali. Questa norma­tiva si pone in concordanza con l'art. 9 della Convenzione europea che afferma proprio il prin­cipio della parità in materia successoria tra figli legittimi e figli naturali. Forse il legislatore ita­liano dovrebbe qui fare ulteriori passi avanti, come può desumersi dal fatto che la Corte co­stituzionale, con sentenza n. 55 del 1979 ha di­chiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 565 C.C. nel testo non riformato per la parte in cui non comprende tra i chiamati alla successione le­gittima i fratelli naturali.

Altro principio contenuto nella Convenzione da sottolineare con favore è quello di cui all'art. 7 dove si afferma che in caso di riconoscimento da parte di entrambi i genitori naturali la potestà parentale non deve essere necessariamente at­tribuita al padre e che la potestà parentale può essere trasferita dall'uno all'altro genitore secon­do la normativa di diritto interno: il genitore che non abbia l'esercizio della potestà parentale nei confronti del figlio o non ne abbia l'affidamento può ottenere un diritto di visita nei casi oppor­tuni (art. 8 della Convenzione).

Tali principi trovano riscontro nella legislazio­ne italiana la quale, come si è detto, è ispirata alla tutela dell'interesse del minore anche nei ri­guardi dei suoi genitori. Così l'art. 317 bis C.C. stabilisce l'esercizio comune della potestà paren­tale in caso di genitori naturali conviventi, l'e­sercizio della potestà per il genitore con cui il figlio convive, in caso di non convivenza e la pos­sibilità comunque per il tribunale per i minorenni di regolare diversamente l'esercizio della potestà, anche escludendola per entrambi i genitori con la nomina di un tutore. Sempre la stessa norma prevede che il genitore che non esercita la po­testà sul figlio ha il diritto di vigilare sulla istru­zione, sulla educazione e sulle condizioni di vita di lui. In ogni caso sono applicabili ai genitori na­turali come a quelli legittimi, le norme relative all'esercizio della potestà parentale, rivolte quin­di a tutelare i figli sia legittimi che naturali nei confronti dei loro genitori e a regolare i loro rap­porti con i genitori sia legittimi che naturali.

Infine l'art. 10 della Convenzione stabilisce che il matrimonio tra genitori naturali conferisce ai figli lo status giuridico dei figli nati nel matri­monio, principio affermato anche dall'art. 280 del codice civile italiano.

In sostanza la Convenzione non prevede princi­pi nuovi non presenti nel nostro ordinamento an­che se ancora non sono presenti in alcuni ordi­namenti di altri stati. Vi è da augurarsi che essa contribuisca, da un lato, a realizzare una maggio­re unificazione tra i diversi ordinamenti e una spinta ulteriore perché la normativa, anche quel­la italiana, sia attuata nel senso di conseguire una sempre maggior tutela dei figli, soprattutto minori.

 

 

TESTO DELLA CONVENZIONE (1)

 

Gli Stati membri del Consiglio d'Europa firma­tari della presente convenzione,

considerato che scopo del Consiglio d'Europa è la realizzazione di una unione più stretta fra i suoi membri, in particolare favorendo l'adozio­ne di norme comuni nel campo giuridico;

constatato che numerosi Stati membri hanno definito o avviato iniziative per migliorare lo sta­to giuridico dei minori nati fuori dal matrimonio riducendo le differenze tra lo stato giuridico di questi minori e quello dei fanciulli nati nel matri­monio, differenze che erano sfavorevoli ai primi sul piano giuridico e sociale;

considerato che in questo campo esistono an­cora notevoli disparità fra le norme vigenti degli Stati membri;

convinti che la condizione dei minori nati fuo­ri del matrimonio deve essere migliorata e che la definizione di norme comuni concernenti il loro status giuridico favorirebbe la realizzazione di questo obiettivo e contribuirebbe nello stesso tempo all'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in questo campo;

considerato tuttavia che è necessario preve­dere tappe progressive per gli Stati che ritengo­no di non essere in grado di adottare immediata­mente alcune delle norme della presente con­venzione;

hanno convenuto quanto segue:

 

Art. 1

Ciascuna parte contraente si impegna ad assi­curare la conformità della propria legislazione alle disposizioni della presente convenzione ed a notificare al Segretario generale del Consiglio d'Europa le misure prese al riguardo.

 

Art. 2

La filiazione materna di tutti i minori nati fuori del matrimonio è stabilita per il solo fatto della nascita del fanciullo.

 

Art. 3

La filiazione paterna di tutti i minori nati fuori del matrimonio può essere constatata o stabilita mediante riconoscimento volontario o con deci­sione giurisdizionale.

 

Art. 4

Il riconoscimento volontario di paternità può essere oggetto di una opposizione o di una con­testazione, quando queste procedure sono pre­viste dalla legislazione interna, solo nei casi in cui la persona che vuole riconoscere o che ha riconosciuto il fanciullo non è biologicamente il padre.

 

Art. 5

Nelle procedure relative alla filiazione paterna, devono essere ammesse le prove scientifiche in grado di stabilire o di negare la paternità.

 

Art. 6

1. Il padre e la madre di un bambino nato fuori dal matrimonio hanno gli stessi doveri nei con­fronti di questo minore dei doveri previsti nei ri­guardi del fanciullo nato nel matrimonio.

2. Quando l'obbligo di provvedere ad un fan­ciullo nato nel matrimonio spetta a membri della famiglia del padre o della madre, il minore nato fuori del matrimonio beneficia altresì di questo obbligo.

 

Art. 7

1. Quando la filiazione di un fanciullo nato fuo­ri del matrimonio è stabilita nei confronti dei due genitori, l'autorità parentale non può essere attri­buita di pieno diritto esclusivamente al padre.

2. Si devono poter trasferire da una persona all'altra i poteri inerenti l'autorità parentale; que­sti casi devono essere previsti dalla legislazione interna di ciascuno Stato.

 

Art. 8

Quando il padre o la madre di un fanciullo nato fuori del matrimonio non esercitano i poteri pa­rentali sul fanciullo o non lo tengono presso di loro, possono ottenere il diritto di visita quando ciò è opportuno.

 

Art. 9

I diritti del minore nato fuori del matrimonio nei riguardi della successione del proprio padre e della propria madre e dei componenti delle fa­miglie di questi ultimi sono gli stessi di quelli che avrebbe nel caso in cui fosse nato nel ma­trimonio.

 

Art. 10

Il matrimonio fra il padre e la madre di un fanciullo nato fuori del matrimonio gli conferisce lo status giuridico di figlio nato nel matrimonio.

 

Art. 11

1. La presente convenzione è aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa. Essa sarà ratificata, accettata o approvata. Gli stru­menti di ratifica, di accettazione o di approvazio­ne saranno depositati presso il Segretario gene­rale del Consiglio d'Europa.

2. La convenzione entrerà in vigore tre mesi dopo la data di deposito del terzo strumento di ratifica, di accettazione o di approvazione.

3. Essa entrerà in vigore nei riguardi di tutti gli Stati membri firmatari che la ratificheranno, l'ac­cetteranno o l'approveranno- in seguito, tre mesi dopo la data di deposito dello strumento di rati­fica, di accettazione o di approvazione.

 

Art. 12

1. Dopo l'entrata in vigore della presente con­venzione il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa potrà invitare gli Stati non membri del Consiglio d'Europa ad aderire alla presente con­venzione.

2. L'adesione verrà effettuata mediante il depo­sito, presso il Segretario generale del Consiglio d'Europa, di uno strumento di adesione, i cui ef­fetti avranno decorrenza tre mesi dopo la data di deposito.

 

Art. 13

1. Ciascuno Stato può, al momento della firma o al momento del deposito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di ade­sione, precisare il o i territori nei quali verrà data applicazione alla presente convenzione.

2. Ciascuno Stato può, al momento del depo­sito del suo strumento di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione o in qualsiasi altro momento successivo, estendere l'applicazione della presente convenzione, mediante una dichia­razione indirizzata al Segretario generale del Con­siglio d'Europa, a qualsiasi altro territorio, indi­cato nella dichiarazione suddetta, per il quale as­sicura le relazioni internazionali o per il quale è abilitato ad agire.

3. Ogni dichiarazione fatta in base al paragra­fo precedente potrà essere ritirata, per quanto concerne i territori indicati nella stessa dichia­razione, in osservanza delle condizioni previste dall'art. 15 della presente convenzione.

 

Art. 14

1. Ogni Stato può al momento della firma o al momento del deposito del suo strumento di rati­fica, di accettazione, di approvazione o di adesio­ne o quando farà una dichiarazione conformemen­te al paragrafo 2 dell'articolo 13 della presente convenzione, formulare al massimo tre riserve nei riguardi delle disposizioni contenute negli ar­ticoli da 2 a 10 della stessa convenzione.

Non sono ammesse riserve di carattere gene­rale: ogni riserva può riguardare solamente una disposizione.

2. Ogni riserva avrà effetto per un periodo di cinque anni a decorrere dall'entrata in vigore del­la presente convenzione nei riguardi dello Stato interessato. Essa potrà essere rinnovata per pe­riodi successivi di cinque anni, per mezzo di una dichiarazione indirizzata al Segretario generale del Consiglio d'Europa, prima della scadenza di ciascun periodo.

3. Ciascuna parte contraente può ritirare, in tutto o in parte, una riserva da essa formulata in base ai paragrafi precedenti per mezzo di una di­chiarazione indirizzata al Segretario generale del Consiglio d'Europa. L'effetto decorre dalla data di ricevimento della dichiarazione.

 

Art. 15

1. Ciascuna parte contraente potrà, per quel che la riguarda, denunciare la presente conven­zione indirizzando una notificazione al Segretario generale del Consiglio d'Europa.

2. La denuncia avrà effetto sei mesi dopo la data di ricevimento della notificazione da parte del Segretario generale.

 

Art. 16

Il Segretario generale del Consiglio d'Europa notificherà agli Stati membri del Consiglio e a tutti gli Stati aderenti alla presente convenzione:

a) ogni firma successiva della convenzione;

b) il deposito degli strumenti di ratifica, di accettazione, di approvazione o di adesione;

c) le date di entrata in vigore della presente convenzione conformemente all'art. 11;

d) le notifiche ricevute in applicazione dell'art. 1;

e) le dichiarazioni ricevute in applicazione dei paragrafi 2 e 3 dell'art. 13;

f) le riserve formulate in applicazione delle disposizioni del paragrafo 1 dell'art. 14 (2);

g) il rinnovo delle riserve effettuate in appli­cazione del paragrafo 2 dell'art. 14;

h) il ritiro delle riserve effettuate in applica­zione delle disposizioni del paragrafo 3 dell'ar­ticolo 14;

i) le notificazioni ricevute in applicazione delle disposizioni dell'art. 15 e le date in cui avranno effetto le denunce.

 

 

 

(1) Il disegno di legge per la ratifica della convenzione è stato presentato in data 9 febbraio 1982 dal Ministro degli esteri alla Camera dei Deputati (n. 3147). La traduzione del testo della convenzione è nostra.

(2) Il Governo del Lussemburgo ha formulato la seguen­te riserva: «In applicazione dell'art. 14, paragrafo 1, il Governo del Lussemburgo si riserva di applicare l'art. 2 della Convenzione in modo che la filiazione materna non sia stabilita automaticamente per il fatto che il nome della madre è indicato nell'atto di nascita, essendo comunque inteso che la filiazione materna può tuttavia essere ancora stabilita giudizialmente per mezzo della ricerca della filia­zione materna se viene provato con qualsiasi strumento legale che il fanciullo è stato partorito dalla madre».

 

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